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Autore: N o r a    26/04/2012    3 recensioni
One-shot ambientata nell'ultima puntata della seconda stagione, contiene spoiler per chi non l'abbia vista.
Dalla storia.
- Sherlock Holmes…
Era stato solo un sussurro, ma la mia voce si era rotta comunque. Inspirai, e, di nuovo, sembrava così tremendamente difficile.
- È morto.
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: John Watson , Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Prima one-shot in assoluto. L’ho scritta di getto, e se ci sono errori, fatemelo sapere. Se vi fa piacere, lasciate un commento ^_^
***



- Perché oggi?
Oh, andiamo.
- Vuole proprio sentirmelo dire?
- Sono passati diciotto mesi dal nostro ultimo appuntamento.
Silenzio.
- Gli legge i giornali?
- A volte.
- E guarda la TV?
Silenzio.
- Lo sa perché sono qui.
Ancora silenzio. Quel maledetto silenzio, sembrava scavarmi la voragine nel petto ancor più di quanto già non fosse profonda.
Ma la dottoressa non parlava.
- Sono qui perch…
Non riuscivo a continuare. Semplicemente non potevo. La certezza di quelle parole rendeva la mia vita insopportabile.
- Cos’è successo, John?
Silenzio. Non riuscivo a tirare fuori le parole, il senso di oppressione che avvertivo nello stomaco mi impediva di parlare.
Inspirai. L’aria graffiava i polmoni, rendeva il tentativo di respirare molto più difficile del solito.
- Sherl…
Mi ritrovai in silenzio. Pronunciare quel nome sarebbe stato impossibile. Me ne rendevo conto solo adesso, non avevo la forza necessaria a farlo.
Guardai la dottoressa.
- Deve riuscire a dirlo.
Abbassai lo sguardo. Ci sarebbe voluta tutta la forza di volontà che avrei potuto raccogliere, in questa discussione. Ma dovevo riuscirci. Non potevo restare in questa situazione, diamine.
- Il mio migliore amico…
Il mio migliore amico. Era davvero così. Lui era un punto fisso, per me. Quando mi svegliavo, sapevo che l’avrei rivisto, sapevo che avrei potuto parlarci. Stare al suo fianco, al fianco di quella fredda persona che avevo imparato a conoscere così bene, quella persona che riusciva a far apparire tutto razionale, mi rendeva vivo.
- Sherlock Holmes…
Era stato solo un sussurro, ma la mia voce si era rotta comunque. Inspirai, e, di nuovo, sembrava così tremendamente difficile.
- È morto.
Silenzio. Per l’ennesima volta, c’era silenzio. Quel silenzio che ormai riempiva le mie giornate, quel silenzio che mi schiacciava, che mi soffocava, sembrava non dovesse abbandonarmi più, sembrava ingigantire l’enorme peso sullo stomaco; peso che mi rimandava a quel giorno, e mi chiedeva, sempre più insistentemente, “Perché te ne sei andato? Perché l’hai lasciato da solo?”.
Nella mia testa passarono flash di quella giornata, grigia, tetra, quasi a volermi torturare.
Lo rivedevo sul tetto, col suo inseparabile cappotto, con le mani allargate, quasi come se stesse per volare. Per tutta la durata di quella telefonata, non riuscivo a credere alle sue parole. Per tutto il tempo, ero stato certo della sua innocenza. Non avevo mai dubitato di lui, mai. Quando tutti gli avevano voltato le spalle, io lo credevo. Questa convinzione non me l’avrebbe tolta nessuno. Era l’unica cosa che mi diceva che tutto aveva un senso, la sua innocenza; e riuscivo a sopravvivere solo per questo motivo. La sua vita, la mia vita, aveva avuto un senso.
Riudivo le sue parole, marchiate a fuoco nella mia memoria.
 “Addio, John”.
Il mio corpo fu scosso da una brivido.
- Ci sono cose che avrebbe voluto dire… Ma che non ha detto.
- Esatto.
Risposi senza esitare un attimo; la dottoressa aveva ragione. C’erano davvero tante, troppe cose che avrei voluto dirgli. Ora non potevo .
Non potevo più.
E forse questo era il peggior tormento, vivere con la certezza di non averlo messo a parte di tutti i miei pensieri e sentimenti, mentre ancora potevo.
Solo che adesso, lui non c’era più.
- Le dica ora.
Impossibile.
Non sarebbe cambiato niente. Lui non poteva sentirmi, perciò non aveva alcun senso dire quelle cose adesso. In presenza di un’estranea.
Ciò che avevo da dire, riguardava solo noi due.
- Mi dispiace, non ci riesco.
E non voglio.
 
***
 
Trovarmi davanti quel nome, inciso su quella pietra, era più di quanto potessi sopportare. La certezza che il mio migliore amico, ora, non era altro che un corpo privo di vita, rendeva tutto così sfocato.
Solo la mia mente era lucida.
Forse era giunto il momento di dirgli quello che avrei voluto che sapesse da tempo. Forse la sua presenza era ancora qui, da qualche parte, e poteva ascoltare ciò che stavo per dire. Forse avrebbe potuto perdonarmi, per non averlo fatto in tempo.
Mi girai, vidi la signora Hudson lontana, quindi tornai a voltarmi verso la lapide.
- Ehm, ok. Tu… Tu, una volta, mi hai detto…
Sospirai. Era davvero difficile tirar fuori quelle parole.
- …Che non eri un eroe.
Silenzio. Inspirai.
- Ci sono stati momenti in cui ho pensato che non fossi umano, ma ti dico una cosa…
Che avrei dovuto dirti già da tempo.
- Tu eri l’uomo migliore, e… L’essere umano più umano che io abbia mai conosciuto, e nessuno mi convincerà che tu mi abbia mentito. Ecco. Questo.
Espirai. Il macigno nel petto era lievemente diminuito, ma come avrei potuto vivere con la certezza di non rivederlo mai più, di non potergli parlare un’ultima volta? Avrei dato qualsiasi cosa affinché lui fosse di nuovo qui, con me.
Mi avvicinai alla lapide, la toccai. Era fredda. Come quella grigia giornata.
D’un tratto sentii che c’era un’altra cosa che avrei dovuto dire. Forse la più vera.
- Ero davvero molto solo…
Come adesso. La certezza di quelle parole rese più difficile continuare a parlare.
- E ti devo davvero tanto.
Inspirai velocemente. Sentivo di non poter resistere più. Da un momento all’altro sarei scoppiato.
Mi voltai, feci per andarmene, ma non resistetti. Mi girai, e, parlando, mi avvicinai.
- Ma ti prego, c’è ancora una cosa. Un’ultima cosa, un ultimo miracolo, Sherlock, per me.
Non essere morto.
Potresti solo farlo per me? Smettila e basta, smettila.
Mi resi conto di quanto sembrassi ridicolo. Parlare ad una lapide, chiedergli di non essere morto.. Abbassai lo sguardo. Guardando quella terra, sotto la quale c’era il corpo dell’unica persona che avrebbe potuto rendere la giornata degna di essere vissuta, le lacrime caddero sole, quasi a voler raggiungere il suo corpo.
Inspirai più volte, profondamente, e mi asciugai il viso con la mano.

Non ci sarebbe stato nulla più, nient’altro che lui, solo.
Lui e Sherlock erano due facce della stessa medaglia.
Senza l’una, l’altra era perduta.

Mi aggiustai la giacca, guardai la lapide.
Annuii.
La consapevolezza che non ci sarebbe stata risposta mi diede una nuova coltellata al petto, ma quella volta capii.
Dovevo andare avanti, vivere anche per lui. Per quella vita finita davvero troppo presto.
Mi girai e mi allontanai, senza voltarmi indietro.

***

Da lontano, qualcuno aveva osservato quella scena.
Qualcuno a cui John teneva terribilmente.
Qualcuno che teneva a John terribilmente.
Qualcuno chiamato Sherlock Holmes.
   
 
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