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Autore: Faust_Lee_Gahan    26/04/2012    5 recensioni
"Sherlock aveva ripreso a fumare con una certa regolarità, da quando era morto."
[Sherlock/John]
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
- Questa storia fa parte della serie 'Lividi Amniotici'
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Titolo: Snuff

Summary: Sherlock aveva ripreso a fumare con una certa regolarità, da quando era morto.

Pairing: Sherlock/John; mamma Holmes.

Words: 1458

Rating: PG

Desclaimers: Not mine, gnè.

Notes: Partecipa alla Sherlothon dell SFI, col prompt #4 (Fumo di tabacco) del Team Canon.





Snuff


Il vizio del fumo,

come ogni altro vizio divenuto abituale,

ha questo di triste,

che non dà più, se non raramente,

gusto per sé,

ma prende qualità dal momento in cui si soddisfa

e dall'anima con cui si soddisfa.”

(Pirandello)



Sherlock aveva ripreso a fumare con una certa regolarità, da quando era morto.

John non avrebbe apprezzato, lo sapeva. Sorrise, accendendosi l'ennesima sigaretta.

No, non avrebbe apprezzato.

Lo osservò parlare con Harry dalla vetrina del ristorante ancora un po', poi si accorse dell'orario e seppe che doveva fare altro. Gli diede un'ultima occhiata.

Non stava bene. Non stava bene per niente.

Aveva sperato solo che non fosse suo amico, così avrebbe potuto fargli del male.

Almeno senza provare dolore a sua volta.


Quando era vivo – se così si poteva dire - Sherlock fumava di notte, di solito mentre guardava John dormire.

Non era per qualche tipo di feticismo che lo faceva, forse solo per il gusto di guardarlo e basta. Oppure perché trovava che tanta perfezione dovesse essere accompagnata dal tabacco. O il contrario. Non ne era certo.

All'inizio – all'inizio, quando aveva iniziato a capire che da un momento all'altro non avrebbe più potuto fare a meno di lui e che, considerando quello che era, non ne sarebbe uscito incolume - l'aveva pregato di scappare, andarsene. Allontanarsi dalla sua anima, dalla sua mente. Anche se non aveva ancora capito dove aveva tirato fuori la forza per farlo, ogni volta. Evidentemente la preoccupazione per l'altro aveva superato, cosa straordinaria, anche la sua naturale ritrosia a fare discussioni inutili. Inutili perché sapeva che nessuna giustificazione avrebbe fatto smuovere John Watson dalla sua posizione, ma si aggrappava a una sottile speranza. Era umano anche lui.

Gli aveva detto che il suo cuore era troppo nero per provare emozioni, che non poteva distruggere quello che non c'era.

Non era servito a niente, ovviamente. Qualsiasi cosa accadesse, John restava al suo fianco.

«Lo so.»

«Cosa?»

«So che fumi di notte, mentre dormo.»

«Non hai prove.»

«Le mie lenzuola odorano di tabacco quasi tutti i giorni, quindi...»

«Uscirò dalla camera, se vuoi.»

«Non m'importa delle mie lenzuola. Basta che tu sappia che io lo so.»

Non si meritava di averlo. Davvero.

«Non ho mai dubitato della tua intelligenza, John.»

Il suo spasmodico ed egoistico bisogno di averlo lì, accanto a lui, stretto a lui, l'aveva portato a lasciare gradualmente perdere le discussioni inutili, e a lasciare spazio alla comune rassegnazione al fatto che ormai erano l'uno nella vita dell'altro, completamente. Punto e basta.

Però... se lui era solo non poteva odiare.

Gliel'aveva sempre detto anche sua madre.

Avrebbero finito con l'odiarsi l'un l'altro? Sherlock ci pensava ogni volta, e ogni volta scuoteva la testa, spegneva la sigaretta e lo guardava.

Non si sarebbe mai stancato di guardarlo.

Forse poteva odiare abbastanza da amare.



Sherlock entrò in casa piano, aprendo la porta con le chiavi. Per fortuna Mycroft non aveva fatto cambiare la serratura da quando era andato via. Si diresse a passo felpato verso il corridoio, ma si fermò quando la luce nel salotto si accese.

Sua madre lo guardava dalla poltrona sulla quale era seduta. «Sapevo che eri vivo.» disse.

Sherlock scoprì di non essere sorpreso di vederla, e si andò a sedere sulla poltrona accanto, senza guardarla.

«Sei tornato per fermarti?» chiese.

«Per fermarmi non lo so. Per migliorare a precipitare.» (1)

Lei sorrise, un sorriso sghembo.

«Mi dai una sigaretta, Sherlock?»

Finalmente guardò verso di lei, col sopracciglio alzato. «Come fai a sapere che ho ricominciato? Non te l'avrà mica detto Mycroft?»

Lei sbuffò. «Ti prego. Sono tua madre. So più cose io di te di quante tu stesso ne potresti scoprire mai.»

Sherlock non disse niente. Sospirò. Prese il pacchetto dalla tasca del cappotto, ne offrì una a sua madre e l'accese. Lei fece una faccia soddisfatta, simile alla sua, quando fece il primo tiro.

«Non abbiamo mai fumato insieme, mamma.» disse.

«Per forza! Tu e tuo fratello lo facevate di nascosto, anche se sapevate perfettamente che io fumavo.» Gli lanciò uno sguardo accusatore prima di aggiungere: «Tu facevi anche altre cose, di nascosto.»

Sherlock preferì lasciar cadere da qualche parte nascosta della sua memoria il momento in cui sua madre aveva trovato le altre cose nella sua stanza.

«Come fai a ricordarti di me?» chiese lui all'improvviso, osservandola. Perché era quella la cosa più sorprendente.

«Perché non dovrei ricordarmi di te?» Sembrava stupita.

«Non ti ricordi mai di me, mamma. Hai l'Alzheimer.»

«Oggi sono lucida.» tagliò corto lei.

Sherlock si accese impaziente una sigaretta a sua volta, perché aveva sempre odiato le mezze risposte.

«Cosa sei venuto a prendere qui?» chiese lei con un sorriso beffardo e amaro al tempo stesso «Cosa può esserti utile della tua vecchia vita?»

«Non ti riguarda.» sputò fuori lui insieme al fumo.

«Come sempre.» mormorò sua madre fissandosi le unghie.

Fumava nervosa. Sherlock aveva visto quella scena centinaia di altre volte, e sempre quel nervosismo era per colpa sua. Piacevoli ricordi di famiglia.

«Perché non mi ami, mamma?» (2)

Se l'era sempre chiesto, ma da giovane certe domande non le poteva fare, o comunque non era interessato alle risposte. Appena diventato adulto era andato via. Prima per il college, poi... Poi a Baker Street, con John. E quando finalmente raggiungeva l'età giusta, sua madre prendeva l'Alzheimer e non poteva più rimproverarle niente. Non si ricordava neanche chi fosse. Adesso... sapeva che la sua lucidità non sarebbe durata, ma sapeva anche che era l'unico momento in cui avrebbe potuto farle quella domanda. Adesso che era morto, doveva sapere perché era vissuto. Perché era venuto al mondo.

Lei si voltò a guardarlo, gli occhi spalancati, offesi.

«Che sciocchezze dici?»

«Perché ami Mycroft più di me? Che cos'ho che non va?» insisté implacabile.

«Niente.» rispose secca sua madre «Tu non hai niente che non vada.»

Si sentiva come se avesse avuto di nuovo otto anni, quando dal basso la osservava fumare per calmarsi, dopo l'ennesimo errore che lui aveva fatto. Quando vedeva l'affetto di sua madre bruciare insieme al tabacco.

Il suo amore era stato punito – bandito – tempo prima.

«Hai sempre pensato che ci fosse qualcosa di sbagliato in me.» disse alzandosi «Perché non mi hai mai dato un briciolo dell'amore che avevi per lui?»

L'aveva venduto per salvare se stessa.

Lei scosse la testa, distogliendo lo sguardo da lui.

«Ho fatto tanti errori con te, Sherlock.» disse, osservando la sigaretta stretta tra le dita «Ma tu non sai cosa significhi averti per figlio.»

Lui strinse i pugni e i denti. Non aveva mai detto di essere un santo, ma non era necessario che sputasse pietà nella sua anima. Pietà verso se stessa.

Non avrebbe ascoltato la sua vergogna.

«Hai ragione. Non c'è niente che mi sia utile della mia vecchia vita.»

Buttò quello che restava della sua sigaretta per terra. Si voltò per andarsene, ma pensò che se era l'ultima volta che aveva l'occasione di parlare con sua madre – quella vera, non con quella specie di fantasma che era da malata – tanto valeva farlo fino in fondo.

«Come sapevi che non ero morto?» chiese allora.

La sentì sorridere. «Sono tua madre, Sherlock. Se fossi morto, l'avrei sentito prima di tutti.»

Sherlock pensò che non era giusto, che se qualcuno aveva il diritto di sentire la sua morte prima di chiunque altro, l'unico doveva essere John.

L'unico.

Sherlock camminò fino all'ingresso e afferrò la maniglia. Esitò un attimo.

«Addio, mamma.» mormorò.

«Grazie per la sigaretta.» disse lei.

Sherlock aprì la porta e uscì nella notte, senza voltarsi indietro.



Sherlock si accese un'altra sigaretta. Lo trovò leggermente più difficile, dato che gli tremavano le mani. Buttò il fumo in alto, lontano. Riportò il suo sguardo su John.

John.

Lui era l'unico che poteva permettersi il lusso del dolore.

Chi erano quelle persone? Che diritto avevano di addolorarsi per lui? Erano tutti scappati via. Erano tutti uguali.

Serviva la morte della speranza perché lo lasciasse andare.

Ma John non avrebbe mai smesso di sperare. Forse era quello a ucciderlo veramente.

Sherlock tirò ancora, e poi si rigirò la sigaretta tra le dita, osservandola. Si chiese perché quella che aveva fumato prima insieme a sua madre – come quasi tutte le sigarette della sua vita, in realtà – avesse un sapore così amaro, mentre quelle che fumava a casa sua, guardando John, sapessero invece di buono. Di pace. Di perfezione.

Non si sarebbe mai stancato di guardarlo.

Il calore al centro del petto che sentiva ogni volta aveva l'assurdo potere di calmarlo, come solo la nicotina sapeva fare prima che lo incontrasse. John era la sua personale, unica, sigaretta.

Non avrebbe potuto affrontare una vita senza la sua luce.

Buttò la cicca fuori dalla finestra e appoggiò le ginocchia sul materasso, cercando di fare meno rumore possibile. Allungò lentamente la mano verso John, e gli sfiorò il viso con le punte delle dita. Doveva farselo bastare per un tempo interminabile.

L'aria attorno a lui sarebbe ancora sembrata una gabbia.

«Perdonami.» sussurrò appena.

Si alzò e alla porta si voltò per guardarlo ancora.

Non se ne sarebbe mai stancato. Mai.


John avrebbe annusato odore di fumo sulle sue lenzuola la mattina dopo. Avrebbe sentito odore di lui. Probabilmente lo avrebbe trovato più amaro del solito.

John avrebbe annusato odore di tabacco e avrebbe sperato, anche solo per un secondo, di vederlo.

John avrebbe annusato il suo odore, e avrebbe continuato a sperare.

Uscendo dal 221B, Sherlock non sapeva se questo era un bene, o un male.







Notes, again:

Sulle note della bellissima Snuff degli Slipknot (traduzione: “annusare” o anche “tabacco da fiuto”). Le parti in corsivo del testo sono appunto tratte dalla suddetta u.u

La citazione è da Ciascuno a suo modo del buon Pira. ♥ L'ho trovato piuttosto vero.

Lo so che è trista... ma triste! Il fatto è che vedo questo rapporto madre/figlia molto, molto, moooolto problematico. Quindi triste. A ciò si contrappone invece il rapporto Sherlock/John che invece è tutt'altro. L'ammoreh. Ma dato che Sherly è morto, anche quelle parti sono tristi.

Mi dispiace.

(1) è tratto dal film Poeti dall'Inferno; (2) dal film Marnie. E' una domanda che mi sembrava lecito far fare a Sherlock, dato il rapporto madre/figlio di cui sopra.

La vorrei dedicare alla mia neo-figlia Giulia (quale piacevole coincidenza di nomi! XD) ovvero _Daenerys_ ♥

Il solito grazie a Sonia per la consulenza. :) ♥

  
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