Ventisei
modi per volersi bene
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- 26 lettere per dire ti amo",
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Zelante,
fastidioso, svicolone, scansafatiche. Kurogane faticava ad immaginare
un compagno di viaggio più insopportabile del mago, qualcuno
di più incompatibile al suo carattere rude e schietto e
odiosamente sincero. Ben presto però capì che si
sbagliava: Fay era sicuramente una persona zelante, fastidiosa,
svicolona e scansafatiche, ma i loro caratteri, in qualche strano
modo, sapevano combaciare alla perfezione.
“YUKO-SAN,
ORA BASTA, E' LA QUARTA BOTTIGLIA DI SAKE'!” sentì
gridare dalla bocca di Mokona, mentre la terribile e misteriosa
Strega delle Dimensioni sghignazzava in maniera piuttosto subdola
brindando alla loro salute. E Kurogane proprio non poté fare a
meno di pensare che, sebbene quell'ubriacone del mago fosse un
soggetto quantomai molesto ogni volta che si attaccava al bicchiere,
tuttosommato poteva andargli peggio. Perlomeno non era un
despota.
X,
una grossa X rossa sulla porta. A Fay era sembrato il modo più
intelligente per far capire ai bambini che quella sera proprio non
dovevano disturbarli, sicuro che il suo significato fosse chiaro,
anche se aveva sopravvalutato la perspicacia della principessa.
Dovettero trattenere una risata quando li sentirono passare davanti
alla stanza, e la vocetta di Sakura esclamò “Oh! Che si
siano presi l'influenza?”.
Per fortuna ci aveva pensato la
polpetta a portarla via da lì.
Watanuki
Kimihiro era di certo cambiato dall'ultima volta che l'aveva visto;
non si esibiva più in urla stridule, teatrali polemiche e
sciocche lamentele. Mentre li accoglieva nel suo negozio, con quello
sguardo fastidiosamente familiare di chi tanto sa e poco dice, il
ninja capì che nulla è destinato a rimanere uguale,
nemmeno -e soprattutto- chi è costretto a restar rinchiuso
nello stesso luogo per tutta la vita. Ma nel momento in cui le due
manju presero a rincorrersi, saltellando di qua e di là e
invocando i loro mammina
e paparino,
la
nota di nostalgia che passò attraverso gli occhi del ragazzo
gli ricordò che, in fondo, ci sono cose che cercano di
rimanere sempre le stesse.
“Vestiti,
Kuro-chan, o prenderai freddo.” gli aveva detto una sera Fay,
indugiando a guardarlo un po' oltre il consentito, non appena il
ninja venne fuori dalla vasca. Era una vera fortuna che Kurogane
capisse così bene il mago, da saper interpretare alla giusta
maniera le sue -per niente consone- richieste; e anche che conoscesse
modi per riscaldarsi assai più interessanti dei vestiti.
Un
tempo avrebbe dato qualsiasi cosa perchè quell'imbecille si
fosse messo in testa di portargli un po' di rispetto e finirla con
quegli insopportabili soprannomi; ma adesso, mentre guardava Fay
chiudergli la porta in faccia con un gelido “Buonanotte,
Kurogane”,
il ninja riuscì a pensare solo che c'era qualcosa di
terribilmente sbagliato nel suo nome pronunciato da lui.
Tagliare
le verdure non era proprio simile a tagliar gole, sebbene Fay
l'avesse piazzato in quella postazione perchè affettare era
l'unica capacità culinaria che possedeva. Ma stringendo sedani
e carote tra le dita, e sforzandosi di sminuzzarli in piccoli dadini
per il soffritto, fu quasi inevitabile per Kurogane ferirsi
all'indice; e quando il mago notò le piccole gocce di sangue
che sporcavano il tagliere, si sentì orribilmente colpevole.
Come se avesse spinto il ninja, ancora una volta, a tagliare un'altra
parte di sé.
Shaoran
e Sakura, anche se erano due bambini (i loro
due bambini), avevano insegnato a Fay e Kurogane quanto devastante e
tragico e assolutamente meraviglioso potesse essere il vero amore. E
loro, che con l'amore avevano un conto in sospeso che durava da tutta
la vita, dopo tanto tempo capirono che le seconde possibilità
vanno concesse a tutti. Anche ai sentimenti.
Ritrovarsi
soli nel regno degli Yasha fu strano. Guardandosi negli occhi,
entrambi seppero di aver desiderato un momento che fosse solo loro
per tutto il tempo; anche se, più che un momento, quelli
furono sei lunghi mesi trascorsi come una parentesi lontana della
loro vita. Non poter comunicare a parole evitò loro una serie
di imbarazzanti formalità dettate dalle regole della
convivenza: ma si dissero comunque tante cose, cose importanti, che
non avevano certo bisogno di voce per farsi spiegare.
Quando
la bocca di Fay si appoggiò al suo polso per la prima volta,
Kurogane sentì la necessità di distogliere lo sguardo.
Un po' perchè non voleva interferire in un attimo di tale
intimità, un po' perchè quella fessura dorata, affilata
e sottile, non gli ricordava per niente i grandi occhi azzurri a cui
era abituato. Un po', si disse infine, perchè la sua lingua
sulla pelle gli dava una sensazione che proprio non sapeva spiegarsi,
-e forse era meglio rimanere nel dubbio.
“Perdonami.”
Fay l'aveva sussurrato a mezza voce, guardandolo dritto negli occhi,
con un sorriso che non aveva niente a che fare con la solita
maschera. Era un sorriso vero, quello, un sorriso incredibile e
doloroso: un sorriso bellissimo, di chi è finalmente vicino al
proprio scopo, di chi non ha più nulla da perdere. Il suo era
un sorriso che abbracciava la morte.
Kurogane lo odiò, odiò
Fay e quel sorriso, odiò il suo desiderio disperato di
smettere di lottare e andare oltre; e mentre supplicava la strega di
salvarlo, decise che se il mago non era abbastanza forte per farlo,
avrebbe lottato lui per entrambi.
Ogni
notte si distendevano l'uno affianco all'altro, e anche se erano
troppo stanchi per fare l'amore, bastava stringersi un po' sotto le
lenzuola per sentirsi più uniti che mai. Per loro,
continuamente costretti a fuggire da un mondo all'altro, serviva solo
quell'abbraccio per tornare finalmente a casa.
Non
avrebbe mai immaginato quanto potesse far male un pugno di Fay in
pieno viso, con quei braccini esili che si ritrovava; ma in fondo, la
forza fisica era solo una delle tante cose che gli aveva sempre
tenuto nascoste. Dopo tante lacrime, dolore, sacrifici e sangue,
Kurogane non chiedeva niente di meglio che un colpo in faccia per
ripristinare il naturale ordine delle cose. A dir la verità,
non fu mai così felice di ricevere un pugno come quella
mattina, al castello di Shirasagi del regno di Nihon.
Mentre
la lama affondava nel corpo del suo amato, pazzo Re, Fay dovette fare
una scelta: odiare Kurogane per avergli strappato via l'ultimo
frammento del suo passato, o amarlo, per averlo liberato da esso.
Diede la sua risposta quando donò tutto ciò che
possedeva, incluso sé stesso, per concedergli una via di fuga
da quel folle mondo in distruzione.
La
Principessa Tomoyo aveva donato tutto per dar loro una possibilità.
In quella strana storia erano rimaste implicate davvero un sacco di
persone; streghe, stregoni, cloni, maghi, vampiri, regnanti, sudditi,
buoni, cattivi. L'unica cosa che tutti loro avevano in comune, era il
desiderio di prender parte ad un futuro incredibile, quello che
girava intorno ai due ragazzini. Ogni tanto Fay pensava che era stata
una vera sfortuna rientrare nei piani di quello strambo destino: ma
poi pensava a Kurogane, e si diceva che non avrebbe cambiato la
propria storia per nulla al mondo.
Kuro-chan,
Kuro-pii, Kuro-pon, Kuro-nya, Kuro-sama, Kuro-tan, Kuro-rin,
Kuro-myuu, Kuro-wan, Kuro-wanwan, Kuro-wanko, Kuro-wankoro,
Kuro-poppo, Kuro-pippi, Kuro-pippi il Carpentiere, Uomo Nero,
Paparino, Cagnolone. Ogni volta che inseguiva Fay con la spada per
aria menando le mani, la trafila di insopportabili soprannomi gli
scorreva irrisoria davanti agli occhi; e l'unica cosa che Kurogane
riusciva a pensare era che no, non lo trovava affatto divertente.
Jingle
Bells
era probabilmente una delle canzoni più insopportabili mai
sentite finora, senza escludere le urla da gallina strozzata che
provenivano dal bagno ogni qual volta Fay si faceva una doccia. Non
capiva proprio le stramberie di certi mondi, come i festeggiamenti
natalizi provenienti dalla dimensione della Strega: ma il mago aveva
preso molto a cuore tutta la faccenda del Natale, e un giorno si era
messo a decorare la loro stanzetta d'albergo con addobbi del tutto
improbabili, sostenendo che, da qualche parte nell'Universo, poteva
pure essere il 25 dicembre. E canticchiando insensati motivetti che
parlavano di slitte, renne e campane.
Il
primo bacio che si diedero lo fecero senza ripensamenti: era un bacio
meravigliosamente tragico e senza alcuna speranza, di chi non sa se
vivrà abbastanza a lungo per avere una seconda occasione.
Probabilmente in circostanze diverse non avrebbero osato mai
oltrepassare quella linea, la strana linea del loro incerto rapporto
d'amicizia: ma si sa, quando si è ad un passo dalla morte, si
tende a commettere qualche follia. Kurogane e Fay non se ne pentirono
mai.
Hanshin
era stato il loro primo mondo, e l'inizio di tutto quello strano
viaggio; quando ancora non sentiva tutta quella protettività
nei confronti del ragazzo, quando ancora non lasciava la polpettina
accoccolarsi dentro al suo cappotto, quando ancora non vegliava sul
sonno della Principessa, e quando ancora non teneva, in maniera
irragionevole e perfino ossessiva, alla vita del mago. Ma la prima
notte del loro viaggio, lì nella Repubblica di Hanshin, la
passò in camera con Fay: e il suo primo sorriso spuntò
fuori proprio guardando quel biondino tutto pelle e ossa che dormiva
a pancia in giù, con la testa affondata nel cuscino, ronfando
come un grosso gattone pigro sul futon.
Giocare
e fare il finto tonto era indubbiamente lo sport preferito di Fay, ma
Kurogane sapeva essere un rivale piuttosto ostinato. Ogni qual volta
il mago non rispondeva alle sue domande, il ninja gli si avvicinava
di un passo in più, segretamente felice di mandare il biondino
nel pallone -lui e tutte le sue stupide menzogne. Non sarebbe certo
stato un po' di silenzio a tenerlo lontano da lui.
Fay,
dopo la fuga dal regno di Celes, si chiese molte volte come l'avrebbe
chiamato d'ora in poi Kurogane. L'idea che potesse chiamarlo Yuui lo
terrorizzava, e allo stesso tempo si sentiva un bugiardo ad indossare
ancora quel suo nome, ora che ogni maschera era stata tolta. Quando
poi una mattina sentì la voce rude del ninja mormorare il suo
solito “Oi, mago!”, smise di farsi tanti problemi.
Sarebbe andato tutto bene.
Era
un giorno piovoso, quando Kurogane gli diede un bacio sulla tempia e
lo strinse tra le braccia -con quel braccio di metallo freddo, che
gli regalava sempre piacevoli brividini sulla schiena-.
“Quando
questo viaggio finirà, tu verrai a Nihon con me”, aveva
detto. Non era una domanda, e Fay lo ringraziò di questo,
perchè in quel caso si sarebbe per forza messo a piangere
prima di riuscire a dir di sì.
Dolci
di tutti i tipi affollavano la cucina: torte al cioccolato, torte
alla frutta, torte alla crema, torte gelato, meringhe, praline,
biscotti, bidoncini di zabaione, crostatine di marmellata, bigné
dai mille ripieni, croassant appena sfornati. Fay aveva passato tutta
la notte sui fornelli, ed era chiaro quanto ci tenesse a fargli
assaggiare ognuna di quelle sue prelibatezze; aveva le guance ancora
sporche di panna montata, uno sguardo terribilmente criminale negli
occhi, e addosso portava il grembiule (e nient'altro). Quella mattina
Kurogane assaggiò in maniera piuttosto approfondita tutto ciò
che il mago aveva da offrirgli.
Celes
era un mondo strano. Un mondo freddo, di quel freddo che ti entra
nelle ossa e congela il cuore, un mondo disturbato, come se la quiete
conservata per tanto tempo dalla sua gente fosse stata esageratamente
fragile e precaria, sgretolata troppo facilmente dal seme della
follia. Nonostante questo, Kurogane non riusciva ad odiare quel mondo
di morte in rovina; per quanto lo trovasse inquietante e diabolico,
sarebbe rimasta per sempre una triste immagine legata a Fay, e lui,
ormai lo sapeva, non poteva odiare proprio niente che riguardasse il
suo mago.
Ballavano
stretti, spensierati come per tanto tempo non erano stati. Fay si
chiese a lungo da dove provenisse quella sua felicità: forse
dalla sensazione dei piedi nudi sulla sabbia, o dal calore del falò
scoppiettante, o dalle lucine del fuoco che baluginavano sul mare.
Forse erano i suoi occhi, forse erano le sue labbra, o forse quelle
mani grandi da guerriero, che lo stringevano con la promessa di
proteggerlo sempre, qualunque cosa fosse accaduto.
O forse, molto
più semplicemente, era la felicità di Kurogane a
rendere felice anche lui.
Amore.
C'era amore nei loro occhi, un amore assurdo e insano, di quelli
fatalmente vicini alla dipendenza.
Era un amore pericoloso,
quello di Kurogane e Fay, perchè, come tutti gli amori più
intensi, andava di pari passo con la morte. Era un amore di quelli
talmente palesi da non aver bisogno di parole, che si dichiarava con
pagamenti di sangue e braccia tranciate, e che faceva male e faceva
piangere. Era un amore che costava tantissimo, e a dirlo era stata
una strega che di prezzi se ne intendeva. Ma a Kurogane e Fay,
dopotutto, non importava.
L'importante era stare insieme, per
amarsi ancora un altro po'.