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Autore: khika liz    29/04/2012    7 recensioni
//Rating arancione per gli argomenti trattati.
Ti sei sempre nascosta dietro un paio di occhiali, quelli con le lenti gigantesche, che ti coprivano tutta, come se avessi paura di farti vedere. Paura di cosa? Sei bellissima. Lo sei sempre stata.
Eppure ti è venuta questa fissazione che non sei abbastanza. Perché poi? Perché i tuoi amici si sono rivelati dei perfetti sconosciuti? Perché non sono stati in grado di starti accanto quando più ne hai avuto bisogno? E per colpa loro, ora tu credi di non essere abbastanza. Per colpa sua, più che altro, vero?
Ma forse, un incontro in uno squallido bagno potrà farti cambiare idea e farti togliere quei maledetti occhiali neri.
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Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ovunque, nel mondo, ci sono persone che non stanno bene,
che hanno problemi con loro stesse e che non si sentono  abbastanza.
 Tutti, prima o poi, passiamo un periodo no.
Tutti abbiamo la forza di uscirne:
non lasciate che altre persone vi facciano star male.
Reagite.
Sorridete, vivete e sentitevi liberi di essere chi siete davvero.

 

 

And those are all the things you’ve been through. 

 

Ti sei sempre nascosta dietro un paio di occhiali, quelli con le lenti gigantesche, che ti coprivano tutta, come se avessi paura di farti vedere. Paura di cosa? Sei bellissima. Lo sei sempre stata.
Eppure ti è venuta questa fissazione che non sei abbastanza. Perché poi? Perché i tuoi amici si sono rivelati dei perfetti sconosciuti? Perché non sono stati in grado di starti accanto quando più ne hai avuto bisogno? E per colpa loro, ora tu credi di non essere abbastanza. Per colpa sua, più che altro, vero? Ti sei fidata di lui in una maniera esagerata. Avevi iniziato quell’amicizia dicendo che no, non ti saresti affezionata, perché sapevi che poi ti sarebbe successo questo. E poi, dopo un anno di saluti e sorrisi ti sei lasciata scappare un “ti voglio bene” che ti è costato caro: non dovevi affezionarti. Non sai nemmeno perché se n’è andato, in realtà. È semplicemente sparito dalla tua vita, come fanno tutti, come continueranno a fare tutti, a detta tua. Ma sai che non è vero. Sai che lui è quello che ha fatto il suo più grande errore. Devi sapere che non è colpa tua. Tu non sei sbagliata, non lo sei mai stata. Loro te lo vogliono far credere, loro vogliono vederti star male, solo perché non sei uguale a loro. Solo perché hai avuto più dolore che gioie, più odio che amore.

Ed ora? Non riesci nemmeno a guardarlo in faccia, non sai cosa aspettarti. Ti sorriderà? Ti saluterà come prima? Lo incontri nei corridoi, ogni mattina. Lo incontri per le strade. Lo incontri ovunque. E vi ignorate, come se nulla fosse successo. E tu soffri, soffri da morire. Perché gli vuoi ancora bene. Perché hai creduto a quelle parole. Hai creduto a quel “fidati di me” sussurrato nelle orecchie. Hai creduto a quegli abbracci. Hai creduto a quel “ci sarò sempre per te”. Tu gli hai creduto. È di questo che ti incolpi, di aver creduto a due occhi che sembravano sinceri. E per questo, per colpa di quegli occhi, tu ti stai dannando.
Ed ogni mattina entri a scuola con un paio di occhiali sugli occhi, il mascara sbafato e la matita messa male, le lacrime scendono e tu non sai nemmeno come fare a fermarle. Sei la prima che entra in classe. Hai sempre uno specchietto con te, togli per un attimo gli occhiali e controlli i tuoi occhi, dei normalissimi occhi castani, segnati dal dolore. Ti metti a posto il trucco. Indossi gli occhiali da vista, perché da lontano non ci vedi, e metti su un sorriso, di quelli finti, di quelli che ormai sei abituata a portare. Uno di quei sorrisi che tutti vedono e tutti pensano che sei felice, ma non sanno quello che fai la notte, quando se sola a casa e le tue mani si macchiano del tuo stesso sangue.
I soliti “buongiorno” di circostanza, in quella classe; poi si cominciano le lezioni, si parla tra i banchi, di capelli e di estetista. Di ragazzi e di pomeriggi da passare al bar, tutti assieme. Ma tu lo sai che loro parlano tanto, ma poi non ti inviteranno mai. Lo sai, perché fanno sempre così. E ti distrugge, anche questo.
Vai in bagno, ti chiudi dentro una di quelle porticine e tieni il mondo fuori, per cinque minuti. Cos’è che vuoi? Di cosa hai bisogno? Non lo sai neanche tu, sai solo che in ogni momento non ti senti bene. Sai solo che ti fa tutto troppo male, che non ne vale la pena. Sai di essere stanca, ti senti la testa pesante, le braccia non hanno più alcuna forza, nemmeno quella di suonare il tuo amato violino. Non ce la fai più. Il tuo corpo è stanco, la tua mente è distrutta, i tuoi occhi sono esausti, li senti doloranti. Le tue gambe fanno male, troppe cicatrici che devono ancora chiudersi. Troppe cicatrici che non riescono a chiudersi. Come possono chiudersi, d’altronde, se non fai nulla per aiutarle? Continui a pensare a lui. Al passato. A quando pensavi di essere felice. A quando avevi tanti amici. A quando non eri un mostro.

Non sei mai stata un mostro, non lo sei neanche ora. Ma non lo capisci, no, sei fissata ora.
Rimani in quel metro quadro di bagno per cinque minuti, forse dieci. Poi esci, ti guardi un attimo allo specchio e stai per uscire, come sempre con un sorriso finto sulle labbra. Ma questa volta c’è qualcosa di diverso. Sei davvero troppo stanca per uscire, non ne hai le forze. Rimani a  fissarti allo specchio, senza neanche accorgertene continui a piangere silenziosamente. Le lacrime ti rigano le guance, e all’inizio neanche ci fa caso: ci sei talmente abituata. Ti tiri su le maniche della felpa che indossi, vedi le tue cicatrici. Ne hai ovunque. Scuoti la testa, sei così stanca. Ti vien in mente che potresti riaprire le tue ferite e mettere la parola fine a tutto il tuo dolore. Ma sai già che non lo farai. Ci hai pensato milioni di volte, ma non l’hai mai fatto. Tu non vuoi arrenderti. Sei sempre stata così forte, determinata. Tu non sei quella che si arrende. Senti un rumore alle tue spalle, tiri giù le maniche della felpa, cerchi di asciugarti gli occhi alla bell’e meglio e ti riassesti i capelli. Metti su un sorriso forzato e ti giri. Una ragazzina, con forse un paio di anni meno di te, è in lacrime, proprio come lo eri tu dieci secondi fa. Vai da lei, senza nemmeno pensarci, e la abbracci, lei si stringe a te, come se tu fossi la sua àncora. Le sussurri qualcosa all’orecchio, parole che nemmeno lei riesce a capire, troppo scossa dai singhiozzi. Cerca di dire qualcosa, pronuncia alcune sillabe, ma tu non la ascolti: le tue mani vagano sulla sua schiena, cerchi di tranquillizzarla, ascolti il battito accelerato del suo cuore. “È tutto okay” le dici. Lei fa cenno di no.
La stringi ancora a te, vi mettete in un angoletto nascosto, e rimanete così per moltissimo tempo. Entrano altre ragazze, si guardano allo specchio, chiamano i fidanzati, vanno via. La vita continua a scorrere ed i vostri cuori sono distrutti. Poco dopo entra un professore, vi sta cercando. Ti scogli dall’abbraccio, sei ancora un po’ sconvolta, alla fine anche tu ti sei rimessa a piangere. Non avete parlato, comunque. Non vi siete nemmeno presentate.
“Mi scusi”, dici, “non mi sono sentita molto bene” aggiungi, tenendoti una mano sullo stomaco. Rientri in classe assieme al tuo professore. Tutti ti fissano, ma nessuno ti vede veramente.
Nessuno osa chiederti come stai. Ridono, loro. Chissà perché, poi. Ti guardi, hai le maniche della felpa un poco alzate. Si vede quella cicatrice, quella che hai fatto l’altra sera. È rossa come il sangue che ne era uscito. Guardi a terra, mentre ti abbassi le maniche e torni al tuo posto.

  

It took a moment before I lost myself in here

 

Non sei stata attenta alla lezione, oggi. Di solito prendi appunti per un’ora di seguito ed hai sempre i voti più alti. Oggi però nell’aria c’è qualcosa che non va. Qualcosa di diverso. Lo senti, che oggi è un giorno particolare. Che oggi non è la solita semplice giornata in cui non devi fare altro che fingere un sorriso per tirare avanti. Oggi è diverso. Stai ancora pensando a quell’abbraccio, stai immaginando la storia di quella ragazza: i tuoi occhi sono fissi sullo stesso punto da un’ora. Il tuo compagno di banco ti sta fissando, senti i suoi occhi addosso, ma non ti interessa più di tanto.
Un suono acuto ti risveglia, la campanella sta suonando: è ora di tornare a casa. Metti le tue cose nella borsa ed esci, salutando il professore, educatamente. Ti dirigi alla fermata dell’autobus. Non quella sotto la scuola, ma la successiva: non hai voglia di vedere nessuno. Non hai voglia di ridere. Vuoi incontrare di nuovo quella ragazzina. Vuoi conoscere la sua storia ed aiutarla. Vuoi che lei sia felice, everyone deserves to be happy. Questo è ciò che pensi. Questo è quello in cui credi. Ma probabilmente sei l’unica, perché a nessuno interessa se tu sei felice o meno.
 
“Hey” una voce che non hai mai sentito ti sta chiamando. Ti giri. Nascosti da un paio di occhiali neri, esattamente come i tuoi, ci sono gli stessi occhi che erano diventati rossi per le lacrime in quel bagno.
“Ciao” rispondi cordialmente. Invitando quella ragazza a sedersi accanto a te, sulla panca della fermata dell’autobus.
“Volevo presentarmi, mi chiamo Marta.”
“Katherine, piacere.”
Vi sorridete per un attimo, senza parlare, senza sapere cosa dire.
“Sono certa che hai una storia da raccontare” ti dice lei, alla fine.
“Così come io sono certa che anche tu ne hai una.” le rispondi, accennando un sorriso.
“Probabile.” risponde lei.
“Potresti parlarmene.”
“O potresti parlarmi tu della tua.”
“Sei tu quella che è arrivata sconvolta in bagno.”
“E tu sei quella che c’era già, e stava fingendo di star bene, prima di uscirne.”
Aveva la risposta pronta, Marta, vero? Ti sono sempre piaciute le persone che trovavano una risposta, sempre. È come se fossero davvero interessate. Quelle che si arrendevano con un semplice okay, o che non scavavano a fondo, nonostante dicessero di essere interessate, non lo erano davvero. E la prova è stata il loro abbandono, il loro addio. Il loro ridere nel vedere una cicatrice, provocata da loro stesse.
Comunque, tornando al vostro colloquio: “Oh, va bene! Vieni con me.” La prendi per mano ed entrate sull’autobus che stava passando proprio in quel momento. Alcuni ragazzi vi fissano, avete entrambe gli occhiali sugli occhi e non vi interessa delle loro occhiate. Trovate due posti a sedere, lei si mette accanto al finestrino e mentre viaggiate non vi dite nulla. Ogni tanto la sua mano stringe la tua, e da sotto i suoi occhiali scendono delle lacrime. Dopo dieci minuti scendete e vi sedete ad un bar. Avete avvertito i vostri genitori, tornerete nel pomeriggio perché dovete fare un progetto scolastico. Davanti una pizza le racconti la tua storia. È sconnessa, non la sai bene nemmeno tu, non riesci a capire nemmeno tu.

 

Just try, just try a little harder
I'll do my best explaining all the things I'm going through

 

Marta ti guarda, mentre morde svogliatamente la sua pizza. Non ha fame, non ha mai fame.
“Mangia, su! È la pizza più buona che tu potrai mai mangiare!” le dici. Ed hai ragione, perché in quel bar fanno davvero una pizza buonissima. Ma lei non mangia.
“Tra poco, prima voglio dirti qualcosa.. – prende un lungo respiro, posa il suo pezzo di pizza sul piattino e ti guarda negli occhi. – sai, ho una storia diversa dalla tua. Ma fa male tanto quanto la tua. Te la racconterò, un giorno o l’altro. Magari anche alla fine della giornata di oggi. Ma devi sapere delle cose. Le persone non accetteranno mai chi sei, non lo faranno mai completamente, a meno che non ti amino con tutto il loro cuore. E sono poche le persone che lo fanno. Ne incontrerai al massimo un paio nella tua vita, ma deve andare bene così. Devi essere più egoista, devi essere più forte. Quel biondino ti ha lasciata perché non sorridi abbastanza? Amen, non è morto nessuno, né deve morire nessuno. È solo un biondino sedicenne con un carattere del cavolo! I tuoi compagni di classe se ne fregano di te? Amen, non ti meritano. Non puoi star male per colpa loro. Non puoi farti del male perché ti sei fidata di una persona. Non è colpa tua, non lo sarà mai! Ti sei fidata, non è andata bene. Ma sei giovane, sei piena di vita, devi andare avanti, devi tornare a sorridere. Ogni volta che scende la notte, o che la giornata non finisce come avresti desiderato, piangi fino alla nausea, nel tuo letto, vero? Perché lo fai? Il giorno dopo stai forse meglio? No, non ci stai, come non ci sto io. Eppure lo facciamo. Facciamo così tante cose senza un vero motivo, ci hai mai pensato? Chissà perché, tra l’altro.”
Rimani in silenzio, mentre Marta continua a fissarti. Sai che ha ragione, sembra che gli altri abbiano sempre ragione, mentre tu non ne hai mai. Non è vero, perché sai anche tu che ciò che fai è un po’ sbagliato. Che dovresti impegnarti per riemergere dalla merda in cui stai finendo. Perché ti stai rovinando la vita, lo sai questo.
Marta giocherella con la pizza, la fissa: non mangia.
“Mi hanno violentata.” Sussurra poi, e tu rimani lì, a fissarla. “Ero in forma, in quei tempi, avevo dei bei fianchi, stavo così bene col mio corpo. Ero un po’ in sovrappeso: il giusto, diceva la mia ragazza.” Una lacrima scende dai suoi occhi. “Da allora ho perso venti chili. Ora non piaccio più a nessuno, sono in salvo. E sono sola.” Scansa il piatto con la pizza e si mette le mani sulle cosce. Alza il volto, ti guarda in faccia. E tu hai finalmente un momento di lucidità, un momento in cui capisci quali siano davvero le cose terribili della vita. Ti alzi, la abbracci, le sussurri mille cose alle orecchie, le dici che la aiuterai, le prometti che le sarai davvero d’aiuto, che quegli occhialoni neri li toglierete entrambe. Le prometti che da quel giorno in poi ci sarete ognuna per l’altra. Ed entrambe riuscirete ad essere felici. Lei ti sorride, toccando distrattamente gli occhiali che aveva posato sul tavolo. Annuisce, e ti prende la mano.
“Vado da uno psichiatra, o psicologo, o quello che è, due volte a settimana. Mi sta aiutando tanto. È una brava persona, sembra che ci tenga davvero. Vieni con me.” Le sue parole ti sembrano un’àncora di salvezza. Hai paura, come è logico che sia. Ma sai che ha ragione, che ne hai bisogno anche tu. Da sola non andrai da nessuna parte, devi lasciarti aiutare, se vuoi superare le fasi peggiori della tua vita: te lo ripeteva sempre tua mamma.
“Verrò” dici, lentamente. Asciugandoti una lacrima, scesa senza un vero motivo.

 

“E’ tempo di dimenticare il passato per spazzar via quello che è successo ultimamente”. La tua nuova psicologa ha ragione, devi ricominciare d’accapo. Al vostro primo incontro ti ha accompagnata Marta, vi ha presentate e ti ha lasciata per cinquanta minuti in una stanza che ti faceva sentire un po’ a casa. La tua psicologa, Anna, è simpatica, ride alle tue battutine e ti ascolta. Hai parlato per tutto il tempo. Anna ti passava dei fazzoletti di tanto in tanto, prendeva appunti e annuiva tra sé e sé. Ha detto che la prossima volta che vi vedrete comincerete un percorso. Tu hai annuito e, dopo averle stretto la mano, sei tornata da Marta. La tua amica ti ha fatto l’occhiolino e insieme siete andate a prendervi un gelato. Siete diventate inseparabili, ormai. Dopo il primo periodo in cui parlavate solo del vostro dolore, avete iniziato a parlare d’altro. Avete scoperto che entrambe amate il rock e che entrambe siete fissate con i telefilm. Avete più cose in comune di quanto avreste immaginato. Siete diventate inseparabili. A scuola la ricreazione la passate assieme ed avete deciso di andare a fare shopping, un sabato, per rinnovare il vostro guardaroba. Vi siete promesse che se l’una avrebbe voluto comprare qualcosa di nero, l’altra lo avrebbe impedito, e viceversa: vi siete strette i mignoli e la promessa è stata suggellata.

 

Later …

È passato esattamente un anno da quell’abbraccio nel bagno. Entrambe avete fatto così tanti progressi che c’è chi nemmeno ci crede che eravate voi, quelle due ragazzine che passavano la ricreazione in un angolo della tua classe. Ora siete inseparabili, lei è qualcosa come la tua migliore amica. Non andate più da Anna da una settimana. Il suo lavoro è finito: Marta ha ripreso a mangiare, adesso gusta ogni sapore come se fosse la prima volta. La sua faccia quando ha assaggiato il gelato che fanno sotto casa sua te lo ricordi ancora: era come se avesse appena mangiato una delle sette meraviglie del mondo. Sembrava in paradiso. Marta è felice, ogni tanto ha i suoi momenti di buio, quando le capita di ripensare al passato. Ma non lo fa poi così spesso.
Tu, tu sei cresciuta, sei cambiata. Nel tuo armadio l’unica cosa nera sono i calzini e le mutande. Vesti colorata ed hai capito che perdere un amico è una cosa che capita, che le persone spariscono senza un vero motivo, ma tu non puoi  rimanerci così male. Loro continuano a vivere come se nulla fosse, devi farlo anche tu. Puoi affezionarti, non è proibito, ma poi non devi stare troppo male, nonostante sia nella tua natura volere troppo bene. Non che sia un male, Marta è contentissima del bene che le vuoi.
L’altro giorno, dopo esservi mangiate una bella crepe alla nutella avete preso i vostri occhiali neri, li avete guardati un’ultima volta e poi li avete gettati nel primo cestino che vi è capitato davanti.
“Sai una cosa, Marta? La vita è piena di belle cose, mi chiedo perché dobbiamo fissarci su quelle brutte!” le hai detto, una volta sedute in piazza.
“Perché quelle brutte sono quelle che saltano agli occhi. Quelle belle le diamo per scontate.”
“Siamo degli stupidi, allora. Guarda, questo cielo mette un’allegria!”
I vostri sorrisi si sono incontrati e vi siete abbracciate. È stato un abbraccio così intenso che era come se vi steste scambiando l’amore che provate.
Sei felice, ora, vero? Marta ti fa sorridere e ti rimette in riga. Siete uscite, l’altra sera, ed a voi si sono unite Anna ed un’altra ragazzina. Marta ti ha spiegato che Anna è sposata ed ha una figlia. Sembravate quattro amiche che si conoscevano da sempre e che si volevano un bene esagerato. Sei stata bene, quella sera. Eri felice. I tuoi occhi splendevano di felicità. Il passato era ormai lontano.

 

The End.

 

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Spero vi piaccia: scriverla è stato difficile ed emozionante allo stesso tempo.
Peace&Love guys

   
 
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