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Autore: TheZombieHunter    28/04/2012    1 recensioni
Un breve spinoff che sfrutta i vari gap narrativi all'interno della storia splendidamente costruita di FMA, ambientata nel campo di battaglia lasciato al concludersi della guerra civile di Ishval. Premetto che, come di consueto, un primo tentativo sarà sempre e comunque un'acerba e rugginosa parodia delle sperimentazioni future. Tuttavia mi piace scrivere, di qualsiasi cosa. Non mi sono mai visto a tutti gli effetti nel recludere quello che scrivo nei termini della fanfiction, ho sempre pensato che fosse troppo restrittivo. Nondimeno, potrei essermi sbagliato io- tendendo a fare racconti brevi di una ventina di pagine, verto verso un'elefantiasi letteraria senza precedenti. Ma bando alle ciance, spero che questo breve prologo possa interessarvi. Un racconto lungo, dice lo scrittore, è come una storia d'amore.
Un racconto breve è come un bacio inatteso. E vediamo dove questo bacio può portare.
Genere: Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Lust
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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I corvi volteggiavano sopra le rovine.

Il trascorrere dei giorni, anche molto dopo il ritiro dei compartimenti d'assalto, era stato impietoso, e tracce della truculenta vessazione portata fin dentro le strade e i vicoli erano visibili sin dalle colline di sabbia finissima tutto attorno al perimetro urbano.

La donna osservava con impietosa tranquillità quel paesaggio di devastazione, la visuale sfalsata dal continuo rollare e sobbalzare della carrozza. Sembrava che niente riuscisse a turbarla: non la sabbia vetrificata dove i cani dell'Esercito avevano usato esplosioni e fiamme al calor bianco, non i corpi carbonizzati di uomini e esseri chimerici assieme, accatastati in un'improbabile pira funeraria, non le chiazze di sangue coagulato sui muri.

"Un memento di tutto rispetto alla fragilità degli uomini." sussurrò con una nota di divertito sarcasmo la donna dai capelli corvini, le infiltrazioni di luce spezzate dalla tenda del finestrino che danzavano ritimicamente sul tatuaggio a forma di Ouroboro istoriato sulla candida carnagione del suo plesso solare, dolcemente carezzato dai caelli neri e fluenti come inchiostro.

Gli occhi di lei dardeggiavano sul paesaggio esterno, cogliendo sprazzi di incubi a mano a mano che la carrozza procedeva lenta attraverso le vie della città. All'inizio, per l'Homunculus, era stato quasi un piccolo gioco perverso osservare le scene di devastazione e dolore causate dalla fitta rete di menzogne che aveva portato alla guerra civile di Ishval, quella trama impalpabile eppure inestricabile, tesa come una tela di ragno, in cui mezza nazione (Compresi diversi capi di stato) erano rimasti invischiati.

La ragnatela di menzogne del Padre.

"No", ricordò di aver sussurrato a sè stessa Lust "La -mia- ragnatela." E all'inizio del tragitto per quei vicoli scalcinati e forieri di oscuri presagi, questo pensiero gli aveva procurato una certa qual dose di sadica soddisfazione.

Ora, però, un peso sensibile sembrava essersi impadronito di quella sensazione, che metro dopo metro sembrava sempre più cenere fredda dentro un focolare.

Accumulando frammenti di incubo su frammenti di incubo, mentre percorreva quei viottoli devastati e ancora pieni di cadaveri, Lust sentiva crescere dentro di sè un senso di pesantezza, avvinghiato alla sua Pietra come una tenia, che sembrava divenire più gravosa ad ogni passo.

Tutti quei volti bruciati, privi ormai di quello sguardo dalle iridi rosse che tante volte aveva incrociato, sembravano fissarla dalle orbite vuote. La donna si chiese se quei cadaveri non potessero vederla, in qualche modo. Accusarla, finanche.

La morsa intorno al suo petto si fece più violenta quando tentò di quantificare il numero di morti che aveva visto dall'entrata in città. La sola immagine di tutte quelle orbite vuote si accumulò come una terribile sequenza di cinematografo- migliaia di morti condensati in una singola immagine. Un'immagine che la guardava con vacui spazi sul nulla, accusandola silenziosamente.

 

Lust scosse la testa, decidendo che quel peso attorno al petto probabilmente poteva essere ricondotto a quel sentimento noto agli umani come "noia." Avvicinò le labbra carnose a un sottile tubo di rame provvisto di uno strombo all'estremità, che comunicava con l'esterno della carrozza. Con tono mellifluo, ma al contempo traspirante una nota di disdegno sensibile, sussurrò "Gluttony, sprona quelle bestie. Questi vicoli non sono più divertenti."Detto questo, si concesse di rilassare la schiena sul sedile in pelle, tendendo lentamente i muscoli dorsali e poi ravviando i capelli con le mani, che ricaddero sopra la spalla destra come una cascata di puro buio.

 

Tuttavia, la carrozza si fermò. Sensibilmente scocciata, Lust roteò gli occhi nelle orbite e parlò di nuovo, questa volta con un tono intriso di vetriolo, icon voce abbastanza alta da non aver nemmeno bisogno di avvicinarsi a quel rudimentale interfono."Gluttony, non mi pare di averti detto di fermarti."

 

la voce, simile a quella di un bambino, arrivò dall'interfono, tremolando di eccitazione.

"Lust...q-qui ce n'è uno v-vivo... p-posso-"

 

"NO, Gluttony. Te ne prego." Il tono era ferreo, ma discendeva quasi in una supplica materna. Gluttony non poteva essere preso se non con le pinze, la sua mente infantile non avrebbe saputo rapportarsi ad altro che a un tono cortese da parte sua. Tuttavia, sembrava che qualcosa fosse davvero in mezzo alla strada.

Qualcuno, per essere precisi.

Un ishvaliano dai capelli biancastri, la faccia orribilmente deturpata da due profonde cicatrici, avanzava verso la carrozza. Il suo corpo, solido e teso come quello di un cane da caccia, era coperto di piccoli graffi e ustioni di lieve entità. La cosa che però colpì Lust fu il suo braccio destro.

Simboli dell'Alkhaestri.

Un sorriso si allargò lentamente sul volto candido di Lust, mentre osservava l'Ishvaliano arrancare verso la carrozza, coperto dalla tempesta di sabbia incombente solo da un poncho lacero e un paio di brache nere. Evidentemente un sopravvissuto.

 

"Uno di quelli che potrebbero servirci." sussurrò a sè stessa la donna, riaggiustando la sua pettinatura sul retro e drappeggiando attorno al suo collo uno scialle rosso, in modo da nascondere il simbolo che marcava la sua innaturalità. Aprì quindi in ribalta la porta della carrozza, lasciando che il suo volto apparisse nella penombra, i suoi occhi dalle screziature color del mogano che scintillavano nel buio.

 

"Vieni, Ishvaliano." sussurrò.

 

Anche nella tempesta che ruggiva attraverso i vicoli, anche sopra il rumore dei palafreni che scalpitavano, l'uomo sembrò cogliere l'invito lanciatogli.

E alzò lo sguardo.Occhi scarlatti come il sangue, segnati dalle intemperie, ma ancora fieri.

 

Lust sorrise."Finalmente uno sguardo che valga la pena di incontrare."
  
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