Note: questa storia ha preso parte all'edizione 2011 del Big Bang Italia.
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It
was a lie
Integra
Hellsing era perfettamente consapevole che lei, la sua famiglia e
l'Organizzazione erano semplicemente degli strumenti nelle mani della
Famiglia
Reale, ed in particolar modo della Regina.
Era
a Sua Maestà che doveva rispondere se falliva una missione,
se prendeva una
decisione avventata o se Alucard, com'era più volte successo
quando gli aveva
lasciato carta bianca, non rispettava le regole alla base del loro
Ordine -
colpire dritto al cuore il nemico e salvare i civili senza che questi o
nessun'altro vengano a sapere dell'esistenza stessa dell'Hellsing.
Sir
Integra sapeva anche che, qualsiasi fosse il volere della Regina, lei
avrebbe
dovuto ubbidire senza esitare, anche se fosse stata costretta a puntare
la spada
contro le persone a lei più care (a parte il fatto che, in
quel momento, chi
più le stava a cuore avrebbe potuto piegare la sua lama con
un dito e ad occhi
chiusi, per cui l'ipotesi di attaccarlo era da bollare come tentativo
suicida).
Tuttavia
Sua Maestà le aveva finora lasciato la più
assoluta libertà: ogni piano andava
bene, l’esuberanza di Alucard veniva per lo più
ignorata, chi scopriva qualcosa
era zittito in diversi modi, a seconda di quanto rapidamente fosse
disposto a
dimenticare quel che aveva visto.
Era
l’ordinaria amministrazione e ormai Hellsing, a livello
inconscio, si riteneva
libera di fare quel che doveva fare, senza imposizioni di alcun genere.
Per
cui era normale che, quando
Peccato
che i piani alti la pensassero diversamente.
Sbuffò
seccata, le braccia conserte e le gambe accavallate mentre con aria
truce
fissava insistentemente un punto fisso del finestrino
dell’aereo.
Quando
le avevano parlato di rappresentanza non aveva di certo pensato a
questo.
<
Allora, miss Hellsing, vogliamo rompere il ghiaccio e conversare
amabilmente
fintantoché non giungeremo a destinazione?>
Chi
non la conosceva bene avrebbe creduto che la donna avesse ignorato
completamente la domanda, ma la leggera tensione dei muscoli del collo
faceva
capire che aveva sentito e che, chiaramente, la proposta non le era
piaciuta.
<
Non sono intenzionata ad intavolare una conversazione priva di
significato con
un uomo con cui non ho nulla da spartire, signor Maxwell.>
No,
di certo non aveva pensato a questo quando le avevano parlato di
rappresentanza.
La
sensazione del suo sorrisetto impudente la fece voltare verso il suo
avversario, sempre più irritata ogni istante che passava.
Condividere
quel volo per atterrare sul luogo dell’incontro era una mossa
pubblicitaria,
più che altro, sbandierava ai quattro venti che cattolici e
protestanti
andavano d’amore e d’accordo perché
cristiani.
Il
Papa e
Per
cacciare via il nervosismo Integra tirò fuori un sigaro
dall’astuccio e se lo
mise un bocca senza pensarci due volte.
<
Devo farLe notare, miss Integra, che siamo in un aereo. Temo non sia
permesso
fumare.> commentò subito il cane del Vaticano, gli
occhi che scintillavano
mentre giocherellava con le dita con la propria coda di cavallo.
Il
capo della casata Hellsing fece come se non esistesse e
scoccò uno sguardo
penetrante ad Heinkell, in piedi accanto al proprio capo.
<
Accendi.>
La
bionda sbatté le palpebre senza capire il senso di quello
che le era stato
detto; quando ci arrivò fissò l’altra
donna con aria indignata.
“Non
sono il suo dannatissimo cagnolino” si ripeté
mentalmente senza interrompere il
contatto visivo, eppure lentamente la mano scivolò in una
delle tasche della
tunica e ne tirò fuori l’accendino.
Maxwell
non nascose una smorfia di disappunto nel vedere la sua fidata guardia
del
corpo accendere con dita tremanti il sigaro tra le labbra del suo
peggior
nemico.
Integra
tirò soddisfatta, un sorrisetto di vittoria sulle labbra.
Heinkell
ritirò la mano come se si fosse scottata; sentiva il sudore
colarle lungo la
fronte e giù per il collo per il nervosismo: il capo la
stava guardando mentre
si faceva sottomettere in quella maniera dalla scrofa protestante.
La
odiava: odiava tutto di quella donna, la sua prepotenza, la sua faccia
di
bronzo, anche i suoi sigari, tutto. E in particolar modo non sopportava
di
essere messa tanto in soggezione da una come lei, ma per sua sfortuna
ogni
tentativo di resistere era inutile: non riusciva a dirle di no,
qualunque fosse
la richiesta.
Strinse
i pugni con rabbia, aveva una gran voglia di picchiare quella bastarda,
ma le
circostanze non lo permettevano assolutamente.
Si
morse il labbro inferiore pensando che avrebbe dovuto uccidere qualcuno
una
volta atterrati per scaricare la tensione… ma probabilmente
sarebbe stata in
buona compagnia.
Lanciò
un’occhiata significativa agli altri occupanti del mezzo
privato: accanto a sir
Integra sedeva l’anziano maggiordomo, intento a seguire ogni
movimento di
Heinkell.
La
ragazza sbuffò: conosceva perfettamente le disposizioni del
suo superiore in
caso di rottura delle trattative e conseguente scontro. A lei toccava
occuparsi
del vecchio, a Yumie della vampira che proprio in quel momento le
sedeva
davanti e a Padre Anderson…
Deglutì
nel notare la sua espressione: omicida era dir poco.
Il
ghigno stampato in faccia aveva un che di malato, inquietante,
decisamente poco
sano, così come la luce nei suoi occhi, più
larghi del solito e poco
amichevoli. A dirla tutta il suo avversario non era da meno, poteva
intravedere
le sue iridi scarlatte da sotto la tesa del cappello e da sopra le
lenti
colorate degli occhiali.
Era
un vampiro vero e proprio, non come la feccia a cui la donna era
abituata.
E,
Buon Dio, di quella differenza se ne sarebbe
accorto anche un moccioso.
Mentre
osservava la scena incrociò lo sguardo di Yumie e
capì che stavano pensando la
stessa cosa: “Dio, fa che questo viaggio finisca
presto”.
Quale
luogo migliore per un incontro così scottante e pericoloso
della Svizzera? Il
Paese neutrale per eccellenza, almeno a livello politico. Per quanto
riguarda
le religioni le cose non andavano esattamente così, ma Seras
aveva capito ormai
da tempo che, sotto la facciata di baluardi di difesa della fede, tutte
quelle
congregazioni,
Era
il potere mascherato da Dio, ecco cos’era, ma a lei di
quegli intrighi importava ben poco.
Ringraziando
il cielo che quell’aereo fosse arrivato a destinazione in
piena notte,
trotterellò accanto al suo Master senza perdere
d’occhio la ragazzina con la
spada.
A
ciascuno il suo avversario, questo aveva disposto Integra prima della
partenza,
e lei si sarebbe attenuta fedelmente agli ordini ricevuti (anche
perché, ad
essere sinceri, non aveva alcuna intenzione di scontrarsi con quel
prete pazzo,
aveva dei brutti ricordi del loro ultimo incontro e preferiva non
aggiungerne
altri).
Ad
essere sinceri la delegazione cattolica sembrava seriamente
intenzionata a
portare fino in fondo quella farsa di apparente amicizia tra di loro e
questo
un poco la confortava: avrebbe preferito di gran lunga non combattere
contro di
loro, quando manteneva il controllo di sé preferiva evitare
l’uso della
violenza.
Molto
meglio fingere così, di sicuro.
<
Master, credete che il piano funzionerà?>
mormorò rivolta alla figura
maestosa di Alucard che scivolava silenzioso come un’ombra
dietro a sir
Integra.
Lui
non rispose, ma dalla sua faccia sembrava non vedesse l’ora
di piantare una
pallottola nel cranio del prete solo per sparargliene
un’altra non appena si
fosse rigenerato.
Di
certo come inizio non prometteva esattamente bene.
L’incontro
sarebbe durato una settimana, sette giorni dedicati interamente ad
avvicinare
tra loro religioni così diverse e distanti. Alucard
ghignò: quanti giorni sarebbero
bastati perché esplodesse il putiferio?
Al di là del terribile ed ipocrita intento di sembrare amici
quando per anni si
erano sgozzati l’uno con l’altro e quando ancora
continuavano a farlo, il
vampiro si aspettava che, presto o tardi, ma il suo intuito gli diceva
molto
presto, ci sarebbe stato del lavoro per lui.
Già
la presenza di Anderson gliene dava la certezza.
Il
trovarsi di fronte quel fanatico non faceva che aumentare la sua sete e
più di
una volta aveva accolto con insofferenza le occhiate ammonitrici di sir
Integra
e di Walter.
Tralasciando
queste piccolezze, l’unica nota positiva era che gli incontri
si sarebbero
tenuti la sera e questo gli permetteva di poter vegliare sulla sua
padrona
senza doversi preoccupare dei raggi solari e di tutti gli inconvenienti
che
essi portavano con loro. Per la sicurezza di sir Integra durante le ore
diurne
si era già mobilitato Walter con l’aiuto di Seras,
che pur indebolita dal sole
sembrava tollerarlo, forse perché vampiro da poco tempo.
Così
la sera successiva al loro arrivo si trovarono tutti nella hall
dell’albergo in
cui pernottavano, Alucard, Seras e sir Integra, in attesa
dell’arrivo dei
protestanti; a Walter era stato concesso di riposare, il viaggio lo
aveva
sfinito e non aveva più l’età per
correre certi rischi.
Il
posacenere sul tavolino davanti a lady Hellsing continuava senza sosta
a
riempirsi, la sala era invasa dal fumo e probabilmente l’uomo
della reception
avrebbe voluto farsi avanti per chiedere a quella distinta signora di
fumare
nell’apposita area, ma bastava un’occhiata al suo
volto per capire che in quel
momento Integra era tutto tranne che incline ad ascoltare le timide
ingiunzioni
di un comune mortale.
<
Sono davvero in ritardo…> bisbigliò Seras
guardandosi attorno, sperando di
vederli apparire prima che il suo capo desse in escandescenze.
Era
stata un’idea dei cattolici quella di incontrarsi nella hall
per arrivare tutti
insieme al congresso, l’ennesima ostentazione
dell’amicizia che correva tra le
varie fazioni di fede cristiana.
Finalmente,
quando ormai gli occhi di Integra mandavano fulmini e saette, Maxwell e
le sue
guardie del corpo si fecero vedere; Seras rabbrividì nel
constatare che c’era
ancora il prete pazzo.
<
Sei in ritardo, Maxwell. Di ben quindici minuti.>
commentò la donna con aria
acida cercando di incenerire il suo acerrimo nemico lì sul
posto.
<
Perdonatemi, miss Integra. Le posso assicurare che io e i miei uomini
abbiamo
fatto di tutto per diminuire il ritardo, ma sono sopraggiunte
complicazioni
e…>
Non
riuscì neanche a finire la frase che la bionda si
alzò e gli passò davanti,
ignorandolo, diretta verso la porta per poter finalmente andare a
quello
stramaledetto incontro.
Al
cattolico non restò che sospirare e seguirla con tutta la
cricca.
Seras
non era mai stata ad un evento simile, anche perché da
quanto aveva capito era
la prima volta che veniva organizzato, ma quando le avevano detto che
sarebbero
state rappresentate tutte le religioni, senza esclusioni, non aveva
realizzato quante persone ci
sarebbero state.
Ora
che se le trovava davanti non poteva che restare a bocca aperta: la
sala, la
più grande che avesse mai visto, era gremita di uomini
corpulenti, dame e
guardie del corpo, quasi tutti vestiti con gli abiti sacri della loro
religione. Si trovò un po’ in imbarazzo nel suo
solito vestito da militare, ma
si consolò al pensiero che neanche lady Hellsing stesse
indossando qualcosa di
diverso dal suo abito usuale,
Lei
e Alucard si strinsero al loro capo, consci del fatto che, se
l’avessero perso
in quella calca, ci avrebbero messo un bel po’ prima di
ritrovarlo.
<
Quelli sono gli animisti.> fece Maxwell indicando un gruppo di
africani,
neri come la notte, all’angolo della sala. A prima vista
sembravano il gruppo
più numeroso.
Enrico
sembrò intuire i pensieri della vampira, perché
fece una smorfia di disprezzo
nel guardarli.
<
Sono così tanti per via delle loro innumerevoli differenze
di fede da un luogo
all’altro. Passano più tempo a scannarsi che ad
adorare i loro dei… guardateli,
che incivili!>
Il
ghigno sul volto di Alucard sembrava urlare che anche loro, stupidi
cattolici,
passavano più tempo ad ammazzare che a pregare, ma il
vampiro non fiatò,
sapendo che Integra non avrebbe perdonato quel tipo di provocazione.
<
Ah, lady Hellsing!>
Un
ragazzino dall’aria sveglia si inchinò leggermente
davanti a lei con aria
ossequiosa; Seras lo fissò stupita, non sembrava avere
più di vent’anni. Dietro
di lui c’era un ragazzo della sua stessa età,
vestito con una camicia bianca e
la classica cravatta da uomo d’affari: doveva essere per
forza la sua guardia
del corpo, ma non sembrava particolarmente pericoloso, data
l’aria molto effeminata
del suo volto.
<
Signor Jordan.> replicò Integra, ma dai lineamenti
del suo volto la vampira
capì che i due si conoscevano molto bene ed erano anche in
ottimi rapporti,
nonostante le formalità.
<
Il signor Arteld Vi cercava. Mi ha incaricato di avvisarVi che
l’avreste
trovato al buffet.>
<
La ringrazio. Spero di poterLe parlare con più calma
più tardi.>
Il
ragazzo sorrise e con un cenno alla sua guardia del corpo
tornò a mischiarsi
nella folla.
<
Quello chi era?> domandò petulante Maxwell, scocciato
che quello strano tipo
non l’avesse degnato neanche di uno sguardo.
<
Il rappresentante dei panteisti, Jordan Ater.>
replicò freddamente la donna
avviandosi al buffet per incontrare l’organizzatore
dell’incontro, il signor
Arteld.
<
La sua guardia del corpo non sembrava un granché, vero,
Master? Aveva un’aria
così fragile…>
Alucard
dovette trattenersi dallo scoppiare a ridere.
<
Quella è una ragazza.>
Se
l’anatomia l’avesse concesso la mandibola di Seras
avrebbe toccato il pavimento
tirato a lucido.
<
Ma… ma…> balbettò sconvolta e a
quella vista il suo Master non poté
sopprimere un ghigno.
<
Non dovresti giudicare il sesso solo dal taglio di capelli. –
ridacchiò – Da
come camminava si capiva chiaramente che era una femmina.>
La
vampira avrebbe voluto replicare che non erano stati tanto i capelli
corti,
quanto la totale assenza di trucco, i vestiti da uomo, non un
orecchino, non
una collana o un anello, assolutamente niente che la potesse
identificare come
donna, ma improvvisamente si trovarono davanti il gruppo degli
organizzatori e
il signor Arteld, un vecchio con barba e baffi bianchi, si fece avanti
a
braccia aperte.
<
Lady Integra!>
Maxwell,
alle loro spalle, fremette dalla rabbia e si fece avanti, deciso a non
farsi
più ignorare da nessuno.
Fecero
le presentazioni in quattro e quattr’otto e poi il vecchio
cominciò a
dilungarsi nello sperticare lodi per l’evento, nello spiegare
in ogni singolo
dettaglio quanto fosse stato difficile organizzare il tutto, inviare
gli inviti
a tutti e via dicendo.
Integra
stava già per sbadigliare in faccia all’anziano
signore – dal suo punto di
vista se quella roba non fosse mai stata organizzata lei si sarebbe
risparmiata
tempo, fatica e la spiacevole compagnia di Enrico Maxwell e dei membri
dell’Iscariota XIII, ma si guardò bene dal dirlo
– quando si fece avanti un
uomo che doveva avere come minimo novant’anni.
Il
suo volto sembrava fatto solo di rughe, una ragnatela interminabile che
continuava sotto il colletto della camicia inamidata e rispuntava sulle
mani
rinsecchite; gli occhi sotto le palpebre cascanti erano però
incredibilmente
vivaci e salutò i presenti con un sorriso sdentato.
<
Questo – disse con voce tonante il signor Arteld, guardando
il nuovo arrivato
con ammirazione – è il signor Ryomond. In passato
ha combattuto contro la
minaccia nazista ricoprendo di gloria il suo nome e quello della
Svizzera, sua
patria d’origine. E’ un onore averlo tra
noi.>
I
due rappresentanti della religione cristiana salutarono
l’uomo con un profondo
inchino, ma nonostante la posizione Integra notò il suo
sguardo illuminarsi
quando i suoi occhi si posarono sulla figura di Alucard.
<
Ah, voi dovete essere la figlia di lord Hellsing, dico bene?>
esordì quello
in un ottimo inglese.
Ignorando
con un sorrisetto la faccia di Maxwell che si era accorto di essere
stato per
l’ennesima volta messo da parte, sir Integra si fece
leggermente più vicina al
suo interlocutore.
<
Conoscevate mio padre?>
<
Ho avuto la fortuna di incontrarlo in un paio di occasioni, una volta
debellate
completamente le forze dei nazisti. Ci salvò per il rotto
della cuffia quando
inviò i vostri uomini in nostro aiuto.> e mentre
pronunciava l’ultima parte
della frase indicò con un cenno discreto il vampiro alle
spalle della donna.
<
Alucard?> Integra era allibita, non riusciva proprio a
convincersi che un
tempo il non-morto aveva servito anche suo padre: lo sapeva, ma
pensarci le
faceva sempre un effetto strano.
<
Si ricorda di me?> chiese l’anziano alla sua guardia
del corpo e quello ghignò
mettendo in bella mostra i canini.
<
Ma certo, ricordo come se fosse ieri.>
<
Ah, e mi dica, che fine ha fatto l’altro giovanotto?>
Alla
parola “giovanotto” Seras e lady Hellsing si
scambiarono un’occhiata sconvolta.
<
Ah, Walter. Questa sera è fuori servizio, ma domani
potrà incontrarlo.>
Appena
il vecchietto si fu allontanato sir Integra si voltò verso
Alucard, in attesa
di spiegazioni,
<
Quando l’hai incontrato?>
<
Poco dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale. Alcuni nazisti si
erano
organizzati in piccoli gruppi nel tentativo di provare a recuperare il
potere;
lord Hellsing inviò me e Walter per occuparcene.>
<
Né Walter né mio padre me ne hanno mai
parlato…>
<
Era una missione minore, nulla di complicato. Si trattava solo di
spazzare via
gli ultimi moscerini.>
Le
due donne sembrarono soddisfatte dalla spiegazione, ma Seras
notò un lampo
nello sguardo del suo Master, qualcosa che le fece intuire che forse
non aveva
detto tutta la verità.
La
vecchiaia era una brutta cosa, ricordava che suo padre lo ripeteva
spesso: ora
che ci era arrivato anche lui, non poteva che concordare in pieno. Alla
luce
della luna riusciva a distinguere le rughe, una per una, sul suo volto
incartapecorito, davanti allo specchio; gli veniva voglia di rompere
quel
dannato vetro che,
impietoso,
gli mostrava l’unica verità che non avrebbe mai
voluto conoscere, quella che presto anche il suo tempo sarebbe giunto
al
termine.
Un
fruscio sul suo balcone gli fece distogliere lo sguardo da
quell’orrenda visione
e gli ci volle poco per riconoscere in quell’ombra scura
appoggiata al
parapetto il suo alleato vampiro. Uscì anche lui sul
terrazzo, la luna piena li
illuminava quasi a giorno.
<
Il convegno è già finito?> chiese a bassa
voce, come se lady Integra o gli
altri clienti dell’albergo potessero svegliarsi da un momento
all’altro.
<
Per fortuna, credo sia stata una delle esperienze più noiose
di tutta la mia
esistenza. E questo vuol dire molto.>
La
bocca di Walter si piegò in un sorriso amaro a quella
dichiarazione.
Già,
tutta la sua esistenza…
<
Ho incontrato il signor Ryomond a quel raduno di fanatici. Immagino che
tu ti
ricordi di quella missione…>
Se
Alucard non gli avesse dato le spalle si sarebbe stupito nel vedere
negli occhi
del vecchio tristezza, rimpianto, nostalgia, tutto in un secondo prima
di
lasciare spazio alla solita aria sorniona ed indecifrabile.
<
E come dimenticare?>
Faceva
freddo in quel cazzo di bosco, Walter non aveva mai avuto
così freddo in tutta
la sua vita, neanche durante la missione di tre anni prima, quando
assieme ad
Alucard, all’epoca con sembianze femminili, era stato inviato
a distruggere il
Millennium.
Rabbrividì
stringendosi di più nel cappotto, certo che molto presto le
dita si sarebbero
staccate dalle sue mani.
Avanzò
a fatica arrancando nella neve alta fino al ginocchio e
scrutò tra gli alberi
alla ricerca del proprio compagno; era già notte inoltrata,
ma non sarebbe
dovuto essere così complicato identificare quella figura
scura che si
trascinava dietro
la propria bara per un
meritato riposino appena fosse spuntato il sole.
Trattenne
il desiderio di chiamarlo per nome, oltre ad essere altamente
sconveniente era
anche un gesto stupido: non sapeva chi altro potesse nascondersi in
quel luogo.
Proseguì
tenendo a mente le indicazioni che il comandante inglese che
controllava quella
zona gli aveva dato; in caso di tormenta di neve c’era una
piccola cascina in
direzione Nord-Est ed era lì che si stava dirigendo.
I
fiocchi avevano cominciato a cadere cinque minuti prima, innocui ed
innocenti
finché non venivano giù più fitti,
cosa se sarebbe accaduta di lì a poco.
Era
meglio trovare il riparo prima che fosse troppo tardi.
Dieci
minuti dopo la situazione stava peggiorando a vista d’occhio
e della cascina
neanche l’ombra; Walter era sempre più irritato e
teso, ogni minimo rumore lo
faceva sobbalzare senza ritegno.
Così
quando una mano gli sfiorò il braccio con un fruscio
scattò balzando
all’indietro con un mezzo grido di sorpresa; ma appena
riuscì ad identificare
il possessore della mano lo spavento si trasformò in
sollievo e rabbia.
<
Alucard…>
Il
vampiro ghignò, i denti brillavano illuminati dalla neve.
<
Non è consigliabile per un ragazzino come te vagare da solo
a quest’ora.>
<
Non fare l’idiota. – replicò Walter,
evidentemente scocciato – Si può sapere
dov’eri finito?>
<
Ho trovato il rifugio, è a tre minuti di cammino in quella
direzione. Ti
interessa o progettavi di passare la notte fuori?>
Indispettito
il giovane si decise a seguire il compagno riuscendo a stare al suo
passo con
qualche difficoltà, il candore della neve lo abbagliava e
impediva ai suoi
occhi di abituarsi al buio della notte.
Arrivarono
al riparo proprio quando le raffiche di vento e i fiocchi cominciavano
a farsi
più frequenti e minacciosi; la baracca era
sull’orlo dello sfascio, ma
miracolosamente il tetto era ancora solido.
C’era
una piccola stufa nell’unico angolo privo di spifferi e con
le travi
completamente a posto e Walter si affrettò a recuperare
dalla legnaia
sufficienti ciocchi
da poter scaldare la
stanzetta almeno fino alla mattina seguente.
Alucard
sistemò la sua bara sul pavimento e studiò le sue
mosse con scherno mal celato;
il ragazzo era consapevole che per il vampiro caldo o freddo non
facevano
alcuna differenza e che accendere un fuoco voleva dire emettere fumo
che
avrebbe potuto segnalare la loro posizione, ma la neve copriva ogni
traccia e
lui non aveva alcuna intenzione di morire assiderato solo per non aver
voluto
accendere una stupida stufa.
Tirò
fuori dalla tasca il pacchetto di fiammiferi e accese un fuocherello
confortevole, facendo bene attenzione che non si spegnesse per il vento
che
trapelava dalle fessure.
<
Che schifo di tempo…> borbottò
accoccolandosi contro la parete accanto alla
fonte di calore, lo sguardo rivolto verso il vampiro: preferiva non
perderlo di
vista.
Ricordava
quando, anni prima, suo padre aveva cominciato ad addestrarlo per
diventare il
perfetto domestico che doveva essere, era una tradizione di famiglia e
la
lealtà di Dornez Senior nei confronti di lord Hellsing era
totale ed
indubitabile.
Se
l’uomo avesse saputo cosa stava realmente facendo suo figlio
si sarebbe chiesto
se i suoi insegnamenti fossero valsi a qualcosa.
“Ci
sono cose in questa casa che non ti piaceranno, Walter. Creature che ti
faranno
gelare il sangue nelle vene e ti chiederai perché tu debba
avere a che fare con
loro. Sappi solo che, finché questi saranno gli ordini del
tuo signore, dovrai
collaborare con questi esseri dando anima e corpo, aiutandoli a costo
della tua
vita. Ma non fidarti di loro. Fidati di lord Hellsing e dei suoi eredi,
ma non
dare mai le spalle a queste creature. Ne va della tua vita.”
Erano
le sue più o meno esatte parole e da quando il ragazzo aveva
incontrato
personalmente Alucard non era più riuscito a levarsele dalla
testa; certo, non
era rimasto sconvolto come quando, all’età di
quindici anni, si era trovato ad
affiancare una mocciosetta che avrebbe potuto sfondargli il cranio con
una mano
sola. Erano passati tre anni e dall’alto della sua maggiore
età Walter si
considerava molto più preparato di quanto non fosse allora,
anche se, dopo la
missione contro il Millennium, il vampiro aveva ripreso il suo aspetto
abituale, decisamente più inquietante di quello della
ragazzina di prima.
A
livello inconscio il ragazzo avrebbe preferito che il suo compagno
avesse
mantenuto il suo precedente aspetto: era più a suo agio a
trattare con una
minuta bambina che con un individuo grande e grosso che lo sovrastava
di
diverse spanne.
Senza
contare che trovava insopportabile le occhiate di scherno e leggermente
allusive che gli venivano rifilate da dietro quelle lenti tonde: era
snervante.
Si
trattenne dall’abitudinale gesto di tirar
fuori il pacchetto di sigarette e ficcarsene una in bocca,
temeva che
Alucard potesse prenderla non molto bene… sempre che poi i
non-morti fossero
sensibili agli odori, era un particolare che ignorava e non ci teneva a
scoprirlo sulla sua pelle.
Sbadigliò
vistosamente e si chinò per aggiungere un altro tronchetto
al fuoco; si
stropicciò gli occhi col dorso della mano, consapevole del
fatto che avrebbe
dovuto abituarsi in fretta a dormire di giorno e lavorare di notte per
poter
assistere al meglio il suo compagno.
Il
periodo di relativa calma dei mesi precedenti gli aveva fatto
recuperare i
ritmi e gli orari dei comuni esseri umani, un lusso che durante una
missione
non poteva assolutamente permettersi.
<
Per quanto mi riguarda puoi anche dormire, ragazzino.>
La
voce di Alucard ebbe il potere di svegliarlo all’improvviso e
Walter alzò la
testa di scatto, la mente lucida come non mai. Aveva la pelle
d’oca.
<
Non ho sonno, grazie.> rispose a denti stretti e il ghigno
saccente del
compagno non fece che aumentare la sua irritazione.
<
Ma davvero?>
La
ragione vera e propria la conoscevano entrambi e in quel momento pareva
echeggiare tra le strette pareti di quella bettola: “Non ho
alcuna intenzione
di abbassare le mie difese di fronte a te”.
<
Di cosa hai paura, ragazzino?>
Quella
domanda gli gelò il sangue e per un istante che gli
sembrò un’infinità si perse
in quegli occhi rossi che avevano visto intere epoche nascere e morire,
vite di
uomini stroncate dal fato o dal semplice capriccio, speranze venire
infrante,
odio trasformare persone
oneste
in belve feroci, sangue, tanto sangue, scorrere ovunque, a terra, sulle
pareti,
sulla lama delle spade e da quelle labbra appena dischiuse tra cui si
potevano
intravedere i canini acuminati.
<
Di diventare come te.>
Non
parlarono più per il resto della nottata e Alucard non si
mosse dalla bara
sulla quale era seduto neanche quando il giovane si lasciò
vincere dal sonno e
scivolò sul pavimento, una mano pronta sui suoi fili per
ogni evenienza.
La
sera seguente, appena il sole calò, i due abbandonarono la
cascina e
continuarono il loro cammino; secondo le loro informazioni si stavano
avvicinando al covo nemico, a quel branco di moscerini che credevano di
avere
ancora qualche speranza di vittoria. Speranza che Walter e Alucard
avrebbero
sradicato completamente.
Con
le orecchie tese a captare ogni minimo movimento nemico il giovane
avanzava
silenzioso, la neve aveva smesso di cadere lasciando un manto bianco
ancora
immacolato, senza impronte o altre orme che indicassero spostamenti
estranei.
Dopo
più di un’ora di cammino finalmente
poté intravedere qualcosa: a una prima
occhiata pareva un semplice cumulo di neve un po’
più alto degli altri, ma,
strizzando gli occhi, nel buio si poteva riconoscere una piccola porta
di
quello che doveva essere per forza un bunker sotterraneo.
<
Io apro la strada. – sussurrò Alucard
affiancandolo – Tu occupati dei pesci
piccoli.>
<
Ricevuto.>
L’irruzione
durò un attimo, un secondo prima erano fuori dal bunker e un
secondo dopo la
porta schizzava verso l’interno investendo in pieno le due
sentinelle mentre i
due servitori dell’Hellsing sfrecciavano per il corridoio
lasciando una lunga
scia rossa alle loro spalle.
Walter
si chiese perché, dopo così tanti anni, sperasse
di vedere qualcosa di umano
nei suoi avversari, qualcosa che non fosse quel ghigno folle o gli
occhi vacui
di una bestia che agisce solo in base al suo istinto; da un bel pezzo
la sua vita
era costellata di mostri dalle più perverse nature e un solo
semplice barlume
di umanità in qualcuno lo avrebbe fatto sentire un
po’ meno solo nella sua
battaglia.
Ma,
sinceramente, dopo tutto quel tempo, avrebbe dovuto farsene una ragione.
Si
accese una sigaretta visto che non c’era più il
pericolo di essere scoperti e
continuò a correre dilaniando e tagliando chiunque avesse la
sventurata sorte
di pararsi di fronte a lui.
Proprio
quando il giovane stava pensando che, in fin dei conti, erano davvero
dei
moscerini, un ghoul decisamente anomalo gli sbarrò la
strada; con una smorfia
di disprezzo lanciò in avanti i suoi fidati fili, ma dove un
attimo prima si
trovava il mostro non c’era che lo spoglio pavimento.
Un
fiato puzzolente sul collo lo avvertì del colpo imminente e
cercò di scansarsi,
ma non abbastanza velocemente: un dolore lacerante al braccio sinistro
gli fece
intendere di essere stato colpito in pieno.
Cercò
nuovamente di colpirlo, ma ci vollero due o tre tentativi prima di
riuscire a
tagliarlo com’era come un mostro qualsiasi, il bastardo era
incredibilmente
veloce. Sibilò tra i denti un’imprecazione e
riprese a correre lungo il
corridoio, il sangue colava copioso dalla ferita.
Meno
di mezz’ora dopo Walter era di nuovo fuori a respirare a
pieni polmoni l’aria
pungente della notte; aveva avvolto il braccio con della stoffa
strappata dal
vestito di uno dei suoi avversari, ma il tessuto, originariamente
grigio, era
già diventato scarlatto.
<
Che hai combinato?>
Sobbalzò
sentendo quella voce profonda, non si era reso conto che il vampiro si
era
portato alle sue spalle.
<
Uno di quegli stronzi era stato modificato, aveva una
velocità fuori dal comune
e mi ha dato qualche problema.> replicò piatto
tornando sui propri passi e
puntando alla cascina della notte precedente.
Aveva
una gran voglia di dormire e dimenticare tutto il dolore che continuava
a
pulsargli in corpo.
Dopo
quel che gli parve un secolo avvistarono finalmente il riparo; una
volta al
sicuro Walter riaccese il fuoco e cercò nelle tasche del suo
cappotto qualcosa
per fermare l’emorragia che, pur rallentando, non accennava a
fermarsi.
Alucard
studiò le sue mosse con attenzione, ma quando il giovane
sciolse la benda
improvvisata mettendo in bella mostra il braccio ferito e ricoperto di
sangue
fresco un guizzo poco tranquillizzante passò dietro le lenti.
<
Merda…> soffiò Walter, a contatto con
l’aria il taglio bruciava ancora di
più. Non si accorse che il vampiro si era portato davanti a
lui finché non
percepì la sua presenza sopra, fin troppo vicino per i suoi
gusti.
Non
era mai stato una persona facilmente impressionabile, ma quando il suo
inquietante compagno si inginocchio accanto a lui e il tessuto dei suoi
guanti
si strofinò contro la pelle gelida del proprio braccio,
allora al ragazzo mancò
un battito e pregò con tutte le sue forze che
quell’essere si allontanasse: la
sua vicinanza aveva il potere di bloccare la sua capacità di
ragionare.
Ma
Alucard ignorò totalmente la sua muta richiesta e il ragazzo
sbarrò gli occhi
nel vederlo sollevargli il braccio e portarlo al volto;
cercò di scostarlo, ma
la presa si fece più ferrea, così forte da fargli
male. Nel giro di qualche ora
si sarebbero formati dei lividi decisamente vistosi.
Rabbrividì
impotente quando la lingua di quell’essere orripilante
sfiorò il taglio che
bruciava da impazzire.
Una leccata, poi
un’altra, sempre più in profondità,
sul sangue rappreso e quello ancora fresco che continuava a
fuoriuscire. A
Walter girava la testa, ma non capiva se era a causa del dissanguamento
o del
vampiro di fronte a sé.
Si
appoggiò con la schiena alla parete, gli occhi che stavano
aperti a fatica, ma
non riusciva a distoglierli da quella bocca sporca di sangue e anche il
dolore
lancinante pareva più ovattato da quando quella lingua aveva
cominciato la sua
opera.
Un
gemito gli sfuggì dalle labbra e un gelo improvviso
calò tra i due.
Gli
occhi rossi di Alucard si fissarono sui suoi incollandolo al suo posto,
incapace di muoversi o di parlare; una periferica del suo cervello lo
informò
che la ferita aveva smesso di sanguinare, ma non aveva più
tanta importanza,
non ora che la tensione stava raggiungendo il culmine.
Si
rese conto che il suo corpo tremava quando quel ghigno che aveva
imparato ad
odiare si fece più ampio e il vampiro si spostò
su di lui, ignorando il braccio
ormai guarito, una mano guantata che risaliva lungo la coscia
– e il ragazzo si
chiese quando cavolo avesse cominciato a toccarlo lì.
Era
già successo in precedenza che quel dannato vampiro
invadesse insistentemente
il suo spazio personale, ma fino a quel momento non era mai arrivato a
tanto;
Walter tentò con le ultime forze che gli rimaneva di
divincolarsi, ma la sua
era una speranza più che vana.
Il
fruscio della stoffa che veniva spostata raggiunse a malapena le sue
orecchie,
troppo impegnate a captare ogni minima inflessione della voce di
Alucard, la cui
bocca premeva sulla pelle.
<
Ragazzino…>
Le
poche facoltà intellettive rimastegli cedettero bruscamente
appena quella mano
sfiorò il suo membro e da quel momento le pareti di legno
cominciarono a girare
come impazzite e dalla sua bocca fuoriuscivano gemiti uno dopo
l’altro, l’unico
suono che riusciva ad emettere.
I
movimenti di quelle dita erano precisi, calcolati, e in una zona remota
del
cervello del ragazzo si andò formulando
l’interrogativo fatidico – con chi
diamine l’aveva fatto prima?
Inconsciamente
cominciò a muoversi assecondando quella mano, poteva sentire
sul collo il
ghigno del vampiro e un’ondata di irritazione e orgoglio fu
sufficiente per
riprendere almeno in parte il controllo.
Appena
in tempo, perché si accorse che i canini di Alucard erano
fin troppo vicini
alla sua giugulare.
<
No.>
Anche
se la voce gli tremava il rifiuto uscì forte e chiaro,
accompagnato da un mezzo
spintone più simbolico che altro, dato che con quel briciolo
di energia che
aveva in corpo non sarebbe riuscito neanche a reggersi sulle sue gambe.
<
Non mi pare ti dispiaccia.> fu la risposta seccata del suo
compagno e
strinse un po’ più forte il suo membro
costringendo Walter a sibilare
un’imprecazione.
<
Non mordere. Non ho alcuna intenzione di diventare come te.>
Sapeva
che non era la cosa più carina da dire e che in quanto tatto
faceva
assolutamente schifo, ma, insomma, quello era Alucard, non una
ragazzina alla
sua prima cotta o un sensibile animo primaverile. E con certe cose non
si
poteva scherzare.
<
Ma davvero?>
Con
quelle parole il vampiro si arrestò completamente, immobile
nella sua
posizione, la mano ancora là, ma ferma; Walter si morse il
labbro inferiore:
quel dannatissimo bastardo.
Se
credeva che gli avrebbe permesso di morderlo in cambio di…
di quello che stava
facendo prima – e il volto del ragazzo si fece se possibile
ancora più rosso a
quel pensiero – bé, si sbagliava di grosso.
Anche
se effettivamente lo voleva, Cristo se lo voleva, sembrava non riuscire
a
pensare ad altro che non fossero le dita di Alucard su di lui, precise
e sicure
come solo le sue riuscivano ad essere, ma no, l’ultima cosa
che voleva era
diventare proprio quello che lui e tutta la sua famiglia prima di lui
avevano
combattuto.
Meglio
morire da umano che vivere per sempre da mostro e un po’ di
piacere, anche se
era il piacere più immenso che Walter in quel momento poteva
immaginare, non
era certo prezioso quanto l’umanità di una persona.
Con
queste riflessioni in mente, ripetendosele continuamente per non
lasciarsi
sopraffare dall’istinto, il ragazzo fissò negli
occhi l’essere inumano di
fronte a sé e trovò la forza di parlare.
Senza
dar adito a incomprensioni o altro.
<
Allontanati. Non ho alcuna intenzione di diventare come te.>
Per
un attimo temette che l’altro l’avrebbe colpito,
che si sarebbe avventato su di
lui mordendolo a tradimento, sfruttando la sua forza incredibilmente
superiore
e la debolezza della sua preda e in effetti il bagliore che
attraversò quegli
occhi rossi non prometteva proprio nulla di buono.
Invece,
con una lentezza surreale, Alucard si scostò dal ragazzino,
accompagnato da un
fruscio di stoffa, e tornò alla sua bara senza staccare gli
occhi da predatore
dal suo giovane compagno.
<
Te ne pentirai, ragazzino.>
Se
non avesse visto le sue labbra muoversi mettendo in bella mostra i
canini
Walter avrebbe scambiato quel sussurro per il rumore del vento che
filtrava
attraverso gli spifferi.
<
Non credo proprio.> replicò deciso mentre si
riallacciava i pantaloni e cercava
di darsi una sistemata – ma quando cavolo glieli aveva
slacciati, tra
l’altro? Non sopportava l’idea che quella
creatura potesse sconvolgerlo e renderlo vulnerabile con una
così estrema
facilità.
Avrebbe
dato un braccio per poter continuare a toccarsi da solo, ma il suo
orgoglio
glielo impediva, sapeva perfettamente che Alucard non gli stava
staccando gli
occhi di dosso proprio per quel motivo; e comunque cascava male, non
l’avrebbe
mai fatto sapendo che a pochi metri da lui c’era il compagno
più inaffidabile
che fosse mai esistito, un essere ripugnante, disumano e con parecchie
perversioni in mente, a quanto pareva.
<
Staremo a vedere.>
Se
fosse stato un umano Walter non avrebbe esitato a colpirlo, ma date le
circostanze era meglio passare sopra a quel tono così
irrispettoso e mantenere
le distanze; in compenso dovette sopportare per tutta la notte quello
sguardo
insinuante che pareva urlargli che lui, il vampiro, al contrario di
qualche
stupido moccioso esaltato, la sapeva lunga su come andavano le cose.
Ed
effettivamente nei giorni seguenti, anche una volta rientrati in
Inghilterra e
tornati alla solita, noiosa routine quotidiana, risultò
evidente che Alucard
aveva fottutamente ragione.
Il
ragazzo odiava ammetterlo, ma ogni volta che si trovava nella stessa
stanza con
il vampiro, anche se circondato da tante altre persone come durante uno
dei
tanti ricevimenti che lord Hellsing dava regolarmente, non poteva non
ricordare
nitidamente quant’era successo durante la missione, il modo
in cui era stato
toccato, la scossa di adrenalina che aveva sentito.
Aveva
cercato in tutti i modi di dimenticare, di respingere quegli stupidi
ricordi
che continuavano a riaffacciarsi nella sua mente, ma era stato del
tutto
inutile: c’era sempre la curiosità che lo spingeva
a chiedersi cosa sarebbe
potuto succedere dopo, se non si fosse opposto così
fermamente alla creatura.
Inizialmente
aveva dato la colpa di quei suoi strani pensieri alla totale mancanza
di una
figura femminile in tutta la dannatissima residenza degli Hellsing: sua
madre
era morta quand’era piccolo e la moglie di lord Hellsing si
vedeva di rado.
Quando veniva spedito in missione a sterminare vampiri o a incontri e
conferenze nelle vesti di ambasciatore e portavoce di certo non poteva
sperare
di incontrare una ragazza di età giusta per lui.
La
triste realtà era che l’unica figura femminile che
poteva dire di aver
frequentato in maniera assidua era lo stesso Alucard, quando aveva
preso le
sembianze di quella graziosa e mortale ragazzina durante la loro
spedizione contro
il Millennium; al sol pensiero Walter contemplava con una certa
serietà
l’ipotesi del suicidio.
Non
poteva negare a se stesso che quella mocciosa sfacciata
l’aveva sempre
affascinato, fin dal primo istante che l’aveva vista, ma col
senno di poi, rivedendo
ogni istante con la consapevolezza che quella lì era lo
stesso essere perverso
e ammorbante che pareva non vedere l’ora di saltargli
addosso, bé, pensando al
passato in quella chiave poteva davvero spararsi.
Comunque
c’era ben poco da rimpiangere di quel periodo. Ora si
ritrovava a fronteggiare
un Alucard in forma di uomo, ma più importante di ogni altra
cosa un Alucard
maschio, e se il presente pareva grigio il futuro non poteva che essere
il più
grande casino di tutti i tempi.
Perché
doveva essere quella famosa mancanza di donne e di qualsivoglia
elemento
femminile che lo rendeva così “reattivo”
alla presenza del vampiro, come dire
che in mancanza del meglio ci si accontentava, o almeno questo era
quanto il
suo corpo sembrava dirgli.
La
sua mente, il suo lato razionale, era di tutt’altro avviso.
Si
era ripromesso di non lasciare che il suo poco gradito collega si
avvicinasse a
lui com’era accaduto durante la missione, non gli era mai
piaciuto e dopo
quanto era successo non voleva che accadesse più. Il vampiro
aveva capito
perfettamente le sue intenzioni e faceva di tutto per sbucare
all’improvviso
alle sue spalle, avvicinarsi quanto più riusciva, sfiorarlo,
ghignare verso di
lui in maniera inequivocabile.
Ed
ogni volta che questi contatti avvenivano il corpo di Walter pareva
più che
felice di attivarsi e reagire, a dispetto dei buoni propositi della sua
mente;
che comunque giocava brutti scherzi anch’essa, visto che si
chiedeva sempre più
spesso, quando il ragazzo abbassava un poco la guardia, come sarebbe
stato
avere di più di quell’assaggio che aveva provato.
Finché
un giorno non accadde quello che lui aveva sempre detto di voler
evitare:
Alucard era tornato, deciso a non farsi respingere, e aveva
ricominciato da
capo il suo stupido giochetto da malati.
Aveva
ripreso a toccarlo, invadere seriamente il suo spazio personale,
leccargli il
collo, fingere di morderlo ignorando ogni sua protesta; non che avesse
tanto
fiato per protestare quando il vampiro cominciava a fare quello che gli
pareva,
ma almeno era riuscito ad evitare che il suo collo finisse azzannato da
quel
mostro.
Almeno
fino a quel momento.
Se
qualcuno gli avesse detto, appena cominciata quella…
relazione, se così si
poteva chiamare, che la cosa sarebbe continuata per mesi, per anni, gli
avrebbe
detto che era un idiota (e lo avrebbe eliminato in tutta fretta
perché non
rivelasse nulla a lord Hellsing).
Eppure
due anni erano passati senza che né lui né
Alucard parlassero una sola volta di
quel che stava succedendo. Questo non voleva dire che Walter non ci
avesse
pensato.
A
dire il vero si era scervellato per notti e notti passate senza
dormire,
chiedendosi che diamine stava succedendo e cosa sarebbe accaduto in
futuro. E
finalmente aveva capito perché il vampiro continuava ad
insistere con l’idea di
morderlo.
Si
sentiva uno stupido ad averci messo così tanto tempo per
ricordare la regola
basilare per la trasformazione in vampiro: bisognava essere vergini o
si
diventava uno schifosissimo ghoul. Questo spiegava molto, anche troppo.
Perché
Walter non poteva davvero credere che Alucard ci tenesse a trasformarlo
in un
vampiro, che volesse tenerlo al suo fianco per tutta
l’eternità; non era
affatto nel suo stile, eppure il giovane non riusciva a trovare
un’altra
spiegazione.
Perché
ogni volta che se lo trovava addosso tornava a proporgli di farsi
mordere; ogni
volta che lui negava, ovvero sempre, il vampiro non andava oltre un
certo
limite, si fermava esattamente sul più bello. E non
c’erano altre spiegazioni a
quel comportamento se non il fatto che quella creatura voleva il
ventenne come
compagno per tutta la non vita.
Pensando
alla proposta di Alucard sotto quella nuova luce Walter si era chiesto
più
volte se non valesse la pena di accettare: trovava alquanto improbabile
morire
di vecchiaia o di malattia dato il lavoro che gli toccava svolgere. Era
molto
più plausibile morire per il morso di uno di quegli schifosi
mostri piuttosto
che farsi ammazzare da una broncopolmonite o un’infezione e
sinceramente non aveva
questa grande smania di diventare un ghoul a servizio di qualche
schifosissimo
vampiro di basso rango che aveva avuto la fortuna di sconfiggerlo per
puro
caso.
Meglio
mantenere una coscienza propria come creatura notturna che essere un
semplice
burattino.
Sì,
ci aveva riflettuto a lungo ed era giunto a prendere una decisione;
Alucard
sarebbe stato felice di sentirla, anche se da un paio di settimane
aveva smesso
di offrirsi per morderlo. Ora che Walter ci pensava nelle ultime due
settimane
i loro incontri erano stati molto più sporadici e silenziosi
del solito.
Non
che gli mancassero le stupide chiacchiere del vampiro, ma era alquanto
innaturale un così brusco cambio di comportamento.
Bé,
qualsiasi cosa fosse aveva poca importanza, il giovane era pronto ad
andare da
quell’essere e comunicargli senza esitazione la propria
scelta.
I
sotterranei in cui si trovava situata la bara di Alucard, ovvero
ciò che più si
avvicinava al concetto di “stanza” per la creatura,
avevano sempre avuto un che
di sinistro nella sua memoria; ricordava che la prima volta che suo
padre
l’aveva portato là sotto si era messo a piangere
per la paura. Il suo vecchio
non se l’era sentita di biasimarlo, anzi, sapendo bene cosa
si nascondesse in
quei corridoi bui, era più che felice che suo figlio non
avesse la tentazione
di andare lì ad esplorare.
Anche
ora che erano passati più di quindici anni Walter non
poté trattenere il brivido
che gli corse lungo la spina dorsale; aveva una gran voglia di girare i
tacchi
e tornare in superficie, alla luce del sole, ma si consolò
riflettendo sul
fatto che, una volta diventato vampiro,
quell’oscurità non gli avrebbe più dato
fastidio.
Era
pomeriggio inoltrato, quasi al crepuscolo, perciò non si
preoccupò se il
collega stesse ancora dormendo o meno e bussò senza esitare
alla massiccia
porta di legno che lo separava da quella tetra stanza che ospitava
Alucard.
Una
voce profonda e ancora assonnata lo invitò a farsi avanti.
Se
non lo aveva svegliato lui stesso col suo bussare doveva essersi alzato
davvero
da poco perché non indossava il suo solito cappotto rosso e
neanche la
cravatta; il cappello giaceva appoggiato su una sedia assieme agli
occhiali
dalle lenti rotonde.
<
Ah, ragazzino… A cosa devo la visita?>
Walter
si chiuse la porta alle spalle senza fare alcun rumore e rimase fermo a
fissarlo: vedere quegli occhi rossi così vivi in assenza
degli occhiali gli
provocava sempre un nodo alla bocca dello stomaco. Deglutì
piano e tentò di
riprendere il controllo sul suo corpo.
<
Ti ho svegliato?>
L’altro
scosse le spalle.
<
Era quasi ora. Ma mi fai preoccupare con tutta questa tua gentilezza.
Sei
malato?>
Il
giovane sbuffò scocciato.
<
Sto benissimo, grazie. Solo non volevo trovarmi di fronte un vampiro
terribilmente incazzato con l’idiota che l’ha
appena risvegliato. Perciò se non
sei dell’umore per parlare posso tornare più
tardi.>
<
Sei venuto fin qui per parlare? Mi
sorprendi.>
Fu
difficile, una vera impresa, sostenere lo sguardo di
quell’essere, ma ci voleva
ben altro per scoraggiarlo. Osservando con attenzione
l’atteggiamento di
Alucard si avvicinò con aria circospetta.
Il
vampiro lo fissò, la sua espressione era indecifrabile, ma
nel profondo era parecchio
perplesso: si era sempre vantato di riuscire a prevedere qualsiasi
mossa
l’altro stesse per fare, ma in quel caso si trovava davanti
ad un gigantesco
punto interrogativo.
<
Sei venuto solo per guardarmi o c’è qualcosa che
devi dirmi?>
Walter
fece un bel respiro prima di sputare il rospo.
<
Hai fame?>
Per
la prima volta da quando ne aveva memoria una sua domanda ottenne dal
compagno
qualcosa che non fosse un ghigno di scherno. Per la prima volta Alucard
sembrava dannatamente sconvolto e, Cristo Santo, si sarebbe fatto
mordere
milioni di volte pur di vedergli stampata in faccia
quell’espressione
sbigottita.
Non
riuscì a trattenere un sorrisetto soddisfatto.
<
Sorpreso?>
Non
c’era bisogno di parole per conoscere la risposta, ma Walter
avrebbe preferito
comunque che l’essere di fronte a lui dicesse qualcosa; non
era da lui restare
in silenzio e sinceramente il ragazzo non voleva che andasse
così. Doveva
essere un momento intenso, di liberazione, eppure allo stato delle cose
una
chiacchierata col muro sarebbe stata più eccitante.
<
Sai, ci ho riflettuto. Sulle tue continue offerte e su quello che mi
hai detto
durante la missione di due anni fa. E…>
Lasciò
morire lì apposta la frase, per ricordare al vampiro che
aveva l’uso della
parola anche lui, che era il caso che partecipasse un minimo al
discorso o quel
monologo sarebbe stato davvero penoso.
<
E?>
Era
poco più di un sussurro, fatto con una voce roca da far
paura tra l’altro, ma
era meglio di niente.
<
Ho deciso che mi sta bene. Non credo che mi dispiacerebbe…
farmi mordere da
te.>
Nonostante
tutti i suoi sforzi Walter non poté non arrossire mentre
pronunciava quelle
parole: non era il tipo da sdolcinatezze, nessuno dei due lo era, e
alle sue
orecchie quella frase suonava davvero come una fottuta dichiarazione
d’amore.
Cercò un’espressione un po’
più neutra con cui rettificare il suo pensiero, ma
quando Alucard si sollevò dal bordo della bara al quale era
appoggiato il suo
cervello smise di funzionare a dovere.
Poteva
vederlo avvicinarsi a rallentatore, passo dopo passo, un tragitto di
pochi
metri che pareva essere lungo chilometri.
In
quei due anni Walter era cresciuto parecchio, ma era ancora
più basso di
diversi centimetri, se ne rese conto quando l’altro gli fu
davanti, inquietante
come suo solito, e si chinò verso di lui, le ciocche di
capelli che gli
oscuravano completamente la visuale, gli sfioravano la guancia mentre
le labbra
del vampiro si appoggiavano appena al suo collo.
Trattenne
il respiro quando sentì i canini gelidi appoggiarsi alla
pelle senza essere
conficcati in profondità.
Walter
si chiedeva cosa avrebbe detto lord Hellsing una volta venuto a sapere
del
fatto: difficilmente sarebbe stato contento, anzi. E per fortuna che il
suo
caro vecchio era morto o lo scoprire che suo figlio era diventato un
vampiro
l’avrebbe ucciso.
Il
ragazzo continuava a distrarsi con quel tipo di pensieri per non far
caso al
dolore che avrebbe provato – perché certamente
sarebbe stato doloroso – una
volta che quelle zanne si fossero spinte nella carne, eppure Alucard
non si era
ancora mosso di un millimetro.
Poi,
dopo quel che parve un lasso infinito di tempo, fece un passo indietro
senza
dire una parola; la mano di Walter corse automaticamente al collo, ma
non
c’erano fori o ferite o nulla di particolare.
<
Perché..?>
<
Non mi pare il caso.>
Un’ondata
di rabbia investì il ragazzo e in un impeto d’ira
cercò di colpire in pieno
viso quell’essere schifoso che trovava anche il coraggio di
sfoderare uno dei
suoi famosi ghigni in una situazione del genere; peccato che
l’essere schifoso
fosse il vampiro più potente che avesse mai messo piede
sulla faccia della
terra e il suo colpo istintivo venne bloccato senza il minimo sforzo.
<
Si può sapere perché no?! Eri tu, eri tu che
continuavi a propormelo! Non hai
fatto altro per due dannatissimi anni ed ora che finalmente accetto
tutto
quello che sai fare è tirarti indietro e dire “non
mi pare il caso”?! Che razza
di gioco stai giocando?>
Non
si era accorto di essersi messo a urlare, ma in quel preciso istante
non gliene
poteva fregare di meno; non sapeva se essere più arrabbiato
con il vampiro che
non aveva fatto altro che prenderlo in giro per mesi –
macché per mesi, dalla
prima volta che si erano visti, lui ed il suo stupido travestimento da
ragazzina innocente – o con se stesso per aver creduto
seriamente che ad uno
come Alucard potesse davvero importare di un ragazzino umano che poteva
schiacciare con un dito.
Qualunque
fosse la cosa più sensata da fare, in quel momento Walter si
sentiva un
perfetto idiota.
Alucard
stava sorvolando. Sorvolando sul fatto che se chiunque altro avesse
provato a
parlargli in quella maniera avrebbe incontrato una morte lenta e
dolorosa e che
probabilmente la stessa sorte sarebbe capitata anche a quel moccioso,
se le
circostanze non avessero perfettamente giustificato il suo scatto di
collera.
Restò
in silenzio nel tentativo di organizzare un discorso che fosse
comprensibile
per qualcuno che non aveva neanche un decimo della sua età e
che ovviamente
certe cose non le poteva capire.
<
Allora non te ne frega niente di me? Stavi davvero solo
giocando?>
Walter
non era esattamente entusiasta di fare la parte della ragazzina a cui
la prima
cotta ha spezzato il cuore, ma una vocina nella sua testa continuava a
ripetergli che ormai la sua credibilità ed il suo orgoglio
avevano preso il
largo da diverso tempo.
Se
era già umiliato tanto valeva non farsi più
problemi.
<
Credi davvero che avrei sprecato due anni a braccarti solo per
divertimento?>
<
Sì.>
Effettivamente
era una cosa molto da Alucard, il suo essere sadico e bastardo lo
avrebbe
potuto spingere a farlo; e cos’erano due anni per chi aveva
di fronte a sé
l’eternità?
<
Non ne vale la pena.>
<
Di fare cosa?>
<
Di scambiare la tua umanità per diventare quello che sono
io.>
Un
vampiro. Un mostro, uno di quegli esseri rivoltanti a cui per
generazioni la
famiglia Dornez aveva dato la caccia; a ripensarci il giovane
sentì un moto di
disgusto: forse non era così sicuro di voler diventare come
Alucard.
<
Continuavi a propormelo.>
<
Ci ho ripensato. Ti posso assicurare che è meglio morire da
umano che vivere
per sempre da bestia.>
<
Se io fossi in punto di morte non me lo proporresti?>
<
Ti lascerei scegliere. Non c’è una decisione
giusta e una sbagliata in questi
casi. C’è solo una decisione.>
Il
giovane sbuffò, la rabbia stava scemando lentamente, ma in
fondo al cuore si
sentiva ancora estremamente tradito.
<
Credo che sceglierei di vivere in quel caso. Che me ne faccio della mia
umanità
se sono morto?>
<
Solo chi è umano può sconfiggere i mostri.>
Gli
lanciò un’occhiata scettica.
<
Alucard…>
<
Non chiedermelo un’altra volta. Non lo
farò.>
Walter
si morse il labbro con forza e il suo sguardo scivolò
inevitabilmente sul
pavimento, incapace di fissarsi negli occhi scarlatti del vampiro.
<
Se ti rifiuti ora vuol dire che ti rifiuterai di farlo anche in
futuro?>
<
Esattamente.>
Un
altro silenzio, più lungo del precedente; il tradimento,
nella testa di Walter,
si stava ingigantendo a vista d’occhio.
<
Capirai. Prima o poi capirai.>
Non
ne era affatto convinto, non poteva capire cosa ci fosse di
così onorevole e
prezioso nel morire da esseri umani quando poteva continuare a fare il
suo lavoro
nei panni di vampiro, come d’altronde faceva ogni notte
Alucard. Forse non lo
riteneva all’altezza? O non voleva spartire la sua
immortalità con uno come
lui?
Fece
per andarsene, ma la stessa mano che gli bloccava ancora il polso lo
trattenne.
<
Dato che sei qua e che comunque hai preso la tua decisione, direi che
si
potrebbe sfruttare al meglio l’occasione. Non trovi?>
Schifoso
bastardo. Con tutta quella rabbia e quelle urla Walter si era
dimenticato anche
cosa sarebbe di sicuro seguito alla sua presunta trasformazione in
vampiro;
quando finalmente non ci sarebbe stata più la
necessità di restare vergine, di
certo Alucard non si sarebbe trattenuto.
Gli
lanciò l’occhiata più omicida che
riusciva a fare, la rabbia gli dava ancora
una sfrontatezza che in condizioni normali non avrebbe mai avuto.
<
Se per colpa tua mi trasformerò in un ghoul quando
verrò ucciso, allora giuro
che te la farò pagare.>
Di
nuovo quello stupido ghigno insinuante. Quel vampiro era davvero un
sadico.
Quel
giorno Alucard gli aveva detto che avrebbe capito prima o poi cosa
intendeva e
Walter aveva fatto del suo meglio per non deluderlo; in fin dei conti
aveva
tempo per rifletterci fino a quando un vampiro più forte e
potente degli altri
non gli fosse saltato addosso per segnare il suo destino e farlo
diventare il
burattino che non avrebbe mai voluto essere.
Per
sua fortuna, almeno fino a quel momento, sembravano non esserci esseri
così
anormali e in un modo o nell’altro il giovane se
l’era sempre cavata. Anche se,
mentre i mesi e gli anni passavano, non era più tanto
giovane.
Aveva
cercato di capire, si era sforzato, ma proprio non ce la faceva. Ci
aveva
provato per vent’anni, ma ogni sera ad un certo punto mandava
tutto al diavolo,
gettava la spugna e si ripeteva che la notte seguente ci sarebbe
riuscito.
Ma
più il tempo passava, più gli anni si
accumulavano e più Walter rimpiangeva
quella sera, quel ghigno a cui ormai si era abituato e quel rifiuto che
aveva
segnato la sua vita. Ora si sentiva più rigido,
più lento, gli anni sulle
spalle non si potevano ignorare più di tanto.
Fino
a che, a quarant’anni, una mattina si guardò allo
specchio per farsi la barba.
Ad una prima occhiata non scorse nulla, ma mentre si radeva con
precisione
impeccabile la guancia l’occhio gli cadde su ciò
che non avrebbe mai voluto
vedere; sbatté le palpebre, se le stropicciò,
guardò con più attenzione, ma non
era un gioco di luce e neanche una visione spiacevole.
La
prima ruga; la prima fottutissima ruga della sua vita ed era
lì immobile, quasi
a prenderlo in giro, a schernirlo, il primo segno realmente tangibile
di quello
che lo aspettava nel suo futuro. L’immagine di suo padre come
lo ricordava
negli ultimi anni, il volto rugoso segnato dalla fatica, gli apparve
davanti
come un incubo e per poco non si tagliò
nell’allontanarsi di scatto dal vetro
dello specchio.
Non
voleva diventare così, la sola idea lo terrorizzava; sarebbe
stato più
allettante farsi trasformare davvero in un ghoul, tutto ma non quello,
non una
vecchiaia trascorsa a rimpiangere il passato, quello che poteva essere
e che
invece non era mai stato.
Come
già stava facendo in quel momento, perché era
perfettamente consapevole che se
Alucard quel giorno non si fosse opposto, se invece di ripetere belle
parole
prive di significato si fosse deciso ad affondare i canini nel suo collo, a
quell’ora la schifosissima ruga non ci
sarebbe stata.
Walter
ingoiò un’imprecazione. Poi un’altra ed
un’altra ancora, infine si fece
coraggio e si riavvicinò allo specchio per concludere
l’opera che aveva
cominciato. Lord Hellsing lo attendeva per le solite faccende e lui non
poteva
permettersi di tardare.
Considerarsi
vecchio a quarant’anni poteva sembrare
un’esagerazione, ma Walter non riusciva
a togliersi l’idea dalla testa. E si chiedeva come potesse
Alucard, sempre
uguale a se stesso nonostante gli anni che passavano, trovarlo ancora
interessante ora che non aveva più quel bel faccino giovane
di una volta. Ma
per il vampiro sembrava che nulla fosse cambiato.
L’unica
novità rispetto a vent’anni prima era che non
chiamava più il maggiordomo
“ragazzino”, ma si era finalmente deciso a
chiamarlo per nome; per il resto le
missioni continuavano, sempre più di rado ora che la guerra
era finita e non
tutti si stavano abituando alla solita pace.
Fino
a che a lord Hellsing non venne l’idea di sigillare il
vampiro, una sorta di
periodo di ferie prolungato. Il vampiro aveva accettato senza
discutere, Walter
era rimasto in silenzio, ma da ridire ne aveva fin troppo.
<
Tranquillo, Walter. Se sentirai così tanto la mia mancanza
potrai sempre
chiedere di farmi risvegliare.>
Le
occhiate omicide dell’uomo erano rimaste le stesse della sua
gioventù.
<
Non dire assurdità.>
Si
fissarono a lungo prima che il maggiordomo si lasciasse andare ad un
sospiro,
sistemandosi meglio la coda di cavallo.
<
Quando ti risveglierai mi rivedrai come un vecchio. O forse
sarò già morto
quando riaprirai gli occhi.>
<
Se non sei morto fino ad ora credo che potrai sopravvivere per una
trentina di
anni, anche senza di me a farti da balia.>
<
Forse non mi riconoscerai nemmeno. Non ti sembrerò
più quello di un tempo; a
volte mi chiedo come sarebbe stato se le cose fossero andate
diversamente…>
<
Walter.>
<
Ah, non preoccuparti per me. Ho capito quello che volevi dire. Ho
capito.>
Un
fruscio più forte riscosse Walter dai suoi ricordi; Alucard
era ancora accanto
a lui, appoggiato al parapetto, ma sembrava leggermente irrequieto.
<
Vado. E’ una così bella notte per andare a caccia,
sarebbe un vero peccato
sprecarla.>
Il
vecchio maggiordomo annuì mordendosi il labbro come faceva
quand’era giovane e
nervoso.
<
Domani ci sarò anch’io al convegno per proteggere
sir Integra.>
<
Vedi di non esagerare, vecchio.>
Ancora
quel ghigno, uguale negli anni, e poi la figura scura che si lanciava
nella
notte, rapida e silenziosa.
Walter
sorrise e rimase fermo in quella posizione per un paio di minuti,
ricordando
ancora.
Aveva
voluto dirgli che quel che doveva capire l’aveva capito, che
finalmente si era
reso conto di quanto fosse prezioso rimanere umani e morire come tali;
gliel’aveva detto perché non era certo che
l’avrebbe più rivisto, perché mentre
Alucard riposava lui sarebbe potuto morire senza più
rivolgergli la parola.
Voleva
che il vampiro conservasse un ricordo decente di lui, tutto
lì.
Ma
in realtà non era passata sera senza che Walter rimpiangesse
la scelta di quel
rifiuto, non c’era stata ora che non avesse pensato a quanto
sarebbe stato
meraviglioso restare giovani per sempre e non sentire le forze
abbandonarlo, la
vista indebolirsi e il corpo farsi pesante, come gli stava accadendo.
No,
Alucard si era rifiutato di donargli l’immortalità
e lui aveva dovuto cercarla da
qualche altra parte; anche a costo di non essere più umano,
un prezzo minimo
dal suo punto di vista.
Perché
in realtà lui non aveva capito.
In
realtà quella era solo una bugia.
Lentamente
il vecchio si ritirò nella sua stanza, deciso a rimettersi
in forze per poter
svolgere al meglio il suo compito di proteggere lady Hellsing. Almeno
fino a
che non sarebbe giunto il momento di riappropriarsi della giovinezza
che gli
era stata strappata via.