A-hem.
Orbene.
Questa storia merita
–richiede obbligatoriamente- una premessa, più
premesse.
-
non
ha senso (ma proprio nessuno)
-
io
NON vedo ASSOLUTAMENTE le cose in questo modo: questa coppia NON HA RAGIONE di
esistere ed è ridicola
-
Mi è
venuta in mente (la coppia) mentre
stavo in casa a pirlare,
ma è stato solo uno stupido pensiero al quale non volevo dare corda.
Accidentalmente però, due soli giorni dopo, il pairing mi è stato risuggerito da un’individua riprovevole
cui sarebbe interessato leggere qualcosa in proposito. Prendetevela quindi
tutti quanti con la cara sourcream
per questo obbrobrio
-
Questa fic è solo una
preparazione alla storia che scriverò appunto per la gentile signorina
in questione. Non è una slash
vera e propria, il pairing
è solo accennato (diavolo, devo pur prepararmi allo shock..) E’ una specie di
esercizio e di studio sui personaggi e sui cambiamenti che dovrò
apportare al loro rapporto visto che per me di solito non sono altro che
l’esempio perfetto e sublime di quel che significa il termine
“Amicizia”
Credo
sia tutto.
PICCOLA MODIFICA:
Ho
aggiunto a mo’ di presentazione alcuni versi di una canzone che mi piace
molto e mi pare calzante.
Marzo 1996
Cantare il tempo
andato
sarà il mio
tema
perché negli anni
è uguale
sempre il problema.
E dirò sempre
le stesse cose viste sotto mille angoli diversi,
cercherò i
minuti le ore i giorni i mesi gli anni e i visi
che si sono persi,
canterò
soltanto il Tempo.
E ora dove sei
Tu che sapevi
ridare ai giorni e ai
mesi
un qualche senso?
La giostra dei miei
simboli
fluisce uguale
per trarre anche dal
male
qualche compenso.
E dirò di
pietre consumate di città finite e morte sensazioni,
racconterò le
mie visioni spente di fantasmi e gente
lungo le stagioni,
canterò
soltanto il Tempo.
Memorie di un
amore bislacco e mancato
Non
sono uno che ami scrivere.
Le
storie, a me, è
sempre piaciuto viverle, tuffarmici
dentro, non guardarle o raccontarle. Sono
sempre stato così, è il mio carattere. Per questo
mi è tanto difficile, adesso, rimanere fermo a guardare gli altri che
agiscono senza poter fare nulla, nemmeno la più piccola cosa.
E lo stesso, non avevo intenzione di prendere in mano
la penna d’oca. Ma forse è lo scorrere delle ore, così
lente ed estenuanti, in questa casa che è la più detestabile
delle prigioni, che mi fa
cercare disperatamente un appiglio a cui aggrapparmi per far sì che i
minuti scorrano un po’ più rapidi, meno incisivi, più
leggeri. Non sono neanche un gran pensatore –e, colpa più grave,
non per stupidità, ma per pigrizia mentale, per comodità
d’azione- e solitamente alla riflessione sostituisco l’impulso,
l’istinto. Ma ora, nel silenzio della casa sempre vuota, la mente mi si
affolla, nelle lunghe ore di inoperosità,
fino diventare un garbuglio nel
quale ho bisogno di fare un po’ di ordine, mettere dei punti fermi,
scoprire un minimo di chiarezza.
Remus ha sempre detto che scrivere è il modo migliore per ordinare
la mente.
E allora, scriviamo.
A
volte sono seduto, qui, in silenzio-
Spesso
sono seduto qui in silenzio, non ho molto altro da fare, non posso andare da
nessuna parte, fare niente di utile
se non pulire questo posto odioso e immondo, con quell’Elfo psicopatico che mi ronza
intorno cercando di nascondere le reliquie, brontolando insulti rivolti alla
mia persona finchè
non lo scaccio a calci.
Spesso,
appunto, sono seduto qui, in silenzio, con una bottiglia e
l’accompagnamento musicale del fuoco nel camino che crepita, e penso.
Penso
a cosa sono diventato, a cos’è la mia vita adesso, e a quello che
era un tempo. Una volta, ero felice, me lo ricordo. Non so più bene cosa
si provasse, ma lo
ero davvero. Potevo –potevamo- ridere per ore ed ore consecutive, senza
fermarci mai, senza nemmeno che ci fosse
una vera ragione. Anche
verso la fine, quando tutto iniziava ad essere buio e minaccioso, ci riuscivamo
ancora. Lily ci guardava di sottecchi, non capiva – non poteva capire- mentre le
sghignazzate investivano ogni angolo, ogni vano della casa. Sprofondavo nel divano
dei Potter e ridevo
a piene ganasce, mentre James,
spalmato nella poltrona accanto, si teneva la pancia con le mani, la testa
piegata indietro e gli occhi chiusi, strizzati, sghignazzante. Mi prendeva una
mano cercando di dirmi qualcosa ma
non ce la faceva, ridevamo ancora di più, fino a star male.
Eravamo
molto innocenti.
Se ci ripenso, adesso, mi viene ancor più
tristezza.
Non
abbiamo mai capito niente. Vivevamo
tutto in modo pulito e trasparente, non capivamo le sfumature.
Forse l’unico che ha mai vagamente intuito qualcosa è stato Remus, che ci guardava
dall’esterno e vedeva quel che noi stessi rifiutavamo inconsciamente di
cogliere.
La
prima volta che ho parlato con James
Potter l’ho
odiato. E’ buffo, pensando a quanto poi è stato importante per me.
Aveva ragione Piton, anche se è
seccante ammetterlo: non eravamo niente l’uno senza l’altro; non
avevamo stimoli, non c’interessavano obiettivi e risultati che non
potessimo raggiungere insieme. Vivevamo l’uno della presenza
dell’altro, e adesso voltandomi mi chiedo come sia possibile che nessuno di noi
due abbia mai capito niente. Era così ovvio.
Mi
ripetevo ossessivamente, quando abbracciavo James, che la sensazione di benessere e calma
che mi pervadeva era dovuta
al fatto che quello fosse il mio migliore amico, mio fratello. Durante quell’estate del
sesto anno, a casa dei suoi, quando per quasi due mesi abbiamo diviso lo stesso
letto –e dire
che ce n’erano altri nella cascina, ma mai nessuno di noi due
s’è sognato di farlo presente all’altro- e ci svegliavamo la
mattina appoggiati l’uno all’atro, la mia testa sul braccio di James, la sua gamba sopra
la mia, mi dicevo solo che avevo dormito con mio fratello. Non c’era
altro da prendere in considerazione.
E in effetti tanta granitica
certezza non fa che confermarmi quanto intensamente non volessimo percepire la
realtà.
Vivevamo
in una bolla, un mondo parallelo in cui normalmente i migliori amici passano la
maggior parte del tempo appiccicati,
uno addosso all’altro, senza che la cosa sia minimamente strana o
ambigua. A guardarci da fuori doveva essere un po’ strano, eppure Remus e Peter hanno sempre
assecondato questa recita involontaria con naturalezza, forse perché
anche per loro la realtà sarebbe stata troppo assurda, troppo
disturbante.
Che
cosa pensasse Lily,
di me e James, non
lo potrò mai sapere. Ma adesso che ho capito, mi rendo conto che la sua
gelosia nei miei confronti –quella stessa gelosia di cui tanto mi lamentavo con James, avvelenandogli le
giornate- non era poi così assurda e immotivata come professavo anche
con me stesso. La sua sensibilità, il suo amore per suo marito, dovevano aver spinto il suo
sguardo molto più in là di quanto arrivasse il nostro.
Spesso
mi chiedo cosa
sarebbe stato delle nostre vite, se avessimo ammesso con noi stessi che cosa
davvero ci univa. E’ un pensiero divertente, dolce e amarissimo al tempo
stesso, una piccola incognita di rimpianto e nostalgia che mi attanaglia nelle
ore vacue di Grimmauld
Place. Forse sarebbe
stata una storia da vivere, quella, un’avventura da romanzo intensa e toccante, come i grandi
amori dei film Babbani.
Grandi
amori… E’ la prima volta che uso la parola amore riferita a James, eppure è
questa la realtà. Eravamo innamorati, probabilmente molto più di
quanto lo siano tante
coppie “normali”. Il massimo di noi stessi lo davamo insieme, e sempre e comunque
l’uno per l’altro.
Azkaban non ha potuto nulla su di me –è
strano, come il ricordo della prigione sia sempre presente nella mia mente,
sbucando fuori anche quando non centra nulla- perché quando sono
arrivato lì ero già grossomodo lo stesso di oggi. Credono tutti che siano stati i Dissennatori a spezzarmi l’anima, e mi
sta bene che lo pensino. Ma
non è così. Ero già spaccato in due, dal momento stesso in
cui ho capito quello che era successo, e che la voce di James Potter, la sua risata, non le avrei sentite più. E
lo stesso, da quel poco che rammento
di quei momenti terribili, confusi, frenetici, mi ostinavo a negare a me stesso
la vera ragione della mia morte interiore.
Adesso
sono stanco, piegato, senza
più forze. La nostalgia diventa insopportabile, fiaccante.
Non ho più voglia di alzarmi dal letto quando mi sveglio, né di
mangiare, di parlare, di affannarmi a cercare tattiche e strategie. Mi trascino
avanti solo per Harry.
Questo
figlio che per certi versi è anche mio, perché non è
così semplice distinguere la persona di suo padre dalla mia, e
perché James
davvero mi vedeva come il secondo padre di suo figlio, il che è
indubbiamente indicativo.
Mi
chiedo come sia, per Remus,
stare a guardarmi mentre
lentamente mi spengo. A volte, quando siamo soli qui in casa, nel salone,
rimane per minuti e minuti
in silenzio, a fissarmi. Uno sguardo triste, impotente. Lo sguardo di chi guarda una persona cara andare via.
Perché non io e
James, ma io e Remus sì, siamo
fratelli.
Quando leggerai queste pagine, amico mio, sappi che mi
dispiace. Non stare in pena per me, non sto neanche davvero soffrendo. Ti do la mia
benedizione di Black,
capostipite della famiglia, sposati la mia cuginetta e vivi in pace, finalmente.
E se non ti fa male, finisci di leggere, così
almeno qualcuno sarà stato testimone, in qualche strano, vago modo, di
questa strana storia, un amore bislacco e mancato.
Ma vero.
Chiedo
scusa a chi non apprezzerà e soprattutto chiedo scusa ai miei due
amatissimi per lo scempio che sto facendo di loro. Ramoso, Felpato (Siiiis… Ti
prego… Non fare quella faccia!)… Perdonatemi.
Ciao
a tutti
suni