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Autore: Fusterya    26/04/2012    14 recensioni
A volte è proprio difficile ristabilire un equilibrio in casa e far ripartire una routine, soprattutto dopo certi avvenimenti assurdi che non capitano a tutti. Una "resurrezione", per esempio. E l'essersi finalmente rivelati l'uno all'altro. Ma questo può essere davvero difficile da gestire, certi giorni… e anche un po' ridicolo.
(Piccoli racconti seriali "post-ritorno-post-Reichenbach" che mi fanno sorridere mentre li butto giù, spero facciano lo stesso effetto anche a voi)
DISCLAIMER: nulla mi appartiene dei personaggi e delle situazioni citate, nè mi apparterrà mai.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson , Sherlock Holmes
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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- Questa volta la storia è un po’ meno “leggera”. Parla Sherlock.

(É la prima volta che scrivo dalla parte di Sherlock, perdonate in anticipo qualunque castroneria io possa aver fatto!)

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Il caso è stupido, ma non ne ho avuti altri in 5 giorni e rischiavo di dovermi distrarre dando delle cadenzate, precise e taumaturgiche testate al muro sulla parete est del soggiorno.
Inoltre oggi pioviggina in maniera fastidiosa, ho incrociato Anderson allo Yard e John aveva uno stupido, stupido convegno di medici in uno stupido ospedale.
Quando stamattina a colazione ho obiettato che ai convegni ci vanno solo i luminari della scienza o gli scopritori di qualche nuova cura, ha sbattuto il tovagliolo sul tavolo ed è andato in camera sua a vestirsi.
No buono.
Umpf! Sono di cattivo umore. Peggiorato dalla presenza del DI Dimmock.
Dove diavolo finisce Lestrade così spesso?
Ieri era giovedì, posso dedurre che stia anticipando le sbornie del venerdì sera.
Un divorzio sembra essere una questione talmente... vitale per la gente normale. Noioso. Più di questo pivello che qualche anno fa, appena dopo il caso del banchiere e del Black Lotus, mi ha assunto a suo dio personale.
Non male per uno che, all’inizio, aveva fatto il solito errore di valutazione che fanno tutti.
“Stronzo arrogante”, aveva detto a John durante quel caso.
Oggi è tutto un “Signor Holmes qui, Signor Holmes là”.
Scalpita come un boy scout in procinto di esplorare una foresta selvaggia ogni volta che entro allo Yard e prendo un caso, e spera che Lestrade abbia un infarto e gli lasci il posto.
Cosa che avverrà presto se non la pianta di bere 5 pinte a sera e ingozzarsi di fish & chips.
Oggi Dimmock è stato fortunato.
Io non posso dire altrettanto.
Anche se la sua faccia da furetto potrebbe ingannare, non è particolarmente sveglio.
Ma io mi godo soprattutto il suo pendere dalle mie labbra.
Devo ammettere con un certo disappunto che questa fase è stata superata da John molto tempo fa, e la cosa non mi è gradita.
Siamo accovacciati in un vicolo, appena dietro l’angolo, e aspettiamo che ci passi davanti il sospettato.
Secondo le mie valutazioni, e io non sbaglio mai le mie valutazioni, dovrebbe uscire dal quel portone sulla strada principale in.... quattro, tre, due, uno...
“Eccolo” dico sottovoce.
Dimmock è alle mie spalle e stringe l’auricolare con dita nervose.
“Come fa a sapere che è lui?”
Santa pace! Alzo gli occhi al cielo senza girarmi a guardarlo.
“La statura. E l’andatura. Non ricordi quei tre frame della telecamera a circuito chiuso?”
“Beh... tre frame... non è che siano...”
“Sta andando veloce” lo interrompo.
“Seguiamolo!” esclama lui cercando di rimettersi in posizione eretta.
“No!”
Dimmock si riabbassa, perplesso.
“Lo seguiremo stasera, sappiamo che verrà di nuovo qui.E sappiamo chi è lui ma lui non sa chi siamo noi, un vantaggio notevole.”
Mi giro finalmente verso di lui e, visto che non c’è più motivo di stare accovacciati, mi alzo e mi stiracchio. Finalmente questa tortura è finita.
Dimmock si tira su e mi guarda mentre tiro fuori le sigarette e ne accendo una.
Oh, lo so, lo so, se ci fosse John non potrei.
Ma John non c’è.
“Ma come fa?”
Lo guardo mentre l’accendino mi lampeggia davanti alla faccia e sono certo che il mio labbro destro si sia impercettibilmente teso in un invisibile accenno di compiacimento.
Ah, il dolce, dolce sapore di miele dello stupire il mondo!
Quello sguardo ammirato, quella bocca semiaperta.
Questo è quello che ci vuole, per me!
“DNA” mi sbrigo a rispondere. Non ho davvero voglia di avere una conversazione.
La pioggerella mi sta infastidendo, ma voglio prima finire questa deliziosa sigaretta.
Sono appoggiato al muro con evidente soddisfazione, espressa dalla mia postura rilassata e gli occhi chiusi, quando sento una pressione sul mio petto e sulla mia bocca.
Ora sono sicuro di averla io, l’espressione stupita.
Dimmock mi tiene contro il muro e mi sta baciando.
Mi ha preso la testa con entrambe le mani per tenerla ferma e preme tutto sé stesso e la bocca sulla mia, riuscendovi senza problemi nonostante anche lui sia più basso di me.
Io sono... cosa sono, io?
Immobile. Ho le braccia allargate, lontano dal mio corpo, in un chiaro segnale di non corrispondenza, e sto fermo. Ho gli occhi spalancati e le labbra serrate, ma lui vi ha solo appoggiato la bocca con tutto il suo peso.
Non tenta di infilarmici dentro la lingua, almeno.
Che cosa singolare!
Ovviamente per me non implica nulla di... sentimentale o sessuale, il mio universale concetto di romanticismo si riduce a due sole, semplici parole, ovvero: John.Mio.
John.Mio.
Perfezione. Sincretismo e sostanza. Non esiste altro per me se non il semplice concetto di John. E che John è mio.
Ma questo strano evento mi incuriosisce.
Comincio a immagazzinare dati che altrimenti non potrei mai raccogliere.
L’argomento è: cosa si prova a essere baciati di forza da qualcuno che non è John.
Potrei ridere... se potessi, appunto.
Quando si rende conto che non partecipo, Dimmock si distacca lievemente da me e mi guarda negli occhi con smarrimento totale.
Credo stia tremando.
Oddio. Quest’uomo è disperato!
“Io... scusa... credevo...”
“Cos’è questo?” chiedo con molta calma.
“Ero convinto che... cristo...”
“Non balbettare, Dimmock. Di cosa eri convinto?”
“Di poter... cioè... pensavo che anche tu come me... insomma....”
“Che avessi un interesse per te?” credo di aver inarcato le sopracciglia con scetticismo.
Finalmente mi toglie le mani dai lati del capo.
Ora si scioglierà in una pozza di imbarazzo senza capire che io non riesco a COMPRENDERE il suo imbarazzo.
Lo percepisco ma non lo comprendo.
Ha fatto un gesto istintivo e non ben accetto dalle regole della società, come io stesso ne faccio ogni giorno, ma nessuno si è fatto male, mi sembra, e la cosa verrà presto dimenticata. Almeno da me.
Non è poi questa grande tragedia.
“No, non speravo magari questo” ansima imbarazzato (appunto!) “ma ero abbastanza certo che... insomma... gli uomini...”
“Che io abbia interesse negli uomini?”
“Così si dice... così... penso io”
Mi piacciono gli uomini (e non è, me ne piace uno solo), ergo mi piace lui?
Che riflessione da imbecilli.
Intanto non si stacca da me. Vuole una conferma, spera ancora che io gli dia il via libera.
“Pensare è un verbo impegnativo, Dimmock.”
Non mi scompongo.
Perché dovrei?
Però sono divertito.
E mi si è aperta una prospettiva.
Un’ improvvisa, deliziosa, splendida prospettiva. E ovviamente il soggetto centrale di questa riflessione è sempre John.
Cosa farebbe John se sapesse che un altro uomo mi desidera in questo modo?
Non l’innocua Molly, non il malato di mente Moriarty, ma un altro come lui?
Uno normale, abbastanza attraente, addirittura simile a lui fisicamente, uno dalla parte dei giusti?
Quanto gli farebbe male trovarsi per un attimo nei miei panni, quando lui non faceva altro che procurarsi degli appuntamenti e cambiare ragazze di fronte a me con frequenza oscena?
E portarle a casa a Natale?
L’idea mi fa sorridere.
Peccato che io lo faccia istintivamente, senza rendermi conto che sembra che io sorrida a Dimmock, il quale, infatti, lo prende come un segnale PER LUI e cerca di baciarmi di nuovo.
La sensazione è neutra. Non è buona, non è cattiva. Ha un sapore diverso da John, ovviamente, un po’ più salato, con un retrogusto di caffè, e mi lascia assolutamente indifferente.
Poi, a un certo punto, mi stufo.
E sento anche che comincia a serpeggiarmi per le membra quel disagio che provo nell’essere toccato, quello che, se indugio troppo, mi farà andare fuori di testa.
Se non è successo finora, è solo perché la singolarità dell’evento non ha dato il tempo al mio corpo di reagire, e ha tenuto impegnato il mio cervello in divertenti riflessioni.
Lo respingo con le mani, non bruscamente ma in maniera inequivocabile, e dico guardando di nuovo nei suoi occhi sconvolti:
“Qualunque cosa io prediliga, detective, non sei il soggetto giusto, né lo sono il luogo e il momento”.
Lui si allontana cercando di balbettare delle scuse, ora si sentirà un idiota per giorni, come’è giusto che sia, e non riuscirà a guardarmi negli occhi.
Io mi raddrizzo, mi sistemo il cappotto, alzo il colletto per fargli ancora più male e faccio il mio sorriso velenoso migliore.
“Ci vediamo in centrale, prendo un taxi.”
Dopodiché esco dal vicolo e lo lascio lì, a morire di rossore e recriminazioni.
La sigaretta è quasi consumata tra le mie dita, credo proprio che ne dovrò accendere un’altra.

Quel pomeriggio sono in soggiorno, appollaiato sul divano, le braccia intorno alle mie ginocchia, e dondolo leggermente fissando John che è seduto nella sua poltrona e legge il giornale con la solita beatitudine.
Mi sembra abbia dimenticato la faccenda del convegno.
Bene.
Io fremo compiaciuto. Non so se dirglielo adesso, subito, e togliermi il gusto tutto in una volta, o giocare un altro po’.
Provo una strana eccitazione, come quella che provai alla mia prima autopsia.
Frizzante!
E’ evidente che non riesca a contenermi se perfino lui nota qualcosa.
“Sentiamo, cos’hai combinato?” chiede, voltando pagina.
“Ummmm... è un caso interessante.” mento spudoratamente.
“Si vede.” finalmente mi guarda ”sembri un avvoltoio che punta la preda. Mi sono perso qualcosa di eccitante?”
“In parte sì, ma avevi il tuo...convegno.”
“Che, peraltro, è stato molto interessante”
“Oh, non ne dubito”.
Mi alzo e vado a prendere il violino. Oggi sono in vena di ballata.
Appena attacco, John abbassa il giornale e mi guarda interdetto, i grandi occhi ancora più allargati dallo stupore.
Non suono mai ballate. Troppo allegre. Melodie scontate.
Gli volto le spalle e sorrido come una iena.
Il primo seme è stato piantato.

Non mi faccio vedere in centrale per quasi tre lunghi giorni.
Non sono certo un esperto in strategie “sentimentali”, ma in strategie sì.
E quelle non cambiano mai, qualunque sia la loro area di applicazione.
Mando telegrafici messaggi al Detective Pivello per dare indicazioni sullo sviluppo del caso, lui risponde in maniera apparentemente formale, restituendomi informazioni utili.
Il caso si chiude con l’arresto del sospettato e altri tre complici dell’ultimo minuto: prima dell’operazione finale, non resiste e mi manda l’ultimo messaggio.
“Intervento pronto in 45 minuti.Quando potrò rivederti? Perdonami ancora una volta.”
Non lo cancello e non rispondo.
Lo farò leggere a John quando gli racconterò della singolare avventura e metterò in pratica la mia piccola, gustosa vendetta.
Ma gli eventi prendono sempre una piega inaspettata, per fortuna, e offrono sempre nuove possibilità.
La mattina successiva, sono davanti allo specchio dell’ingresso e mi sto sistemando il colletto della mia nuova camicia nera: me la liscio sul petto e sono soddisfatto di quello che vedo.
Oh, è così bello essere ME!
John passa di là per andare nel soggiorno con il caffè in mano, l’ho lasciato che dormiva almeno un’ora fa, e si ferma a guardarmi.
“Wow!” dice.
Già, wow!
“Alla buonora” rispondo infilandomi la giacca “Nuovo caso. Vieni con me?”
“Sarebbe... il mio giorno libero” mi dice indeciso “e come mai tanta eleganza per un caso?”
“Nessun motivo, i vestiti sono fatti per essere indossati” la giacca calza a pennello. Sono vanitoso e me ne compiaccio.
Perché non dovrei?
“Allora?” lo incalzo “E’ tanto che non ti diverti un po’.”
“Mmmmh.... ok. Dammi venti minuti. Che ti ha detto Greg? Di che si tratta?”
“Oh, il caso non è di Lestrade, è assegnato a Dimmock.”
“Ah, Tim.” dice casualmente “sta diventando bravo”
Tim? Timothy. Bene.
“Fai presto, John, sai quanto io detesti aspettare”

Una rapina in banca avvenuta da pochissimo.
Non ci sono vittime ma qualche ferito, ed è stato portato via un bottino incredibile in diamanti rari.
Siamo tutti e tre nella hall, tutt’intorno è un via vai di poliziotti, tecnici e addetti ai lavori.
I testimoni non feriti sono ancora lì, devono aiutare la ricostruzione degli eventi sul campo prima di andare in centrale, ed è quello che stanno facendo di fronte agli investigatori.
“Chiaramente c’è una talpa” dice Dimmock. Lo so che mi osserva con la coda dell’occhio.
“Chiaramente, Timothy”.
Avverto il suo piccolo sussulto, più interiore che esteriore.
“Tim” mi corregge.
Io lo ignoro, detesto i diminutivi.
Ma è lampante che vorrebbe più confidenza.
Avverto John che volge le iridi sospettose su di me.
Sherlock Holmes non dà confidenza. Sherlock Holmes chiama ancora Lestrade... Lestrade.
“Il complice è sicuramente tra coloro che lavorano qui: andiamo a dare un’occhiata”
Mi ci vogliono 3 minuti e 24 secondi.
Mostro uno dei badge rubati a Lestrade, guardo tutti in faccia, scambio due parole con quelli che al primo colpo mi sembrano più interessanti e poi mi soffermo a fare un’accurata scansione della 45enne in lacrime che si contorce le mani in grembo.
“Lei” dico a Dimmock “Il colpevole l’ha sedotta e poi convinta che doveva aiutarlo, che dopo questo avrebbero cambiato vita. I segni rossi sul dito mostrano che si è strappata con forza un anello dall’anulare sinistro, probabilmente lo troverete qui intorno da qualche parte: credo l’abbia lanciato via con un certa rabbia dopo essere stata abbandonata dal premuroso fidanzato e dalla sua squadra di esperti aiutanti.”
“Cosa? Cosa???” urla la donna mentre due agenti le si avvicinano.
Noi ci allontaniamo.
Percepisco alle mie spalle l’adorazione dell’ispettore.
Comincio ad annoiarmene.
E poi pensavo che questo caso sarebbe stato più stuzzicante.
Oh, certo, ora viene tutta la parte della ricerca dei fuggitivi, ma niente che io non sappia già.
Anche John è annoiato.
“Pensavo che avremmo trovato un po’ di azione, stamattina.”
“Scherzate?” Interviene Dimmock “quella cosa lì... “ e indica il gruppo dei testimoni “è stata incredibile, Sherlock.”
John mi riguarda basito.
Sherlock?
E’ interessante notare quanta forza nascondano certi piccoli dettagli.
Il ragazzino insiste. Ormai è convinto che ci sia una certa confidenza, probabilmente solo perché non ha ricevuto un pugno quando credeva di doverne avere uno.
Mi prende per un braccio, vedo John trasalire.
Io che mi faccio... agguantare?
“Andiamo allo Yard” dice “Interrogheremo la donna lì. Poi, magari, quando abbiamo finito andiamo anche a bere una birra”
Mentre mi tira via, guardo John che rimane lì rigido, in mezzo alla hall, e le sue sopracciglia aggrottate non promettono niente di buono.
Gli faccio la faccia innocente alla “cosa dovrei fare?” e gli faccio cenno con la mano di seguirci.
“Non bevo birra” dico a Timothy mentre ci allontaniamo “ma grazie lo stesso”.

“Siete diventati... amici, adesso?” esordisce John mentre siamo nel taxi.
Ha le braccia incrociate e guarda avanti. E’ stizzito.
E io voglio che lo sia.
“Amici’!” gli faccio eco mentre mi tolgo i guanti “Ti rendi conto dell’idiozia che hai appena detto?”
“Ti ha invitato per una birra? E ti fai chiamare per nome?”
Bingo.
“Anche Lestrade mi chiama per nome.”
“Lestrade ti conosce da 9 anni, e fino alla storia di Baskerville tu non sapevi nemmeno che si chiamasse Greg!”
Mi giro a guardarlo con intenzionale aria scettica.
“John, c’è qualche problema? Perché io non ne vedo.”
Si mordicchia il labbro inferiore combattuto. Si sente stupido, lo vedo. E sta chiaramente pensando di essere paranoico: sta pensando che io, da quando sto con lui, e grazie ai suoi sforzi educativi quotidiani, sono lievemente cambiato in meglio, sono più socievole, meno mostruoso, e che è una cosa buona, che in fondo lui per primo desiderava, per cui, come può lamentarsene adesso?
“No, hai ragione. Nessun problema.”

Ma poi osservo attentamente come ha cominciato a guardare Dimmock in centrale.
Il processo è in atto.
John è geloso marcio. E io gongolo.
Era così che ti sentivi quando fissavi un nuovo appuntamento e me ne rendevi partecipe con aria soddisfatta, John Watson?
E’ una sensazione nuova, inebriante.
E’ un modo di stare al centro dell’attenzione che non avevo mai provato.
Sono ricercato non per le abilità intellettive, non per risolvere casi, ma perché sono l’oggetto del desiderio di qualcuno per motivi personali, sessuali, sentimentali, e questo mi sta dando la stessa carica di quando capisco che c’è di mezzo un serial killer.
Interessante campo di ricerca.
Vediamo fin dove si può arrivare.

La sera stessa, la scena del vicolo quasi si ripete.
Ma stasera non va bene, stasera il mio umore è improvvisamente cambiato, come spesso accade.
Siamo al sulla riva ovest del fiume, nascosti in una zona mercantile in disuso.
Le indagini sulla rapina in banca hanno portato qui: grazie alla tempestiva identificazione della donna e alla sua testimonianza, ho facilmente compreso i loro piani e non hanno fatto in tempo a lasciare la città, che si è serrata attorno a loro. Sono qui da qualche parte.
Ci siamo divisi: John, da sempre appassionato di caccia grossa, ha tirato fuori la pistola con aria eccitata e si è unito ad un altro gruppo di uomini in perlustrazione, in apparenza dimenticandosi della faccenda.
Io e Timothy, ormai è Timothy, siamo dietro un grosso tubo di cemento e aspettiamo che i reparti speciali facciano irruzione.
Siamo abbastanza lontani dal deposito in cui presumibilmente si è nascosta la banda, ma stasera non mi interessa partecipare attivamente alla cattura, so che ogni tanto John ne ha bisogno più di me.
Timothy è seduto accanto a me e armeggia con la trasmittente con la quale segue l’azione, ma non tanto “casualmente” da non farmi notare che mi si è avvicinato.
Io continuo a digitare sullo smartphone, cercando di visualizzare una decente mappa satellitare del luogo.
Ho l’impressione di essermi cacciato in qualche guaio.
Sto ripensando a John, alla sua faccia di stamattina, e credo che quello che ho fatto sia... non buono.
Il suo modo di guardarmi mi ha fatto percepire una specie di “anteprima del dolore”.
Perché dovrei fargli questo?
Perché io sono io?
In altri tempi questo concetto sarebbe bastato: oggi, invece, mi frena, e il mio infantile entusiasmo di fronte ai giochini di manipolazione lascia il posto ad una perplessità nuova e decisamente sgradevole.
Perché sto facendo questo a John?
Ho la netta sensazione che non sarei dovuto rimanere qui con Dimmock, ma fino a qualche minuto fa non ci stavo neanche pensando, preso dagli sviluppi del caso.
La... curiosità che mi aveva stimolato fino a poche ore fa si è all’improvviso sgonfiata.
E’ svanita e basta.
Mi sento a disagio, ed è una sensazione per me rara. Brutta.
Spero che l’azione termini presto e che io me ne possa andare di qui.
Dopo qualche minuto di silenzio, l’ispettore trova il coraggio per parlare e nell’oscurità non può vedere i miei occhi esasperati sollevarsi al cielo.
“Ho saputo” esordisce, poi tace.
Ecco una cosa che odio più della mancanza di casi: quando qualcuno crede di interessarmi dicendo una frase del genere e sperando che io dica “cosa?”.
Non lo dico.
Sento che si raschia la gola per trovare più coraggio.
“Di te e di John Watson.”
“Mmh” mugugno mentre continuo a guardare lo schermo. Qualunque cosa io voglia dire, e non lo so perché sto ponendo attenzione alle mappe, lui la interpreta come un “vai avanti”.
“... che non siete solo coinquilini” ha di nuovo quel tono vagamente imbarazzato, ma si sente che si vuol fare forza.
“Non è un segreto per nessuno” dico finalmente, altrimenti non la smetterà mai.
“Allora avevo ragione su di te” striscia col sedere sull’asfalto su cui siamo seduti, la schiena sempre appoggiata al tubo di cemento, e si avvicina di più.
La sua spalla tocca la mia.
Non mi piace essere toccato da chiunque in circostanze simili, soprattutto se non voglio.
Mi rende nervoso, mi fa chiudere la gola.
Da tutta la vita posso ragionevolmente imputare il fenomeno al mio essere un Sociopatico ad Alto Funzionamento, ma il saperlo ha mai aiutato a superarlo, in ogni modo.
Solo John può toccarmi. In una certa misura, e non di sicuro in maniera... intima, anche Mycroft.
L’altro giorno, nel vicolo, era una specie di scherzo, adesso non lo è.
Mi irrigidisco.
“Dipende in cosa credevi di aver ragione”
Si gira verso di me. Io lo seguo con la coda dell’occhio.
“Non ho speranza? Sherlock... se ti chiedo di vederci... da soli...”
“No, certo che no”
Ora sono definitivamente sicuro di aver combinato un guaio, e non so come uscirne.
Imbarazzante.
Ohibò, per lo meno immagino che questa sensazione...non confortevole sia imbarazzo.
“L’altro giorno non mi è sembrato ti dispiacesse del tutto”
“Ti sei sbagliato”
Un piccolo suono mi annuncia che ho trovato la mappa.
Timothy mi afferra per un braccio e avvicina la sua faccia alla mia. Io mi ritraggo ma ormai ce l’ho a cinque centimetri di distanza.
“Non era quella la mia sensazione. Sherlock, ti supplico... una volta sola. Non faccio che pensare a te.!”
Accidenti, se ha preso coraggio!
E’ aggressivo e non impacciato come nel vicolo: mi sento all’angolo. Completamente congelato.
Questa cosa mi sbilancia, non la so gestire.
Nel vicolo ero io ad avere il controllo grazie alla sua insicurezza, stasera il controllo non l’ho più.
Lui è CONVINTO di quello che fa.
Cosa devo fare? Spingerlo via? Urlare? Disprezzarlo?
Vorrei fare tutte e tre le cose nello stesso momento, ma la verità è che non riesco a muovere un muscolo, ho... come dire? Paura?
Sento l’aria attorno a me che si fa sottile come una lama, i sensi che si amplificano, il cuore che prende un ritmo veloce e rimbomba cavernoso nello sterno, e sono cosciente all’improvviso che La mia condizione clinica sta per scatenarsi.
I soggetti ad Alto Funzionamento come me sono spesso caratterizzati da queste manifestazioni: di fronte agli approcci intimi aggressivi da parte di gente sconosciuta o ritenuta ostile, possono reagire nelle maniere più disparate e violente.
Nel mio caso, per quanto incredibile possa essere, io non riesco a reagire affatto.
Sono cosciente che non stia accadendo nulla di fisicamente pericoloso per la mia incolumità e che il mio imminente attacco di panico sia del tutto ingiustificato, ma non posso farci niente... o non sarei annoverato fra questi soggetti.
Ovviamente, come spesso è accaduto in questi giorni, il mio silenzio viene preso per incoraggiamento.
E il mio respiro accelerato viene preso per eccitazione.
Invece è terrore.
“Una volta sola, incontriamoci a casa mia una volta sola... ti farò vedere...” mi ripete sussurrando mentre mi viene addosso e cerca di baciarmi di nuovo, ma stavolta mi scanso, frappongo le mani tra di noi, lascio cadere il telefono. Sudo freddo.  
“No, basta, non mi interessa, ti ho detto!”
Riesco a tenerlo lontano con le mani quanto basta per impedirgli di baciarmi, ma non  riesco a intraprendere un’azione chiara e decisa, e non mi capacito di come NON CAPISCA!
E poi il fascio di luce di una torcia elettrica ci investe.
E la voce di John, in apparenza calma e impostata ma in realtà carica di una vibrante, sotterranea furia che solo io riesco a percepire, dice “che sta succedendo qui?”
Dimmock si gira verso di lui spaventato, colpito in pieno viso dal fascio di luce, e si allontana bruscamente.
Ora la luce è puntata nei miei occhi spalancati.
Credo di essere molto pallido. Respiro con affanno, velocissimo, ma non riesco a far entrare abbastanza aria nei polmoni.
John si precipita verso di me e mi si inginocchia davanti.
Lui capisce sempre con uno sguardo.
“Sherlock, stai calmo, è tutto ok.... respira e calmati”. 
lo ripete come un mantra e le sue mani calde mi tengono per le spalle mentre io cerco di riprendere colore.
Ho la testa bassa ma percepisco il suo volgersi verso Dimmock. Posso immaginare l’espressione del suo viso deformata dall’ira.
“Che stavi facendo, imbecille?”
“Niente, John.... io non... davvero... parlavamo!”
“Non puoi toccarlo impunemente, nessuno può. Sparisci o ti ammazzo, idiota!”
La voce di John è un ringhio sommesso e perentorio.
In quel momento la ricetrasmittente gracchia e qualcuno comunica che hanno fatto irruzione. Sento lo spostamento d’aria che crea Dimmock alzandosi velocissimo e correndo via.
John mi abbraccia con cautela, io appoggio la fronte sul suo petto e riesco a rallentare il respiro, finalmente.
Oh, John.

Tornando verso casa non parliamo.
Io sono chiuso nel mio mutismo più ferreo, John non fa domande. Sa che arriverà il momento giusto, e che non è questo.
Nessuno mi conosce come lui.
Nessuno può nemmeno lontanamente avvicinarsi a tutto quello che è lui.
Cosa cercavo di dimostrare?
Cosa volevo... sperimentare?
Sono un assurdo strambo che fa cose anormali: devo dare ragione a Donovan, stasera.

“Tu... COSA???”
Più o meno un paio d’ore dopo ho ritrovato me stesso nel mio soggiorno, ranicchiato sulla mia poltrona, davanti a una tazza di thè.
E devo confessare, purtroppo.
John era seduto fino a un minuto fa, ma ora è balzato in piedi e stringe i pugni.
Voglio mantenere un’aura di superiorità, ma sento che la forzatura nella mia voce stona.
“Non è questa grande tragedia!”
“COSA???”
John mi si avvicina di più, io sostengo il suo sguardo con fierezza.
“Ti sei fatto... gli hai permesso di... baciarti???”
E’ furibondo. Fuori di sè.
“E perché MAI, sentiamo!”
Io mi rischiaro un po’ la gola. In realtà sono spaventato. Non è salutare avere John arrabbiato intorno.
“Nessun motivo in particolare, mi ha colto alla sprovvista.”
“E allora perché stasera ci ha riprovato???”
“Perché è evidentemente un idiota!”
“Un idiota che tu hai incoraggiato, signor.... camicia attillata! Non credere che io sia cieco! Timothy??? Da quando in qua chiami per nome la gente che ritieni inferiore? Magari dopo ci prendiamo anche una birra!” scimmiotta Dimmock per un attimo con un’imitazione nasale della sua voce, poi torna furioso “ci mancava solo che ti mettesse una mano sul culo DAVANTI A ME!”
“Ero... ero lusingato, sì!”
Ammetto guardandolo con aria di sfida. Forse volevo arrivare esattamente a questo.
Alla prima scenata di gelosia della mia vita.
Sento il formicolio dell’eccitazione che comincia a salirmi dalle gambe.
E’... divertente, in un certo senso. Però mi fa anche essere molto teso.
“Lusingato??? Ti strozzo con le mie mani, quant’è vero Iddio!”
Mi alzo anche io di scatto e lo sovrasto.
“Te lo sto raccontando o no? Dovrebbe dimostrare la mia buona fede!”
“Me lo avresti dovuto raccontare IL GIORNO STESSO! Questo si chiama TRADIRE!”
John sta urlando.
“Mi hai... mi hai praticamente... tradito!” mi guarda esterrefatto.
Io non so di cosa stia parlando.
“Cosa???”
“Ti piace?”
“Cosa, John??? Ma che dici?”
“Ti piace? Lo trovi... attraente?”
“No! Ma certo che no! Cosa ti viene in mente???”
“Possibile... possibile mai che tu NON CAPISCA???” si tocca le tempie con le dita  per sottolineare il concetto “Queste cose NON si fanno tanto per farle, Sherlock, c’è sempre un motivo!”
“Il motivo in questo caso non esiste!”
“Il motivo è che quel tizio ti PIACE!”
“No! ti ho raccontato com’è andata senza tralasciare il minimo particolare, io non ho  fatto NIENTE!”
“Tranne che ASSECONDARLO, MI SEMBRA!”
Sta urlando di nuovo.
Eh sì, ho fatto decisamente qualcosa di grave. Come la aggiusto, adesso?
“Era... curiosità! Volevo vedere come avresti reagito tu” ammetto stizzito.
John mi guarda sconvolto.
Giurerei che vuole picchiarmi.
“Un... esperimento?”
“Chiamalo così, se vuoi” mi sento arrabbiato in maniera infantile “nulla che abbia a che vedere con quell’individuo in quanto tale!”
“Viviamo insieme da non so quanto tempo e TU FAI ESPERIMENTI DI GELOSIA CON ME? Volevi vedere fino a che punto mi potessi imbestialire? Ecco, sei accontentato!”
Si allontana a grandi passi e va a prendere la giacca.
Oh, no.
No, no, no. Questo no.
Lo inseguo e lo trattengo per un braccio.
“John, non farlo, resta qui! Non è una reazione intelligente!”
Mi guarda con gli occhi a fessura.
“Intelligente??? Lasciami o giuro che ti dò un pugno.”
Ok. E’ abbastanza.
Scatto anche io.
“Io non facevo così quando mi spiattellavi tutti i tuoi appuntamenti sotto il naso! Impara da me!”
“Cosa?” si irrigidisce “che paragone stai facendo? Tu sei fuori di testa!”
“Un paragone calzante, direi.”
Si trattiene per un attimo, strofinandosi il mento con le dita.
“Oh, è da te. Questa cosa è perfettamente da te. Potrei perfino crederti. Se non fosse che NON ti credo.”
“Stavo avendo un attacco di panico, come fai a NON CREDERMI?”
“Vuoi dire davvero che ti stavi vendicando dei miei appuntamenti passati? Ma ti ascolti quando parli?”
Siamo nell’ingresso. Io incrocio le braccia e mi sento messo in castigo.
Non so se esplodere e andarmene io di casa o mettere il broncio.
Metto il broncio.
“Non avevi un minimo di riguardo per me!”
John ride.
La sua migliore risata sarcastica. Però gli brillano gli occhi. Quanto amo quegli occhi!
“Sherlock, stai parlando di una vita fa! Non c’era niente tra noi!”
Oh. Questo fa male.
Mi mordo il labbro inferiore, come mi dice faccio sempre quando sento cose come... questa.
Sospiro. Abbasso le spalle e la smetto di fare l’impettito.
“Certo che c’era.” lo fisso e mi sento sconfitto “è che, come sempre, tu guardavi ma non osservavi.”
Lo lascio lì e torno in soggiorno. Mi fermo davanti alla finestra.
Sento che mi arriva alle spalle e si ferma poco dietro di me.
“Sherlock...”
La sua voce ora è bassa. Calma.
“E’ davvero... per questo?”
Guardo il palazzo di fronte. Le finestre illuminate nella sera, le ombre delle persone dietro le tende tirate. Cosa vuol dire essere normale? Sentire le cose come una persona normale? Io non le sento per niente, o le sento... troppo. Troppo e tutte insieme. Come adesso.
Non va bene. Fa male. Come John.
Mi fa fare cose che non mi piacciono.
Stupidaggini.
Odio le stupidaggini.
“Ma certo che è per questo” continua da quasi parlando a sé stesso “su queste cose non sei molto furbo.”
“No, non lo sono. Ho combinato un pasticcio.”
Trascorre qualche istante di silenzio. Percepisco dal suo lungo sospiro la rabbia cieca forse sta lasciando il posto ad una specie di indulgenza.
Mi giro piano e lui mi guarda paziente, le mani sui fianchi.
“Ok. Hai fatto casino. Niente che non possiamo aggiustare, credo. Ma forse ci sono ancora due o tre cose che ti devono essere spiegate sull’argomento.”

Durante la notte sono sveglio.
Ho gli occhi spalancati nel buio e ripasso mentalmente le cose che mi ha spiegato John, alla cui schiena sono letteralmente avvinghiato come se temessi che si smaterializzi dalle mie braccia. Respiro nei suoi capelli.
Ricapitolando:
Non si gioca coi sentimenti altrui (qualunque cosa ciò voglia dire), in questo caso quelli di Dimmock.
Non si fanno esperimenti su roba affettiva in generale che riguardi John e, se me viene voglia, devo prima parlarne con lui.
Si dice sempre la verità. Non si nascondono le cose.
Sentirsi adulati e lusingati non autorizza a farsi mettere le mani addosso.
Si accetta un caso solo se il titolare è Lestrade.

Su questo punto è stato irremovibile. Epurazione totale di Dimmock. Ha detto che se lo rivede a meno di 5 metri da me, gli fa la pelle. Sono abbastanza propenso a crederci, se lo dice uno che ha preso a pugni un procuratore generale che mi ha chiamato “strambo” dopo avermi arrestato.
Mi sento sollevato in maniera commovente.
Stringo John di più e sento che mugola nel sonno, forse ho stretto troppo.
Ma se solo sapesse della necessità imperante, assoluta che ho di tenerlo con me, addosso a me, e che, se potessi, lo ingloberei, lo assorbirei interamente nel mio corpo, in tutte le mie cellule.
Stasera gliel’ho detto tante volte, mentre facevamo l’amore.
Che lo amo, voglio dire. Ma non so se riesca a capire cosa intendo veramente.
Io che ogni giorno guardo il mondo in maniera così chiara, violenta, affilata... che sento tutto, e quando dico tutto, intendo Tutto, e Tutto mi ritorna negli occhi e nel cervello in modo così potente, così universale, così insostenibile per un normale essere umano, come faccio a spiegargli che lo amo in questo modo?
Che non è nemmeno amore, ma è caos/ordine, buio/luce, equilibrio/squilibrio... perfezione?
Sono perso senza John. Perso come un’asteroide nello spazio. Condannato a un viaggio senza scopo.
Non so come ho fatto in quei lunghi mesi in cui ho dovuto fingere la mia morte. O meglio, lo so. Le droghe non mi sono mancate.
Adesso sono più sveglio e lucido che mai, e ho imparato un’altra piccola cosa.
Che John non è la mia parte umana, come dicono tutti.
Quello con il cuore, contrapposto allo strambo con il cervello.
No, John è più intelligente di me.
Perché è l’unico sulla Terra che abbia capito come sono fatto veramente, e solo uno più scaltro, metodico e istintivo di me ci poteva riuscire.
E io amo sentirmi più stupido di lui, perché non è vero che sia sempre bello essere me: in questo momento vorrei essere lui, per esempio, e dormire beato, sapendo che è tutto ok.
Ma non è tutto ok.
Si stancherà, prima o poi. Perché è quello io che faccio fare alla gente.
Magari, però, non ci penso stanotte.


















 




































 
  
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