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Autore: RobDarko    24/04/2012    4 recensioni
""Oggi ricorrono i dodici anni all'omicidio di Kurt Hummel. Il ragazzo, proveniente da Lima, Ohio..." oddio. Trasalisco e poso la tazza di caffè, continuando a fissare il televisore senza ascoltare le parole. Che bisogno ne ho? So esattamente com'è andata la faccenda. Non l'ho dimenticato, non potremi mai dimenticarmi di lui. Era il mio migliore amico. "
One-shot Kurtbastian friendship con una palata di angst.
Genere: Angst, Drammatico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Kurt Hummel, Sebastian Smythe
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Ce ne siamo andati tutti e due, e sopratutto tu.

"Oggi ricorrono i dodici anni all'omicidio di Kurt Hummel. Il ragazzo, proveniente da Lima, Ohio..." oddio. Trasalisco e poso la tazza di caffè, continuando a fissare il televisore senza ascoltare le parole. Che bisogno ne ho? So esattamente com'è andata la faccenda. Non l'ho dimenticato, non potrei mai dimenticarmi di lui. Era il mio migliore amico. Inconsciamente, inizio a ripercorrere tutto con la mente. Ancora mi stupisco di quanto ricordo con chiarezza tutto, anche essendo il più brutto ricordo che mi porto dietro.

Mi ricordo che una volta Kurt mi disse «E' sempre una tragedia quando muore una persona giovane. Anche se era una merda vivente, tutti lo vedono in modo molto drammatico. Ci rifilano cazzate alla "aveva tutta la vita davanti!" o "era così giovane!" quando poi in realtà sanno benissimo che non avrebbe mai fatto niente della sua vita, se non rimanere in questo posto e ereditare il negozio del padre o lavorare con lui. Cose normali, insomma. Scommetto che se morisse uno di noi due, tutti direbbero le stesse cose, ma qualcun altro invece sarebbe felice. "Ce li siamo levati di torno!" avrebbe esultato qualcuno borbottando alle spalle dei nostri parenti distrutti e, nel giro di qualche anno, finiremmo nel dimenticatoio» aveva concluso con un gesto della mano, bevendo dell'altra bibita dalla lattina.
Io avevo pensato che avesse ragione, ma in quel momento non avrei mai potuto immaginare quello che successe da due mesi a quella parte.
Io e Kurt siamo cresciuti insieme in quel posto di merda che era Lima, in Ohio, il posto più provinciale che conosca. Per intenderci, Lima è una di quelle province dove tutti si conoscono e in qualche modo sono tutti parenti. Noi ci conoscevamo da quando avevamo quattro anni, all'epoca ne avevamo diciotto a testa e aspettavamo che l'ultimo anno di liceo finisse in fretta per andarcene di qui.
I nostri progetti per il dopo erano anche troppo ambiziosi : New York. Io a seguire legge alla NYU, lui alla NYADA o alla Julliard, perché per quanto poteva essere portato per lo studio, Kurt andava consegnato al mondo dello spettacolo, andava restituito a casa sua, Brodway.
Sarebbe stata la prima volta che saremmo andati in scuole diverse, ma avremmo convissuto in un piccolo appartamento vicino, possibilmente, ad entrambe le scuole, quindi avremmo continuato a stare insieme come sempre. In quella particolare occasione, quando Kurt mi fece quel discorso, io gli avevo semplicemente toccato il braccio e lui mi aveva sorriso.
In pubblico, noi due apparivamo come opposti : io stronzo, opportunista, carismatico e sfrontato, Kurt buono, leale, insicuro e timido, ma quando andavamo in collina eravamo noi stessi. Quando eravamo solo noi due, ero io quello timido e insicuro e Kurt era quello più forte, che doveva rassicurarmi sempre per tutto e doveva impedirmi di fare cazzate, perché tutte le cazzate che ho fatto erano quando non c'era lui a consolarmi e sostenermi come sempre. La sua non era una facciata, perché era timido davvero, o forse solo diffidente. Anni e anni di prese in giro per la sua voce e il suo aspetto lo avevano reso molto diffidente.
Il nostro rapporto era sempre stato frainteso, quindi lo chiarisco qui e ora : non ci amavamo. Il nostro era un rapporto troppo fraterno per stare insieme, anche se tra noi non mancavano gli abbracci e le coccole. Erano il nostro modo di farci forza quando ripeterci che se piangevamo ci si arrugginivano le guance non funzionava. Nelle occasioni in cui io o lui stavamo per piangere, sopraffatti da tutta quella bigottaggine e quelle sofferenze che i nostri cari concittadini del cazzo ci riversavano addosso, uno dei due abbracciava l'altro.Non erano quegli abbracci sterili, ma di quelli che ti avvolgevano completamente, offrendoti quella spalla di cui raramente avevamo bisogno. Non so per quale motivo, ma, abbracciati in quel modo, ci calmavamo immediatamente.

Alle volte ci penso ancora, sul perché Kurt mi fece quel discorso. Era novembre e stava per piovere, ma noi eravamo comunque in collina. Ci andavamo tutte le sere dopo cena, e spesso ci rimanevamo fino alle undici passate, poi tornavamo a casa. Penso che mi abbia fatto quel discorso perché aveva sentito la morte accarezzargli le spalle.

Due settimane dopo da quel suo discorso accadde. Ero a casa e facevo i compiti di matematica, mia madre entrò nella mia stanza mentre parlava al telefono «Sebastian, hai visto Kurt oggi?» mi aveva chiesto, coprendo il telefono con la mano «No, oggi non dovevamo vederci» avevo risposto, aggrottando le sopracciglia disse mia madre a telefono. Realizzai che c'era qualcosa che non andava. Uscì dalla mia stanza e scese le scale, io la seguii  in cucina «Mamma, cos'è successo?» le chiesi mentre lei asciugava i piatti. Mia madre sospirò «Pare che Kurt non sia tornato a casa stasera» disse, con molta leggerezza. Lanciai uno sguardo all'orologio vicino all' ingresso della cucina. Le undici meno venti. A meno che non usciva con me, il coprifuoco di Kurt era per le dieci  e non era mai stato infranto fino a quel momento. Sentii un oscuro presentimento farsi largo in me «Mamma...» dissi lentamente «Pensi gli sia successo qualcosa? Kurt non fa mai tardi» mia madre si voltò a guardarmi «Non dire sciocchezze!» mi rimproverò con aria severa «Torna a fare i compiti, su!» disse, più piano. Quel comportamento mi insospettì più di ogni altra cosa.
Verso l'una, Burt telefonò di nuovo, stavolta sul mio cellulare. Mi chiese se stessi coprendo Kurt, se era uscito con qualche ragazzo. Io risposi che non avrei motivo di mentire su Kurt e sarebbe stato il primo a saperlo se suo figlio fosse uscito con qualcuno diverso da me. Lui mi ringraziò e staccò la telefonata. Mi augurai che Kurt tornasse presto, ma dopo quattro giorni non c'erano tracce di lui. Iniziai a chiedermi se non ci avesse abbandonati tutti e se ne fosse andato in città prima del tempo e nel mentre cercavo di reprimere ogni brutta sensazione.
Mi sembrava troppo strano che Kurt decidesse di scappare di casa senza neanche avvisarmi o lasciare un biglietto. Mi sembrava anche troppo strano che fosse uscito mentre era da solo in casa, visto che fino alle sette suo padre lavorava in officina e Burt aveva detto di non averlo visto a casa quando era tornato. Inconsciamente, cercavo di venire a capo di un delitto poco intricato.
Mi ricordo che scrissi tutto su un foglietto. Scrissi il probabile lasso di tempo in cui Kurt doveva essere uscito, dove potesse essere andato (posti che poi controllai tutti, a parte New York perché era troppo lontana) e una serie dei motivi per cui doveva essere uscito. Il suo cellulare era irraggiungibile, scrissi anche questo. I giorni intanto passavano e non avevamo sue notizie, gettando sia me che suo padre nella disperazione e inquietudine più feroce. Appena scattò una settimana dalla sua scomparsa, iniziarono le indagini. Un mese dopo, lo ritrovarono.
Morto.
Era stato spinto nel piccolo ma profondo lago che segnava il confine con la città - raggiungibile solo mediante un ponte- con una pietra grande quanto un pallone da calcio legata al collo. Era morto soffocato sia dall'acqua che dalla corda legata stretta al suo collo pallido. Non piansi mai tanto in vita mia come quando ci fecero vedere il cadavere.
Il medico legale ci spiegò ( anzi, mi spiegò, visto che suo padre, per il bene del suo cuore, aveva preferito mandare solo me) che il cadavere di Kurt era risalito perché la corda che lo teneva legato si era spezzata, e che sul corpo erano stati rinvenuti segni di colluttazione. Cercavo con tutto me stesso di non piangere, di fare qualsiasi altra cosa tranne che piangere, ma alla fine cedetti pensando che l'unico modo per smettere subito di piangere se ne era andato e non sarebbe mai più tornato. Venni interrogato dalla polizia e quando tornai a casa, da mia madre.
Mi fece sedere a tavola e incrociò le braccia «Tu sapevi qualcosa, non è così?» mi chiese con tono inquisitorio. Scoppiai a piangere di nuovo, perché mi aspettavo che la polizia potesse sospettare di me, ma non mia madre. Mia madre parve spiazzata da quella reazione, perché non mi vedeva piangere da quando ero piccolissimo. Mi chiese scusa e mi accarezzò i capelli, io piansi abbracciandola. Non era la stessa cosa, ma mi calmò almeno parzialmente.  Per molte notti, l'immagine di Kurt che lottava prima di venire spinto in un lago e lasciato morire tormentò i miei sogni.
I funerali di Kurt si svolsero senza che non avessero trovato ancora nessun colpevole. Molti pensavano a un suicidio, ma i segni di lotta smentivano ogni dubbio. La maggior parte dei cittadini continuava a ripetere che fosse una tradegia e che Kurt aveva tutta la vita davanti. Mi ricordo che rimasi frastornato da quelle parole. Non mi sorpresi, tuttavia, quando qualcuno bisbigliò che era la punizione per la sua omosessualità. Kurt aveva predetto ogni cosa e me lo aveva riferito, perché almeno io non mi lasciassi andare a quelle frasi di circostanza.
Oggi come oggi, più che rimpiangere la morte di Kurt, rimpiango il fatto di non essere stato vicino a suo padre.  Quando Kurt aveva otto anni suo madre era morta, e
posso solo immaginare quanto la morte del suo unico figlio lo avesse devastato.
Comunque, l'anno scolastico finì e mi diplomai. Il preside della nostra scuola mi aveva offerto di dire due parole su Kurt, ma io avevo rifiutato. Finì per dirle Quinn Fabray, capoclasse, capocheerleader e capo di un sacco di altre cose, dicendo tutto quello che sapeva su Kurt, ovvero niente di niente. Tutti applaudirono, io rimasi sotto shock. In un'altra occasione, Kurt aveva citato Jhon Lennon "Tutti ti amano quando sei due metri sotto terra" aveva detto e io riscontrai quella citazione immediatamente. A fine Agosto andai a New York, abbandonando per sempre l'idea di un appartamento e chiedendo di alloggiare nel dormitorio scolastico. Ogni volta che passavo davanti a un teatro o vicino alla NYADA, sentivo una fitta di dolore.
Esattamente un anno dopo la sua morte, il caso si concluse. Erano stati quattro ragazzi. Uno di loro, Azimio Adams, si era costituito alla polizia. Non volevano ucciderlo. Lo avevano picchiato, lo avevano attirato usando me come esca e quando era svenuto avevano creduto fosse morto, perciò avevano lanciato nel lago. Rimasi scioccato da questa rivelazione, capendo che Kurt era morto per venire ad incontrare me vicino al lago.
A volte mi chiedo come mai ci sia cascato, altre lo sogno.
Ancora oggi, a dodici anni dalla faccenda, mi manca molto
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Buon pomeriggio lettori temerari!
Piaciuta la one-shot? Da quando ho iniziato a scriverla ad ora che la pubblico sono cambiate un mare di cose.
L'omicidio di Kurt, ad esempio. Inizialmente la shot doveva essere proprio uno spezzone di quelli che poi sono diventati i ricordi di Sebastian, in cui si narrava proprio la storia d'amore tra lui e Kurt. Alla fine ho preferito continuare su questa linea. Il fatto che Sebastian lo ricordi a dodici anni dalla morte mentre lo dicono alla televisione è una cosa che ho deciso alla fine, per dare inizio al flusso di ricordi.
Comunque, tanta Kurtbastian friendship, tanto angst e tante lacrime (sopratutto di Sebastian LOL). Penso sia uscita così perché stamattina ho iniziato a rileggere "L'Allievo" mentre ascoltavo questa meraviglia, l'ambientazione viene tutta da lì.  Non so se vi ho mai detto quanto amo Le Luci.
Per quanto riguarda Rotten Boy, Grotesque Romance , sono in visibilissimo blocco. E' da considerarsi sospesa, mi sa, fino a tempo indeterminato.
Bon, penso di aver finito gli avvisi.

See ya soon,
Robs.
  
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