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Autore: Avion946    23/04/2012    0 recensioni
Una strana entità si trova ad eseguire un particolare lavoro in modo naturale ed istintivo pur non avendo la minima idea di chi sia o del perchè si trovi a svolgere quella strana, incredibile mansione. Gli eventi ed il tempo le daranno le risposte che cerca in una sorprendente conclusione che la porterà ad ottenere il suo meritato premio.
Genere: Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Viaggio nella luce

Viaggio nella luce

Non si faceva domande. Svolgeva il suo lavoro, insensibile, indifferente e così era, senza alternative. Puntuale, inesorabile, era sempre al suo posto al momento opportuno. Lui, o lei, la distinzione non aveva alcun senso, 'sentiva' quando era il momento e solo allora interveniva. Rimaneva a volte  sconcertato/a dalla reazione della gente ma la cosa comunque non lo/a riguardava. Preciso/a, efficiente, senza farsi scrupoli o porsi problemi. Sempre, senza sosta, ogni volta che c'era bisogno del suo intervento. Senza un corpo fisico, privo/a quindi di normali sensazioni o dimensioni, poteva essere definito/a una particolare entità, perfettamente efficiente nell'eseguire i compiti a cui era destinata.

Nel modesto appartamento al primo piano di un palazzo popolare, in una piccola stanza, Maria stava portando a termine la sua esistenza. Non era vecchia ma la vita che aveva vissuto l'aveva letteralmente consumata. Vedova, con tre figli, non si era risparmiata mai, nemmeno un giorno. I suoi figli avevano avuto tutto quello che era stato necessario per crescere sani e forti. Per mandarli a scuola si era sobbarcata i lavori più vari, più onerosi. Poi, i nipoti. Alla fine, con il clima della sua città, il suo fisico troppo a lungo trascurato, non ce l'aveva fatta. Ora era nel suo letto, con attorno alcuni membri della sua famiglia che l'assistevano come potevano ma ormai rassegnati all'inevitabile, e sentiva che le forze la stavano lentamente ma decisamente abbandonando. Volse lo sguardo verso i suoi cari ai piedi del letto, due dei suoi figli, due nipoti e..... e una figura che non sapeva come definire, ma non paurosa, anzi. La figura lentamente si avvicinò a lei e si fermò ad osservarla serena, senza espressione. Maria vedeva una persona, quasi incorporea, senza consistenza eppure con i tratti ben definiti. Vedeva con i suoi occhi stanchi un bel viso, con lunghi capelli lisci, un corpo alto e slanciato coperto da un abito semplice ma elegante, il tutto però privo di colore, un'immagine chiara con i toni più scuri tendenti al blu, come di ghiaccio.  Lentamente, con fatica, utilizzando le sue ultime energie, riuscì a sollevare una mano e senza riuscire a parlare, indicò con un dito tremante la figura. I presenti notarono il gesto ma non lo collegarono a nulla di particolare poichè nella stanza non c'era nulla di particolare. La figura si avvicinò ulteriormente e dopo aver osservato per alcuni istanti Maria che ansante, stremata nel suo letto aveva lasciato ricadere il braccio ed ora lo/la guardava semplicemente, in attesa, si chinò su di lei, le mise una mano sulla spalla e delicatamente l'aiutò ad alzarsi. Maria in piedi, lentamente si girò ad osservare il corpo disteso sul letto, poi le persone presenti e, infine, con un cenno di assenso, come sollevata,  seguì l'altro/a fuori da quel luogo. La figura camminava avanti e Maria la seguiva. Via via che procedevano sparivano i segni dell'età, i cedimenti di una vita di fatica e sacrificio. Il suo corpo si raddrizzava, acquistava energia e forza. Quella che giunse nel luogo prefissato era una bella donna, abbastanza giovane, coperta da un bel vestito semplice ma di classe. Il luogo era strano, insolito. Una grande stanza con le pareti grigie, forse in cemento, di cui si vedevano chiaramente solo due lati adiacenti. Una foschia densa copriva il pavimento e buona metà del locale. nascondendo i lati più lontani. Il soffitto, non aveva importanza. Si notavano alle pareti dei rampicanti che smorzavano un pò il loro colore grigio. L'atmosfera dell'ambiente era serena, calma. Trasmetteva una strana sensazione di vastità e di raccoglimento contemporaneamente. In una delle pareti in vista, era presente un passaggio, l'inizio di un lungo tunnel buio ma che alla fine terminava in un luogo da dove proveniva una fantastica, intensissima luce. La figura indicò con la mano l'ingresso e Maria, dopo aver chiesto conferma, senza problemi, curiosa, attratta, si incamminò. La figura la vide allontanarsi attraverso il passaggio, diretta alla estremità opposta. Procedeva sicura e serena. Quando giunse all'altra estremità, ci fu un'intensificarsi della luce, Maria semplicemente ne fu assorbita e dal fenomeno derivò una sensazione di gioia, di benessere, di completamento. Poi tutto tornò come prima. La figura, eseguito il suo compito lasciò quel luogo.

Non era passato molto tempo che si trovò in strada, fra tanta gente ferma a guardare l'esito del terribile incidente. Roberto era disteso in terra. Il corpo prono sull'asfalto in posizione scomposta, rotto, spezzato. Ora non sentiva più niente, dopo un terribile, lancinante dolore al momento dell'impatto, l'unica sensazione rimasta era il contatto fra il viso e l'interno del casco su cui poggiava. Poteva vedere, ma solo confusamente, il grigio della strada attraverso la visiera scheggiata. Forse avrebbe potuto provare a muoversi ma stranamente non gli importava, non gli sembrava  importante nè necessario. Sapeva, sentiva che lo stavano guardando e la cosa gli seccava, quasi si vergognava. Non ricordava nulla ma qualcosa premeva nella sua mente, qualcosa..... Irene! Irene, seduta sulla moto dietro a lui. Cosa le era successo? E poi, cosa era successo a lui? Sentì il rumore della folla crescere, persone parlare in modo concitato, la sirena di un mezzo di soccorso. Ora lo avrebbero tolto da lì, avrebbe potuto girarsi e guardare cosa era accaduto. Poi una mano su una spalla. Gli sembrò che gli tornassero all'improvviso le forze, che stesse bene, che non fosse successo nulla. Senza problemi si alzò e si tolse il casco danneggiato per vedere meglio, per essere più libero. Vide tutto insieme e sul momento non riuscì a capire. Davanti a lui non c'era un  infermiere o un vigile ma una strana figura che lo guardava con espressione serena. Roberto non si chiese chi fosse, stranamente 'sentiva' che era l'unico elemento normale presente sulla scena, ma guardandosi attorno vide la sua moto, lontana, con il segno che aveva lasciato strusciando sull'asfalto, seminato di piccoli rottami. La donna anziana, appoggiata alla sua automobile, ammaccata dall'impatto, che piangendo parlava con due vigili i quali, intenti a scrivere, la ascoltavano. Poi, Irene, a terra. Ma la stavano per mettere su una barella mentre lei si muoveva, si agitava, piangendo, parlando, indicando, malgrado i tentativi dei suoi soccorritori per calmarla. E poi vide il ragazzo steso a terra, prono, in posizione scomposta. Una chiazza di sangue si allargava sotto il suo corpo. Inginocchiato accanto al ragazzo un'infermiere che, mestamente scuoteva la testa, rimettendo via gli oggetti di pronto soccorso che aveva subito estratto per intervenire. Roberto all'improvviso capì tutto e la figura gli fece un gesto per indicargli che era ora di andare. Roberto però sembrava esitare. Che cosa era successo alla sua ragazza, che cosa avrebbe fatto ora senza di lui? E i suoi genitori che in lui, figlio unico, avevano riposto tutte le loro aspettative? Poteva lasciare tutti ed andare via così? La figura ripetè il suo silente invito ad andare e Roberto alla fine accondiscese sentendo che non c'era null'altro da fare, seguendolo/a, con la sua tuta strappata e macchiata ed in mano il suo casco rotto. Giunsero al luogo finale e l'entità mostrò l'ingresso del tunnel. Roberto capiva, ora sapeva, ma per qualche motivo sembrava esitare. Poi, seppure con qualche riserva imboccò la sua strada. Procedendo si faceva più determinato, i dubbi e le riserve scomparvero e alla fine fu tutt'uno con la luce. La figura indugiò un attimo prima di andare. Perchè quell'esitazione? Eppure il ragazzo sapeva cosa c'era dall'altra parte del tunnel. Quindi? Cosa poteva essere in grado di trattenere una persona dal passare? Fu solo un momento e poi uscì da li.

Svolgeva il suo lavoro dove ce ne era bisogno, e ce ne era, bisogno. Sollevava, accompagnava, talvolta esortava. E ogni volta, alla fine, quella strana sensazione. Quel particolare momento di gioia, di completamento, come di ritorno dopo un lungo viaggio. In realtà non sapeva nemmeno lui/lei cosa c'era esattamente dall'altra parte. Sapeva che era così che era giusto andassero le cose e che era bellissimo ma allo stesso tempo naturale che si concludessero in quel modo. Fu strano che ad un certo punto provò un nuovo particolare impulso, una sensazione sconosciuta, che per lui/lei non aveva senso. Inconsciamente sapeva che quella cosa si sarebbe potuta definire 'curiosità'. Non ricordava da quanto faceva il suo lavoro ma doveva essere da tanto, tanto tempo. Tanto che non ne aveva memoria. Nemmeno di quelli che aveva accompagnato. No, non era proprio così. Il primo era stato il ragazzo. Poi c'era stata la donna......

Anna, 35 anni, finalmente un lavoro come addetta alle pulizie, ma comunque un lavoro. Un bambino piccolo, un marito, un ottimo marito, ma che non riusciva a trovare un impiego stabile. Poi, finalmente l'impresa di pulizie. Un lavoro duro, pesante ma discretamente pagato. Quella mattina sostituiva un collega alla macchina per il lavaggio del pavimento. Una macchina pesante, vecchia. Un cavo che si attorcigliava continuamente e che, alla minima distrazione, finiva sotto le spazzole della macchina. E Anna ogni volta doveva spengere la macchina e recuperare il cavo. Alla fine del turno, era stanca, con il pensiero di dover andare a prendere il bambino dalla madre e poi fare la spesa. All'ennesimo ingarbugliamento del filo, spense il motore e si chinò per tirare il cavo. Accidenti, si era imbrogliato per bene. "E dai! Vieni via! Accidenti a te!". Con un deciso strattone, finalmente il cavo si liberò e quando Anna andò a prenderlo per risistemarlo, ci fu una tremenda scintilla. Anna, che si era chinata, sorpresa si rialzò subito. Davanti a lei una bella figura eterea, in toni bianchi e blu, ma non era quello che non andava. Era il corpo di Anna a terra, con il cavo bruciato nella mano contratta ed anche il braccio era malamente ustionato. La gente, i colleghi stavano accorrendo. La figura mise una mano sulla spalla di Anna e lei come riscossa dallo shock, dalla sorpresa, disse: "No, no, per favore. So chi sei ma aspetta, aspetta!" E si chinò sul corpo riverso, irrigidito, cercando di muoverlo, di scuoterlo: "Muoviti, dai muoviti, accidenti, muoviti dai, svegliati. accidenti a te!" E insisteva singhiozzando ma senza alcun esito. La figura si chinò e la prese delicatamente per un braccio. "Andiamo, non c'è più nulla da fare qui. Lo sai.". "No, non vengo" - e con un movimento brusco si liberò - "Ho un figlio piccolo, lo sai? E ho un marito che mi vuole bene! E che fanno senza di me? E io senza di loro?". E poi agli infermieri appena arrivati e che si muovevano attorno al corpo steso a terra: "Fate qualcosa! Forza! Che ci fate qui, aiutatemi, AIUTATEMI!". E scoppiò a piangere coprendosi il viso con le mani. "Andiamo, su, non abbiamo più nulla da fare qui", disse la figura con voce gentile,"Andiamo, per favore.". Ascoltò la sua stessa voce con sorpresa. Non aveva mai parlato fino a quel momento. Forse erano molte le cose che non conosceva di sè. Anna non si risolveva a muoversi e con le mani giunte davanti al viso osservava disperata, piangendo, gli infermieri che coprivano il corpo con un telo. Poi, dal fondo della sala, un trambusto, un vociare! Era il marito. Anna si rivolse alla figura; "Andiamo via, ti prego, questo non ce la faccio a sopportarlo!". E mentre l'entità la conduceva via, la donna, si copriva gli occhi con entrambe le mani come se volesse estraniarsi completamente dalla scena. La figura le circondò le spalle con un braccio come a proteggerla e con voce gentile le faceva coraggio. Arrivati al passaggio Anna si era rimessa ed ora su invito del/la suo/a accompagnatore/trice di diresse verso l'ingresso. Poi però si girò, tornò un attimo indietro e gli/le prese le mani. "Grazie! Grazie per tutto!" Poi si girò e andò. L'entità era rimasta molto sconcertata. Aveva parlato, aveva confortato, aveva ricevuto addirittura dei ringraziamenti. Cosa stava succedendo? Qualcosa stava forse cambiando?

Aveva scoperto che poteva parlare, se necessario. Ora, quindi, alla curiosità si era aggiunto un altro elemento. E inoltre cominciava a provare un certo strano desiderio di percorrere la stessa strada degli altri ma, a quanto pareva, ciò non era previsto.

Giuseppe, 56 anni, ancora bell'uomo, molto curato, alto, slanciato, ancora atletico malgrado l'età, usciva dal circolo del tennis che frequentava, dopo una partita che l'aveva visto opposto al suo socio giovane. L'aveva umiliato, l'aveva sconfitto davanti a tutti. Gli aveva fatto vedere chi era che contava. Quel giovincello che si era fatto forte dei soldi del padre. Dare lezioni a lui! A lui che era nel campo degli affari da almeno trent'anni. E quella sera, in ufficio, si cambiava registro, il suo progetto era stato approvato e finalmente arrivava il successo. Quanto ci aveva lavorato! Ma ora, finalmente, era fatta. Ora sarebbero arrivati i 'soldi veri' e avrebbe potuto finalmente mettersi sa solo in affari, senza più dipendere da nessuno nè chiedere a nessuno. Salì in automobile e mise in moto. Mentre inseriva la marcia, un dolore intenso al petto, una difficoltà a respirare. "E questo che diavolo è? Non mi starà mica...... no, maledizione, no!". Un misto di panico e disperazione, una sensazione di dolore incredibile che coinvolse anche la figura che era lì, a fianco dell'automobile. Quell'angoscia infinita lo/a confondeva, quasi che non sapesse più cosa fare. Poi ritrovato un minimo di equilibrio, posò una mano sulla spalla di Giuseppe. Questo guardandolo/a, fece un gesto di diniego e si piegò sul volante afferrandosi con tutte due le mani. "Su - disse la figura- andiamo, lo sai che ormai è inutile, dobbiamo andare". "No! Non vengo da nessuna parte, ho troppo da fare. Vai via, vai via! Ma chi sei tu, l'angelo della morte? Vattene e lasciami in pace! Io sto bene, sto bene!". La figura era rimasta sconcertata. Mai nessun l'aveva definita in quel modo fino a quel momento. L'angelo della morte. Non ci aveva mai pensato, eppure era proprio quello, che faceva, in fondo. Ma chissà perchè abbinava quel compito ad un essere scuro, spaventoso e lui/lei non si sentiva affatto in quel modo. Ora Giuseppe era in piedi accanto all'auto con le mani posate sulla cornice del finestrino e guardava stravolto il corpo ancora seduto e con il volto poggiato sul volante. "No,no! Non può essere!". Poi rivolto alla figura " Fai qualcosa, non startene lì impalato! Fai qualcosa! Non può essere finito così, non adesso!". Non gli/le era mai successo. Qualcuno che resisteva in modo così violento e chiedeva addirittura di poter tornare indietro. "Lo sai che non è possibile, andiamo, non ci puoi fare nulla.". "Nemmeno per sogno, io non ci vengo con te e stammi lontano! Se solo ti avvicini, io, io......". "Ascolta, io ti capisco. Hai lavorato tanto ed ora che il successo è arrivato, ti sembra di aver perduto tutto. Ma non è così. Il tuo lavoro darà dei buoni frutti e tu avrai la ricompensa che ti spetta, anche se non e' quella che pensavi. E' molto meglio." Giuseppe ora aveva teso un braccio in avanti e, con la testa incassata fra le spalle aveva assunto un tono minaccioso : "Stai li e non ti avvicinare o guarda che io....., dico sul serio.". La situazione sembrava in stallo. Giuseppe non avrebbe potuto di certo recar danno alla figura ma quell'atteggiamento, quell'ostinazione a resistere gli/le faceva provare un intenso dolore, come non aveva provato mai. Poi arrivò l'altro. Una figura d'oro, luminosissima, con i tratti appena distinguibili, lentamente si avvicinò. "Vai - disse rivolta alla figura - hai fatto un buon lavoro. Questo caso però richiede un intervento diverso." L'entità dorata mise una mano sul braccio di Giuseppe, che non oppose la minima resistenza, e prese a parlargli a lungo, sottovoce. Alla fine l'uomo chinò il capo e si lasciò condurre via. La figura rimase sola ancora accanto all'automobile nella quale Giuseppe chino sul volante, con il viso rivolto verso l'esterno, sembrava guardare lontano con un'espressione serena che non sembrava in carattere con ciò che era successo poco prima. Prima di quel momento non aveva mai incontrato nessun altro che svolgesse un lavoro simile al suo. Ma evidentemente non poteva essere solo lui/lei a svolgere quell'attività. Ora poi aveva preso atto che esisteva un'entità decisamente superiore con capacità ben diverse dalle sue. Certo il caso di Giuseppe era particolare. Un uomo non più giovane che aveva sacrificato tutto per il successo, per l'ambizione. Quasi gli faceva pena per le scelte che aveva fatto. Nessun legame affettivo, nessuna debolezza, sempre al massimo, pretendendo da se stesso sempre il meglio, senza sosta, senza tregua, senza nessuno vicino. Non sapeva cosa aveva perso, a cosa aveva rinunciato. Ma lui/lei, come faceva a sapere queste cose? E poi, un sentimento di pena, non era da lui/lei. Invece no. Aveva provato pena per Roberto, quando aveva percepito il suo dolore nei confronti dei suoi genitori, quasi l'avesse delusi, abbandonati. E poi Anna. Aveva percepito all'inizio il suo dolore per il marito ed il figlio rimasti soli, talmente forte da non farle apprezzare ciò che l'attendeva. E poi, pensandoci bene non era sempre rimasto/a indifferente davanti ai casi che aveva affrontato. Comunque in questa occasione quello che provava lo/a sconcertava, era come se provasse un inspiegabile sensazione di affinità o comunque solidarietà con quell'individuo. Sapendo di non aver da fare più nulla in quel posto, si passò una mano nei capelli, istintivamente, come a ritrovare un equilibrio ed una opportuna serenità e si diresse dove certamente ci sarebbe stato ancora bisogno di lei/lui.

Scoprì di essere in grado di trovarsi nel luogo giusto non più all'ultimo istante ma anche diverso tempo prima che fosse richiesto il suo intervento. Assistette a scene dolorose di parenti che non volevano rassegnarsi, di persone che avrebbero voluto un po' più di tempo per fare ancora qualcosa di importante per loro o che ritenevano di non aver vissuto abbastanza per avere certe esperienze che ritenevano essenziali. Vide anziani ormai stanchi per i motivi più vari, che aspettavano con speranza il loro ultimo momento. Vide medici non riuscire a salvare vite, malgrado essersi prodigati oltre misura e li vide anche commettere errori fatali. Assistette persone che terminavano la loro esperienza nel mezzo di un importante progetto, in attesa di un evento a lungo atteso o subito dopo una felice esperienza. E ogni volta partecipava, consolava, assisteva. Era diventata/o veramente brava/o. Sentiva però che quell'impegno continuo, quell'attività così intensa la/lo stavano sempre più coinvolgendo e, sempre più spesso, provava delle intense emozioni per ciò che le/gli accadeva attorno.

Si ritrovò nella sala del tunnel. Ma lì non c'era nessuno da accompagnare e si stava già chiedendo perchè si trovasse in quel posto quando vide arrivare un'altra figura dorata che accompagnava una ragazza, alta, decisa, molto bella. Quando l'entità le indicò il tunnel però la ragazza parve esitare. Poi fece un passo indietro, scuotendo la testa. La figura dorata ripetè il suo gesto di invito ad entrare, ma la ragazza, fortemente a disagio non si mosse. Anzi, con le braccia conserte e lo sguardo fisso al suolo sembrava preda di un grande conflitto interiore. La figura dorata le si avvicinò e le chiese con una voce dolcissima e suadente cosa le succedeva. La ragazza al principio restò chiusa nel suo rigido mutismo e poi, scoppiando in singhiozzi e coprendosi il viso con le mani disse che non poteva fare quel passo perchè sentiva di non meritarselo.  La figura dorata le mise una mano su una spalla e delicatamente cominciò a parlarle sottovoce. La situazione però non sembrava risolversi. La ragazza appariva più calma e di quando in quando a sua volta diceva qualcosa ma restava ferma nella sua posizione. Dopo un poco la figura dorata la condusse via. Lui/lei aveva assistito alla scena con grande coinvolgimento, anche se non capiva il perchè. Era vero, da un pò si sentiva attratto/a da quel tunnel e non riusciva a capire come qualcuno potesse esitare ad attraversarlo. Qualcuno o qualcosa aveva provveduto a farlo/la assistere a quell'evento ma non ne capiva il motivo.

Renato, una vita attiva, tre figli, una bella moglie. Poi gli anni erano passati, lui e la moglie si erano fatti vecchi, molto vecchi. Se ne erano andate le energie, i sogni e le speranze. Se ne erano andati anche i figli, lontano, per lavoro, per formarsi una famiglia. Lui e la moglie soli, andavano avanti giorno per giorno senza più entusiasmi, senza aspettative. Renato disteso nel suo letto, ora ammalato, bisognoso di assistenza pressochè continua, con la moglie sempre accanto, devota e attenta. Due flebo ormai sistematicamente, da un pezzo, gli fornivano con lentezza e continuità i medicinali per il dolore ed il sostegno. Ma che vita era quella? Aveva diritto di sacrificare la moglie inutilmente, dato che non avrebbe mai potuto guarire? E poi gli mancavano le passeggiate, l'aria aperta, una bella mangiata, gli amici che erano morti o comunque scomparsi e i suoi figli, i suoi diletti figli, che si erano dimenticati di loro, di lui. "Basta - si diceva sempre più spesso, - ora basta, e facciamola finita!". Finchè una mattina, mentre la moglie era fuori per fare la spesa, Renato, che ci aveva riflettuto parecchio, allungò una mano verso i regolatori del flusso delle flebo. Aveva deciso di aprire al massimo la regolazione. del calmante. Una volta che era accaduto per caso, aveva rischiato di morire e da quel momento il controllo era diventato continuo, quasi ossessivo da parte di chi si occupava di lui. Ora lo scopo era proprio quello, invece, senza scrupoli o ripensamenti. La sua mano aveva quasi raggiunto l'obiettivo prefissato, quando percepì un tocco leggero sul polso. Quasi una carezza. Interdetto si arrestò e rimase per un attimo ad osservare quella bella figura di donna, quasi eterea, con i capelli lunghi e lisci, dai riflessi ramati. Il suo volto era atteggiato ad un mesto sorriso e si limitava a tenergli poggiata la mano sul polso. "Perchè fai questa cosa?"- gli domandò con una voce dolcissima. "E che altro mi resta da fare? - e proseguì con rabbia e tristezza - Sono malato, inutile, abbandonato da quelli a cui ho voluto più bene, massacro mia moglie fra richieste e litigi. E mi chiedi perchè? A che servo io, ormai? A far soffrire chi mi sta accanto?". La bella figura femminile, delicatamente gli prese le mani, si sedette sulla sponda del letto e con voce gentile e suadente gli disse le cose che lui voleva ascoltare, che aveva bisogno di ascoltare, e poi attenta ascoltò le cose che lui voleva dire, che aveva bisogno di dire. Infine, con grande delicatezza, si chinò ad abbracciarlo. L'abbraccio scatenò una serie di reazioni nel profondo dell'animo di Renato che finalmente piangendo riuscì a liberarsi di tutta l'amarezza e l'astio che aveva accumulato negli ultimi tempi. Quando la moglie tornò a casa, sistemate le poche cose che aveva comperato, andò a vedere come stava il marito. Entrando nella stanza lo trovò che guardava fuori della finestra, con il volto sereno come non  lo vedeva da molto. Quando si avvicinò al letto Renato le prese la mano e se la portò alle labbra, con un gesto che non faceva più da tanto tempo. La moglie non capiva, ma notando gli occhi del marito velati di lacrime e colpita da quel gesto gli fece comunque una leggera carezza sulla fronte.

La figura sentiva che quello che faceva era corretto, anche se non ne poteva essere completamente sicura. In realtà all'inizio, per quello che poteva ricordare, aveva agito per puro istinto. Nessuno le aveva fornito indicazioni e direttive, a parte un episodio isolato, non aveva mai avuto contatti con altre entità simili a lei. Ora piano piano qualcosa l'aveva indotta a cambiare, le consentiva di prendere particolari iniziative e, contemporaneamente, la sua essenza sembrava essersi fatta più determinata, più consistente. Adesso poi si sentiva portata ad intervenire, ad aiutare. Poichè da nessuna parte erano arrivati rimproveri o altri segnali simili, forse era giusto così.

Era sotto il portico  di una casa in legno in riva al mare. Non una casa elegante ma accogliente. Un arredamento rustico abbellito con originali suppellettili evidentemente acquistati in giro per il mondo da qualcuno che doveva aver viaggiato molto. Una gran quantità di vasi di fiori colorati e profumati adornava la facciata e un'amaca era accompagnata da un dondolo foderato in colori vivaci. All'esterno solo il rumore del mare. Dall'interno, la porta era aperta, proveniva un piacevole suono di chitarra, rilassante. Entrando, la donna si trovò davanti una coppia anziana accomodata su un divano. La musica proveniva da uno stereo regolato a volume discreto. Lui un bell'uomo, curato, di una settantina d'anni, regolarmente seduto ad una estremità. Lei una bella donna, distinta, altrettanto curata, all'incirca della stessa età, era sdraiata e poggiava le spalle e la testa sulle gambe del marito. Lei, molto esile, aveva un qualcosa di estremamente delicato, quasi una porcellana fragilissima. Lui, ancora forte, ascoltando la musica ad occhi chiusi, come se gli riportasse alla mente chissà quale felice ricordo, delicatamente carezzava la testa della sua compagna. Quando lei entrò, la donna dischiuse per un attimo gli occhi e la guardò. Dapprima senza capire ma poi diventando consapevole. Un suo pur leggero movimento fece aprire immediatamente gli occhi dell'uomo. Lei gli sorrise e gli carezzò un braccio come a tranquillizzarlo. In realtà stava prendendo commiato dall'amore della sua vita. Da quando lei si era ammalata, avevano scelto di lasciare tutto, città, amici, viaggi, vita mondana per ritrovarsi in quel bel posto sereno per godere al massimo della compagnia uno dell'altra. Ma ora purtroppo, dopo un apparente miglioramento, la malattia aveva ricominciato a manifestarsi, con violenza, come a volersi rifare con gli interessi del periodo di tregua accordato. Lei lo sapeva, lo aveva sempre saputo. Lui non si rassegnava e anche se esteriormente mostrava forza per tutti e due, dentro si sentiva lacerare, angosciato per la sorte della compagna, del suo grande amore. Avrebbe dato la vita per lei e non per modo di dire. Anzi aveva pensato più volte di accelerare i tempi immaginando un modo per addormentarsi assieme alla sua compagna, con lo scopo di risparmiare a lei ulteriori sofferenze ed a lui un'angosciosa solitudine. Lei aveva però subodorato qualcosa e gli aveva detto chiaro e tondo che non avrebbe per nessun motivo perdonato mai, chiunque le avesse accorciato la sua restante pur breve vita. Chiunque le avesse rubato anche un solo minuto, privandola della  possibilità di godere fino in fondo di un magnifico tramonto, del profumo di un fiore, di una melodia coinvolgente, di un abbraccio di lui. E ora il momento era arrivato. Lui aveva richiuso gli occhi e ora stava fermo con la sua mano poggiata sui capelli di lei. Lei si alzò e andò verso la figura in piedi accanto al divano. Poi, come un ripensamento. "Aspetta, ti prego, non me ne posso andare così, non lo posso lasciare in questo modo, dammi una mano. Per favore". La figura le prese delicatamente le mani e gliele guidò sulla testa dell'uomo e così rimase ferma come a fare da ponte fra i due, ormai posti su dimensioni completamente diverse. Lui ricevette il messaggio come in sogno e non seppe mai decidere se quanto recepito fosse stato vero o solo immaginato. La cosa però era stata così reale che lui non ebbe mai, neppure per un attimo il dubbio che si fossero lasciati senza salutarsi. Lei gli aveva detto che non lo lasciava solo. Gli restavano i suoi quadri in cui lei aveva messo tutta la sua energia ed i suoi fiori nei quali essa aveva profuso tutto il suo amore. Quindi gli aveva sfiorato la guancia con un leggero bacio, un'ultima carezza e poi lui la vide andar via assieme ad una figura luminosa. Dopo restò ancora a lungo con la sua compagna fra le braccia ascoltando la musica che lei aveva scelto per quella sera.

L'amore di quelle due persone, così profondo, così totale, assoluto, l'aveva quasi travolta e si era sentita tentata di fare ben'altro che metterli in comunicazione per un'ultima volta. Però poi si era resa conto che in quel frangente aveva agito nell'unico modo possibile. Si era trovata a fare da ponte fra quelle due persone straordinarie ed aveva sentito distintamente di essere quasi attraversata dalla speciale energia che legava quegli spiriti particolari. Si era sentita come esaltare, era diventata quasi una parte di quel sentimento che l'aveva  fatta sussultare per la sua intensità, forza e pulizia. Ed ora si sentiva in qualche modo arricchita, ancora cambiata, ulteriormente cresciuta, avvicinata ad uno stato di cui però sentiva di ignorare ancora molto, ma senza capire ancora il perchè degli eventi che la coinvolgevano fin da quando aveva preso coscienza.

Ora era in grado di percepire un grande senso di fastidio nei confronti dei momenti in cui veniva 'spostata' senza nessun preavviso e questo era uno di quei momenti. Si trovava accanto ad una automobile, completamente accartocciata su un lato dell'autostrada. Un'auto impazzita, certo per l'alta velocità a cui era stata guidata, aveva saltato il guard-rail ed era piombata su un'utilitaria, appunto quella vicino a cui si trovava ora. Non erano ancora giunti mezzi di soccorso ed alcuni viaggiatori, stavano comunque rallentando, per capire intanto cosa fare o come intervenire. La donna si avvicinò all'abitacolo ed attraverso  i vetri rotti e uno sportello quasi completamente scardinato vide la giovane coppia intrappolata sui sedili anteriori. Gli airbag e le cinture avevano loro salvato la vita ma avevano preteso a loro volta, vista l'alta velocità, un pesante tributo. Lui con il volto insanguinato, esanime, al posto di guida. Lei con diverse ferite e fratture, pallidissima, aprì lentamente gli occhi e vedendo la donna trovò la forza di mormorare: "Il mio bambino.... è solo..... è là fuori... ti prego occupati di lui.....". Sul viso, le copiose lacrime si erano mescolate con il sangue uscito da alcune ferite. Poi, quasi sollevata di aver potuto lasciare il suo bambino in buone mani, si lasciò andare e si permise di perdere conoscenza. Doveva essere ben grave per averla vista e aver parlato con lei. Ma cosa aveva voluto dire? Si guardò attorno e, con una profonda angoscia, notò a pochi metri dalla carcassa dell'auto un bambino, in piedi, di circa quattro/cinque anni che la guardava, come in attesa. Immediatamente corse da lui che intanto le tendeva le braccia. Lo prese e lo sollevò. Lui si strinse a lei, come consolato, rassicurato. Poi le chiese: "Sei tu la mia nuova mamma?". La donna si sentì stringere il cuore e per un attimo stette lì senza sapere come rispondere ma limitandosi a tenerlo stretto. Forse in quel momento era il bambino che dava forza a lei o che le comunicava una sensazione di consolazione. Sempre tenendolo stretto fra le braccia, la donna condusse il bambino al tunnel. Lo mise giù con una sensazione di grande commozione. Poi, facendosi forza, sorridendogli, gli indicò la strada e lo invitò ad andare. Il bambino, la guardò ancora per un attimo, poi la salutò con la manina e deciso, si avviò. La donna con lo sguardo lo seguì nel suo tragitto finchè lo vide scomparire, immensamente felice per lui ma nello stesso tempo addolorata, angosciata per sè stessa. Si rendeva conto di aver perso qualcosa di serio, di importante, qualcosa che quel bambino aveva ridestato in lei.

Non capiva, non riusciva ad avere delle risposte ed a volte la confusione che provava era grande. La cosa strana, però era che malgrado le domande che si poneva, malgrado i dubbi e le angosce in cui si trovava, apparentemente, nella sua attività non aveva mai sbagliato.

Si trovò, quasi senza accorgersene, nel giardino di una bella villetta in campagna. Una costruzione in pietra, grandi finestre in acciaio e vetro ed un ampio giardino. Su un lato del giardino una piccola piscina a livello del terreno, con un'acqua azzurra ed invitante. Malgrado la figura non badasse a questi particolari, faceva indubbiamente caldo. Accanto al bordo una giovane donna giocava con il suo bambino di circa un anno e mezzo. Erano semi sdraiati su un asciugamano e giocavano con delle macchinine e dei pupazzetti. Il bambino rideva felice e si vedeva che si divertiva molto. Quando squillò la suoneria del telefono, la donna rispose e si mise a parlare senza perdere d'occhio il bambino che continuava a gingillarsi con i suoi giocattoli. Ma poi, per qualche motivo la conversazione si fece più accesa e la donna sempre più presa e meno attenta, addirittura si alzò in piedi e iniziò a passeggiare avanti e indietro, argomentando e gesticolando e accalorandosi sempre di più. Poi un pupazzetto, alla fine di un gioco più vivace degli altri, volò nell'acqua della piscina. Immediatamente il bambino, dapprima contrariato poi curioso, si portò sul bordo e guardò giù. Il pupazzetto si intravedeva tremolante sul fondo. Il bambino tese il braccino come a vedere se ci arrivava. Poi sorridendo lo indicò alla figura femminile che lo osservava poco distante ma non ricevendo risposa, si sporse di più, per vedere se poteva fare da solo. La donna guardò verso la madre che discuteva sempre più animatamente, apparentemente completamente dimentica del figlio. Allora si avvicinò al bambino e con una carezza gli disse di stare fermo, di aspettare. Ma ora il bambino non era nemmeno più attratto dal pupazzetto sul fondo. Era invece affascinato da quella superficie piena di riflessi, in continuo movimento e faceva il possibile per arrivare a toccarla. La donna fece l' atto di trattenerlo ma purtroppo il suo contatto, la sua consistenza non le consentiva che di esercitare una minima pressione, quasi solo in grado di sfiorare il bambino. Sapendo però di essere vista da lui, la donna gli diceva di stare fermo, di aspettare la mamma che invece ora, al telefono, appariva lontana mille miglia. Fu un attimo, un tonfo nell'acqua ed il bambino era giù. Non riusciva a stare a galla e la donna scese giù anche lei. Purtroppo non era in grado di afferrarlo, di sostenerlo. Con un grande sforzo si accorse che appena riusciva a tenergli la testa fuori dell'acqua ma le costava una fatica enorme. Disperata chiamava la madre con tutta l'energia di cui disponeva ma senza risultato perchè l'altra non poteva sentirla nè vederla. Alla fine, stremata, chiamando, piangendo, raccomandandosi, abbracciò stretto il bambino e si rese conto che così riusciva a tenergli la testa fuori dall'acqua. Stavolta no, non doveva succedere! Il bambino, per nulla spaventato, la carezzava e le sorrideva, particolarmente divertito dal quel nuovo, particolare gioco. Poi finalmente, un urlo. La voce terrorizzata della donna che chiamava a voce alta il figlio. Subito dopo un tuffo, la madre era in acqua e aveva afferrato il bambino, guardandolo, accarezzandolo, quasi non credendo che non fosse accaduto nulla di male. Subito lo portò fuori dall'acqua e prese ad asciugarlo, a carezzarlo, a parlare in modo da tranquillizzarlo mentre lui, assolutamente sereno, sorrideva ed indicava l'altra con la manina. Poi, dopo pochi minuti, madre e figlio entrarono in casa.

Ancora in  lacrime, per la commozione e lo stress subiti, era rimasta seduta sull'erba, appoggiata con la schiena al tronco di un robusto salice. Si sentiva svuotata, stanchissima, come dopo una prova incredibilmente dura. Non le era mai successa una cosa simile, eppure non era il primo bambino che si trovava a seguire. Ma con l'andare del tempo era cambiata, quasi a trovare una sua propria identità, era diventata capace di provare sentimenti umani e questo indubbiamente la metteva sempre più in difficoltà nello svolgimento del suo incarico. Questa volta, poi, l'esperienza si era dimostrata devastante. Si chiedeva come avrebbe potuto continuare con il suo lavoro in quelle condizioni. Fu all'improvviso che percepì accanto a sè l'entità dorata che aveva già incontrato due volte, in passato. La sua vicinanza le trasmise un senso di sollievo e di consolazione. Una voce particolarmente gradevole e rassicurante le chiese come si sentiva. La donna, ricomponendosi e asciugandosi gli occhi rispose che ora andava decisamente meglio.  "Si, decisamente meglio - disse la figura accanto a lei - E direi anche ormai decisamente pronta." "Pronta per cosa ? - si chiedeva la donna. - Che significava tutta quella storia?". "Ti ricordi il tuo nome? - Un vago ricordo, ma nulla di più - Bene, allora, te lo dico io. Ti chiami Elisabetta". Elisabetta, le sembrava effettivamente che questo nome le dicesse qualcosa, ma.... era il suo! Certo era il suo nome. Ed era , o almeno era stata, anche una professionista in gamba, si, una delle migliori. E aveva sudato, aveva lavorato per raggiungere i suoi traguardi! "Si, - confermò la figura dorata - indubbiamente una delle migliori nel tuo campo. E per questo anche tu, come altri, hai sacrificato tutto, non hai avuto mai il tempo per seguire o organizzare una tua vita privata. Hai rinunciato ai tuoi sentimenti, ti sei trattata con una severità che deriva dal tuo carattere forte e rigido. Hai tagliato fuori umanità, amore, gentilezza, rispetto, affetti. Ma tu in fondo non eri così, e quando hai cominciato a capire, quando hai deciso che non ne potevi più e dalla macchina piangendo hai telefonato al ragazzo che ti ha sempre amato e sopportato per vedere se era ancora lì, la sorte ti ha portato via. Hai sbandato e ......". Una pausa per verificare che Elisabetta ricordasse. La donna, con il viso di pietra, ora ricordava tutto  e si sentiva travolgere da un flusso di emozioni e sentimenti fortissimi e contrastanti che apparentemente le toglievano qualsiasi capacità di iniziativa. "Quando sei giunta quì hai realizzato quanto avevi fatto nella tua vita e a cosa avevi rinunciato per raggiungere i tuoi scopi. Non sapevi più cosa fosse l'umanità, l'amore, la solidarietà. L'energia del tunnel ti ha messa davanti alla tua situazione e ti ha obbligata a guardarti dentro, nel profondo e tu, come quella ragazza che hai visto tempo fà, con il tuo carattere rigido e inflessibile, hai ritenuto che non potevi passare, che non ne avevi il diritto. Hai rivisto tutte quelle persone che avevi maltrattato, che avevi allontanato, di cui ti eri addirittura approfittata per raggiungere i tuoi scopi, tutti quelli che hai fatto soffrire. Dovevi in qualche modo pagare, dovevi guadagnartelo. E così, ecco il motivo del tuo incarico. Gli eventi che hai affrontato hanno finalmente rivelato il tuo vero carattere, ti hanno liberato della terribile gabbia che ti eri costruita attorno, trasformandoti in una persona che non riusciva a godere dei suoi successi perchè nel fondo del suo animo in realtà si disprezzava, non si riconosceva e non si piaceva assolutamente, ti sei ammorbidita, addolcita. Ma il punto principale è che per raggiungere i tuoi scopi, non avevi scelta. Dovevi cercare la strada da sola. Dovevi trovare con i tuoi mezzi la via che ti riconducesse ad una condizione di umanità e amore che hai sempre posseduto ma che hai sempre combattuto. Purtroppo il sistema impone le sue regole. Ora hai raggiunto il tuo scopo. Sei in grado di farti coinvolgere dall'amore fra le persone, sei capace di piangere per un bambino che soffre o che resta solo. Sei stata in grado di provare una profonda solidarietà con coloro che soffrivano, hai conosciuto la pietà e, senza nessun consiglio, sei stata capace di consolare, di aiutare, di alleviare le sofferenze. A questo punto è giusto ed opportuno che tu abbia finalmente quello che ti meriti, quello che ti sei guadagnata, senza perdere altro tempo". La figura le tese la mano e Elisabetta, che non aveva più nulla di etereo, che aveva ripreso completamente la sua forma naturale, obbediente la seguì. Ora era lei davanti a quel tunnel e si sentiva felice, leggera, finalmente serena, senza più dubbi ed esitazioni. Rivolse un ultimo sguardo di gratitudine a chi l' aveva accompagnata e poi si incamminò. La figura dorata la guardò avanzare e attraversare decisa la soglia. Ci fu il solito bagliore, stavolta un pò più intenso e prolungato. Elisabetta era adesso nella luce e la figura dorata, compiuta la sua missione si allontanò.

NB : Il presente racconto è da considerarsi frutto di pura fantasia. Deriva da un concetto personale connesso con il normale svolgersi degli eventi e non vuole minimamente interferire con le convinzioni altrui pertanto, malgrado la serietà dell'argomento, è da prendersi solo come l'occasione per raccontare una storia.

  
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