Fanfic su artisti musicali > Bon Jovi
Ricorda la storia  |       
Autore: Rosie Bongiovi    01/05/2012    2 recensioni
"Sì, amore. Quella cosa che causa più problemi di una guerra o del surriscaldamento globale. Quella cosa schifosa che, a volte, non è corrisposta e, altre volte, se lo è fa schifo comunque. In poche parole, alla sofferenza che causa non si può sfuggire in alcuna maniera". L'avevano detto anche i Bon Jovi che l'amore non è altro che una malattia sociale.. E nemmeno loro riusciranno a sfuggirgli. Dedicato a chi è innamorato, a chi lo è stato e a chi lo sarà.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Inizio ad avere la mente confusa e i pensieri sembrano così annebbiati..

Forse è per la stanchezza, forse per le lacrime e il mal di testa che hanno provocato o, ancora, forse è per il cocktail che ho in mano. Finisco l'ultimo sorso, e deglutisco rumorosamente.

Francamente non ricordo più che cosa ho ordinato, al secondo bicchiere ho chiesto al barista di sceglierne un altro paio, senza alcuna preferenza particolare. Sbuffo, portandomi una mano sulla fronte e massaggiando le tempie con le dita. Dannazione, questa è una vera e propria emicrania.

Lascio una banconota sul bancone, dando un'occhiata al barista che mi fa l'occhiolino. Sta per dire qualcosa, ma me ne vado senza rimanere ad ascoltare. Mi trascino verso l'uscita, barcollando sui tacchi. Lo so, è stata una pessima scelta indossare questa roba, dei sandali neri con delle cinghiette scure ed un fiore sulla prima sottile striscia nera di pelle, che li tiene ben saldati alle mie caviglie.

Mi scappa una risata, non so nemmeno cosa abbia provocato questa risatina quasi isterica, che mi affretto a smorzare. Esco; la fredda aria serale mi colpisce violentemente e mi costringe a chiudere la mia giacca di jeans. I bottoni mi impegnano per pochi secondi, la mia lucidità sta andando a farsi friggere.

Ecco fatto, ci sono riuscita.

Appoggio la schiena al muro e mi lascio scivolare finché non tocco terra. Appoggio i gomiti sulle ginocchia e accendo una sigaretta, che porto alla bocca. Faccio tre o quattro tiri di seguito, il mio nervosismo deve essere placato in qualche maniera, e non ci sono ancora riuscita. Ora ricordo che è quello il motivo per cui sono andata al bar, posto in cui passo solo per un caffè la mattina. Mi rendo conto di averla finita nell'arco di mezzo minuto. La getto a terra, spegnendola con la scarpa. Necessito di fumarne un'altra. Inizio a cercare il pacchetto nella tasche, per poi realizzare di averle terminate. Sbuffo, scocciata, e inizio a borbottare, farfugliando qualche parola, finché nel mio campo visivo non compare una mano, appartenente ad un uomo, vista sia la dimensione che i calli sui polpastrelli. Forse un chitarrista, penso subito. Vedo che tra l'indice ed il medio c'è una sigaretta nuova di zecca. Prima di prenderla tra le mie dita, alzo lo sguardo, incrociando quello di due occhi blu, impenetrabili, attraverso i quali non riesco a leggere niente. La persona che ha scritto la frase 'Gli occhi sono lo specchio dell'anima', forse non ha mai visto quest'uomo, dai capelli biondi lunghi fino alle spalle, ribelli. Mi alzo in piedi, ringraziandolo sottovoce. Continuo a scrutare i suoi lineamenti, incantata dalla sua bellezza quasi sovrumana. Poi mi torna in mente il motivo per cui sono lì e per cui sto male, perciò smetto di fissarlo immediatamente. Recupero l'accendino azzurro che poco fa ho riposto nella tasca posteriore dei miei jeans, accendo la sigaretta e faccio un tiro.

“Serataccia?” chiede, con una voce così calda da farmi venire i brividi, interrompendo il mio respiro ed ogni mio singolo movimento per qualche istante. Annuisco.

“Abbiamo trovato la nostra prima cosa in comune” dice, rivolgendomi uno sguardo abbattuto. Non so cosa dire, forse il silenzio è la migliore risposta. Sono io quella che ha bisogno di essere consolata, adesso il mio spirito da crocerossina deve annientarsi. Non ho tempo per pensare ad un uomo disperato, chissà per quale motivo. E' di una bellezza disarmante, se soffre per amore sarà sicuramente circondato da un milione di altre donne pronte a tirargli su il morale.

“Sei silenziosa” commenta, con una punta di ironia. Finisco la seconda sigaretta della serata, la spengo lasciandola nel posacenere di ferro all'entrata del bar.

“Perché è una serataccia” ripeto, perché inizio a pensare che il concetto non gli sia chiaro. Fa una risatina, abbassando la testa.

“Amore, non è vero?”.

Sì, amore. Quella cosa che causa più problemi di una guerra o del surriscaldamento globale. Quella cosa schifosa che, a volte, non è corrisposta e, altre volte, se lo è fa schifo comunque. In poche parole, alla sofferenza che causa non si può sfuggire in alcuna maniera.

“Sei un veggente o me lo si legge sulla fronte?” domando, con aria di sfida. Fa spallucce, dando un calcio ad una lattina di birra, abbandonata sul marciapiede nel quale ci siamo solo io e lui.

“E' prevedibile. L'amore è una malattia sociale. E' vero, non lo si sopporta ma.. Sono sicuro che senza moriresti*” risponde con un tono di voce che, immagino, possiedono solo i filosofi. Sorrido amaramente.

“Non credo che senza morirei. Avrei meno preoccupazioni, meno cose a cui pensare. Non mi vedrei piangere davanti allo specchio così spesso”.

Ride, ride di gusto. E' una risata così beffarda che mi fa pentire di aver detto quelle parole. Sono suonate così sciocche dette da me, mentre le sue sembravano scritte da un poeta.

“Scommetto che hai contato tutte le lacrime che hai pianto**” dice, osservandomi, con una mano sul mento. “Scommetto che hai giurato a te stessa che mai e poi mai lascerai che l'amore torni di nuovo dentro di te, perché ti ha fatto troppo male dire addio..** ”. Inarco un sopracciglio, stupita. Sento che devo dire qualcosa, ma le parole sono lì, bloccate nella mia gola, incapaci di assumere la voce per essere espresse. Rimango imbambolata ad osservare quegli occhi che sono entrati nei miei, leggendo tutta la mia storia, mentre io, dai suoi, sono solo riuscita a comprendere che è una persona sicura e che non vacillerà mai. Si avvicina, le sue labbra sono a qualche millimetro dal mio collo. “Oppure sentirtelo dire”. Poggia un piccolo bacio sulla mia pelle, per poi fare un passo verso la porta del locale.

“Come ti chiami?” riesco a dire, stordita da quel suo profumo di acqua di colonia, completamente in contrasto con il mio, sostituito da quello del fumo.

“Jon” conclude, per poi sparire. 

 

 


* Da "Social Disease", Bon Jovi

** Da "If that's what it takes", Bon Jovi

 

 

Nota dell'autrice:

Avevo bisogno di scrivere ed è venuta fuori questa pagina.. Ed è proprio vero che buttare le proprie emozioni su un foglio (o su un documento word in questo caso) fa davvero bene, fa sentire più leggeri. E' una sensazione bellissima quella che si prova nel momento in cui decidiamo di specchiarci su un pezzo di carta, usando le parole. Credo che molti di voi abbiano provato la stessa cosa un milione di volte. 

Bando alle ciance e le quisquilie, o qui rischio di diventare logorroica e finisco per scrivere un romanzo, se volete lasciare un piccolo commento ve ne sarei grata! :) 


Rosie

  
Leggi le 2 recensioni
Ricorda la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > Bon Jovi / Vai alla pagina dell'autore: Rosie Bongiovi