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Autore: Nyss    30/04/2012    0 recensioni
Ellen ha una vita difficile: una famiglia assente, assorbita dagli impegni, lunghe permanenze in collegio, da settembre a giugno, e gli studi e i duri allenamenti per diventre cacciatrice come tutti i suoi parenti le rendono la vita un inferno. La scuola è orami diventata la sua casa ed è il suo porto sicuro, ne è sicura. Ma le sue convinzioni vengono stravolte quando inizia a cadere una strana neve che in breve forma muri tanto alti da isolare la scuola. Contemporaneamente comincia una lunga serie di misteriose sparizioni ed Ellen è costretta a prendere in mano la situzione per far tornare tutto nella norma.
Una brevissima storia di soli tre capitoli per nulla impegnativa. Leggete e divertitevi!
Genere: Azione, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Primo capitolo

§

Era una di quelle notti nelle quali il vento ulula incessantemente fischiando tra le fronde e facendo sussultare le persiane e se non avessi avuto preoccupazioni più pressanti, sarei stata intimorita come la maggior parte della gente. Invece me ne stavo li, rannicchiata in una posizione scomoda, nel letto, con nient’altro di meglio da fare che rimuginare. E credetemi, non erano bei pensieri.

Quell’assurda storia andava avanti da veramente troppo tempo. Era cominciato come una cosa da nulla, la sparizione di un paio di ragazzi.
La polizia secolare l’aveva catalogato come un allontanamento volontario, due fidanzatini in cerca di una luna di miele prematura. La ragazza era la mia migliore amica.
"Perchè sono scappati?" mi ero chieta all'inzio, piangendo sul cuscino. Mi sentivo soprattutto tradita, pensavo che fossimo cristalline come l'acqua tra di noi ed invece mi nascondeva qualcosa. Poi ci avevo pensato bene: andiamo, viviamo nove mei l'anno assieme, avrei saputo di una sua tresca. E poi l'istinto mi scoraggiava a fidarmi delle autorità.
Avevo riferito a mio padre ciò che mi frullava per la mente, e lui mi aveva consigliato di tenere gli occhi aperti –deformazione professionale, presumo. Erano appena cominciate le vacanze natalizie. Come sempre ero rimasta a scuola.
Alla mia delusione per avere un padre troppo impegnato da occuparsi della sua unica figlia, e la tristezza per la scomparsa di Judith, mio unico appiglio, era stata messa presto da parte da una serie di nuove scomparse, sempre più ravvicinate nel tempo. Forse proprio in quel momento qualcuno stava per essere rapito.
Il tutto era complicato da un’anomala bufera di neve, che, stranamente, non si scioglieva. Avevo concluso che si trattasse di un fenomeno indotto dalla magia. Qualcuno voleva isolare l’intera scuola. Né le autorità né i cacciatori erano riusciti ad arrivare e le comunicazioni erano disturbate e rare.

Ed è stato così che mi sono trovata sola, nemmeno maggiorenne, nemmeno cacciatrice.
Qualcosa tossì, risvegliandomi dal torpore. Strinsi l’elsa del pugnale. Poi tossì di nuovo e gracchiò. La radio! Che stupida.
Era la prima radiocomunicazione da giorni!
-Passerotto!- stupido nome in codice –Qui squadra Charlie. Ci senti?-
La squadra Charlie?! La situazione doveva essere grave, allora.
-Passerotto, ci senti?
-Oh si… si squadra Charlie! Forte e chiaro-
-Novità?-
-Abbiamo un sospettato. Maschio, bianco, 1 e 90. Si è presentato come nipote della direttrice proprio quando i ragazzi hanno cominciato a sparire. Facendo due più due…-
-Bene. Pianifica un sopralluogo, al più presto, magari sta notte-
-Un momento, un momento! Cosa vuol dire pianifica? E voi?-
-Bloccati dalla neve... Pensala così: ti siamo vicine col cuore e… buona fortuna-
Zzzz…
-Squadra Charlie! Rispondete cazzo!... stronzi!- esclamai quando la radio divenne del tutto silenzia.
Mi abbandonai sul letto tenendomi la testa tra le mani. “Cosa fare?” era una domanda che non dovevo nemmeno pormi; gli ordini sono ordini. Dovevo solo alzarmi. Passai qualche minuto in stato catatonico, analizzando la situazione, pensando che non ce l’avrei mai fatta se fossi stata li per sempre. Poi mi alzai: per Judith.
Ritrovarmi nei gesti familiari della preparazione al combattimento mi rilassò. Era tranquillizzante: non dovevo pensare. Mi infilai i jeans più comodi che avevo, canottiera e felpa, mi legai i capelli in una treccia. Presi due pugnali d’argento benedetto e una croce da mettere al collo. Feci un grosso respiro ed uscii.
Appena misi fuori un piede dalla mia stanza, avvertii il calo drastico della temperatura. Mi avviai con il cuore in gola. Il vento si era finalmente acquietato e la luna aveva fatto capolino dalle nuvole, allagando il pavimento con i suoi raggi argentei.
Avrei tanto voluto accoccolarmi su un davanzale per osservare il mondo coperto di bianco, oppure approfittarne per leggere un libro sotto le coperte. Invece andavo in esplorazione, con il serio rischio di lasciarci le penne. Perché? Perché ero agitata, e non andava bene, perché non sapevo cosa avrei fatto una volta li, e nemmeno questo andava bene, e per una serie di mille altre cose. Ma non dovevo pensarci, solo agire e basta.
Dopo dieci minuti di cammino arrivai finalmente ai dormitori maschili, posti il più lontani possibile da quelli femminili, come se l’architetto avesse previsto, 200 anni prima della mia nascita, la mia sfortunata missione e avesse deciso di scoraggiarmi in tutti i modi possibili.
Il freddo ormai mi era penetrato nelle ossa e non sentivo più le dita dei piedi, ma non mi potevo permettere una giacca, che mi avrebbe impedito i movimenti. Focalizzai la mia attenzione su una porta in particolare.
Allungai una mano verso il pomello. Ancora poco e le mie dita si sarebbero strette attorno al pomolo d’ottone.
Un grido soffocato risvegliò i miei sensi, un grido di battaglia.
Mi scostai di lato appena in tempo per evitare un candelabro in testa. Chi mi aveva aggredito finì per sbattere contro al muro, sbilanciando dallo slancio del colpo fallito. Il suo disorientamento mi lasciò un istante per estrarre il pugnale, ma lui si riprese dopo pochissimo. Eccolo di nuovo all’attacco. Strinse la presa sul candelabro e cominciò ad agitarlo a destra e a sinistra, come si una fare con le bestie feroci.
Approfittando di un momento di dubbio del mio avversario, tentai un affondo. Ero convinta che avrei colpito nel segno, ma dove un attimo prima c’era un’ombra solida ora c’era solo aria e buio. Non feci in tempo ad essere stupita: mi era salito sulla schiena, agganciando le caviglie al mio ventre.
Cominciai a dimenarmi, sgroppando e lanciandomi di schiera contro i muri di pietra. La misteriosa figura tentava ancora di colpirmi. Ci riuscì e persi per qualche secondo conoscenza.

Mi risvegliai dal torpore pochi istanti dopo. Nel mio campo visivo solo una mano pallida, tesa ad aiutarmi. La scostai bruscamente, stizzita e ferita all’orgoglio.
Pessima mossa: il mondo cominciò a vorticarmi intorno come impazzito. Afferrai prontamente la mano per avere un punto fermo nel roteante universo. Qualcuno, quaranta centimetri sopra di me, stava ridacchiando.
Alzai il viso, pronta a mandare al diavolo il mio … salvatore. Mi sarei aspettata tutti, anche un goblin truccato da ballerina, ma non lui.
-Oh cielo, fa che sia una versione post-trauma cerebrale- sussurrai a me stessa.
Lo fissai incredula
-So di essere molto bello, ma la cosa si fa imbarazzante- mi mormorò.
-M-ma tu… tu non… che diavolo ci fai qui?!- dovetti mormorare per non svegliare gli altri, ma avrei preferito un altro tono.
-Che ne dici di discuterne da un’altra parte?- chiese guardandosi attorno circospetto. Effettivamente non era l’ideale litigare a suon di sussurri in mezzo al corridoio con un cadavere steso ai nostri piedi. Si, era morto, qualunque cosa fosse, umano o non umano.
Senza bisogno di parole afferrammo il corpo, dalle ascelle lui, dalle caviglie io e, silenziosi come fantasmi, lo trasportammo in camera.
-Dove lo mettiamo?- chiesi, digrignando i denti per lo sforzo.
-In vasca- come se l’occultamento di cadavere per lui fosse all’ordine del giorni. Quando avemmo sistemato il corpo si mise a frugare dentro un armadietto, estraendo una valigetta bianca con una grande croce rossa sul davanti. Io lo guardavo non capendo cosa volesse fare.
-Che fai?- domandai infine.
-Hai il viso insanguinato-
“Davvero?” andai allo specchio ad esaminarmi. Si, la parte sinistra della faccia era imbrattata di rosso, che scendeva in piccoli fiumiciattoli fino alle guance, come lacrime.
-Se è profonda va ricucita- Ah, ah, ah! Stava scherzando?
-Spero per te che non lo sia, o passerai minuti d’inferno- ribattei.
Alla fine non c’era stato bisogno dei punti. Me la cavai con una benda.
-Allora, che ci facevi li fuori? Il cavaliere mascherato?- chiesi, mentre finiva la medicazione. Avrebbe potuto farsi veramente male.
-Non credo di poterlo rivelare ad una civile- fece con voce piatta.
“Civile? Io?” –Civile? Io?-
Mi guardò accigliato –Identificati-
-Cazzo! Identificati tu!- qualcosa nel mio tono lo indusse a fare quello che gli dicevo. Non era frutto dell’addestramento, solo il tono di una donna estremamente incazzata ed estremamente stanca.
-Dipartimento per la regolamentazione delle creature magiche e della magia- che incubo pronunciarlo –più semplicemente DIRCreMM-
Colpita e affondata. Restai senza parole. Quelle persone erano delle leggende tra i cacciatori. Certo, serpeggiava un odio profondo tra i semplici Hunters e gli agenti DIRCreMM. Invidia suppongo –ma sono dettagli.
Anche io tirai fuori la mia tesserina, non senza imbarazzo, quella scattata quando ancora avevo l’apparecchio e gli occhiali spessi.
Lui evitò di commentare –Lo perquisiamo?- chiese infine.
Andò alla vasca e si chinò sopra il cadavere ancora misterioso. Io guardavo da sopra la spalla.
Il cadavere indossava una maschera bianca. Lui la tolse con un gesto estremamente teatrale.
-La segretaria! Lo sapevo che un giorno o l’altro avrebbe cercato di uccidermi!-
-Probabilmente apparteneva ad una setta o qualcosa del genere- disse, indicando la tunica nera che indossava. Poi si mise a frugare tra le tasche del vestito.
-Ma che fai?- va bene che era un cadavere, ma, insomma, un po’ di rispetto.
-Controllo nelle tasche- ok, meglio stare zitta.
Subito dopo la sua espressione concentrata si sciolse in un sorriso trionfante. Con aria tronfia estrasse un pezzo di carta piegato e ripiegato.
Ci chinammo entrambi su di esso per esaminarlo.

NdA - Note d'Autrice:
Buongioro (o buonasera) a tutti voi che siete arrivati fin qui!
Che dire di questa fic? L'idea è stata partorita durante una noiosissima lezione a scuola, nata dalla voglia di scrivere una mia storia sui cacciatori. E' molto breve, tre capitoli che ho intenzione di postare settimanalmente.
Spero che la sotia vi sia piaciuta e ricordate, un autore recensito è un autore felice!

                                                                                                                                                      Elenoire Tempesta 
  
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