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Autore: clylar    23/04/2012    3 recensioni
Era lì da mezz’ora e continuava a fissare le due lastre di marmo che aveva davanti: identiche, legate da un filo di parentela e accomunate dallo stesso nome che le identificava. Ciò che le distingueva era la data sotto i nomi e il disegno di un aquilone che decorava la lapide più recente.
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro Personaggio, Claire Bennet, Mr. Bennet, Peter Petrelli, Sylar
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Titolo: FLASHBACK DI UNA VITA

Capitolo 1 – Aquiloni

Stava inginocchiato, sedere sui talloni, ginocchia che affondavano un po’ nell’erba, mani a lato del corpo e appoggiate a terra. Era lì da mezz’ora e continuava a fissare le due lastre di marmo che aveva davanti: identiche, legate da un filo di parentela e accomunate dallo stesso nome che le identificava. Ciò che le distingueva era la data sotto i nomi e il disegno di un aquilone che decorava la lapide più recente. 

Papà mi piacciono tanto gli aquiloni”

La data della lapide con il disegno era quella odierna, solo due anni più indietro.

“Già due anni”.

Continuava a chiedersi come avevano fatto a passare due anni . . .già due anni.

Naturalmente . . . se il primo lo passi da strafatto di ogni droga possibile ed immaginabile . . .

“Cazzo!”.

Quando era stato lì l’anno scorso per il primo anniversario. . .

“Cazzo, neanche me lo ricordo!”

Avevano dovuto portarcelo a forza perché lui non stava neanche in piedi, ma aveva perso il funerale l’anno prima e pur di andarci aveva fatto e detto tanto che, alla fine, avevano ceduto. Naturalmente per evitare che combinasse casini lo avevano drogato fin sopra i capelli, tanto era normale amministrazione per loro.

Continuava a fissare la lastra bianca: “Chi è quel deficiente che ha detto che il tempo guarisce ogni dolore? Di sicuro non ha perso un figlio!”

Poteva ancora vedere con gli occhi della mente il suo sorriso mentre giocava, cinque minuti prima che si scatenasse l’inferno.

 

“Papà, papà ho paura” le sue ultime parole.

Poi solo quel corpo a terra, inerme, ricoperto da pezzi di mobili frantumati, continuava a chiamarlo perché non poteva credere che non ci fosse più, era il suo bambino, ancora caldo, ancora roseo, aveva solo un rivolo di sangue che scendeva a lato della bocca. Ma quando l’aveva preso in braccio e aveva visto la manina cadere lungo il fianco si era reso conto: “Me l’hai ammazzato!”.

 

Oggi, come allora, sentì la rabbia fluire come fuoco liquido nelle vene, stava letteralmente ardendo; ma oggi non voleva cedere e combatteva con tutte le sue forze per imporre il controllo sul suo potere, però, con gli occhi chiusi e le mani affondate nel terreno, non si era accorto che nel crepuscolo di quella sera di fine estate ormai la sua pelle riluceva. Da lui si irradiavano ondate di calore sempre più forti, le immagini di un passato ancora troppo recente continuavano a scorrere nei suoi occhi.

 

Qualcosa in casa aveva cominciato a bruciare, qualcuno gli stava dicendo di fermarsi, di riprendere il controllo, ma come poteva, suo figlio era lì ai suoi piedi, morto. Vedeva di minuto in minuto precipitare la situazione: esplodevano i vetri, si incendiavano i frammenti di mobili attorno a lui, già avevano iniziato a bruciare anche i suoi vestiti. E poi quella voce:

“Fermati, fermati Gabriel”.

 La SUA voce.

“Tu non vuoi questo, altre persone soffriranno, vuoi uccidere altre persone innocenti?”

“No, no, non lo voglio, ma non si ferma, non riesco a fermarlo” avrebbe voluto dirle, ma il suo cervello era come bloccato. Poi sentì la puzza di bruciato, di carne bruciata e di capelli che andavano a fuoco e dopo ancora, due braccia lo circondarono:

“Sono qui, con te, non te lo lascerò fare, non ti permetterò di far del male perché so che neanche tu lo vuoi”.

Si sentì stringere ancora più forte e cercò di concentrare tutto su quella voce, su quelle braccia, su quella donna.

“Non lo farai Gabriel, lo sai controllare, ne sei capace, io lo so. Mi fido di te, io ho fiducia in te Gabe”.

 

Sylar respirò a fondo e aprì gli occhi, le lapidi erano ancora lì, la sua pelle era rosea e lui aveva mantenuto il controllo. Allentò la presa dei palmi e li liberò del terriccio che aveva involontariamente raccolto, ora piuttosto bruciacchiato. Si rimise in piede e con una mano sfiorò la lapide con l’aquilone: “Ciao, Noah”.

E se ne andò.

Camminava con gli occhi bassi, sommerso dai ricordi di due anni fa, per la verità da quel ricordo: il calore di quell’abbraccio, il suono della sua voce e la fiducia che lei aveva riposto in lui; quell’emozione riverberava ancora nel suo cervello e sapeva che era stata quella cosa a fermarlo, a salvarlo, in tutti i sensi.

All’improvviso, tra i ricordi passati avvertì un profumo, anch’esso che faceva parte del passato, ma presente lì, ora; alzò gli occhi e la vide, al fondo del vialetto che portava alle tombe: capelli raccolti, jeans e maglietta. Stava venendo verso di lui.

Che storie! Non si vedevano da due anni e ora . . .che tempismo!

“Ciao Claire, ti trovo bene”

Complimenti che originalità, ti sei proprio lambiccato il cervello per tirare fuori questa frase!

“Beh! Dalla tua performance di due minuti fa direi che invece tu stai da schifo, Sylar. Dovresti rimetterti in cura . . . se loro sapessero che perdi così facilmente il controllo . . .”

“Lo sanno, lo sanno, loro sanno sempre tutto”

Claire rispose con una smorfia: “Seh! Ciao”.

Ma lui allungò un braccio quando gli fu al fianco: “E’ bello che tu sia qui, l’anno scorso mi hanno detto che non c’eri”

Lei sottrasse il braccio al suo tocco in modo stizzoso: “Ah! Già, anche la tua performance dell’anno scorso era sensazionale, me l’ha detto Peter”.

“Claire, dobbiamo parlare” e tentò di nuovo di afferrarla per un braccio.

“Non mi toccare. Non ho niente da dirti e di sicuro non sono qui per te” e tentò di andare verso le tombe.

“Claire non ti ho più visto, sono due anni che cerco di parlarti”

Continuando a camminare lo interruppe: “ E hai solo perso tempo, te l’ho detto non ho niente da dirti”.

“Sono io quello che deve parlare” e l’afferrò per le spalle girandola verso di sé, stavolta, dalla ragazza, nessuna reazione.

“Mi dispiace Claire, per quello che è successo, per quello che ho fatto, perché lo so che è anche colpa mia, erano venuti per me, è stata colpa mia.

 Ma non l’avrei mai messo in pericolo.

 Gli volevo bene.

 Tu lo sai.

 Mi dispiace”.

“Hai finito? Ora stai meglio? Bene, buona giornata!” e riprese la sua direzione.

“Claire non fare così, Claire lo so cosa tenti di nascondere, sento cosa provi, sento la tristezza, la nostalgia, il vuoto che. . .”

“FINISCILA!”. Si voltò come una furia e lo spintonò indietro.

“FUORI DALLA MIA TESTA, fuori dalla mia vita! Io sto bene e di te e delle tue scuse non ne ho bisogno, non so che farmene”.

“Non puoi dire che stai bene Claire, non ti credo”

“La tristezza e la nostalgia cono cose di tutti i giorni Sylar, non mi fanno paura. E quella laggiù”, indicando la fila di tombe, “Non è la prima cosa a cui tengo che poi perdo nella mia vita”.

“La prima cosa?” Lui non poteva crederci.

“Claire , QUELLA non era una cosa, era Noah, era nostro figlio!”.

Claire strinse i denti, la mascella tesa disse: “Era un esperimento, solo un esperimento oltretutto riuscito anche male, se no laggiù ci sarebbe una tomba sola. E, Sylar, fammi un piacere, girami al largo! Ok?”. Si girò nuovamente e proseguì.

 

Quando lo aveva visto si era ripromessa che non gli avrebbe parlato, che lo avrebbe ignorato. In quegli ultimi due anni aveva fatto molta pratica: indifferenza e freddezza.

Erano il suo antidoto contro. . . alzò gli occhi e li puntò sulle lapidi: “Contro tutto quello che voi  avete portato nella mia vita”.

Suo padre, suo figlio, morti a distanza di pochi anni.

Quello che aveva detto a Sylar era vero, tristezza e nostalgia non le facevano più paura: si ha paura del sole? No, lo vedi sorgere tutti i giorni; hai paura del buio? No, se ogni notte ti fa compagnia.

E lei non aveva bisogno di visitare un cimitero e inginocchiarsi davanti ad una tomba  per sentirsi improvvisamente invadere da rabbia, odio, dolore, sofferenza, tristezza, nostalgia: tutti i giorni teneva dentro di se quei sentimenti, aveva imparato a conviverci, a sopportare.

Ce l’aveva fatta due anni fa, e ancora riusciva a farlo.

 

 

 

 

 

 

 Ciao a tutti ho in testa questa storia da un po’. Purtroppo non ho molta esperienza con le fanfiction per cui il mio modo di scrivere lascia molto a desiderare e inoltre la storia nella mia testa non è conclusa perciò potrà succedere che sul più bello perdo il filo e ciao ... Chiedo scusa fin da ora!

L’idea per questa storia mi è venuta riguardando il quarto episodio della terza stagione di heroes (se non si era capito!), però sono stata ispirata anche da alcune storie lette sul sito EPF, perciò se qualcuno si dovesse sentire offeso e defraudato dell’idea me lo dica subito che la finiamo qua!

I personaggi probabilmente sono molto più come io li vorrei che piuttosto come dovrebbero essere, ma siccome sono io a scrivere e voi a leggere in caso non piacessero, cambiate lettura! (Senza offesa). Il rating giallo è solo per qualche parola un po’ più carica.

Ciao al prossimo capitolo!

  
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