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Autore: Obliviosa Black    01/05/2012    2 recensioni
Obliviosa Black è una quindicenne disadatta, strana che adora passare il suo tempo a fantasticare, trovando la felicità ma escludendosi dal mondo reale allo stesso tempo. Proprio fantasticando la ragazza si "perde per strada" e inizia a vagare nella propria immaginazione, arricchita dai personaggi dei proprio film,fumetti e libri preferiti, da cantanti e da persone a lei vicine. All'inizio non sembra un crossover ma in realtà lo è.
Genere: Demenziale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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Quando avevo quindici anni avevo qualcosa contro la mia vita. Non posso dire che la odiassi a tal punto da incidermi il braccio con le lametta da barba del papà; semplicemente l’avrei preferita ad altre vite.
Appena avevo l’opportunità di stare da sola – quando i miei uscivano di casa per il lavoro o per farsi una passeggiata o quando mia sorella usciva la sera lasciandomi con la taverna tutta per me – abbandonavo la mia esistenza per incontrare quelle che preferivo.
Da piccola, probabilmente, lo facevo quando giocavo con le barbie e con i pokémon; ora che ero adolescente mi muovevo, camminavo, a volte saltavo, senza però mettermi a ballare malgrado ci fosso della musica in sottofondo. Con la mente vagavo in un universo composta dalle galassie delle suggestioni, nelle quali trovavo sistemi fatti di storie, dentro le quali orbitavano personaggi e aiutanti.
Io viaggiavo come un’autostoppista galattico, toccando ogni singolo atomo dell’universo, ogni residuo di antimateria dal Big Bang della mia fantasia, da quel grande botto dopo il quale avevo iniziato a fantasticare.
La mia fantasia tendeva come l’energia all’entropia: prima fantasticavo su una cosa, poi un’altra idea s’insinuava tra noi due, volendo partecipare anche lei al mio viaggio. Questo era però un bene: era come se le idee continuassero a ricrearsi, garantendomi un’infinita quantità di fantasia.
Era come se producessi i miei sostentamenti, visto che il mio animo si nutriva di fantasia; gli umani hanno bisogno di cibo e acqua per vivere, lui aveva bisogno di idee.
Senza di esse era perduto, destinato alla denutrizione e poi alla morte.
La mancanza di fantasia nella mia mente non faceva che acuire la mia insoddisfazione.
Niente mi isolava meglio da quella vita che non apprezzavo, che fantasticare: le gocce calmanti e le sigarette occupavano posti molto più in basso nella mia classifica di “ Strategie per allontanarsi dalla vita”. Quale era però il problema che sussisteva? Rimanevi chiuso in un mondo tutto tuo, che poteva essere fatto di una sensazione di pace interiore artificiale, di intontimenti e giramenti di testa o di viaggi mentali. Ritornavi dal tuo viaggio e non capivi più il filo del discorso del prof.
Estraniarsi dalla propria vita aveva i suoi bei guai, soprattutto quando eri sempre stata una brillante studentessa. Eri. All’imperfetto.
Tuttavia non potevo fare a meno della fantasia: a differenza della bravura scolastica era una dote, un’energia che non mi aveva abbandonato con l’inizio delle superiori.
Così annoiata, incerta, dubbiosa, e molto arrabbiata senza neanche sapere bene il motivo, con la mia vita, fantasticavo e fantasticavo, facevo un viaggio dopo l’altro manco fossi Mark Renton di Trainspotting con i suoi trip causati dall’eroina.
Più fantasticavo, rubando tempo che avrei dovuto dedicare allo studio, più mi perdevo per strada.
In questo esatto momento, dopo tutto quello che ho passato, visto e provato, so perfettamente che arrivai a quella precisa situazione perdendomi per strada.
  
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