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Autore: Iria    29/04/2012    2 recensioni
[Cinquanta frasi sulla coppia John/Sherlock]
29 - Credere.
John camminava a capo chino senza badare a quale strada stesse percorrendo, né pareva particolarmente interessato a tornare in una casa ancora infestata dalle memorie di un morto; però ben presto comprese che neanche da ubriaco, sbattendo la testa contro l’asfalto dei marciapiedi, potesse sfuggire a quell’ombra che gli lacerava l’anima nella disperazione: un graffito nascosto gridava silenzioso, e con lui si perdevano anche gli spettri delle sue lacrime non versate…
“I do believe in Sherlock Holmes. I do, I do.
Spero che questa fanfiction possa piacervi!
Grazie per l'attenzione, buona lettura!
Iria.
Genere: Angst, Slice of life, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson , Sherlock Holmes
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Titolo:  Di emozioni incomprensibili ed illogiche conclusioni.
Autore: Iria
Fandom: Sherlock (BBC)
Personaggi/Claim/Coppia: John Watson/Sherlock Holmes
Generi: Introspettivo, Malinconico, Slice of Life.
Avvertimenti: Missing Moments, Slash, What if..?
Rating: Giallo
Set: Set Alpha
Note: Bhé, che dire? Anche per queste cinquanta frasi ci ho messo parecchio impegno e spero che  possiate apprezzare, essendo anche la mia prima fic John/Sherlock! 8D *emozionata*
Ci tenevo a scrivere in questo fandom, soprattutto su ‘sti due quindi; e come sempre 1frase mi ha dato il pretesto e l’ispirazione per farlo!
Mi auguro solo che queste frasi possano piacervi, grazie a chi leggerà e a chi lascerà la propria opinione!
Buona lettura!
Iria.

*Partecipa all'iniziativa 1frase su LJ*

 

Di emozioni incomprensibili ed illogiche conclusioni

 

01 - Anima.

La metafisica non poteva ovviamente essere definito il campo d’azione di Sherlock; e John sapeva bene di doversi astenere dal pronunciare certe inutili parole come “anima”, “sentimenti” o “emozioni”, però a quel punto poteva dire di vantare una maggiore compresione del perché l’uomo compisse certe stupide ed idiote -a detta di Holmes- azioni prive d’ogni senso logico.

02 - Seconda volta.

Quando John premette il grilletto per difendere Sherlock, nonostante quel primo scatto per lui fosse stato totalmente irrazionale, si rese conto di essere disposto a sparare anche una seconda volta e poi una terza per il solo piacere di riavvertire tutto il proprio corpo vibrare dall’eccitazione al rinculo del colpo –ed avere, quindi, l’opportunità di ricambiare lo sguardo (forse soddisfatto, poco presumibilmente sorpreso, di certo a tratti amareggiato) che il coinquilino gli avrebbe lanciato.

03 - Uomo.

Sherlock era ovviamente un uomo -e, no, da questo punto di vista non c’erano dubbi a cui aggrapparsi-, quindi John proprio non riusciva ad accettare d’essere affascinato –irritato e alle volte decisamente esasperato- dal suo agire; però, poi, sospirando, si rendeva conto che ad ipnotizzarlo non fosse tanto l’involucro di carne che determinava il sesso del coinquilino, quanto più il suo essere semplicemente -incomprensibilmente- ‘Sherlock Holmes’.

04 - Denaro.

Alle volte John credeva che fosse davvero un spreco che Sherlock rifiutasse il denaro -spesso ingenti somme- che gli veniva offerto per risolvere questo o quel caso; e, nonostante lui per primo avesse declinato la vertiginosa somma offertagli da Mycroft per tenere d’occhio Holmes, quando poteva, preferiva prendere personalmente il compenso ed assicurarsi, quindi, che in casa -la loro casa- potesse entrare almeno qualche extra.

05 - Preghiera.

“Non… essere morto.”
John non aveva intenzione di rimanere solo, non voleva impazzire sotto il peso dei sensi di colpa (troppi “se” sospesi ed irrisolti, il suo coinquilino lo avrebbe sicuramente deriso), però, forse -senza alcun dubbio, in verità-, rivolgersi ad una fredda lapide non era poi stata una soluzione particolarmente sana -non ricevere risposte da Sherlock Holmes risultava sempre frustrante, qualsiasi fosse la circostanza.

06 - Padrone.

John sapeva che non poteva più definirsi padrone di sé: legato com’era a Sherlock Holmes, pareva utopistico anche solo contemplare la possibilità di considerarsi un uomo libero; e la cosa suonava decisamente male detta in tali termini, in quanto i due erano solo coinquilini, non di certo novelli sposi –eppure, non era questo il messaggio che le donne recepivano, quando il povero dottore veniva costretto a rimandare appuntamenti su appuntamenti a causa degli improvvisi bisogni di Sherlock.

07 - Attesa.

Forse le loro vite s’erano incrociate ed annodate proprio perché avevano atteso a lungo di incontrarsi, osservando tanti -troppi- volti vuoti andar via: Sherlock voleva qualcuno che potesse essere all’altezza della sua persona -che riuscisse a tollerarlo, in realtà-, mentre John era andato alla ricerca di chi avesse potuto farlo sentire vivo -ed ancora nessuna donna era riuscito a strappar via la patina di apatia che l’avvolgeva.

08 - Miglior amico.

Sherlock aveva delle difficoltà nel relazionarsi col prossimo -aveva decisamente delle difficoltà-, però da tempo era riuscito ad inquadrare più o meno -anche se non poteva dirsi del tutto sicuro in un ambito talmente astratto come quello dei sentimenti e dei rapporti- la famigerata figura del ‘migliore amico’, vedendola molto simile (non del tutto identica, meno intima) alla costante presenza di John nella sua vita.

09 - Notte.

Alle volte, a notte fonda, John non riusciva a prendere sonno, tormentato com’era dai suoi assordanti incubi; allora, attendeva che Sherlock -preso da uno dei suoi soliti attacchi di frenetica insonnia-, posizionandosi innanzi alla loro finestra, iniziasse a suonare il violino solo per potersi cullare in quelle note delicate che lo abbracciavano segretamente.

10 – Pazzia

John zittì e con la bocca appena schiusa e gli occhi spalancati per lo stupore osservò Sherlock che, quasi con rabbia, intonava le note di quella che doveva essere “La Follia” di Vivaldi: la frenesia nelle dita del coinquilino, la forza dell’archetto che accarezzava il violino con irruenza appassionata lo sfinirono; ed il dottor Watson si accasciò sulla poltrona lasciandosi trasportare in un’estasi sconosciuta, sfumata di pazzia, con cui Holmes lo nutrì sino ad assuefarlo.

11 - Fidanzamento.

Sherlock provò davvero (per quanto possibile nei suoi standard, quindi no, non è che si fosse impegnato granché bene) ad evitare che anche l’ennesima fidanzata di John girasse sui tacchi (dodici, piedi gonfi, niente affatto avezza ad indossarli) e filasse via, ma di certo il dottore non poteva fargliene una colpa se la giovane che si apprestava a frequentare stabilmente era stata tanto stupida da recuperare dal frigo i suoi pollici mozzati anziché l’incarto delle salsicce.

12 - Vita.

Il confine fra ciò che Sherlock riteneva interessante e ciò che, invece, lo lasciava totalmente indifferente era assai sottile e John ancora non era riuscito del tutto a capire cosa, della vita quotidiana, potesse stimolare il compagno; però doveva ammettere che per diverso tempo il dottor Watson nutrì il sospetto che il consulting detective combattesse l’apatia semplicemente portandolo all’esasperazione -e in quelle occasioni aveva visto un sorriso tingere più volte il viso dell’altro, e ciò lo rabboniva, perché quell’improvvisa e nascosta scintilla di vitalità era quanto mai rara per Sherlock.

13 - Noia.

Sherlock sapeva quanto la noia potesse essere pericolosa: gli si insinuava sotto pelle, trapanandogli la mente e non riusciva, non era fisicamente in grado di liberarsi da quella morsa che stringeva il suo cervello; quindi, per lungo tempo concesse alla cocaina di essere la soluzione (al 7%) a tale tormento, fino a quando non incrociò la propria esistenza con quella del dottor Watson.

14 - Indifferenza.

Sherlock non riusciva a prestare indifferenza a nulla, e con la sua capacità d’osservazione era in grado di cogliere i particolari della vita delle persone più scialbe; poi, solo dopo un’attenta analisi valutava se concedere o meno a queste la propria attenzione -e fiducia-, quindi, con grande piacere e sorpresa comprese che John avesse passato a pieni voti tale esame -divenendo fondamentale.

15 - Letto.

Sherlock scoprì che un letto poteva essere condiviso quando, ferito in seguito ad un caso che aveva richiesto l’arma della forza oltre che dell’intelletto, si risvegliò al mattino di fianco ad un dottor Watson profondamente addormentato che stringeva con forza delle garze sporche di sangue -oh, il suo ovviamente.

16 - Stelle.

John riteneva inconcepibile che Sherlock non avesse alcuna nozione di base riguardante l’astronomia, ed una sera aveva anche tentato di spiegargli il ciclo vitale delle stelle, provando a renderlo consapevole di quanta infinita energia si stesse producento in quell’istante nell’intero universo; ma come demotivante risultato ricevette soltanto uno sguardo dell’altro del tutto disinteressato:
Noioso ed inutile. Prettamente noioso, a dire il vero, anche se l’inutilità ha combattuo questa estenuante battaglia ad armi pari.”

17 - Minuto.

Sessanta secondi potevano essere considerati un tempo infinitamente lungo, e Sherlock poté comprendere tale asfissiante sensazione mentre, fissando John dall’alto del St. Barts, chiedeva solo che il medico continuasse a guardarlo, ignorasse il trucco, venisse intrappolato nel suo sporco inganno –provare a piangere, incrinare il tono di voce, “John, sono un bugiardo” (“Guardami, credi in me”)- e che tutto avvenisse in un solo, disperato minuto.


18 - Limite.

John aveva imparato ad accettare il fatto che la mente di Sherlock operasse su livelli al limite del comprensibile, o meglio dell’inimitabile: il dottore, infatti, sorridendo in direzione del profilo del compagno, riconosceva la sua -insopportabile- unicità e ben sapeva che al di là di quell’agitato cervello era stato confinato un uomo nei cui -splendidi- occhi poteva essere ancora intravisto il romantico sogno di diventare un folle pirata -talmente stupido, così meravigliosamente eccitante.

19 - Cuore.

John era soprattutto cuore, e questo particolare si poneva in cima alla lista dei difetti del medico, tanto che Sherlock avrebbe voluto pesargli tale organo, porlo su una bilancia, prenderne le misure con la sua cura meticolasa e sezionarlo al fine di esplorarlo a fondo per cercare di comprendere come, battendo, potesse pompare nelle vene del compagno anche un calore diverso da quello del sangue: l’irrazionalità fuorviante del coinvolgimento emotivo.

20 - Fede.

John aveva dimenticato cosa significasse “avere fede” negli uomini, nella loro umanità o nella loro presunta intelligenza; e la perdita di Sherlock era stata il colpo di grazia a tale speranza straziata nel sangue che impregnava l’asfalto.

21 - Estate.

Sherlock Holmes odiava l’estate ed infatti, secondo la sua modesta opinione, in quel periodo dell’anno i criminali stranamente s’impigrivano -riducendosi solo a rapinare case ed appartamenti vuoti (così noioso)-  e per loro -lui e John, ovviamente- non c’era poi tanto lavoro da sbrigare; quindi, il dottore da parte sua iniziava a pregare rispettivamente Gesù, Allah, Buddha, il Karma e Zeus -meglio accontentarne il più possibile- affinché la piattezza di quelle giornate non si prolungasse ulteriormente: l’afa lo rendeva più suscettibile e non avrebbe sopportato le assurdità di Sherlock ancora per molto…

22 - Pioggia.

Per lungo tempo John aveva affermato di apprezzare la pioggia, perché con quelle sue gocce per un po’ era in grado di sciacquare via il marciume dalle strade -e dai cuori- londinesi; in seguito riuscì addirittura ad adorarla, in quanto fu l’unica amante in grado di ripulire il viso grigio del dottore dai solchi delle lacrime scavati da Sherlock.

23 - Cielo.

Si ripromise di non alzare più gli occhi al cielo, perché riteneva che fosse decisamente insopportabile -e terribilmente sciocco, ovviamente illogico, concretamente inutile- continuare a rivedere stagliata contro la luce opaca della grigia Londra la sagoma di Sherlock pronto a precipitare.

24 - Nero.

Gli incubi di Sherlock non avevano nulla di spaventoso -noioso, persino sognare poteva definirsi assolutamente noioso-, però spesso in quell’oscurità impenetrabile il nero delle ombre divorava la sua razionalità, ed il detective si ritrovava proiettato in un deserto di cenere ardente che, collassando su stesso, lo rinchiudeva in una prigione senza logica, colma solo di sensazioni astratte e di sentimenti nutriti dalla voce sempre più disperata del dottore che invocava il suo nome da lontano -troppo distante, impossibile dire se fosse raggiungibile.

25 - Medico.

John, come medico, sentiva il dovere di tenere Sherlock alla larga da qualsiasi tipo di avventatezza che avrebbe potuto compromettere la sua salute; certo è che, spesso, alla stessa paradossale maniera proprio lui per primo provava l’impellente desiderio di fargli almeno un occhio nero.

26 - Parole.

Quando Sherlock rifletteva o esponeva le proprie deduzioni non si perdeva in futili giri di parole, ma era in grado di giungere al succo del discorso con fredda linearità, quindi John si sorprese decisamente quando il compagno, fissandolo per un lungo momento come a decidere se parlare o meno, preferì voltarsi e tornare a dedicarsi ai propri esperimenti di chimica, piuttosto che rispondere al semplice ed improvviso bisogno -insensato e decisamente privo di logica, in verità- di ringraziare John.

27 - Uccidere.

Il dottor Watson era convinto che un uomo potesse essere ucciso nel momento stesso in cui avesse subito una damnatio memoriae, la totale rimozione del suo ricordo dalla terra, ed il fatto che sulla figura di Sherlock venisse gettata così tanta merda lo preoccupava relativamente, perché per ogni insulto, per ogni battuta maligna esisteva, era forte la presenza di chi gridava all’inganno di Moriarty, alla sincerità di Sherlock Holmes; e comunque John, sorridendo mesto, ammetteva candidamente che sarebbe stato assai ben disposto a sparare a chiunque avesse osato infangare la persona del suo -insopportabile, odioso, saccente, impenetrabile- Sherlock Holmes davanti a lui.

28 - Posto.

John alla fine aveva compreso che il suo posto nel mondo fosse al 221b di Baker Street, per essere lì pronto con un tea fumante -earl grey- ad accogliere, un giorno, il sicuro ritorno di Sherlock Holmes -ma ad ogni calar del sole la bevanda si raffreddava e nessuno, se non Mrs. Hudson, si soffermava a fissare le sue mani tremanti.

29 - Credere.

John camminava a capo chino senza badare a quale strada stesse percorrendo, né pareva particolarmente interessato a tornare in una casa ancora infestata dalle memorie di un morto; però ben presto comprese che neanche da ubriaco, sbattendo la testa contro l’asfalto dei marciapiedi, poteva sfuggire a quell’ombra che gli lacerava l’anima nella disperazione: un graffito nascosto gridava silenzioso, e con lui si perdevano anche gli spettri delle sue lacrime non versate…
“I
do believe in Sherlock Holmes. I do, I do.”

30 - Lontano.

Ponendo lontano dalla propria ragione ogni ridicola inibizione, John accarezzò con il dorso della mano lo zigomo di Sherlock che ancora recava il rossore del suo pugno; poi, come se improvvisamente avesse ricordato di aver dimenticato l’acqua per il tea sul fuoco, lasciò sfumare quel tocco, borbottando un poco convinto “controllavo di non averti rotto niente” ad un Holmes decisamente sospettoso.

31 - Barca.

John ancora non riusciva a comprendere come fosse finito sulla stessa barca traboccante di misteri e domande scelta da Sherlock: sapeva soltanto d’essere l’unico costretto a remare, lasciando al capitan Holmes tutto il tempo di elaborare una nuova gamma di sottili ironie con cui attaccare l’inaffidabilità di Scotland Yard -e l’assoluta incapacità di Anderson, naturalmente.

32 - Ricordi.

I ricordi dell’Afghanistan avevano smesso di infilarsi sotto le lenzuola del dottor Watson -non gridavano più, non lo ferivano ogni notte-, però nella sua mente buia e stanca quelle ombre erano state sostituite dall’immagine assai più dolorosa di due occhi chiari che, spalancati nell’oblio di una caduta, venivano divorati da tenebre voraci.

33 - Morte.

John aveva conosciuto la morte in diverse circostanze, aveva danzato con la nera signora sotto il ritmo primordiale delle scariche dei proiettili e sapeva quanto quella dama potesse essere crudele, considerando che s’era fatta scudo col suo corpo procurandogli la ferita alla spalla; però, a detta del dottore si dimostrò una vera puttana meschina quando, abbracciando lascivamente Sherlock, tramutò la propria risata in un suono simile ad un tonfo sordo.

34 - Peggio.

John non aveva idea di cosa fosse più terribile, se osservare Sherlock contorcersi sulla poltrona in preda alla noia o dedicarsi alla dannata spesa pur di evitare di ascoltare i monologhi del detective col suo caro teschio; era solo consapevole che una volta tornato al 221b sarebbe stato sicuramente trascinato in chissà quale caso… e che ciò fosse il migliore dei beni o il peggiore dei mali non appariva poi così importante, se per un po’ il coinquilino poteva definirsi in pace con se stesso e con il proprio cervello.

35 - Braccia.

Le loro braccia si allungarono l’una verso l’altra, ma le mani non si sfiorarono: l’aria fredda si infilò tra le dita John, l’asfalto, invece, frantumò quelle di Sherlock.

36 - Elettricità.

Quando erano vicini alla risoluzione di un caso, John avvertiva sempre una certa elettricità nell’aria, come se la smania di Sherlock si trasmetesse all’atmosfera circostante, posandosi anche sul suo animo ancora confuso –osservava gli occhi ed i movimenti di Holmes, provava ad afferare il filo dei ragionamenti del coinquilino, ma non comprendeva- ed allora il dottore si sentiva davvero inutile, fermo come restava, poi, ad attendere quella svolta prevista nei piani del compagno.

37 - Cellule.

Sherlock si chiedeva spesso perché mai sentisse ogni singola cellula del proprio organismo tremare e morire nel percepire -che cosa curiosa e singolare- John allontanarsi: avrebbe voluto chiedere al dottore cosa potesse significare quel particolare sintomo, ma in seguito preferì tenerlo sempre per sé e non condividerlo -tale perire e rinascere in base a John riusciva, paradossalmente, a farlo stare bene.

38 - Promessa.

Mantenere una promessa non era un’impresa di poco conto e per quanto complicato ed impervio potesse essere John sapeva che non doveva distruggere la fiducia e la -celata- stima che Sherlock covava ormai nei suoi confronti; ma accettare che una segreta scorta di cocaina fosse nascosta lì, nel loro appartamento, gli faceva venir voglia di scagliarsi su Holmes, picchiarlo selvaggiamente e poi gridargli contro quanto la sua grande mente fosse vittima di uno stupido e ridicolo e nocivo vizio umano.

39 - Speranza.

Sherlock non aveva ben chiaro il concetto di “speranza”, e John era quasi certo che fosse perché tale stato d’animo si contrapponeva alla sicurezza assoluta che il detective aveva nei propri metodi; eppure il medico nello sfiorare una spalla, un braccio, le dita del coinquilino lo sentiva fremere e tendersi desideroso -irrazionale, stupido: avrebbe dovuto smetterla- verso quel tocco leggero e nascosto.

40 - Buco.

John non aveva udito le grida impaurite di Mrs Hudson e, imprecando contro Sherlock, Dio, Mycroft Holmes, Sherlock, la Regina, Moriarty, Sherlock, continuò imperterrito a sfondare con un martello la dannata parete dove un sorriso fin troppo crudele lo osservava senza mai staccargli gli occhi di dosso; e fu soddisfatto solo quando un nero buco ebbe sostituito quell’odioso smile giallo -fu ancora preda della disperazione solo quando, ricadendo sulla propria  poltrona, notò che, come sempre, Sherlock continuasse a sedergli di fronte.

41 - Rivelazione.

Per John le deduzioni di Sherlock erano spesso -okay, sempre- una rivelazione, quindi non riusciva proprio a trattenere i vari “Meraviglioso!”, “Incredibile!”, “Brillante!”, “Stupefacente!”, “Magnifico!”, “Wow…” che si lasciava sfuggire con genuina spontaneità ed ammirazione; e, pur sapendo di nutrire in maniera smodata l’ego del coinquilino, consapevolmente ammetteva di essere forse l’unico in grado di apprezzare del tutto quelle sue qualità mentali così legate alla persona che il compagno era, senza odiare l’intera essenza di Holmes.

42 - Volontà.

John spesso temeva la ferrea volontà di Sherlock, perché diverse volte quella tremenda testardaggine, esiliando il resto dell’umanità dalla sua persona, lo aveva trascinato in situazioni di dubbia sicurezza ed il dottore sapeva –come un macabro presagio- che, anche desiderandolo, un giorno non sarebbe riuscito a restargli accanto fino ala fine.

43 - Facile.

Il dottor Watson si sorprese di quanto fosse stato facile -semplice, indolore- baciare Sherlock ed in realtà non lo aveva né calcolato, né previsto -così come lo stesso Holmes, che lo fissò smarrito per la prima volta da quando si erano conosciuti-; allora John si allontanò e, biascicando qualche parola di scusa –in aggiunta a diverse imprecazioni, da ciò che il detective riuscì ad udire- non tornò fino al mattino successivo, quando, col volto scavato dalla notte insonne, pronunciò quelle parole che Sherlock aveva già intuito, e che non aveva intenzione di ascoltare né, tanto meno, di accettare come vere:
“Non permetterò che accada ancora.”

44 - Terrore.

John rabbrividì e sotto la sua pelle strisciò una sensazione che inizialmente non seppe definire, ma che vide sconvolgere anche gli occhi di Sherlock; e se la consapevolezza d’esser nudi e sudati, di avvertire ancora i propri cuori battere simultaneamente poteva forse rientrare nei sintomi del desiderio, la paura, il terrore che irrigidì i muscoli dei due coinquilini trovava ragioni in un sentimento che il dottore non aveva mai del tutto assaporato e che Sherlock conosceva solo come astratta nozione:
“È amore, questo asfissiante sentore d’aver perso tutto?”

45 - Fuoco.

Alle volte John ricordava come il fuoco si riflettesse negli occhi Sherlock che, immerso nelle proprie elucubrazioni, poco si curava di ciò che lo circondasse, di mangiare o addirittura di bere: se ne stava semplicemente immobile, le mani giunte e la fronte corrugata, mentre il mondo tutto attorno a lui sarebbe potuto andare anche in rovina; ed il caro dottor Watson comprese d’essersi totalmente perso quando tale odiosa abitudine iniziò a mancargli -al pari dell’aria nei polmoni- sino a soffocarlo.

46 - Risposta.

Sherlock riusciva sempre a trovare una risposta e, soprattutto, una spiegazione ragionevole ad ogni questione che gli veniva posta, anche se John si rese ben presto conto che i misteri descritti da Cluedo non sarebbero mai rientrati tra i successi del coinquilino; ed infatti conficcare con un pugnale tale odioso nemico contro il muro parve essere la soluzione migliore e più logica che Holmes avesse messo a punto per vincere il gioco –un piccolo falò in casa non gli era sembrato affatto conveniente: il dottore non avrebbe mai apprezzato e Mrs Hudson sarebbe andata nel panico più totale.

47 - Chiaro.

Franchezza e dubbio erano due aspetti inscindibili di Sherlock, si fondevano in lui e sgorgavano dalle parole, dai gesti del giovane uomo; quindi John, osservandolo, spesse volte riusciva a distinguere nelle sue iridi la calma distendersi prima della tempesta, del disastro naturale e lui, il dottore, allora precipitava nell’occhio del ciclone: aiutare Sherlock, proteggerlo, sopportarlo, supportarlo - e, sì, farlo solo per i suoi occhi chiari, dannazione

48 - Insieme.

John sapeva quanto fosse importante che restassero insieme -lui e Sherlock, naturalmente-: il dottore aveva imparato in fretta ad accettare tutte le stranezze del consulting detective -pallottole nelle pareti, melodie alle tre del mattino e pezzi di cadavere tenuti al fresco assieme alle verdure rappresentavano ormai una tanquilla routine-; ed intuiva come Sherlock stesse lentamente metabolizzando quanto risultasse fondamentale -o forse vitale, doveva ancora chiarirne la sfumatura- la presenza di una persona su cui poter contare.

49 - Mente.

John sapeva che non sarebbe mai stato capace di infrangere le spesse mura della mente di Sherlock, e questo spesso lo aveva fatto sentire completamente escluso dalla vita del coinquilino - ad Holmes bastava semplicemente osservarlo per dedurre persino quanti pazienti si fossero presentati a lui quel giorno-, però, poi, comprendeva che fare irruzione nel cervello di Sherlock gli avrebbe sicuramente sottratto quel brivido -di ammirazione, o più probabilmente di eccitazione- che lo scuoteva ad ogni nuova deduzione del detective.

50 - Strada.


Il dottor Watson non era in grado di dire cosa il futuro gli riservasse, ma sapeva che un giorno, percorrendo Baker Street da vecchio pensionato, sarebbe stato consumato dal rimorso di non aver lasciato che in un appartamento di quell’antica strada (al 221b, per esser precisi) si realizzasse l’insensatezza, ed il desiderio, e l’emozione più dolorosa, pericolosa, ossessiva ed azzardata di tutta una vita: amare Sherlock Holmes.

*Fine*

   
 
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