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Autore: Chu    01/05/2012    12 recensioni
Dicono che quando uno incontra l'amore della sua vita il tempo si ferma. Ma se quella persona ci mettesse dieci anni per vivere quel momento?
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Coppie: Blaine/Kurt
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Titolo: I don't know what I can save you from
Prompt: ex (con un cameo di "Sono single per scelta. Degli altri") dai prompt gentilmente fornitici dalle adorabili pazze del Gleeky Cauldron <3<3<3
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico
Rating: PG13
Avvertimenti: slash, eventuali errori, niente OOC perché i nostri ragazzi sono cresciuti, dunque leggermente diversi <3
Note: uh. Sono terrorizzata. Questa è la prima fanfiction su Glee che pubblico e nonostante ne sia generalmente soddisfatta sono terrorizzata e sono consapevole di aver messo un sacco di carne sul fuoco. Roba che avrei potuto scrivere in almeno 10 diverse fic, ma... boh, ero presa e quindi ho vomitato tutto qui dentro.
Altre note importanti le trovate alla fine di questo delirio, per adesso... Siate comprensivi: il primo lavoro è un po' quello dove si vuole fare tutto e subito. E dunque: le critiche sono ben accette.

I don't know what I can save you from


"Dicono che quando uno incontra l'amore della sua vita il tempo si ferma. Ed è vero. Quello che non dicono è che quando il tempo si rimette in moto va a doppia velocità per recuperare."
(Big Fish)

 
Inizia tutto con il telefono che suona poco dopo la mezzanotte di un giorno qualsiasi. Kurt non è ancora addormentato perché la giornata è stata molto stressante, e quando è così stanco fa fatica a dormire; il telefono sul comodino vibra rumorosamente e lui sbuffa prima di prenderlo. Lo schermo gli mostra un numero senza nome e Kurt non sa precisamente per quale motivo si prenda il disturbo di rispondere: chiunque sia dev’essere una persona molto maleducata, per telefonare a quell’ora.

“Pronto?”

C’è un momento di silenzio dall’altra parte, una sorta di breve esitazione, un respiro trattenuto; poi… “Kurt?”

Sono passati quasi due anni dall’ultima volta che ha sentito quella voce, ma nel momento in cui Blaine pronuncia il suo nome Kurt ha una sorta di vertigine: è come se non fossero passate che poche ore dall’ultima volta che ha sentito quel suono ed è una sensazione che gli riempie le vene di una strana sollecitudine, una bizzarra frenesia nervosa ed emozionata.

“Blaine,” risponde, anche se non ha bisogno di conferme, ma è la prima cosa che gli viene in mente da dire. Ed è sciocco, sa che è sciocco, ma è come se il suo cervello avesse risposto automaticamente ad uno stimolo esterno.

Blaine ride nervosamente dall’altra parte del telefono e quando gli dice sì, sì, sono io, Kurt sa che sta annuendo e che è terribilmente ansioso. E l’idea diventa snervante, all’improvviso. Forse per la sua risata o per il fatto che l’abbia chiamato di notte o forse per il fatto che è nervoso, mentre Kurt non lo è.

Non lo è, davvero, è solo confuso e stranamente emozionato.

“Perché mi hai chiamato?” domanda, sedendosi sul materasso e appoggiando la schiena contro i cuscini. Pensa con un po’ di scoramento che, se davvero vuole parlare con Blaine, l’indomani avrà delle orribili occhiaie; ma comunque non avrebbe dormito, ed ormai è seduto e pronto a qualsiasi cosa l’altro voglia dirgli. Perché gli sembra una cosa dannatamente naturale, anche se sono passati due anni.

“Oh, scusami,” gli dice Blaine, e sembra davvero dispiaciuto. Kurt sa che lo è, perché lo conosce da quasi dieci anni. “Stavi dormendo?”

“No,” gli risponde con un sospiro. “Non preoccuparti. Ero… Sono solo curioso.”

“Oh,” fa di nuovo Blaine e Kurt accende la lampada sul comodino, lisciando le lenzuola, in attesa. Si sente in dovere di mostrarsi rilassato, anche se Blaine non è lì per vederlo e anche se ha ancora una matassa d’emozioni nervose che gli si è bloccata sul diaframma.

“Sai… Non riuscivo a dormire,” gli dice Blaine, come da copione. E, come da copione, a Kurt viene da ridere, perché da quando sono diventati solo amici i loro orologi biologici sembrano essersi improvvisamente sincronizzati; anche in quei due anni di silenzio, Kurt si è chiesto se quando lui non riusciva a dormire anche l’altro non ci riuscisse. È stupido, però l’ha fatto.

“Così mi sono ricordato di quando mi hai detto che potevo sempre chiamarti, così almeno avremmo passato la nottata insonne insieme.” Ed è stupido anche che Kurt sorrida nel constatare che non è l’unico a ricordarsi di quella sincronia. Ma che male c’è? Fa piacere, lo fa sentire amato e rende il loro rapporto un po’ speciale.

“È davvero come se non avessimo mai smesso di sentirci,” gli dice e Blaine sorride – riconosce il suono, uno sbuffo leggero nell’altoparlante. “Come mai non riuscivi a dormire?”

“E tu?”

“Ho chiesto prima io!” scherza Kurt e sente pian piano la matassa sciogliersi; rimane sono un piccolo nodo, alla fine, una sensazione agrodolce e nostalgica che lo fa stare bene e lo rilassa.

Blaine ride e poi gli spiega vagamente che è un periodo pieno di cose da fare e impegni. Parlano di niente in particolare per la successiva mezz’ora e la sensazione che non sia passato che un giorno dalla loro ultima chiacchierata amichevole si fa più forte, ma non è sgradevole. Tutto il contrario, in effetti.

Ad un certo punto della chiamata Kurt chiude gli occhi, semplicemente ascoltando la voce di Blaine che gli racconta cose banali e quotidiane – ha imparato, nella sua folle routine, che anche le cose banali a volte sono straordinarie – ed è solo quando Blaine lo chiama un paio di volte che si rende conto d’essersi quasi assopito.

“Scusa,” gli dice, strizzando gli occhi e ridendo imbarazzato. “Lunga giornata.”

“Mhm,” mormora Blaine e poi c’è un attimo di silenzio, uno momento in cui sembra che entrambi siano entrati in una terra di nessuno. Kurt ha la sensazione – acuta e un po’ spaventosa – che quello sia il punto di svolta; un altro dei loro tanti punti di svolta, perché un legame di dieci anni ha un sacco di curve, ma il rapporto che ha con Blaine è fatto anche di saliscendi, inversioni a U e vicoli ciechi. Kurt ha imparato a riconoscere i segnali, in tutti quegli anni.

“Ci vediamo per un caffè domani?” chiede Blaine e lui sa che è nervoso. L’altoparlante del cellulare camuffa solo il parte il tono della sua voce e quel leggero, impercettibile tremolio d’eccitazione: è una scommessa, un azzardo ed è normale essere ansiosi ed elettrizzati.

Kurt si sente allo stesso modo, anche se è dalla parte dell’invitato. Risponde di sì prima ancora di accorgersi che sì, vuole vederlo, ma più di tutto vuole prendere un caffè con lui.
 

Il giorno seguente, mentre Kurt aspetta seduto ad un tavolino del loro solito posto – che è diverso, dopo due anni, ma ha sempre la stessa atmosfera accogliente – pensa più lucidamente a quella bizzarra svolta che hanno preso insieme, la notte prima. Si domanda, e non senza una certa dose di perplessa curiosità, perché farsi vivo dopo due anni di silenzio; perché in quel momento in particolare; cosa significa esattamente e se non sia un ulteriore errore.

Loro di errori ne hanno fatti molti, piccoli e grandi, con conseguenze più o meno rilevanti. L’ultimo, due anni fa, è stato forse quello più sconvolgente: erano nella fase siamo single per scelta, ma per scelta degli altri ed erano anche nella loro fase siamo migliori amici. Kurt non sapeva che fossero anche nella fase scopamici, eppure, dopo una sera passata insieme a bere e divertirsi e fare tutte le cose che due buoni amici fanno, si erano ritrovati a baciarsi con foga sul letto di Blaine, con le lenzuola che si attaccavano addosso, le gambe incastrate e l’illusione che quella cosa non significasse nulla di che, che erano ormai adulti e vaccinati e che una notte di sesso a volte non è altro che una notte di sesso.

Il che solitamente è così, ma non per loro, semplicemente perché sono loro: sono stati l’uno il primo dell’altro per un sacco di cose, sono cresciuti insieme da adolescenti a giovani adulti ed hanno vissuto una storia d’amore in stile favola – a Kurt piace pensarla così, perché non ha mai smesso d’essere un inguaribile sentimentale. Non c’è mai stato un lieto fine, però; c’è stata solo una fine, che poi si è trascinata avanti per anni come una pseudo amicizia. Pseudo perché anche allora sono stati gelosi l’uno dell’altro; pseudo perché quando hanno deciso di fare un’uscita a quattro, Kurt ha passato tutto il tempo a fare battutine ironiche e lanciare frecciatine all’accompagnatore di Blaine, e Blaine ha passato tutto il tempo a guardare male il ragazzo di Kurt. Pseudo, appunto, ma è sembrato tutto normale, all’epoca.

Siamo stati insieme così tanto tempo, Kurt, è normale.

Semplicemente non funziona: non possono essere amici, non possono essere scopamici e non possono essere fidanzati. C’è una storia di dieci anni interi a dimostrarlo, eppure eccolo lì, Kurt Hummel, venticinque-quasi-ventisei anni, che attende con impazienza il suo ex, il suo primo amore.

E quando lo vede entrare trafelato dalla porta del locale sente un piccolo strattone al cuore ed un sorriso nervoso gli si stampa sulle labbra nel momento in cui gli occhi di Blaine lo trovano. Si sorridono, complici e perplessi come se si fossero trovati lì per caso, ed entrambi sanno che stanno per cadere di nuovo nel loro rapporto saliscendi.

Blaine lo raggiunge e Kurt si alza dalla sedia; restano in piedi l’uno di fronte all’altro senza sapere cosa fare.

Una stretta di mano, un bacio, una pacca sulla spalla?

Cos’è più appropriato per l’ex che non si vede da due anni, ma che in realtà non ha mai lasciato la tua testa ed il tuo cuore?

A toglierlo d’impaccio ci pensa Blaine, che si sporge in avanti, afferrandogli leggermente il braccio, e stampandogli un bacio sulla guancia. “Ciao,” gli dice poi.

“Ehi, ciao,” gli risponde sorpreso, confuso e travolto dall’altro, come sempre.

Dopo aver fatto l’ordine, si guardano e restano in silenzio per qualche momento. Ma non sono davvero capaci di starsene zitti, quindi si chiedono quasi contemporaneamente come stai? e poi ridono.

“Ti trovo bene,” dice Blaine e Kurt sa che è vero. Nonostante le poche ore di sonno e la mattina frenetica per riuscire ad avere un buco di un paio d’ore quel pomeriggio, Kurt sta bene.

“A quanto pare correre tutto il giorno su e giù per la città mi fa bene,” scherza perché non ne può fare a meno; inoltre, gli è sempre piaciuta la sensazione che gli dà riuscire a strappare un sorriso a Blaine. Non che sia difficile: Blaine è sempre stato troppo educato per negare a qualcuno un sorriso, ma lui sa riconoscere quel genere di sorrisi da quelli genuini.

“Lavori ancora per quel wedding planner…?” domanda Blaine, lanciando un’occhiata al cameriere che ha portato il loro ordine e ringraziandolo.

“Gavetta,” annuisce Kurt, girando il cucchiaino nel caffè macchiato, anche se non è zuccherato. “Ma sto pensando di mettermi in proprio… Ormai la gente mi conosce e sa che sono bravo-”

“Sei eccezionale,” lo interrompe Blaine ed ha quell’aria affascinante che un po’ lo spiazza e lo diverte: è come se ogni volta che si rivedono Blaine si senta in dovere di conquistarlo di nuovo, senza sapere che non deve fare nulla del genere, perché Blaine non può davvero uscire dalla vita di Kurt. È sempre rimasto lì, patinato d’affetto anche quando le cose andavano male e il loro rapporto era in una delle fasi discendenti.

“Certo che lo sono!” esclama Kurt, trasformando il complimento in un’autocelebrazione ironica, ma non troppo.

“E vai ancora a fare qualche provino?” L’interesse di Blaine per la sua vita è comprensibile, riflette Kurt: non si vedono da due anni e i loro contatti comuni devono aver pensato che fosse semplicemente giusto non dire niente dell’uno all’altro. In un certo senso è meglio così, perché in questo modo hanno più cose da raccontarsi, possono rubare più tempo a quella giornata di due anni dopo.

“Vorrei averne il tempo,” sospira Kurt, ma poi alza le spalle. “Rachel continua ad informarmi, ma… non ho davvero tempo e poi sono completamente assorbito dal mio lavoro. Mi piace, lo sai.”

“Sì, tutto il discorso sui sogni che cambiano…” annuisce Blaine e si scambiano un sorriso ricordando quel discorso di qualche anno prima, quando le cose tra loro erano nella fase siamo migliori amici.

“E tu?” chiede Kurt, perché è curioso e perché vuole conoscere il motivo per cui ha ricevuto quella telefonata a mezzanotte. Sa che Blaine sta solo prendendo tempo, riconosce tutti i segni: del resto, il grado di conoscenza che ha di Blaine è secondo solo al grado di conoscenza che ha di sé stesso e di suo padre (e di Finn, ma non è tanto difficile capire Finn).

“Continuo a provare e a ricevere tanti ‘le faremo sapere’,” dice Blaine con sguardo amareggiato, ma poi si riscuote subito, perché non è tipo da atmosfera deprimente. “Ma me la cavo: faccio qualche lavoretto qui e là e ai miei non importa davvero. Beh, non importava fino a quest’anno…”

Kurt aggrotta la fronte, confuso: i genitori di Blaine sono sempre stati permissivi al punto da sfiorare l’indifferenza. L’hanno sempre sostenuto economicamente, ma per il resto gli hanno lasciato fare quello che voleva senza preoccuparsene troppo. Kurt non ha mai capito che genere di rapporto Blaine abbia con i suoi genitori, ma ogni volta che il discorso salta fuori – o in quelle rare ed imbarazzanti occasioni in cui ha avuto a che fare con loro direttamente – si ritrova a pensare con una certa infantile nostalgia a suo padre.

Intanto Blaine continua a parlare, incurante del momento di confusione del suo interlocutore. “Coop mi dà una mano,  ma, sai, è dall’altra parte del Paese, quindi non è davvero di grande aiuto. Ma gli piace pensare che sia indispensabile, quindi glielo lascio fare.”

“Aspetta un momento,” lo interrompe Kurt, prima che possa andare oltre quel discorso. Blaine sorseggia il suo cappuccino e lo guarda con occhi curiosi, come se davvero non sapesse cosa aspettarsi. Ogni tanto – più di ogni tanto, in verità – Kurt ha l’impressione, netta e sgradevole, che Blaine finga d’essere sorpreso; come se credesse che il suo cadere dalle nuvole sia una parte fondamentale ed imprescindibile del suo fascino. E, diamine, ha maledettamente ragione, ma ciò non toglie che talvolta sia snervante. “Cos’è successo con i tuoi?”

Blaine sbatte le palpebre, fa un sorrisetto e alza le spalle. È il suo modo per dire sapevo che mi avresti chiesto esattamente quello che volevo che mi chiedessi. “Beh, avrò venticinque anni quest’anno… Diciamo che i miei non vogliono che finisca a fare l’artista girovago e psicopatico come mio fratello. Suppongo siano preoccupati per il mio futuro e che inizino a volere dei risultati concreti da parte mia.”

“Oh,” fa Kurt e, non sapendo cos’altro dire, beve un sorso di caffè. Ma c’è qualcosa nell’atteggiamento di Blaine – niente di definito, solo una sensazione generale – che gli fa capire che il discorso non finisce lì: c’è dell’altro e lui deve tirarlo fuori, perché probabilmente quello è il motivo per cui Blaine l’ha chiamato ieri notte. “E?” domanda semplicemente, guardandolo con tranquillità; gli sta bene essere il suo confidente per gli sfoghi. Hanno un accordo a riguardo, o qualcosa del genere, come l’invito a chiamarsi nel cuore della notte perché soffrono d’insonnia sincronizzata.

Blaine gli sorride con complicità – è come se anche lui avesse fatto quel ragionamento. Correzione: Kurt sa che anche lui ha fatto quel ragionamento, e quindi gli sorride di rimando. La domanda balza fuori dal nulla nel suo cervello, come se non conoscesse la risposta: perché mai hanno smesso di frequentarsi?

“E,” incalza Blaine, alzando le mani in un gesto omnicomprensivo e rassegnato. “Penso che forse abbiano ragione. Più che altro, è come se da qualche mese non riesca a smettere di pensare al fatto che io abbia quasi venticinque anni e nulla di concreto in mano.”

Kurt annuisce, conoscendo almeno in parte la sensazione, essendo passato per quel fatidico quarto di secolo anche lui. La sua situazione era un po’ diversa, però, perché anche all’epoca aveva un lavoro appagante e abbastanza redditizio – abita comunque New York, non esattamente la città più accessibile del mondo – e aveva anche una bella relazione. Finita male, dopo, ma al momento del suo bilancio personale filava liscia…

Qualcosa nella mente di Kurt urla: una sorta di sirena d’allarme gli fa improvvisamente correre uno spiacevole brivido lungo la schiena e lui stringe le mani attorno alla tazza di caffè. Osserva Blaine che continua a parlare, ancora una volta incurante della sua agitazione interiore, ed ha l’improvvisa e netta sensazione che tutto quello sia sbagliato: la bella nostalgia malinconica che l’ha avvolto durante tutta la durata della chiacchierata scoppia come una bolla, facendo tornare a galla tutti i dubbi e le reticenze che l’avevano colto mentre aspettava Blaine. Le loro fasi saliscendi, il fatto di non essersi sentiti per due anni – due interi anni in cui le loro vite hanno continuato a scorrere, senza grossi traumi per la mancanza dell’uno della vita dell’altro, grazie tante -, il motivo per cui hanno smesso di frequentarsi – quel costante tumulto interiore che si presentava ogni volta che si guardavano e ripensavano a quella sera di bagordi conclusasi in una notte di sesso senza significato. Ha tutto senso, eppure non ce l’aveva fino a dieci minuti prima.

“… e poi ho chiuso questa specie di relazione che avevo con un tizio, ma non era proprio una relazione. La definirei più una frequentazione, ecco…” Il discorso di Blaine scema pian piano quando si accorge che Kurt lo sto fissando con gli occhi spalancati e l’espressione improvvisamente chiusa. Tossicchia e tamburella con nervosismo le dita sul tavolo, e Kurt vede sulla sua faccia la perplessità e l’imbarazzo, ma anche una certa dose di ignoranza, del tutto genuina.

“Fermo, fermati un momento,” gli dice, anche se Blaine non sta più parlando – ma lui sa che sta pensando furiosamente alla ricerca di qualcosa di male che può aver detto o fatto. Non ci arriverà mai, perché a volte Blaine è tonto, ma davvero tanto tonto; faceva parte della sua attrattiva, al tempo. Diamine, fa parte della sua attrattiva anche adesso. “Vuoi… tirare le somme?” gli domanda, senza troppi giri di parole, perché l’incanto si è spezzato e sono tornati a quella primavera di due anni prima, entrambi arrabbiati e confusi e insofferenti alla presenza dell’altro nella stessa stanza. O almeno, Kurt è tornato lì.

Blaine strizza gli occhi senza capire, fa un cenno vago e poi scuote la testa con un sorriso “La sto facendo troppo lunga?”

Kurt lo troverebbe adorabile se non fosse infuriato e deluso: credeva davvero che quell’incontro fosse un primo passo per tornare ad essere… Si blocca lì, il pensiero, perché ogni tentativo d’essere amici è andato male, a diversi gradi di gravità, ma sempre e comunque male.

“No, Blaine, non è questo il punto,” spiega con gelo nella voce. Non gli riesce tanto bene, perché è ancora troppo furioso – e non con Blaine, non ce l’ha mai davvero con Blaine, ma ce l’ha sempre con sé stesso e con il modo in cui si sente quando è con lui. “Il punto è che tu stai per compiere venticinque anni, e ti sembra una svolta importante, e hai l’impressione di non avere niente in mano, e stai cercando di tirarmi dentro al tuo bilancio di vita.”

Blaine lo fissa con gli occhi spalancati, l’espressione inebetita che denuncia la più totale confusione in cui quel discorso l’ha gettato. Kurt non sa se sta recitando, mettendo in scena la sua parte migliore, quella del ragazzo che cade dalle nuvole, o se davvero non sa di cosa stanno parlando; ma c’è la terza opzione, ed è quella che Kurt crede più veritiera, ovvero: Blaine è stato preso in contropiede e non sa come reagire a quello snocciolamento preciso delle sue intenzioni.

“Non so esattamente cosa speri che io ti dica,” continua Kurt, puntando come una furia sulla terza opzione. Sa che è quella giusta, lo vede sulla faccia vagamente colpevole e decisamente frastornata del suo ex – amante, amico, fidanzato, confidente, tutto. “Forse speri che ti dica che sei cambiato o che non sei cambiato per niente; che sei diventato una persona eccezionale, oppure che sei diventato come dovevi essere. Non lo so, non voglio saperlo. Sono solo…” E qui si blocca, mordendosi le labbra perché forse non è una buona idea esporsi. Ma poi, Kurt non si è mai tirato indietro quando si trattava di confrontarsi con qualcuno, ed ha affrontato situazioni ben più difficili di uno scontro verbale con Blaine che gli causerà, probabilmente, diverse concussioni emotive. Ma va bene, vuole essere sincero sui suoi sentimenti. “Sono solo molto deluso dal fatto che tu voglia usarmi per questo.”

Blaine resta in silenzio per un momento, ma quando capisce che il discorso di Kurt è finito e che potrebbe andarsene da un momento all’altro – Kurt ha già adocchiato la porta ed è pronto ad afferrare la sua cartella da professionista per lanciarsi fuori dal locale –, si protende in avanti e allunga una mano. “No, nono,” dice con urgenza, sembrando mortificato. “Non voglio usarti per nulla!”

“No?” domanda Kurt, alzando un sopracciglio e guardandolo con profonda delusione.

“No!” è tutto quello che esclama Blaine prima di sospirare pesantemente e abbassare la testa, come se fosse stato sconfitto. “Okay, potrei averti chiamato ieri notte perché mi sembrava… Perché sei la persona che mi conosce meglio-”

“Blaine, sono due anni che ci evitiamo,” puntualizza, anche se sembra sciocco farlo. Ma è così ferito, così amareggiato da quella situazione che non sa nemmeno cosa sia giusto dire; non sa nemmeno se sia giusto essere così arrabbiato con Blaine che è in un periodo di evidente crisi e che, in fondo, non gli ha chiesto niente. Non ancora, almeno.

“Già,” annuisce Blaine, e lo guarda con la stessa amarezza che lui stesso sente stringergli il petto. “E vorrei sapere perché. E vorrei anche sapere perché hai cancellato il mio numero.”

Kurt è sorpreso da quell’affermazione e scuote la testa con decisione. “Non ho cancellato il tuo numero…”

“Non mi hai riconosciuto quando ti ho chiamato…”

“Ho avuto dei problemi con il telefono, qualche mese fa. Ho perso metà dei miei contatti e probabilmente c’era anche il tuo, nel mucchio,” spiega, alzando le mani come a dire cose che capitano. “Non pensavo importasse, dato che avevamo smesso da un anno di sentirci.”

Blaine continua ad avere l’aria abbattuta e amareggiata, e da qualche parte nei suoi occhi c’è anche risentimento; Kurt si sente improvvisamente in colpa, anche se sa di non averne alcun motivo, e odia il fatto che Blaine lo faccia sentire in quel modo.

“Perché non mi hai più chiamato?” gli chiede e Kurt sente nella sua voce – un mormorio corrucciato, indagatore – una nota di dispiacere e di sincera curiosità.

Questa conversazione, decide, non li porterà da nessuna parte. L’intero incontro probabilmente è stato uno sbaglio, ma loro sembrano non fare altro da anni: sbagli, continui sbagli.

“Perché che senso avrebbe avuto?” ammette semplicemente, perché non è giusto non dirgli niente e se Kurt ha deciso d’essere sincero con Blaine, allora lo sarà fino alla fine. Blaine lo fissa sconcertato, la bocca aperta in una smorfia stolida che traduce perfettamente la sua confusione; ma aspetta la spiegazione in silenzio, le mani abbandonate sul tavolo e gli occhi che non lasciano andare i suoi nemmeno per un momento.

Kurt scuote la testa e ride amaramente, perché avrebbe volentieri preferito spendere quel pomeriggio in modo diverso, se solo avesse saputo che le cose sarebbero andate così male. “Blaine, noi… Noi non funzioniamo. Abbiamo provato ad essere amici e, beh, non facevamo altro che interferire l’uno con le relazioni dell’altro; e, quando non c’erano altri uomini e noi riprovavamo ad essere una coppia, non facevamo che litigare. È stato orribile, poi, venire a letto con te e scoprire che non aveva alcun senso, che non significava niente…”

Blaine lo sta ancora fissando in silenzio e non sembra reagire in alcun modo alle sue parole, come se lui avesse un impermeabile speciale che permette a tutto di scivolargli addosso senza colpirlo davvero. È orribile, pensa Kurt, ma continua a parlare, perché ha due anni di silenzio e amarezza alle spalle e finalmente l’occasione di liberarsene. “Ridi quanto ti pare,” dice, ridendo lui stesso, ironicamente e senza davvero intenderlo. “Ma ho pensato che tutto quello stesse rovinando quanto abbiamo avuto di bello. Ho sempre pensato – beh, almeno lo pensavo prima che ci lasciassimo la prima volta – che stessimo vivendo in una sorta di perpetua favola. C’erano alti e bassi, e c’era la gelosia, ma ogni volta riuscivamo a mettere le cose a posto, anche quando le cose sembravano così irreparabili. Eri la mia favola.” Kurt alza le spalle e fa un sorriso, piccolo e autoironico, come se in realtà stesse ridendo della sua stupidità. “Solo che poi tutto è diventato troppo reale, la vita è diventata troppo reale e mi sono reso conto che non potevo più vivere nel mondo pieno di… arcobaleni, unicorni e principi azzurri che ci eravamo costruiti intorno. Non funzionava.”

Blaine si morde le labbra, sembra annaspare alla ricerca di qualcosa da dire; ma è calmo, sorprendentemente calmo, e quando allunga le mani per prendere le sue, Kurt le sente calde e ferme, e gli sembra che tutto sia di nuovo troppo reale. “Kurt, quello che stai dicendo-”

“Lo so,” lo interrompe, ma non allontana le mani da quelle dell’altro. “È stupido. Io non ho mai smesso d’essere uno stupido romantico. Anche quando eravamo finiti, pensavo che saremmo potuti restare amici per sempre, perché… Beh, te l’ho detto: stupido romantico.”

“Mi piace quando fai lo stupido romantico,” gli dice Blaine e fa un piccolo sorriso incerto.

“Per favore,” risponde Kurt, alzando gli occhi al cielo e liberando le sue mani. Le sente sudaticce e tremolanti, e si trova a pensare che sputare fuori il rospo che è cresciuto nel suo stomaco per due anni interi sia stata la sua idea peggiore da anni. Restano in silenzio per qualche minuto, gli altri avventori del locale che, parlando, creano un brusio di sottofondo improvvisamente protagonista, come se fino a quel momento qualcuno avesse pigiato il tasto mute del telecomando; Blaine lo guarda e sembra alla ricerca della parole giuste da dire, ma Kurt evita il suo sguardo, perché dopo tutto quello che gli ha detto trova inutile restare lì, trascinare quell’incontro oltre i limiti sfilacciati del loro rapporto. È stato bello, ma si rende conto che lo è stato solo perché si aggrappava al ricordo di Blaine, a quel mondo patinato e distante della scuola, quando, davvero, Blaine era stato il suo sogno adolescenziale, il suo principe azzurro.

“Non volevo ferirti.” La voce di Blaine è un mormorio basso, in qualche modo umile; quando Kurt alza lo sguardo su di lui, vede la sua espressione seria e corrucciata, come se fosse profondamente occupato a pensare a qualcosa. “Ho tentato così tante volte di chiamarti,” aggiunge poi, focalizzandosi di nuovo sul presente, come se il pensiero fosse andato, svanito, o come se non avesse più senso rincorrerlo. “Ma sembrava sempre il momento sbagliato e poi mi sembrava stupido. Perché avrei dovuto chiamarti io, se tu non l’avevi mai fatto?”

“Perché ieri?” chiede Kurt, cercando di ignorare la spina che gli pungola il cuore all’idea che avrebbe potuto chiamarlo, ma non l’ha fatto; quella spina è ridicola, perché gli fa echeggiare nella mente una domanda altrettanto ridicola: perché non l’hai mai chiamato? Il che è davvero stupido. Sa perché non l’ha fatto e sa che è stata la decisione migliore a riguardo.

Blaine alza le spalle. “Perché no?” risponde, mentre le labbra si piegano in un sorriso amaro. “Stavo facendo quel famoso bilancio, sì, ed ho pensato… Cavolo, venticinque anni. E conosco Kurt da dieci. Perché ho smesso di parlargli? E improvvisamente mi è sembrato stupido che tu non facessi più parte della mia vita.”

Kurt lo guarda intensamente per qualche attimo, provando di nuovo quella fitta al petto: si sente cattivo perché vuole mettere fine a tutto quello e allo stesso tempo si sente stupido perché se continuassero quella conversazione finirebbero per ferirsi di nuovo. E preferisce essere cattivo, piuttosto che stupido, per il bene d’entrambi. “Quello che ti ho detto prima-”

“Lo so,” lo interrompe Blaine, alzando entrambe le mani per fermarlo. Kurt lo fa, perché non se la sente davvero di ripetere tutto il discorso, solo per poi sentirsi una carogna ancora peggiore. “Probabilmente hai ragione, ma… Non ci riesco.” Blaine alza di nuovo le spalle, come a dire che quello è un dato di fatto e lui non può davvero farci niente.

“Non riesci a far cosa?” domanda Kurt, temendo la risposta eppure chiedendo lo stesso.

“A farti uscire dalla mia vita.”

Ed era quella la risposta che temeva. La risposta che in fondo conosceva già, perché quello è il suo stesso problema e l’ha sempre saputo, ne è consapevole da anni; nonostante quella lunga assenza, al momento, gli sembra inevitabile che alla fine si siano di nuovo cercati. Funzionano così, anche se funzionano male.

“Così ho pensato che, visto che non abbiamo davvero litigato, forse potevamo essere di nuovo amici,” ammette Blaine, continuando il suo discorso. Gli sembra a disagio, gli sembra vulnerabile e gli sembra di nuovo il ragazzino nell’ufficio della signorina Pillsbury, il ragazzino che gli diceva, con occhi tristi e voce tremante, che aveva paura di vederlo andare a New York. E in qualche modo quell’immagine gli causa una vertigine forte e improvvisa, e per un momento del tutto folle gli sembra d’essere tornato indietro nel tempo. Scuote la testa piano, allora, e focalizza di nuovo l’attenzione sul presente – il presente che ha così tanto, tanto loro passato, un bagaglio troppo pesante per essere lasciato da parte a vantaggio di ricordi nostalgici.

“Siamo sempre stati dei buoni amici, in fondo, no?” gli domanda Blaine, sorridendo esitante, ma tutto denti e fascino.

Kurt sbuffa e ricambia il sorriso, ma in maniera decisamente meno dolce, più tagliente. “Blaine, non siamo mai stati amici, sai?”

Il sorriso di Blaine scompare all’improvviso e la sua intera faccia sembra accartocciarsi come se gli avessero tolto la terra sotto i piedi. Forse è un po’ quello che Kurt ha fatto, si rende conto non senza una breve fitta di intenso senso di colpa; ma ormai non può più rimangiarsi quello che ha detto. “Blaine,” sorride, cercando d’essere calmo e rassicurante. “Io ho sempre avuto una cotta per te, sin dall’inizio. Lo sai.”

“Lo so, ma questo non ci ha mai impedito d’essere amici,” gli dice, in tono secco e forse infastidito, come se Kurt si stesse semplicemente intestardendo nel non voler riconoscere le cose come sono. Poi Blaine scuote la testa, alzando di nuovo le mani, arrendendosi a qualcosa che Kurt non vede; sorride beffardo e lo guarda quasi incredulo. “Sai qual è il vero problema?”

Kurt sa di non dover rispondere, ma scuote lo stesso la testa, perché è sorpreso dal repentino cambiamento dell’altro.

“Il vero problema è che l’hai sempre vista come una favola, ma non l’hai mai voluta vivere come tale. Non hai nemmeno potuto, lo riconosco,” concede Blaine e tutto, ogni singola parte di lui, grida. Kurt lo guarda incredulo e vagamente indignato – lui è un romantico, un sognatore, lo sanno tutti – ma non è capace di ribattere, perché è sopraffatto da quel grido. “Ma dopo che ci siamo messi insieme, ho sempre avuto l’impressione di dover… rimettermi in pari con tutto. Hai detto che hai sempre avuto una cotta per me, no? Sin dal primo incontro. E beh, io, dopo, mi sono sempre sentito in difetto per questo. E per questo ho sempre cercato di recuperare e riempire i buchi, perché tu mi avevi già dato tanto, per quanto altro tempo saresti stato disposto a darmi il tuo amore?”

“Blaine, questo è assolutamente…” Kurt è senza parole, e quando Blaine gli fa di nuovo cenno di tacere, lui rimane in silenzio, perché, nonostante vorrebbe ribattere, e dirgli che è tutto sbagliato, che non doveva recuperare niente e che è semplicemente stupido, stupido, stupido fare quel discorso dopo tutto quel tempo, non riesce a metterlo in parole comprensibili. Perciò tace e ascolta, nonostante la sua mente ronzi come una vespa, indignata e scioccata.

“È assolutamente stupido, forse, ma è il problema. Sei sempre stato fin troppo concreto e reale rispetto a tutto quello che ci riguardava,” gli dice, e il suo tono è severo, ma non lo sono i suoi occhi e non lo è il suo viso. “Perciò non venirmi a dire che non vuoi affrontare quello che siamo diventati dopo, perché è troppo vero e reale per te. Non è vero.”

Kurt rimane in silenzio, gli occhi larghi di sgomento, sentendosi offeso e accusato ingiustamente di tutto. Lui sa come ha vissuto quei dieci anni, sa come si sentiva riguardo la loro relazione adolescenziale, e non è mai stato troppo concreto, non è mai stato troppo reale; e sa che questo, esattamente questo, è  stato il principale motivo della loro rottura. Eppure c’è una piccola parte di lui che si sta chiedendo se ciò che ha detto Blaine non sia vero, almeno in parte; una minuscola parte della sua coscienza mette in dubbio tutto. Forse Blaine ha ragione, pensa sconcertato: forse sbaglia nel credere che per Kurt sia stato tutto troppo reale e che non abbia mai voluto o potuto vivere la loro storia come la favola che credeva. Ma il punto di vista è quello di Blaine: quello di chi ha fatto sacrifici per Kurt, quello di chi è sceso a compromessi per lui, in ogni modo possibile e immaginabile. Kurt ricorda perfettamente bene tutte le cose che quel ragazzino, una decina d’anni prima, ha fatto per lui: ha messo da parte il suo trauma per accompagnarlo al ballo del terzo anno, ha cambiato scuola per lui, lasciandosi gli amici alle spalle, lo ha aspettato quando aveva avuto bisogno di tempo per la loro prima volta, ed ha detto di sì a quasi tutti i suoi capricci, assecondando i suoi cambi d’umore e quasi modellandosi attorno a lui, sempre pronto ad accoglierlo, ad amarlo.

Kurt lo ha dato per scontato, ha pensato che le cose sarebbero sempre state in quel modo e che lui poteva continuare ad essere capriccioso e volubile, talvolta pragmatico e fin troppo realista, perché credeva che semplicemente certe cose si sarebbero messe a posto da sole, nonostante a metterle a posto fino a quel momento era sempre stato Blaine.

Non è vero che funzionano male, capisce Kurt: è lui che ha addossato tutto il peso della ‘parte reale’ della loro storia sulle spalle di Blaine, senza nemmeno rendersene conto, semplicemente perché Blaine era lì ed era disposto a farlo perché credeva di dover recuperare qualcosa.

Il silenzio tra loro si è fatto pesante, quasi definitivo, e Kurt alza lo sguardo su di lui, osservandolo con occhi diversi, ora che la consapevolezza ha cambiato le carte in tavola; c’è ancora tanto che deve ripensare in luce di tutto quello che è successo in quei dieci anni, ma è un inizio e non è sicuro che riuscirà ad affrontarlo. Si tratta di rimettere in gioco sé stessi, in fondo.

Blaine lo fissa con ansia, paura, confusione, biasimo – c’è sempre stato troppo nel suo sguardo – e, in fondo a tutto, Kurt vede quella briciola di amore adorante che tante volte ha visto. È come se non fosse mai andata via, sempre lì, nascosta sotto i nomi che Kurt dava al loro rapporto man mano che gli anni passavano; si è nascosta sotto il nome ‘amici’, poi sotto quello di ‘migliori amici’; è annegata nel titolo di ‘scopamici’ e poi è tornata a galla, ed eccola lì, proprio sotto i suoi occhi, dov’è sempre stata, senza che lui potesse davvero vederla.

“Tutto quello che mi hai detto,” mormora Kurt, sopraffatto da quella scoperta. “Ci hai pensato a lungo.”

Blaine fa un sorriso ironico, che sul suo viso assume più la forma di un ghigno di denigrazione nei confronti di sé stesso. “Ci penso da sempre. Oggi ho solo pensato di dirlo ad alta voce, perché non ha più senso che me lo tenga per me.”

Kurt annuisce, accettando e comprendendo la sensazione di sollievo nel momento in cui le parole che sono state fumose nella proprio testa diventano suoni concreti e percepibili. Ma le parole hanno un grande potere e ora loro si ritrovano davanti a tutte le conseguenze che esse portano, senza saper bene cosa fare.

“Io,” tenta Kurt, senza sapere cose dire. Deve riflettere e non può farlo in quel momento, davanti a Blaine, in una pausa di un paio d’ore. “Penso di capire, ma ho bisogno di capire meglio.”

Blaine lo osserva con amarezza, e Kurt quasi vede nel suo sguardo una nota disorientata: non poteva davvero credere che sputargli addosso tutto quello avrebbe risolto la situazione, vero?

“Quindi?” gli domanda, fugando ogni suo dubbio e Kurt si sforza di trattenere un sospiro frustrato. “Torneremo ad ignorarci per altri due anni? Farai finta che non sia mai esistito e pretenderai che io faccia lo stesso? Adesso cosa succede?”

Kurt non sa rispondere, non in quel momento, né probabilmente saprà rispondere domani. Quell’incontro ha smosso troppe sensazioni e troppi sentimenti tutti insieme, portando a galla ricordi e vecchi rimorsi, rimpianti e colpe. Gli viene da domandarsi che senso abbia, eppure, se è vero che Blaine non è mai davvero uscito dalla sua vita, nemmeno in quegli anni di reciproca indifferenza, allora non solo tutto ha un senso, ma gli sembra anche doveroso pensar bene a quello che ora devono fare.

“Devo andar via, adesso,” gli risponde e vede dall’espressione di Blaine che tutto è crollato. Non ha davvero la minima idea di cosa si aspettasse da quell’incontro, ma qualsiasi cosa fosse è franata in un cumulo di macerie. L’idea che Blaine si aspettasse qualcosa da lui – un perdono, un riproviamoci, un addio, qualcosa – lo infastidisce, ma poi forse anche lui si aspettava qualcosa, anche se inizialmente non lo sapeva. E tuttora non sa cosa voleva tirare fuori da quell’appuntamento per un caffè.

Kurt si alza, afferra la sua borsa da lavoro e lascia i soldi della consumazione sul tavolo, a pochi centimetri dalle mani contratte di Blaine; lui non fa niente per fermarlo, lo guarda semplicemente andare via, e quando Kurt è fuori, al piacevole calore del sole, immerso nel caos della folla, nel suo chiacchiericcio ronzante, gli sembra come se si fosse appena svegliato da un lungo ed inverosimile sogno.

Inizia a camminare, guardando la strada davanti a sé distrattamente, la testa altrove, concentrata a sezionare e studiare ogni minimo dettaglio di quell’incontro. C’era stata gioia nel rivedere Blaine, un’eccitazione nervosa e sciocca causata dall’improvviso ritorno al passato che la sua vista gli ha provocato; e poi c’erano state confusione, rabbia e delusione. Ma più di tutto, più di ogni altra cosa, c’era stata la consapevolezza, netta e quasi lancinante, che tutto quello che aveva avuto con Blaine gli era mancato; persino le liti e le incomprensioni, le sciocche gelosie da ex e le piccole ripicche cattive. Ma più di ogni altra cosa il modo in cui Blaine l’ha sempre fatto sentire, come se fosse un frullato di emozioni, ed era stato sorprendente, in quell’ora e mezza, scoprire che riusciva ancora a farlo sentire in preda alle vertigini e a farlo sentire profondamente amato.

E poi, ammette Kurt, non senza una nota di biasimo a sé stesso, gli era mancato Blaine e basta.

Il suo cellulare vibra nella tasca della giacca primaverile, e quando lui lo tira fuori con fastidio – la realtà interrompe sempre i suoi flussi di coscienza e le sue fantasticherie in maniera orribile – ha di nuovo una vertigine, perché il messaggio è di Blaine, ed è il messaggio che tenta il tutto per tutto.
 
C’è una cosa che non ho avuto il coraggio di dirti. Quel pomeriggio di nove anni fa quando ti ho detto che sei l’amore della mia vita, lo intendevo davvero.
 
E il tempo si ferma, si riavvolge su sé stesso, torna indietro in un flashback repentino e violento, e poi si svolge alla velocità della luce e tutto torna a scorrere a velocità doppia per recuperare.

Kurt è bloccato in mezzo alla gente che gli passa accanto senza dargli importanza, qualcuno lo spintona, qualcuno gli va addosso e gli chiede scusa. Non è quello che lo sblocca, anzi, Kurt non sa cosa lo sblocchi, ma lo fa: si volta indietro e inizia a correre verso il loro solito posto.


Fine

Note finali:
gh. Sono emozionata a mille, va bene?
Comunque, le note importanti. Il titolo, l'idea, tutto di questa storia è dovuto all'omonima canzone dei Kings of Convenience, che potete ascoltare qui.
E, ommioddio, ho tipo trasformato Kurt in Enzo Miccio. Ecco cosa succede a guardare troppo Real Time tutto insieme, ma che vi devo dire? Mi piaceva la faccina entusiasta che ha Kurt quando organizza il matrimonio di Burt e Carole, mh. E poi sì, mi piace pensare che le persone cambino e che quindi cambino anche i loro sogni. Che male c'è?
Cosa importante bis: visto che nessuno riesce a capire la vera età di Blaine, ho semplicemente creduto a quello che ci hanno fatto credere nell'ultima puntata, ovvere che Blaine sia più piccolo di Kurt di un anno. Solo affinché lo sappiate, ecco.
Okay, penso sia tutto.
Ah, no, che sciocchezza! La storia è un pochino - un pochino solo perché odio che qualcuno si senta in dovere di leggere/commetare una mia storia per una dedica - dedicata a nefene, che oggi compie gli anni. E beh, mentre scrivevo questa storia ho pensato a lei e al suo quarto di secolo :)
That's all, folks!
Vado a rifugiarmi lontana dal web.
  
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