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Autore: CatchingLightning    01/05/2012    3 recensioni
[...] "Oh miseriaccia!" pensò Ron per l'ennesima volta. "Questo adesso mi fa fuori!".
-Zeus non dovrà mai sapere che sei stato qui, perciò io ti terrò nascosto.- disse lo gnomo in tutta tranquillità. -Non voglio guai.
Ron deglutì, temendo per la propria sorte. Non aveva mai avuto paura degli gnomi - era abituato a fare a gara di lancio degli gnomi con Fred e George -, ma quello aveva un che d'inquietante. A cominciare dal modo in cui l'aveva chiamato "mortale".

1° classificata al contest "Percy Jackson vs Harry Potter" indetto da Effie Malcontenta Weasley
{Crossover - rating giallo per l'angst - Ron/Clarisse}
Genere: Angst, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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Tutto è relativo

Stop and stare,
you start to wonder why you're here and not there
and you'd give anything to get what's fair
but fair ain't what you really need
[Stop And Stare - OneRepublic]

    -Miseriaccia!
Ronald Bilius Weasley si sarebbe aspettato di tutto, considerando con chi stava viaggiando, ma quello che accadde non era nemmeno tra le sue possibili prospettive di qualcosa che sarebbe realmente potuto succedere.
Reduce da un episodio nel quale la sua stupidità aveva preso il sopravvento sulla ragione, Ron si era Smaterializzato, lasciando Harry e Hermione con un Horcrux, nemmeno uno straccio di piano per distruggerlo ed un amico in meno - insomma, con un pugno di mosche - stretti tra le mani.
Ricordava come Hermione l'avesse supplicato di restare con loro, e si sentiva un po' in colpa per aver detto quelle cattiverie sul conto dei due. Avrebbe voluto tornare.
E l'avrebbe fatto, se non avesse perso la sua bacchetta. Doveva essere volata da qualche parte durante l'usuale, alquanto dolorosa e rovinosa caduta di Ronald sul proprio sedere, come sempre accadeva quando si Smaterializzava.
Aveva il terrore che potesse essere finita sui tetti di uno di quei bizzarri edifici dall'aspetto antico disposti ad U non poco distante da dove era atterrato.
Era chiaro anche per lui, non si trovava più in Inghilterra.
E aveva una fifa blu.
Sentiva un clangore metallico nelle vicinanze, come se si stesse tenendo un duello con le spade, vedeva campi di fragole mature sebbene fossero sotto il periodo di Natale, sentiva grida e urla provenienti da alcuni ragazzi che si arrampicavano su una parete dalla quale scendeva della lava... è naturale che fosse spaventato, soprattutto contando che era disarmato in un posto che pareva essere uscito da uno dei racconti Babbani di cui gli aveva parlato Hermione.
Ron strinse tra le dita un po' della neve che stava sul terreno: fortunatamente, almeno qualcosa era normale.
Se la neve fosse stata azzurra, non si sarebbe sopreso di trovare anche Luna Lovegood in quella marea di stranezze.
Solo dopo aver finito di esaminare il paesaggio circostante per cercare di capire in quale posto sperduto fosse capitato, si accorse di un ragnetto grigio che si stava attampicando sull'orlo dei suoi pantaloni. Ron prese a strillare come una calandra e balzò in piedi, saltellando come se stesse ballando la tarantella. In tutto quel trambusto, il ragnetto volò via e Ron sperò che fosse caduto il più lontano possibile.
    -E tu da dove salti fuori?- domandò una voce alle spalle di Ron.
Il ragazzo si girò di scatto e si trovò davanti un signore basso, grasso e con le guance rosse come quelle che vengono ad Hagrid quando esagera con il Viskey Incendiario: gli ricordò tanto uno di quegli gnomi volanti che Allock aveva mandato in giro per la scuola il giorno di San Valentino al Secondo Anno, solo che era senza le ali. Indossava una camicia a maniche corte tigrata e un paio di sandali hawaiiani uguali a quelli che gli aveva mostrato Seamus, e Ron non riusciva a credere che non stesse rabbrividendo per il freddo.
    -Oh, miseriaccia...- biascicò Ron, tentando d'inventarsi una scusa plausibile. -Ehm, io... vediamo, da dove salto fuori... uhm...
Lo gnomo alzò gli occhi al cielo. -Per la barba di Zeus, perché balbetti come una signorina? Non ho ancora intenzione di ucciderti, sta' tranquillo.
    -Ehm... mi sono perso.
Lo gnomo hawaiiano inarcò un sopracciglio, e Ron capì che non era abituato a vedere la gente "perdersi" in quel posto. Il tizio agitò la mano nell'aria e un calice d'oro pieno di uno strano liquido di un colore invitante si materializzò tra le dita dello gnomo.
Ron tirò un sospiro di sollievo. -Oh, ma allora è un mago anche lei! E io che pensavo di essere finito chissà dove! Sa la strada per Londra, per caso?
Lo gnomo lo guardò con aria sprezzante. -Come mi hai chiamato?
    -Un mago, no?- ripeté Ron, pensando che la cosa fosse piuttosto ovvia.
    -Quindi tu non sei un Mezzosangue, eh?
    -Uh, no.- disse Ron, grattandosi la nuca. -Io sono un Purosangue.
Ron vide una fiamma accendersi negli occhi dello gnomo.
    "Oh miseriaccia..." rabbrividì il rosso.
    -Come osi paragonarti agli dèi, marmocchio insignificante?!- sbraitò lo gnomo, versandogli in testa la bevanda che aveva appena materializzato e puntandogli il dito contro il petto. -Posso distruggerti quando mi pare e piace, lo sai questo, vero?
Ron cadde nuovamente a terra. -Sì, sissignore!- squittì il ragazzo.
    -Ecco perché odio gli eroi di questo campo: arrivano e pensano d'iniziare a comandare!- sbottò lo gnomo, prendendolo per un orecchio. -Sai chi sono io, vero?
    -Sì, sissignore!- mentì Ron. Forse era meglio non contraddire quel pazzo scatenato.
Il tizio lo trascinò dietro ad un albero, sperando che non fossero stati visti. Probabilmente qualcuno avrebbe notato i segni delle scarpe dei due sulla neve, ma lo gnomo parve non preoccuparsene.
    -Molto bene, giovane Mezzosangue.- disse lo gnomo. -Chi sono i tuoi genitori?
Ron assunse un'espressione a metà tra il confuso e lo spaventato. -Arthur e Molly Weasley.
Lo gnomo sorrise come uno psicopatico ed iniziò a saltellare e ad applaudire. -Oh, uno di quelli adottati! Un po' come la nonnina fece con il mio folgorante padre!
    -Le posso assicurare che non sono stato adottato.- borbottò Ron, massaggiandosi l'orecchio dolorante.
Una smorfia di terrore fece distorcere il volto dello gnomo. -Quindi non sei uno stupido eroe...
Ron scattò in piedi, ferito nell'orgoglio. -Ehi! Harry ed io abbiamo salvato il mondo più di una volta!
    -Taci, mortale!- tuonò lo gnomo. -Se non sei un eroe puoi sempre essere uno con la Vista, perché altrimenti non saresti riuscito ad entrare al Campo Mezzosangue.- continuò, ipotizzando teorie sulla presunta provenienza di Ron.
Quello era lo gnomo più schizofrenico che avesse mai visto e Ron aveva paura che potessero spedire anche Hermione in quel Campo Mezzosangue di cui andava ciarlando.
    -Se quel barbuto di Zeus lo viene a sapere mi proibirà di bere vino per altri cent'anni, considerando che non "proteggo sufficientemente il Campo".- bofonchiò il tizio con tono isterico.
Ron non capiva cosa stesse farfugliando lo gnomo, ma ritenne che fosse meglio non fare domande inopportune: se lo avesse lasciato libero e se avesse trovato la propria bacchetta, Ron si sarebbe Smaterializzato subito e avrebbe cancellato qualunque traccia della propria presenza in quel posto bizzarro.
Ma quando mai le cose andavano per il verso giusto per Ronald?
Sul volto dello gnomo comparve un sorrisetto sadico.
    "Oh miseriaccia!" pensò Ron per l'ennesima volta. "Questo adesso mi fa fuori!".
    -Zeus non dovrà mai sapere che sei stato qui, perciò io ti terrò nascosto.- disse lo gnomo in tutta tranquillità. -Non voglio guai.
Ron deglutì, temendo per la propria sorte. Non aveva mai avuto paura degli gnomi - era abituato a fare a gara di lancio degli gnomi con Fred e George -, ma quello aveva un che d'inquietante. A cominciare dal modo in cui l'aveva chiamato "mortale".
    -Rimarrai in cucina a lavare piatti con le arpie, ho deciso!
Il mago non aveva idea di chi fossero queste arpie, ma sperava vivamente che fossero meglio di quelle di cui si narrava nei libri ammuffiti della biblioteca di Hogwarts. Se fossero state peggio, Ron si sarebbe ritrovato ad essere "spezzatino di Weasley".
Lo gnomo, che pareva averci preso gusto dopo il primo tentativo, prese il mago per l'orecchio e, senza troppa grazia, lo condusse in un edificio che disse essere la Casa Grande. Da quel posto, che portava un nome simile a quello della stanza di Hogwarts dove aveva trascorso momenti veramente indimenticabili, iniziò un vero putiferio... a cominciare dagli incontri inaspettati che fece nelle cucine.

Si moriva di caldo, lì sotto. Ron borbottava frasi incomprensibili, cercando di far sì che il pollo di tagliasse da solo.
Sospirò: non poteva fare un granché senza la sua bacchetta magica. Avendone avuto la conferma per l'ennesima volta, riprese a borbottare con molta enfasi più del dovuto. Le arpie che gli passavano accanto grugnivano con insoddisfazione, probabilmente perché quello gnomo aveva dato disposizioni ben precise e - per la fortuna di Ron - tra queste compariva anche "non distruggete il mortale". Per compensare la propria delusione da quell'ordine, le arpie incaricavano il ragazzo di fare qualsiasi lavoro immaginabile: lavare i piatti, tagliare i polli, pulire i pesci, preparare la crostata (e sorvoliamo su quest'argomento, altrimenti la cosa si tirerebbe per le lunghe), affilare i coltelli, lavare la frutta e - sì, pure questo - lustrare le scarpe dei tizi di ritorno dalle sabbie mobili.
Tutto questo in massima segretezza.
Ovviamente.
    "Tutto è troppo segreto!" pensava Ron, disgustato dall'odore di una scarpa particolarmente puzzolente. "Credo di non ricordare più l'ultima volta in cui feci qualcosa che non sarebbe dovuto restare segreto, ma così si esagera!".
Tra un piatto e l'altro tentava d'appellare la propria bacchetta magica, ripetendo "Accio bacchetta!" come se si trattasse di una litania, collezionando un fallimento dopo l'altro.
Ron sbuffò. Forse avrebbe dovuto appellare qualcuno che lo aiutasse a trovarla, piuttosto che continuare a lanciare, fallendo, lo stesso incantesimo.
    -Certo, come no...- borbottò il rosso, gettando una spugna su un ripiano di marmo senza molta gentilezza. -Come se bastasse dire "Accio aiutante" per far apparire qualcuno in questo posto...
Non fece in tempo a finire la frase che la sagoma di un guerriero in armatura spalancò la porta, lasciando Ron totalmente di stucco.
Che gli incantesimi funzionassero anche in quel posto in mezzo al nulla? Bastò che quello aprisse bocca per gettare nel cestino anche l'ultimo barlume di speranza.
    -Datevi una mossa, razza di rammolliti!- sbraitò il guerriero, e Ron sgranò gli occhi nel notare che si trattava di una voce femminile. -Ho bisogno di cibo! Subito!
    "Adesso questa finisce male..." pensò il mago, voltandosi subito in direzione delle arpie.
Sorprendentemente, queste avevano preso a lavorare più in fretta: evidentemente, lo gnomo aveva dato disposizioni anche per quell'evenienza. Tuttavia, Ron non sopportava che quella ragazza, sebbene fosse alta come un Troll, entrasse in cucina e si mettesse a dettare ordini. Già non sopportava quando Harry e Hermione gli dicevano cosa fare, da una sconosciuta non poteva proprio accettarlo.
    -Ehi, aspetta un secondo!- protestò il rosso. -Stiamo preparando portate colossali, mangerai con tutti gli altri.
Non l'avesse mai fatto. La ragazza si voltò con un'espressione assassina negli occhi porcini: Ron non aveva mai pensato di poter aver paura di una ragazza, ma quella avrebbe terrorizzato persino a Voi-Sapete-Chi.
La guerriera afferrò Ron per l'orlo del maglioncino e lo sollevò a terra. -Stammi a sentire, Rosso.
Ron deglutì, notando una vena che le pulsava nelle tempie.
    -Non ho molto tempo, e nessuno deve sapere della mia presenza qui.- spiegò lei in un sibilio velenoso. -Fa' come dico, se non vuoi rogne.
Detto questo, la ragazza mollò la presa e Ron cadde di peso sul terreno, procurandosi un discreto dolore alle natiche.
Lei lo guardò con aria sprezzante. -Mai mettersi contro Clarisse, la figlia di Ares.

Clarisse si sedette in un angolo, ad osservare con occhio critico il lavoro delle arpie e quello di Ron. Il mago trovava un po' snervante il sentire gli occhi di Clarisse puntati su di sé, ma si sforzò di proseguire il suo lavoro in cucina senza fare mosse brusche.
La guerriera, dal canto suo, fissava Ron con discreto interesse: non aveva la più pallida idea di dove fosse saltato fuori, poiché era sicura di non averlo mai visto al Campo Mezzosangue, ma era incuisita da come non aveva esitato a fronteggiarla. Soprattutto riguardo alla seconda affermazione, non aveva ancora capito se avesse un coraggio da leone, una forza sovrumana nascosta oppure se fosse solamente molto, molto stupido.
    -Di' un po', Rosso.- disse. -Da dove sbuchi fuori?
Eh, bella domanda. Non poteva dirle di essere caduto dal cielo, l'avrebbe preso per pazzo.
Clarisse sghignazzò. -Non rispondi, eh? E, sentiamo, di chi sei figlio?
Quella domanda era troppo ricorrente, per i gusti di Ron. Nonostante in quel posto sembrassero tutti svitati, il rosso non poteva fare a meno di pensare che si trattasse di una trappola architettata dai Mangiamorte o da qualche scagnozzo di Voi-Sapete-Chi.
    -Sei già in una casa o sei ancora Indeterminato?- incalzò Clarisse, curiosa.
Gli occhi di Ron si illuminarono e lasciò cadere un piatto per terra dalla sorpresa. -Quindi tu sai di Hogwarts!- esclamò, entusiasta.
    -Di che?- fece Clarisse. -Sta' un po' a sentire, Rosso: i patiti di gufi e civette sono i figli di Atena, quindi se vuoi sapere qualcosa su questa Owlwarts chiedi a quel branco di secchioni.
    -Hogwarts.- la corresse Ron, per ricevere in tutta risposta un'occhiataccia assassina da parte della ragazza. -Comunque, davvero non ne sai niente?
Clarisse scosse la testa. -Ad ogni modo, tu non mi hai risposto. È stato il Signor D a spedirti a lavorare nelle cucine?
Ron sospirò. -Non lo so, ma, se quello gnomo in camicia leopardata di chiama Signor D, sì, è stato lui.
La castana soffocò una risata. -Sei forte, non credevo che qualcuno si divertisse ad insultare quell'ubriacone del dio del vino con tanta spontaneità.
Ron fece una faccia confusa. -Il dio del vino, hai detto? Dioniso?
Il ragazzo ricordava quel nome da una storia che aveva letto Hermione da un testo di Mitologia Babbana.
    -Questo però ti consiglio di non farlo, pivello.- disse lei.
    -Questo cosa?
    -Pronunciare i nomi degli dèi come dire "ciao".- spiegò, squadrandolo. -I nomi sono potenti, e tu devi fare attenzione!
    -Chiaro.- disse Ron, raccattando i cocci rotti del piatto da terra.
Clarisse se ne accorse. -Oh, lascia perdere, ci penseranno dopo le arpie.
Ron si guardò attorno e le arpie gli parvero tutto fuorché ansiose di raccogliere frammenti di porcellata dal terreno.
    -Oh, okay.
Clarisse si alzò dalla sedia e prese a camminare per la stanza con aria circospetta.
    -E-Ehi! Dove stai andando?- chiese Ron, andandole dietro.
Dopotutto, la compagnia di una guerriera dallo sguardo potenzialmente assassino era preferibile a quella di arpie che l'avrebbero trasformato in "polpettone di Weasley".
La ragazza aggrottò le sopracciglia e si voltò in direzione di Ron, posando una mano sull'elsa della spada allacciata in vita. -Da qualche parte. Problemi?
Ron scosse la testa e la seguì fuori dalla cucina, in una stanza adiacente.

Ron non capiva a cosa servisse una finestra nel sottosuolo. E, ancor più, non capiva come mai desse sul mare, considerato che la stanza era stata costruita pochi metri sotto il pavimento della Casa Grande.
    -Poseidone.- grugnì Clarisse, indicando il mare con un cenno del capo. -Anche aprendo la finestra, non entrerebbe acqua.
    -Chi è Poseidone?- domandò Ron, appoggiando le mani al vetro della finestra.
    -Il dio dei mari, conosciuto anche come il padre di quella Testa d'Alghe di Percy Jackson.- spiegò pigramente Clarisse.
    -Oh. Capisco.- disse Ron. Poi si voltò verso la castana. -E tu chi sei?
Lei gonfiò il petto e drizzò la schiena. -Io sono Clarisse La Rue, figlia di Ares, il dio della guerra.- decantò fieramente.
    -Wow.- disse Ron.
Il rosso non sapeva se essere preoccupato che quella ragazza potesse spezzargli le ossa in due anche solo con una mano o se dovesse dimostrarsi entusiasta e sfoggiare un'espressione di pura ammirazione.
    -Già.- disse Clarisse, fiera. -Tu?
    -Io cosa?
La ragazza alzò gli occhi al cielo. -Fortunatamente qui non ci sono arpie, altrimenti ti avrebbero già sbranato per via della tua stupidità.
    -Ehi!- cominciò a protestare Ron, ma Clarisse l'interruppe.
    -Devo decidere se sei mio nemico o meno.- disse, fissandolo negli occhi con la massima serietà. -Quindi adesso ti faccio delle domande e tu rispondi.
Ron deglutì. -O-Okay.
Clarisse sembrò soddisfatta. -Come ti chiami?
    -Ron Weasley.
    -Anni?
    -Diciassette.- disse. -Ne compio diciotto il primo Marzo.
La sedicenne annuì, passando alla prossima domanda. -Casa?
    -Grifondoro.
La ragazza inarcò un sopracciglio. -Che?
    -Grifondoro.- ripeté.
Si rese conto dopo qualche istante che ai maghi non era concesso di parlare del loro mondo con i Babbani, ma, accidenti!, lei era figlia di un dio!
Ron trasse un lungo respiro e poi si accinse a raccontarle la sua storia. -Io non sono figlio di un dio. Io sono un mago.
Clarisse sfoderò la sua spada e Ron si portò istintivamente la mano alla tasca dei pantaloni per afferrare la bacchetta, ricordandosi troppo tardi di averla smarrita.
    -Oh miseriaccia!- esclamò, tentando di scappare.
Clarisse gli puntò la lama alla gola e Ron trattenne il respiro, cercando un modo per scappare da quella furia omicida. Come aveva fatto anche solo a pensare di potersi fidare di una figlia del dio della guerra?
    -Giura che non mi stai prendendo in giro.- sibilò Clarisse. -Lancia un incantesimo, adesso.
Ron continuò a trattenere il respiro - diventando color porpora - fino a quando Clarisse non allontanò la lama dal suo collo. Ron riprese a respirare affannosamente, massaggiandosi il collo con una mano.
    -Lo farei, se potessi.
Clarisse ripose la spada nel fodero. -Che cosa intendi?
Ron la fissò, frustrato. -Se i miei incantesimi funzionassero anche qui, me ne sarei già andato invece che restare a fare l'elfo domestico con quei mostri mangiateste!- sbottò, indicando la porta della cucina, oltre la quale le arpie stavano preparando da mangiare.
    -Uhm, un punto a tuo favore.- gli concesse Clarisse. -Mettiamo che io ti creda, ma tu...
Ron la interruppe e le prese le mani, lasciando la ragazza alquanto confusa e, probabilmente per la prima volta in vita sua, imbarazzata.
    -Tu mi devi credere.- la pregò Ron, con un atteggiamento che non era per nulla da lui. -Devi aiutarmi ad andarmene da qui!
Clarisse si liberò dalla sua presa con un movimento brusco. -Perché mai dovrei farlo?
    -Perché altrimenti Tu-Sai-Chi riuscirà ad uccidere Harry e il mondo sarà nuovamente nelle mani del Signore Oscuro!- spiegò velocemente Ron.
La sedicenne era alquanto confusa. -Harry? È un Mezzosangue che è venuto a questo campo? Altrimenti non ha nessuna speranza di battere Luke e i suoi scagnozzi.
Fu il turno di Ron a non capire un accidenti. -Chi è Luke?
    -Chi è Harry?
    -Immagino che ci siano un po' di cose da spiegare.- sorrise Ron.
    -Sì, ma fa' in modo che il mio tempo non sia sprecato.- borbottò Clarisse, sedendosi per terra a gambe incrociate.

Tell me what you want to hear
Something that will light those years
I'm sick of all the insincere
So now I'm gonna give all my secrets away.
[Secrets - OneRepublic]

    -Così è grazie a questo Chris che avete capito che possano aver scoperto il Labirinto, vero?
    -Esatto.- annuì Clarisse.
    -Che storia incredibile!- sbuffò Ron, scaricando la tensione accumulata durante il racconto. -Comunque, fai in modo che la mia storia resti un segreto, o finirò nei guai con il Ministero della Magia.
Clarisse si portò una mano sul cuore, promettendo. -Scusa, ma non è quel posto dove lavora tuo padre?
Ron annuì. -Sì, e proprio per questo non si deve sapere. Con tutta quella storia dell'Ordine della Fenice, potrebbe finire molto male per la mia famiglia.
    -Capisco.- disse lei. -Ti prometto che terrò la bocca chiusa. So cosa significa stare lontana dai propri genitori, e non lo auguro a nessuno.
Ron abbassò lo sguardo, imbarazzato, non sapendo cosa dire. Clarisse era la prima persona a cui aveva dovuto raccontare la sua storia dal principio, e, nel farlo, si era sentito straordinariamente libero, come se un pesante fardello che stava portando sulle spalle fosse finalmente svanito nel nulla, e sperava che Clarisse avesse provato la stessa fantastica sensazione di libertà.
Il ragazzo avrebbe voluto dirle che presto tutto sarebbe finito, ma non lo fece. D'altro canto, come avrebbe potuto? Non sapeva nemmeno se sarebbe riuscito a non essere sbranato dalle arpie nel giro di ventiquattr'ore. Parlando con Clarisse, tuttavia, aveva capito, a grandi linee, come doveva sentirsi Harry.
    "Ho fatto una stupidata colossale urlandogli contro." pensò mestamente.
    -E sia, ti aiuterò.
Ron sollevò lo sguardo e fissò Clarisse con un sopracciglio alzato. -Che?
    -Ti aiuterò ad andartene da qui.
Gli occhi del ragazzo s'illuminarono. -Grazie infinite, Clarisse!
Lei spostò bruscamente lo sguardo su uno dei vasi in ceramica riposti con cura su uno degli scaffali. -Sappi che dovremmo fare tutto in segreto, però. E se sbagliamo anche solo una volta, il Signor D avrà sulle spalle l'importante decisione di darci in pasto o alle arpie o a Peleo.
Ron storse il naso. -Ci sarò anche abituato, a furia di girovagare con Hermione e Harry, ma non mi piacciono tutti questi segreti. Anche la storia di Chris... trovo che se tutti sapessero di quanto è accaduto, si troverebbe una cura più in fretta. Ho capito che il Signor D ci sta lavorando, ma non credo che voglia compiere una mossa così avventata senza prima rifletterci. Sarebbe meglio che la cosa non restasse segreta, no?
Clarisse, nonostante il fatto, o forse appunto per il fatto, che Ron aveva ragione, tacque, dedicando più attenzione di quanto sarebbe stato legittimo anche per un appassionato al vaso di ceramica.
    -È complicato.- borbottò lei. -Crediamo che ci sia una spia.
Ron sgranò gli occhi. -Qui? Nell'unico posto sicuro per semidèi?
La sedicenne annuì, e un ciuffo ribelle di capelli uscì dalla bandana e le ricadde sulla fronte, coprendole leggermente gli occhi.
    -Questo è quello che dovrebbe essere.- bofonchiò Clarisse. -Che poi lo sia, questo è un altro paio di maniche.
    -In effetti, con quella parete di lava...-constatò Ron.
Clarisse gli tirò un pugno in testa. -Parlavo di Luke, razza di tonto!
    -Ehi!
La figlia di Ares non lo stette a sentire e guardò l'orologio appeso al muro. -È tardi, suppongo che debba portare a Chris la cena.
Clarisse s'alzò in piedi e si pulì la polvere dai pantaloni, strappati all'altezza del ginocchio. Prese il fodero della spada, che aveva poggiato accanto a lei sul pavimento, e fece per andarsene.
    -Manterrai il mio segreto?- le chiese Ron.
    -Solo se tu manterrai il mio.- rispose Clarisse.
Il rosso sorrise. -Ti prometto che nessuno saprà che sei qui.
    -Allora siamo d'accordo.
La ragazza posò la mano sulla maniglia d'ottone e aprì la porta, facendo per andarsene, cosa che avrebbe anche fatto se Ron non avesse ripreso a parlare.
    -Manterrò il tuo segreto.- ripeté.
Clarisse alzò un sopracciglio e voltò la testa per guardarlo. -L'hai già detto, Rosso.
    -Ma lo manterrò.- disse. -Anche se non credo sia corretto, lo manterrò.
    -Farò lo stesso.
La ragazza stava quasi per sparire oltre la porta, ma Ron la fermò. -Clarisse...
La figlia di Ares si voltò, esasperata. -Che vuoi?- gli domandò bruscamente.
    -Anche la nostra conversazione deve rimanere segreta?
Clarisse non rispose, ma si limitò a chiudersi la porta alle spalle con un tonfo, lasciando un Ron alquanto confuso seduto sul pavimento.

La ragazza afferrò i vassoi malamente e corse via, senza salutare né Ron né - non che normalmente lo facesse - le arpie che avevano preparato la cena per Chris. Quando finalmente giunse dal figlio di Ermes, ci chiuse la porta alle spalle con un giro di chiave e ne seguì il profilo, lasciandosi scivolare a terra.
    -Tutto, ma non questo...- borbottò la figlia di Ares, con il cuore che le batteva un po' per la corsa e un po' per quanto accaduto quel giorno.
    -Il filo!- protestò Chris, ancora convalescente, rigirandosi sul materasso. -Il filo!
Clarisse trasse un sospiro profondo e si rimise in piedi. -D'accordo, ma è ora di mangiare.
Chris scosse la testa con forza e balzò giù dal letto. Si avvicinò a Clarisse ed iniziò a scuoterla per le spalle. -No, il filo! Devo trovarlo!
Avrebbe potuto stenderlo con una manata, ma non lo fece. Anzi, i suoi occhi iniziarono a riempirsi di lacrime nel vedere che lo stato di Chris non era migliorato per niente da quando l'aveva trovato a Phoenix, nonostante si fosse presa molta cura di lui.
    -Chris, ora basta.- mormorò Clarisse.
Chris lasciò la presa e prese a piroettare per la stanza per poi sedersi al tavolo.
Clarisse annuì. -Sì, ti ho portato la cena.
    -No! Il filo!- esclamò Chris, mentre una lacrima gli rigava la guancia. -Mi ammazzerà se non lo trovo!
    -Chi?- gli chiese Clarisse. -Chi ti ucciderà?
Uno dei motivi per cui Chirone aveva fatto sì che Chris restasse in quello stato ancora un po' di tempo era perché aveva bisogno di ottenere informazioni riguardo ai piani di Crono, affinché Percy ed Annabeth potessero prepararsi a dovere in caso di un eventuale attacco. Dopotutto, se il Signor D avesse curato Chris immediatamente, la sua memoria relativa a quanto aveva passato nel Labirinto sarebbe stata cancellata e, quindi, il Campo avrebbe avuto un'informazione in meno.
Nonostante sapesse che era un ottimo piano per anticipare le mosse di Crono, Clarisse era estremamente contraria all'idea di far soffrire Chris così.
    -Non sente mica dolore, Clarette.- le aveva detto il Signor D in modo sbrigativo, sfogliando una rivista sul Pinot Nero.
    "Ma la cosa è disumana lo stesso!" si ripeteva Clarisse, biasimando il Signor D per la sua crudeltà nel lasciare Chris ammattito.
Chris si guardò attorno, impaurito.
    -Mi ucciderà, mi ucciderà!
    -Chi, Chris?- gli domandò nuovamente Clarisse.
    -Lui!- balbettò Chris. -Adesso mi ucciderà perché l'ho rivelato!
Clarisse abbracciò il figlio di Ermes. -Nessuno ti ucciderà, Chris.
    -Lui sì, lui sì!- singhiozzò. -Devo trovare il filo, devo cercarlo!
Chris si dimenò, cercando di liberarsi dalla stretta di Clarisse, ma lei non lo lasciò andare.
    -Prima mangia, lo cercherai dopo.
    -Ma mi ucciderà!
Clarisse lo guardò dritto negli occhi, tentando di mantenere uno sguardo fermo nonostante fosse sul punto di scoppiare in lacrima.
    -Non lo farà.- disse. -Hai la mia parola.
Chris annuì, ringraziandola. -Ho fame.
    -Oh, sì.- esclamò la ragazza, asciugandosi velocemente gli occhi con il dorso della mano. -Ho portato da mangiare.
Il volto di Chris si aprì in un sorriso sghembo. -Grazie.
Clarisse gli sorrise. -È un piacere.
Tuttavia, nel dirlo, lanciò tutte le imprecazioni possibili ed immagini contro Afrodite.

***

Il giorno seguente, Clarisse si presentò in cucina un po' in anticipo. Ad attenderla c'era la visione di un Ron addormentato su uno sgabello ed una torre di piatti puliti in bilico davanti a lui. Nemmeno la figlia di Ares riuscì a trattenere un sorriso nel sentire il rumoroso russare del ragazzo, che sembrava blaterare di un certo "grattamento di stinchi" nel sonno.
    -Ehi, Rosso!- lo svegliò Clarisse, dandogli una gomitata tra le costole. -Lascia in pace gli stinchi e svegliati!
Ron cadde dallo sgabello e fissò Clarisse con ira. -Ma sono le sette!
    -Appunto.
Il ragazzo si alzò, massaggiandosi la schiena dolorante. -Ringrazia che le Maledizioni Senza Perdono non funzionino qui, perché lo sanno tutti che non è una cosa intelligente disturbare il mio sonno.
Clarisse lo guardò con aria di sufficienza. -Se fosse stato per te, saresti caduto in letargo secoli or sono.
    -Non è assolutamente vero!- replicò Ron.
    -Sì, invece!- ridacchiò lei. -Russavi come Mrs O' Leary, il che è tutto dire.
Ron fece orecchie da mercante e iniziò a riporre i piatti negli scaffali. -Comunque, che ci fai qui?
La castana si guardò attorno con aria circospetta e, dopo essersi accertata che le arpie stessero ancora perlustando i confini del campo, si avvicinò a Ron.
    -Dovrò pur sapere come è fatta questa bacchetta, no?- disse piano Clarisse.
Ron si fece pensieroso. -Beh, è un po' complicato da spiegare... certo, se venissi con te a cercarla, la cosa sarebbe molto più semplice.
Clarisse aggrottò le sopracciglia. -Non se ne parla nemmeno, non posso certo rischiare.
Tuttavia, si sa, pane e rischio sono alla base della dieta di un figlio di Ares, perciò non c'è da stupirsi che, quella notte stessa, Clarisse fosse andata a cercare la bacchetta di Ron con quest'ultimo al seguito.
Clarisse teneva la torcia con una mano e teneva l'altra sull'elsa della spada, allacciata al fianco, volendo essere pronta per ogni evenienza. Si guardava attorno con aria circospetta, come se un mostro potesse sbucare da un momento all'altro. Ron, dal canto suo, osservava ogni edificio con aria confusa, non capendone la funzione.
Pattugliarono la zona attorno alle case degli dèi e - cosa legittima - Ron chiese alla Mezzosangue quali case fossero dedicate a quale dio.
    -Quelle con i pavoni sono Zeus ed Era. In teoria dovrebbero essere vuote, ma Zeus ha voluto fare un po' il furbo e adesso nella sua abita Talia, sua figlia.
    -Quella che prima era un pino?
Clarisse annuì. -Lei. Poi, le case sulla sinistra sono quelle dedicate alle dee, mentre quelle sulla destra sono quelle dei figli degli dèi.
    -Tu in che casa sei?- le domandò Ron, curioso.
La castana puntò la torcia verso una casa dai muri di un rosso brillante che aveva sul tetto una testa di cinghiale. Accatastate tutt'attorno c'erano trappole ed armi d'ogni sorta, dalla trappola per topi al giavellotto e dal coltello da pesce allo scudo di bronzo.
    -Casa numero 5, Ares, dio della guerra.- disse Clarisse, ripetendo la dicitura a memoria.
    -Forte.
    -Lo so.
Ron rise. -Non credevo fosse così divertente uscire con te!
I muscoli di Clarisse s'irrigidirono, e non era un buon segno. Ron se ne accorse e smise di ridere immediatamente.
    -Clarisse...?- fece il rosso, con leggero timore.
Lei si voltò e lo fulminò con un'occhiata assassina. Dopodiché afferrò il povero mago per il polso e, tenendolo così stretto da bloccargli la circolazione sanguigna, lo condusse attraverso la foresta.
    -Stammi bene a sentire, Rosso!- sbraitò Clarisse. -Io e te non stiamo uscendo insieme, stiamo solo cercando la tua bacchetta, quindi non fare commenti intelligenti quanto la cacca di Minotauro!
Ron alzò le mani in segno di resa. -Beh, siamo all'aperto e siamo insieme...
Lei gli tirò un calcio su un ginocchio. -E taci!
    -Ehi!- protestò lui. -Miseriaccia, mi hai fatto male, sai? Non dovresti tirare certi...
Clarisse gli mollò una ginocchiata allo stomaco e gli tappò la bocca con la mano. -Fa' silenzio.- gli sussurrò all'orecchio. -Non siamo soli.
Ron trattenne il respiro e Clarisse allentò la presa. La ragazza sguainò la spada e prese a fare a fettine alcuni cespugli come fossero del pane. Ron l'ammirava, stupito.
Dopo che la ragazza ebbe ridotto in polvere - letteralmente - un Uccello Stinfalo, probabilmente un fuggiasco dello stormo che Percy aveva distrutto l'estate precedente, il quale era la probabile fonte del rumore udito da Clarisse, la figlia di Ares si rivolse a Ron.
    -Dovremmo pattugliare la foresta, è probabile che la bacchetta sia finita lì.- disse, stringendo il nodo della bandana che portava in testa. -Faremo un altro giorno, le arpie stanno per arrivare.
Ron sfoggiò un sorrisetto compiaciuto. -Mi è piaciuto come hai usato il plurale, Clarisse.
La ragazza arrossì e, sfortunatamente per lei, Ron se ne accorse nonostante fosse buio pesto. -Se non vuoi venire sono affari tuoi.
Ron sorrise. -Certo che voglio venire.
    -Bene, allora il discorso è chiuso.- disse Clarisse, sbrigativa. -Buonanotte e sogni d'oro.
    -Magari lo siano...
    -Sognerai Harry e Hermione?
Ron fece spallucce. -Può darsi, ma, se li sognerò, voglio che, almeno in sogno, non siano più arrabbiati con me.
    -Questo non toglie che tu ti sia comportato da vero tonto, ma sono certa che ti perdoneranno.- disse Clarisse, pulendo con le mani il fodero della spada.
    -Spero solo che Hermione mi perdoni...- borbottò Ron, alzando gli occhi al cielo con fare esasperato. -Quella ragazza è testarda come un mulo.
Clarisse si bloccò. -Sei innamorato di lei?
Ron arrossì, diventando tutt'uno con i suoi capelli. -Uh... è complicato.
Clarisse lo fissò dritto negli occhi, seria come non mai. -E tu semplifica.
    -Penso che sia innamorata di Harry.- ammise mestamente il ragazzo. -Credo che io debba togliermela dalla testa.
Clarisse tacque. Ron avrebbe dato qualunque cosa purché dicesse anche solo "hai ragione" o "ma sei veramente stupido!", ma niente di tutto ciò uscì dalla bocca di Clarisse.
La ragazza lo liquidò solo con un "è tardi", dicendogli di andare a dormire: nel pomeriggio, Clarisse aveva arrangiato una brandina per Ron in una delle stanze della Casa Grande, di modo che non dovesse dormire nuovamente su uno sgabello in cucina.
    -Forse sognerò il momento in cui tu ed io troveremo la mia bacchetta.- disse Ron.
Clarisse abozzò un sorriso e riprese a camminare, a passo deciso, verso la Casa Numero 5, inveendo contro Afrodite in ogni lingua morta ed esistente sulla Terra.

***

But if I kiss you,
will your mouth read this truth?
Darlin', how I miss you
strawberries taste how lips do
[Little Bird - Ed Sheeran]

Era una tarda sera di Dicembre, circa cinque giorni prima di Natale. In teoria, nel giro di pochi minuti, i figli di Efesto avrebbero lanciato i fuochi d'artificio natalizi, come da tradizione, e Ron e Clarisse stavano aspettando l'inizio dello spettacolo pirotecnico affacciati, seppur lontano da occhi indiscreti, alla finestra del pianterreno della Casa Grande. Erano passate settimane da quando Ron si era catapultato nel mondo di Clarisse, e Clarisse in quello di Ron, ma il tempo pareva essere volato veloce come il vento. I due giovani si vedevano ogni giorno, quando lei finiva di sistemare le cose con Chris, e le chiacchierate tra i due erano sempre più allegre e spigliate. A detta di Clarisse, Ron era stato il suo unico vero amico da tanto tempo. Ron, dal canto suo, temeva di aver trovato una ragione per cui potesse restare in quel posto: aveva detto a Harry di essere stanco di non essere considerato da nessuno, di non essere accettato da nessuno, e aveva raggiunto la convinzione che i suoi amici stessero meglio senza di lui.
Il problema è che non era sicuro che fosse ciò che volesse davvero.
    -Manca poco a Natale, eh?- disse Clarisse, raggiante.
Ron annuì, e gli occhi gli si velarono di nostalgia. -Mi mancherà il maglione natalizio di mia mamma.
Clarisse gli tirò una gomitata tra le costole.
    -Ahi!- protestò Ron. -E questa per che cos'era?
    -Non hai percepito il carattere affettuoso di questa gomitata?- ridacchiò Clarisse.
Ron si massaggiò la parte dolorante. -No, direi di no.
Clarisse scoppiò a ridere come non faceva da tempo. Era una risata sincera, cristallina, come quelle che Clarisse faceva solo prima di iniziare a combattere contro i mostri per salvare la pelle. Da quanto non rideva di gusto? Ormai aveva perso la cognizione del tempo.
    -Perciò... passerai il Natale qui, Rosso?
Ron sospirò. -Mi chiamerai mai per nome?
Lei ridacchiò. -No, non credo.
    -Ma mi dà fastidio!
Il volto di Clarisse si aprì in un sorriso beffardo. -Appunto.
    -Oh, allora lo fai apposta!- esclamò il ragazzo, sorridente, balzando in piedi.
    -Chiamarti Ronald sarà il mio regalo di Natale, va bene?
Ron s'incupì. -Chiamami solo Ron, per favore.
Clarisse inarcò un sopracciglio. -Che differenza fa?
    -Hermione mi chiamava "Ronald" quando era arrabbiata.- bofonchiò Ron.
La ragazza si mordicchiò un labbro. -Capisco.
Ron, volendo cambiare discorso il più velocemente possibile, spostò la conversazione sulla ricerca della sua bacchetta.
    -Quindi oggi non cercheremo la mia bacchetta, vero?
Clarisse scosse la testa. -Pensavo che si potesse fare domani, a meno che tu non voglia riprendere dopo i fuochi.
Ron sorrise. -No, va bene così.
    -Come mai?- chiese Clarisse, incuriosita. -Fino a pochi giorni fa non potevi far altro che pensare a ritrovarla per poter tornare a casa.
Ron tacque per qualche istante. -E se avessi cambiato idea?
    -Come?- disse Clarisse, incredula.
    -Se, diciamo, non volessi più tornare...- disse Ron. -E se, sempre ipotizzando, la causa fossi tu...
Clarisse lo fissò con un'espressione severa sul volto. -Non prendermi in giro, Rosso. Poco fa mi hai detto che ti manca Hermione, ti manca Harry... questo non è il tuo mondo.
Ron le prese le mani tra le sue. -Dovrebbe fare differenza il fatto che sia il tuo mondo piuttosto che il mio? Mi ci abituerò.
Clarisse si liberò dalla sua presa. -Stammi a sentire, Rosso: tu sei Inglese, io Americana. Tu sei un mago, io una Mezzosangue. Tu lavi i piatti con le arpie, io combatto. Mi spieghi che cosa ti spinge a restare?
    -Non voglio più essere l'eterno secondo nel mondo di Harry.- disse il ragazzo.
    -E questo ti pare un motivo sufficiente per rinunciare a tutto quello che avevi costruito in Inghilterra?- sbraitò Clarisse. -Rinunceresti al tuo migliore amico e alla ragazza che ami solo per questo?
Ron avvampò. -Fa differenza?
    -Sì che la fa!
    -Ormai tutto è diventato relativo, anche il concetto di differenza.- esclamò Ron. -L'unica cosa che è sicura è che io non riuscirei ad andarmene e a dimenticare tutto quello che ho passato qui.
Clarisse gli voltò le spalle e fece per andarsene, ma Ron l'afferrò per un polso e non glielo permise.
    -Non riuscirei a dimenticare il Signor D e le sue maniere da schizofrenico, la storia del Campo, o le occhiate assassine delle arpie.- disse il ragazzo, sentendo il cuore che scandeva un ritmo più veloce. -Non riuscirei a dimenticare te.
Clarisse arrossì, prendendo il colore delle pareti della Casa Numero 5. -Come faccio a sapere che non menti?
Ron sorrise amaramente. -Sto lasciando tutto per ottenere niente, se tu non fossi dalla mia parte. Perché dovrei farlo?
Clarisse tacque.
    -Devo andare.- disse poi.
    -Aspetta!- la trattenne Ron, prendendole il volto tra le mani e stampandole un bacio sulle labbra.
Uno scoppio in sottofondo fece capire ai due giovani che lo spettacolo pirotecnico era terminato. Quando Ron allontanò il suo viso da quello della figlia di Ares, ella s'asciugò le labbra umide con la manica del maglione e prese a fissarlo con un'espressione seria.
    -Anche quello che provi per me è relativo?
Ron abozzò un sorriso. -No, direi di no.

***

I'd spend forever
wondering if you knew
I was enchanted
to meet you
[Enchanted - Taylor Swift]

Quella notte, Ron sognò Hermione. Sognò un serpente, una bacchetta spezzata, una trappola mortale per Hermione e per Harry.
Il ragazzo si svegliò di soprassalto, con il respiro pesante. Era solo un sogno, e di questo non aveva bisogno di conferme per averne la certezza, ma gli sembrava tutto troppo reale perché non stesse succedendo realmente. Aveva lasciato i due amici senza uno straccio di piano per distruggere il medaglione e trovare gli altri Horcrux, perciò non sarebbe rimasto stupito nel tornare e vedere Harry e Hermione coperti da bende e cerotti e puzzolenti per via delle pozioni per curare le ferite.
Ron si mise seduto e si mise le mani tra i capelli con disperazione. Ormai aveva scelto di rimanere a vivere al Campo Mezzosangue con Clarisse, non doveva più preoccuparsi e Harry e di Hermione: l'avevano escluso troppe volte, ed era, finalmente, giunto il tempo che Ron escludesse loro dalla sua vita.
Ma perché doveva essere così dannatamente difficile?
Ron afferrò il cuscino e lo lanciò contro il muro con forza. Nel sollevarlo, la sua bacchetta rotolò verso di lui.
Il rosso sgranò gli occhi. -Da quanto era qui sotto?!- si domandò, incredulo. -Se solo l'avessi saputo...
S'interruppe, non sapendo come continuare. Di certo, se avesse trovato prima la bacchetta, non si sarebbe mai innamorato di Clarisse, e non era sicuro che, se avesse potuto, sarebbe tornato indietro e avrebbe cambiato le cose. D'altra parte, comunque, si chiedeva perché avesse sognato Hermione e non Clarisse: se solo fosse stato onesto con se stesso, avrebbe saputo darsi una risposta.
Clarisse non lo meritava, e lo sapeva. Tuttavia, Ron sapeva anche di provare per Clarisse qualcosa di forte, ma il semplice fatto che non riuscisse a dimenticare Harry e Hermione - in particolare, era vivido nella sua mente il ricordo di quest'ultima - lo spingeva a credere che quel posto non fosse il suo mondo, e che, quindi, Clarisse avesse avuto ragione sin dal principio, dicendo che lui apparteneva al mondo dei maghi e non a quello dei semidèi.
Ron sapeva cosa fare.
Afferrò velocemente carta e penna ed iniziò a buttare giù le famose ultime "quattro righe", che si trasformarono in un foglio scribacchiato, con una pessima calligrafia qual era la sua, su entrambe le facciate. Il mago piegò il foglio con cura e uscì, con aria furtiva, dalla Casa Grande, sicuro che non c'avrebbe più messo piede.
Ben attento a non farsi scoprire dalle arpie, Ron si avviò, con aria circospetta, verso il luogo dove Clarisse si nascondeva con Chris. Con quanta più leggerezza possedeva, Ron aprì la porta - che, fortunatamente, quella volta non scricchiolò per via dei cardini arrugginiti e rovinati - della Casa, e cercò, a tentoni, il letto della ragazza.
Quando finalmente l'ebbe trovato, notò che lì vicino erano accatastati i suoi vestiti, la sua armatura e la sua spada. Ron credette che fosse più probabile che notasse la lettera se l'avesse poggiata sopra gli abiti, e così fece.
Sospirò, e, prima di uscire, mormorò "Addio" all'orecchio della ragazza.
Con la stessa cautela con la quale era entrato in quella stanza, prestando attenzione a non svegliare né lei né Chris, Ron si chiuse la porta alle spalle, per Smaterializzarsi dopo pochi passi, senza sapere che Clarisse era ben più amichevole di un branco di Ghermidori.

***

Dont' deny me,
and this pain I'm going through
Please, forgive me
for can't stop loving you
[Please Forgive Me - Bryan Adams]

    «E so che lo scriverti questa lettera anziché salutarti di persona non sia un atto da vero Grifondoro, ma ti chiedo di perdonarmi. Ti prometto che non dirò niente del tuo mondo, e ti prego di mantenere il segreto anche tu. Volevo solo dirti che non ti dimenticherò. Speravo che un giorno tu potessi chiamarmi per nome, comunque. Ron.»
Clarisse rilesse queste ultime righe per l'ennesima volta, mentre l'inchiostro si cancellava venendo a contatto con le lacrime di lei.
La figlia di Ares, in tutti i suoi sedici anni di vita, aveva sempre creduto che piangere per amore fosse roba da figli di Afrodite, tutti pon-pon e merletti; meno che mai avrebbe pensato che lei stessa potesse trovarsi a fare la femminuccia. Perché non era altro che quello: un atteggiamento da femminucce, la piena dimostrazione della debolezza femminile in tutta la sua pateticità.
La ragazza desiderava solamente che non l'avesse presa in giro per tutto il tempo, che avesse tenuto veramente a lei. E si arrabbiava con lui e con se stessa proprio per il fatto che stava pensando cose da debole.
Lui le aveva mentito? Bene, fine della storia. Avrebbe iniziato a leggere un nuovo libro, sperando che, almeno quello, fosse a lieto fine e che, non come nel precendente, i sentimenti dei protagonisti, indipendentemente dalla situazione o dallo stato d'animo, non fossero relativi.


Tutto è relativo


My little corner:
Saaaaalve! :D (?)
Eviterò di fare come la gocciolina di sodio forever-alone che chiede "c'è nessuno?" e passerò oltre.
Lo so, e non ho problemi ad ammetterlo (cose che invece dovrei avere): sono prolissa da fare schifo. E non solo per il fatto che sono partita con l'idea di scrivere una flashfic...^^"
Ultimamente ho avuto un po' di problemi, ma, nonostante ciò, ho avuto la brillante idea d'iscrivermi al contest indetto da Effie Malcontenta Weasley. Giusto perché ho molto tempo, come no... :D #sarcasmo Se avessi avuto una quantità d'ispirazione pari a quello della mancanza di tempo, questa storia sarebbe risultata certamente meglio di quella che è attualmente. Seriamente, la prossima volta chiederò un biglietto da visita ed un recapito telefonico a Madame Ispirazione (grazie a Miwy per la trovata geniale :D)!
Comunque, spero che Effie, la povera anima pia che deve sorbirsi questo mattone (essendo il giudice del contest), non mi rincorra con un randello per darmi il suo parere su questa shot... ^^" #muchloveEffie
Detto questo, je dois m'en allez, quindi vi lascio.
Alla prossima!
Aly.
PS: Perdonate la scelta di Jennifer Lawrence come Clarisse, ma ultimamente sono fissata con THG, e vedo Jennifer perfetta in qualsiasi ruolo. E poi, non avrei avuto idea di chi altro scegliere, ahah! :D

Credits:
Characters © J. K. Rowling and Rick Riordan
Text Font = Arial
Banner: Rupert Grint as Row Weasley; Jennifer Lawrence as Clarisse La Rue
Title Font = Crackin'

I fatti narrati sono frutto di fantasia, e qualunque riferimento a fatti o persone reali è puramente casuale. I personaggi (eccezion fatta per Ronald Weasley, che appartiene a J. K. Rowling) appartengono a Rick Riordan, che ne detiene tutti i diritti. Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro.
Gli autori e i titoli delle canzoni utilizzate per la song-fic sono riportati sotto la relativa citazione.

Questa storia partecipa al contest "Percy Jackson vs Harry Potter" indetto da Effie Malcontenta Weasley.
   
 
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