Note dell’autrice:
Donne avvisate, mezze salvate: questa è l’ENNESIMA (prometto che la prossima storia
che posterò sarà o un concentrato di zuccheri, cui unico commento che
riuscirete a partorire sarà “diabetico”, o qualcosa di erotico a sfondo comico)
shot DRAMMATICA che oso paragonare alla mia vecchia Icaro (ebbene sì).
Ovviamente rimarrete deluse, perché quando si fanno certe promesse alla fine
non si trova mai un riscontro positivo, ciononostante la sottoscritta la
etichetta come tale, quindi perdonatemi se non piangerete lotti e lotti di
lacrime come per il suicidio di Takanori (anche se in realtà questo sarebbe un
buon motivo per non volermene XD) e cercate di immedesimarvi nella scena a cuor
sereno e di trascurare la piccola, minuscola incombenza riguardo al fatto che NON
state per leggere qualcosa di Yaoi (non vuoi leggere? La crocetta è in alto a
destra per i pc, in alto a sinistra per i Mac).
Ora, parlando seriamente: state per affrontare un tema DAVVERO difficile, dibattuto
fino alla nausea e che potrebbe alimentare fuochi anche in questa sede: ho
deciso di scrivere questa storia ispirata da un film che ho visto e di cui
ovviamente non ricordo il titolo. E’ stata la spinta definitiva che mi ha permesso di rigurgitare questa... cosa, sì, non saprei in quale altro modo chiamarla, anche se qualcosa di molto simile lo avevo già trattato su un altro fandom. In ogni caso cercate di astenervi da prese di posizioni riguardo il giusto e lo sbagliato e “godetevi” la
fiction per quel che è. Armatevi quindi di tanta pazienza e cominciate questa nuova Odissea (che prego rimanga sotto le quindici pagine carattere 10 Calibri,
se proprio volete saperlo). In onore dei vecchi tempi, ho usato stesse dimensioni e font utilizzate per Icaro, qualcuno lo aveva notato? Come sempre, vi riporto
la colonna sonora: come ben notate, “Miseinen" è staccata rispetto alle altre, capirete perché leggendo.
P.S. Sono le sette e un quarto del mattino e ho appena completato l’ultimo betaggio. Vi prego, segnalatemi eventuali errori sfuggiti a
una nottataccia di correzioni. Grazie.
Colonna Sonora
Saikai (Gackt)
Last Song (Gackt)
Love in the Ice –instrumental– (TVXQ)
Infection (Chihiro Onitsuka)
To Zanarkand –Final Fantasy X– (Nobuo Uematsu)
Miranda (Sugizo)
Miseinen (GazettE)
A Mya:
Perché mi ha permesso di usare il titolo Miseinen, già precedentemente usato da lei nella sua favolosa raccolta (andate a leggere nel caso non
l’aveste già fatto).
Perché, anche se non ci sentiamo più come una volta, è comunque un pezzo importante della mia vita.
Perché si sta preparando agli esami e voglio dedicarle un pensiero
concreto del fatto che le sono accanto malgrado le distanze.
Perché non vedo l’ora di rivederla quest’estate e constatare di
persona quanto i suoi capelli siano effettivamente cresciuti in tutti questi mesi.
Perché, quando la sento al telefono, anche se sempre in momenti in cui
deve fuggire, riesce a ritagliarmi un momento per parlare ed ascoltare.
Perché voglio dedicarle qualcosa di mio, qualcosa in cui abbia messo il cuore, le lacrime e il sudore.
Perché mi mancava terribilmente scriverle e dedicarle qualcosa.
Ti voglio bene itoshii e scusa se questa storia non è una Yaoi,
non è una ReitaxKai,
non è una rating rosso:
è qualcosa di mio e personale che voglio condividere con te.
Questa è la mia Miseinen.
In bocca al lupo per gli esami!
P.S. Leggila come e quando vuoi, non voglio darti la mazzata prima di affrontare un evento così importante come la matura XD
Miseinen
“Death...
Il cielo trasuda dolore oggi, grava sulle spalle di Setsuna attraverso il soffitto
della stanza bianca nella quale si trova e che sa, presto, si tingerà di rosso.
Respira. Espira. Respira ancora. E ancora, ancora, ancora. Ogni boccata d’aria le trafigge i polmoni, le fende l’esofago, le dilania ogni
cellula del corpo rendendola consapevole di cosa significhi vivere, di quanto
sia importante quella che, in fin dei conti, è un’azione meccanica che tutti
compiono senza riflettere, spinti dall’istinto di sopravvivenza.
Chiude gli occhi cercando di ignorare la presenza accanto a sé, unica testimonianza
del suo sbaglio, della sua immane infantilità. Vorrebbe proteggere anche il
proprio cuore dal dolore, impedirgli di essere al corrente di quel che sta per
accadere, negargli di battere e di marcare la vita che scorre nelle sue vene.
Fermati tempo, urla in silenzio: fammi tornare bambina, non voglio diventare una donna
così crudele.
Nessuno ti ascolterà.
Non meriti assoluzione alcuna.
Sospira girando la testa di lato e aprendo lentamente gli occhi volti al panorama fuori
dall’edificio: palazzi che si arrampicano e crescono sopra altri palazzi,
grigio che si sovrappone ad altro grigio, insegne la notte colorate, ora spente e tetre.
Un sorriso amaro si tinge sulle sue labbra mentre tende una mano verso il cielo,
cercando il perdono in un Dio che non sa nemmeno se esista. Non è mai stata
credente e ha sempre ritenuto Religione, Chiesa e Fede delle favole, certo
belle, ma pur sempre favole, per bambini incapaci di guardare in faccia la realtà e in cerca di continue rassicurazioni. Quanto si sente ipocrita ora a pregare chicchessia per qualcosa che sa di meritarsi, una colpa che necessita d’essere espiata.
E’ giusto così Setsuna.
Tu sei davvero colpevole.
<
Vergogna del tuo sangue, come hai potuto farci questo? Come hai potuto FARTI
questo? Fuori da questa casa, tu non sei più mia figlia. Vattene! >
Scusa mamma, ha provato a dirlo tante volte. L’ha cercata, inseguita, supplicata,
rimpianta ed infine persa. Non che abbia mai avuto un rapporto così idillico
con quella donna: litigavano un giorno sì e l’altro pure, due mondi opposti e
in continua collisione che in comune avevano solo il sangue. Setsuna, come tutti d’altro canto, si è resa conto troppo tardi di quanto quella signora paffuta dalla voce gracchiante e il sorriso più raro delle sue sufficienze in inglese fosse importante.
Perché alla fine apprezzi qualcosa che dai per scontato solo quando la perdi.
Scusa mamma, scusa papà, continua a dire inconsapevolmente: vi prego fatemi tornare a casa.
Una porta chiusa in faccia.
Due porte chiuse in faccia.
Tre porte chiuse in faccia.
Errare è umano, perseverare è diabolico
Ed è inevitabile chiederselo, incoerente cercare di non pensarci: quando i suoi vent’anni hanno ceduto il passo alla stupidità e alla leggerezza dettate da un sogno così semplicemente fuori dalla sua portata per potersi avverare? In cosa esattamente
aveva riposto le sue speranze quando era successo quel che era successo?
Domande che probabilmente non otterranno mai delle risposte e che forse, in fondo, è
meglio così. Eppure continua a tormentarsi, a crogiolarsi in quel susseguirsi
di colpi inferti da lame di dubbi che le procurano un piacere insano.
Soffrire è ciò che le serve per sentirsi meno in colpa, questa è l’amara verità.
< E venuta da sola? > si sente chiedere all’improvviso, sottrarre dal vortice
di considerazioni che prendono vita sulla sua fronte sotto forma di lievi,
appena accennate, rughe di preoccupazione.
< Sì... > soffia flebile torturandosi le mani abbandonate lungo i fianchi,
arrese anzi al fatto che mai saranno in grado di trasformare il tutto in un
innocente incubo.
< E’ davvero sicura di voler proseguire? Scusi la domanda, immagino che ci avrà
pensato a lungo, ma... >
<
Sì, lo voglio. > taglia corto seccata, ignorando il battito accelerato del
proprio cuore, avvocato fiero che cerca di smascherare l’imbroglio pronunciato.
No, non è sicura, non è questo il punto. Che lo sia o meno non fa alcuna differenza.
Lei DEVE farlo, non ha altra scelta, altre vie da percorrere.
< Solo
per qualche giorno Rei, non so davvero dove andare, che cosa fare... > piange
disperata alla porta della sua migliore amica, unico appiglio rimastole.
Lei la
guarda, la biasima questo è certo, infine si fa da parte per lasciarla passare.
< Va
bene, ma pochi giorni per davvero, lo sai che i miei altrimenti scatenano il
finimondo. >
Setsuna sorride riconoscente, forse
addirittura felice per la prima volta da quando quella storia è cominciata.
Vorrebbe esprimerle tutta la sua gratitudine, trovare le parole giuste per farle capire quanto sia profondo l’affetto che nutre nei suoi confronti, prometterle di ripagare un giorno quel favore, ma l’unica cosa che riesce a fare è abbandonarsi tra le sue braccia e al pianto liberatorio che tanto ha
lottato per trattenere durante tutta la giornata.
Rei la
stringe forte, le sussurra parole di conforto che non riesce a far proprie
nella sua mente.
<
Troveremo una soluzione Setsuna, te lo prometto... > è l’ultima cosa che si
sente dire e che per un attimo le restituisce un’ingannevole tregua.
Mai promettere ciò che non si può mantenere
Ride tra sé e sé ripensando all’accaduto, tristemente conscia che la disgrazia che
sta vivendo è anche conseguenza di un desiderio di Rei. Tutto ha avuto inizio
per un suo volere, anche se non ha mai avuto il coraggio di rinfacciarglielo,
la faccia tosta per discreditare le proprie colpe infinitamente più gravi.
Nella sua testa prendono vita mille e più ipotesi, una più improbabile
dell’altra: se io non, se Rei avesse, se LORO... no, i se non risolvono niente,
sono perfettamente inutili. Per citare una frase fatta, la storia, in questo
caso la SUA storia, non si costruisce sui se. Forse allora è proprio destino: è
destino che ogni passo compiuto, ogni persona incontrata, il conoscere Rei, che
a sua volta l’ha portata a conoscere quella che sarebbe diventata la sua più
grande e morbosa ossessione, l’abbiano portata fin lì. E’ nata, cresciuta e ha
amato, tanto amato, forse troppo, quell’uomo dalle fattezze di un Dio solo per
arrivare in quella stanza completamente sola, abbandonata a se stessa.
La resa dei conti è vicina ormai.
Presto sarà tutto finito.
Mai verità le è stata più dolorosa.
< Chi
sono? >
Rei si
arrampica sulla transenna aprendo le braccia al cielo, come volesse spiccare il
volo da un momento all’altro.
< Non
sono bravissimi? Sono il mio gruppo preferito. >
Non è così ipocrita da negare quella che è una verità inconfutabile. Si limita ad
ascoltare, completamente ed irrimediabilmente rapita, il susseguirsi di note magicamente incastonate le une dietro le altre ed accompagnate dalla voce di
quello che sembra un angelo.
“Siccome fingere sempre di essere forti fa dimenticare
a una persona la sua vera faccia
è importante perdere ogni tanto e appoggiarsi al dolore altrui...
e vuoi piangere, affrontare il cielo
e urlare ad alta voce
che vuoi dimenticare te stesso, così puoi continuare ad essere te stesso.”
Rei canta assieme all’uomo sconosciuto e
le sue parole marchiano la mente di Setsuna commuovendola. Ascolta, ascolta e ascolta ancora trasognata, non si rende nemmeno conto di quando e come la
canzone finisce. Non ha mai sentito niente del genere: il ricordo della melodia appena udita è così vivo nella sua memoria da sembrarle reale, com’è reale il battito spasmodico del suo cuore.
< Miseinen. > è la risposta alla
sua fame di chiarimenti < E’ il titolo della canzone. >
< E loro? Loro chi sono? >
Attende celando malamente impazienza,
prova ad ostruire i vani da cui fuoriesce tutta quell’ammirazione, che non sa
nemmeno da dove provenga.
Poco dopo le labbra dell’amica si
dischiudono nella parola più dolce e significativa mai udita, parola che le
avrebbe dato nuovi occhi e orecchie per vivere il mondo.
The GazettE
A distanza d’anni ricorda ancora nitidamente, con precisione chirurgica, ogni singolo dettaglio di quel momento, di quella magica giornata in cui ha conosciuto la band. Lei e Rei, allora studentesse delle
medie, in panciolle sul tetto della scuola, bigiavano l’ora di ginnastica
godendosi gli ultimi raggi di un’estate che, esattamente come le altre, aveva tradito ogni aspettativa terminando senza dar loro il tempo di assaporarla appieno. Potrebbe, con uno sforzo della memoria, ricordare addirittura l’ora esatta in
cui ha udito la prima nota di Miseinen, riesumare le smorfie e i balletti
demenziali fatti tra una battuta e l’altra, il desiderio di vedere i volti dei
cinque musicisti, la felicità nel rimirarli pochi attimi dopo sullo schermo
graffiato del cellulare dell’amica, l’amore scaturito dall’incontro di due
occhi bizzarramente azzurri, mascherati da due lenti colorate. Finti, certo:
molte persone storcono il naso al solo udire quella parola attribuendo al
soggetto in questione doti e proprietà negative.
Ci ha pensato tante volte, domandandosi sempre la stessa cosa: perché una cosa finta non può essere considerata bella? In virtù
di cosa si legittima determinate qualità a un oggetto, una persona? Non è forse bello ciò che ai nostri occhi piace? Che importa che sia finzione o realtà, il
bello rimane sempre e comunque bello ed è da apprezzare per come ci appare.
Sorride appena dandosi della sciocca, sciocca per essere caduta così stupidamente nel cosiddetto “colpo di fulmine”, un colpo di fulmine che continua tuttora ad alimentare quella devozione che sembra non volerle dar pace: quel giorno di sette anni fa è caduta vittima di un terribile sortilegio, si è persa in un dedalo senza uscite, una prigione soffocante che
l’ha portata ad inseguire il suo Minotauro in ogni anfratto del paese con la sola speranza di sentirlo rivolgerle una la parola.
Una lacrime scivola indesiderata sulla sua
guancia, presagio del pensiero che sta per materializzarsi nella sua testa.
Quel Minotauro, il suo Minotauro. Quell’amore incondizionato che ha sempre nutrito e che malgrado tutto continua a serbare nei suoi confronti.
E’ colpa sua se oggi si trova in quella stanza.
E’ colpa sua se ci è arrivata da sola.
<
Allora? Qual è il tuo preferito? >
Non è mai stata una questione di preferenze.
< Quello
lì, quello al centro della foto. >
“Preferire” chiede un confronto che non ha mai avuto luogo.
< Ma
chi, questo qui? >
Perché
sin dall’inizio lui è stato assoluto.
< Sì,
proprio lui. >
Takanori Matsumoto
Cercare di descriverlo implicherebbe scadere nel banale. Tutti quegli aggettivi da
fangirls scatenate “sexy, perfetto, meraviglioso, bravissimo, insuperabile” la
lasciano indifferente e sicuramente non concorde. Intessere un vocabolario di
lodi non basterebbe per rendere la metà di quel che è e di ciò che prova
pensando a lui. Dopo settimane di riflessioni, ripensamenti e filosofeggiare notturno ha trattato per un semplice, puro e senza code aggiuntive “ammirazione”, parola assoluta, unica esattamente come lui, un vocabolo che racchiude in sé molto più di quel che alla gente comunica pensando al suo significato.
Perché rovinare la perfezione del singolo? Perché attribuire qualità scontate che suonano
come un insulto se riferite a un uomo del genere? Allo stesso modo il suo amore
deve cercare di essere perfetto quanto il soggetto cui è destinato. Ecco perché
lei non è diventata una fangirl, uno degli innumerevoli aggettivi che si
limitano a seguire un nome, il SUO nome: lei è sostantivo, sua pari, non certo per bellezza, talento e carisma ma
per dignità morale e maturità. O almeno così le è sempre piaciuto pensare.
Un flebile riverbero dorato serpeggia nella stanza illuminando la scrivania presente,
il marker divisorio che la separa dall’uomo seduto dietro ad essa, intento a
leggere, con grande interesse, un plico di documenti, quasi si aspettasse di
trovare un errore alla luce del quale cacciarla via. Lo vede sbiancare assumendo tonalità non dissimili da quelle delle pareti entro le quali sono costretti.
Setsuna attende paziente. E’ sempre stata paziente, anche se cercare di esserlo ora le
è particolarmente ostico. Vorrebbe cedere all’impulso e far notare che non
occorre rileggere il tutto per la quinta volta perché tanto, qualunque sia il
numero delle letture, il testo stampato rimarrà sempre uguale.
Finalmente il signore alza lo sguardo incrociandolo volutamente col suo. Sa cosa sta
cercando di fare, per questo non cede e l’affronta: non può permettersi
ripensamenti, non può e non deve assolutamente scappare, per questo quegl’occhi
mediocri non riescono a ferirla come vorrebbero.
< Signorina so che glie l’ho già chiesto e mi creda quando le dico che non vorrei
in alcun modo interferire con la sua scelta, tuttavia la invito a riflettere
un’ultima volta e con maggiore attenzione, data anche la sua giovane età: se la
sente davvero di proseguire? >
No
Sbagliato.
< Sì. > mente.
Ancora sbagliato
Quale che sia la risposta il risultato non cambia. Non esistono risposte corrette a quella domanda: come possono essercene se è tutto uno sbaglio? Si tratta di
operare una scelta, di sperare che così facendo i suoi genitori le riaprano la
porta di casa. Non c’è un meno peggio come non c’è una soluzione migliore a quella che ha trovato: è istinto di sopravvivenza.
< Bene allora, prego, segga pure. >
Si dirige nel punto indicatole, ignorando volutamente lo schiarirsi del cielo
fuori che tanto avrebbe voluto rimanesse plumbeo per il resto della giornata,
da sposarsi col suo umore. A passi lenti e tutt’altro che decisi arriva ben
presto al patibolo. Ad accompagnarla, il ricordo di giorni sempre più vicini
che sa la condurranno a riesumare quel terribile momento.
Non può fermarsi, il vortice è troppo forte. Si lascia trasportare dalla marea
incapace di opporre resistenza. Riaffiorano parole che richiamano altre parole,
sorrisi causa di pianti isterici, ore e ore trascorse in viaggio per non
perdersi neanche un concerto, un’intervista aperta al pubblico, la più piccola apparizione dei GazettE.
< Il
prossimo concerto è al Budokan. >
Rei fa
scivolare una rivista sul banco dell’amica, attenta a non farsi scoprire dal
professore di matematica < Come ci organizziamo? >
Setsuna
pensa, medita a lungo, dimenticandosi dell’esercitazione in corso: integrali,
studi di funzione, limiti vengono sacrificati in nome di una buona causa. E’ brava in matematica, avrà altre occasioni per recuperare la sua media del cento su cento. Si concentra invece su un piano per trovare i soldi per il viaggio,
per convincere i loro genitori, magari qualche frottola per indorare la pillola (che non guasta mai), gli stratagemmi da adattare per essere come sempre (o quasi) in prima fila (o quantomeno il più possibile vicine ai Gaze), cosa indossare, se chiedere aiuto a Kira, una groupie conosciuta in quei tre anni di spostamenti ed eventi.
<
Qualcosa mi inventerò, vedrai. > esclama infine abbozzando un mezzo sorriso
e riprendendo in mano il compito.
Quanti piani, fughe, sotterfugi architettati, pianti, bisticci e concessioni
strappate, tutto per cinque uomini che non sapevano neanche della sua
esistenza. Una faticaccia apparentemente insormontabile che lei ha trasformato
in uno stimolo per andare avanti e che l’ha sempre ripagata profumatamente.
Ogni
loro concerto, ogni sguardo rivolto al pubblico, quella voce semplicemente
unica nel suo genere sono stati l’incentivo necessario per non buttare la
spugna, per credere in quel che faceva e soprattutto per chi lo faceva.
A raccontarla così parrebbe impossibile: una ragazza che dalla tenera età di
quindici anni ha preso a muoversi per il Giappone quando le sue coetanee si divertivano ancora a spazzolare le bambole. Eppure lei l’ha fatto, le prime
volte sporadicamente, accompagnata e seguita dai genitori, salvo poi prendere in mano le redini della situazione e cominciare ad imporsi, scappare dalla finestra, correre per prendere l’ultima metro a mezzanotte inoltrata. Quante lacrime ha fatto versare a sua madre, quanto è stata insensibile a non curarsene, egoista nel seguire il proprio cuore. Dove abbia trovato il coraggio per
tornare a testa alta dai suoi genitori è un mistero che non riuscirà mai a
svelare, come abbiano fatto quelle due povere anime a perdonarla ogni volta, malgrado i rimproveri e i ceffoni volati spesso e volentieri, è un enigma che
non potrà mai decriptare. Oggi dovrebbe piangere la sua ottusità, il suo aver voluto sfidare continuamente la sorte, che grazie all’intercessione di un qualche santo sconosciuto le ha sempre evitato incontri ed episodi troppo crudi per una ragazzina di quindici, sedici, diciassette anni. Eppure non ci riesce, non è proprio in grado di pentirsi del proprio passato, di tutto quello che ha fatto
e dei sogni che coltivava affettuosamente come piantine ormai prossime al germoglio.
L’arena è
un fuoco.
Ragazzi e
ragazze di tutte le età scuotono la testa a destra e a sinistra inginocchiati a
terra, chini sotto lo sguardo glaciale di Ruki che, passeggiando avanti ed
indietro sulla passerella, si assicura che nessuno eluda quello che, a lungo andare, è diventato un rito.
Setsuna
rimane immobile, gli occhi fissi sul vocalist, dimentica di ciò che sta
accadendo, dello scapicollarsi di Rei e delle urla di Mai, una ragazza
conosciuta poche ore prima: non ha mai voluto uniformarsi alla massa, non è questo che fa di lei una fan. Certo è bello vedere tutte quelle persone unite nel voler dimostrare ai Gaze il loro supporto. Da una parte vorrebbe lasciarsi andare ed integrarsi al gruppo, a quella famiglia che sa la accoglierebbe a braccia aperte. Vorrebbe farlo per i GazettE, per dimostrare che ama i loro concerti organizzati, rivisti e modificati in meglio così tante volte da
perderne il conto, il punto è che non può farlo. Lei non può permettersi di
scivolare nel cliché, di essere “una tra i tanti”: lei non ama quei musicisti
che, come demoni sfuggiti all’eternità dell’inferno, danzano e provocano il pubblico dall’alto della loro postazione. L’amore che nutre per Takanori và al di là del suo aspetto fisico e di ciò che la sua musica le trasmette. Ciò che
lei davvero ama, ciò che desidera in tutti i modi far suo, è quell’incredibile talento messo a disposizione della massa, quella sofferenza che tutti si limitano a respingere con rabbia o tristezza, quello spirito caparbio che guida la sua voce e la sprona a dare il meglio di sé.
Lei ama
Takanori Matsumoto, quella presenza che affiora delicatamente come le stelle all’imbrunire, un alone che l’ avvolge completamente e che Ruki, la maschera
che Takanori stesso ha creato, fa emergere involontariamente quando canta. Nessuno se ne accorge perché quando quel nessuno alza gli occhi al cielo e lo scopre costellato di diamanti scintillanti matematicamente pensa ci siano sempre stati e che quindi non siano il processo di un lento, delicato svelamento attuato per gradi. E’ così che Takanori diventa Ruki, è così che Ruki si confonde con Takanori, è così che due persone diverse si ritrovano a vivere fuse in un unico corpo.
Setsuna
sospira, spera ingenuamente di riuscire ad incrociare lo sguardo del cantante,
come ogni volta d’altro canto. Non si è mai arresa e mai continuerà a farlo:
vuole davvero parlare con Ruki (che tanto ammira e vorrebbe emulare), scavare a fondo nella sua anima fino a riesumare Takanori, abbracciarlo e confessargli che le ha cambiato la vita. Ecco perché è sempre tra le prime a comprare i
biglietti, ad arrivare con giorni e giorni d’anticipo fuori dall’arena: è perennemente in prima fila, vicinissima al palco, cerca di mettersi in mostra come tutti, di catturare l’attenzione dei Gaze per la sua diversità. Ma “diverso” è un concetto relativo che amalgama alla massa tutti quelli che si illudono di esserlo, così che pensando al contrario, ovvero credendo di essere normali, ci si renda diversi. E’ un circolo vizioso senza fine: devi fare il contrario di quello che vorresti fare, di ciò che si aspettano da te e
aspettare pazientemente.
“Guardami
Ruki, guarda da questa parte, più in basso.” implora giungendo le mani a
preghiera e mormorando qualcosa di indefinito a fior di labbra.
Il Budokan
è troppo grande, il palco e le passerelle troppo lontane, sa che ci vorrebbe un
miracolo e non uno da poco conto: per questo quando gli occhi di Ruki si posano effettivamente su di lei, un contatto breve, fuggevole quanto il battito d’ali di
una farfalla, il suo buon senso le ricorda il numero spropositato di spettatori presenti.
Ancora non
lo sa ma non potrebbe essere più lontana dalla realtà...
Tuttora si chiede quando e come Takanori si sia reso conto di lei, inconsapevole che
quel concerto è stato la chiave di volta che le ha permesso di realizzare il
suo desiderio. Non ha fatto suo il momento bramato per anni e anni, le è
scivolato vergognosamente addosso senza prestargli la dovuta attenzione. Quella leggerezza commessa in buona fede l’ha introdotta in un sogno meraviglioso senza sapere come vi fosse entrata, in quale momento si fosse addormentata varcando le soglie del mondo di Morfeo.
E’ inutile mentire, sa bene che malgrado l’evolversi della faccenda è orgogliosa
di dove è riuscita ad arrivare. Ripensarci è piacevole e contemporaneamente distruttivo: sa che di lì a pochi minuti il distruttivo prenderà il sopravvento
sul piacevole ma per quel che le resta vuole godersi l’ultimo raggio di orgoglio che le illumina il cuore.
Passo dopo passo, concerto dopo concerto, sempre in prima fila per essergli vicina
quanto più poteva.
Shibuya.
Encore.
<
Secondo me ti stai facendo trip mentali e basta. > strilla Rei al suo
orecchio mentre incita i GazettE a dare il peggio del peggio sul palco. Gli Encore sono così, lo sono sempre stati, valvole di sfogo
atte a creare un rapporto più intimo col pubblico, ad intrattenerlo e farlo divertire.
Setsuna
scuote la testa poco convinta.
< Ti
dico di no, è successo anche all’intervista di un mese fa e quando siamo andate
a guardarli uscire dall’hotel dove stavano. > controbatte cercando di far
valere le sue tesi e di darsi un’ulteriore prova riguardo la veridicità delle proprie parole.
Ruki la
osserva.
Negli
ultimi tredici concerti, senza contare eventi pubblici, meeting e quant’altro,
è sempre riuscita ad intercettare il suo sguardo almeno una volta. Non sa se i
Gaze siano in contatto con Yuzu e Satsuki, le due ragazze che stanno a capo e organizzano i movimenti di tutte le groupie
del paese. Ha parlato con loro ben quattro volte, ricevendo lodi ed ammirazione
perché colpite dalla sua giovane età e dall’amore incontrastato che nutre per
il gruppo ed in particolare per Takanori. Che fosse successo qualcosa grazie a loro (sempre che non si stesse immaginando tutto e facendo voli pindarici come le ripete continuamente Rei)?
Di nuovo.
Ruki guarda in sua direzione, può scommettere la sua mano di aver appena
incrociato il suo sguardo.
< Guarda
Rei, adesso! > le dice indicando il cantante, ma l’amica è troppo presa da
balli folcloristici, che hanno poco o niente a che spartire coi suoi gusti, per
prestarle la dovuta attenzione.
Con un
misto di delusione, confusione ed euforia, torna a dedicarsi al concerto: Ruki l’ha
guardata, ne è sicura, alla peggio può sempre fingere di esserlo.
Ruki sa che esiste
Takanori rappresenta ciò che vorrebbe essere, incarna la perfezione cui ambisce. Ha
sempre sospettato fosse lui a trainare i GazettE, pensiero che ha trovato
conferma in un’intervista rivolta a Kai dove, testuali parole, il leader
affermava: “io spingo, Ruki tira”. Da dove tiri poi fuori tutto il carisma e la forza per compiere i miracoli che compie non è dato saperlo: lui parla, gli altri agiscono. Lui disegna, lo schizzo prende vita. Lui decide, tutti eseguono.
Ruki è Takanori, Takanori è Miseinen, Miseinen oggi è lei. Lei e quell’uomo
condividono qualcosa di prezioso che Miseinen sta per recidere definitivamente,
un legame che non potrà più essere recuperato. Non è pronta per questo momento, neanche tra cent’anni lo sarebbe; eppure deve andare avanti, deve dire addio a
Ruki, a tutto ciò in cui ha creduto nel corso della sua vita. Solo così, forse,
potrà scappare dalla scure che sente di giorno in giorno incidere sempre più
profondamente la sua carne. Solo così potrà salvare se stessa e Takanori.
E’ prossima
a cedere, se lo sente. A dirla tutta, non sa esattamente cosa la stia
trattenendo dallo scoppiare a piangere da due ore a questa parte. Forse è
orgoglio, forse è nervoso, chi può dirlo?
< Ma tu
riesci a rendertene conto? Mio dio Setsuna, sto per morire. > esclama
flebilmente Rei, gli occhi già velati da un presagio di lacrime.
Lei si
limita ad annuire, incapace di assemblare un discorso di senso compiuto: il
cuore martella dentro al suo petto, non
vede l’ora d’incontrare l’uomo per cui ha battuto in tutti quegl’anni.
Conoscerà
Ruki. Di lì a pochi minuti, dopo ore e ore di fila, incrocerà direttamente lo
sguardo della persona che le ha sconvolto l’esistenza. Quello è il meeting che
ha sempre atteso, in cui ha sempre sperato. Sa che non potrà fermarsi più del
tempo necessario per una firma sulla copertina di DIM e che probabilmente non
riuscirà a spiccare neanche una sillaba: ciò che spera con tutta se stessa è,
in quel breve lasso di tempo concessole per grazia divina, esprimergli in un
modo o nell’altro l’eterna gratitudine che irrora le sue vene permettendole di
vivere. Quindi attende, o quantomeno ci prova, perché mai come ora il tempo le
è stato avverso, il desiderio si è fatto sentire divorandole lo stomaco fino a
farla star male, impedirle di respirare e mantenere una postura eretta.
<
Setsuna sei strana, sicura vada tutto bene? >
Le parole dell’amica le scivolano addosso come sapone su di un corpo bagnato, non riesce
ad afferrarle ed a carpirne il senso.
< Setsuna... >
Avverte
delle mani preoccupate tastarle la pelle infuocata, tesa come le corde di un
violino. Scivola ripiegandosi su se stessa, sorretta appena in tempo per
impedirle di cadere.
No, non può permettersi di cedere ora, non dopo tutta la fatica, se così può essere
chiamata, che ha vinto e superato per arrivare sin lì. Non può perdersi Ruki,
farlo potrebbe ucciderla dal dolore.
<
SETSUNA! >
Maledetto
corpo traditore, che sia dannata la sua umana debolezza. Ci pensa mentre viene inghiottita dall’oscurità e non può far nulla per sfuggire al baratro dell’incoscienza.
Svenuta.
Sì, esattamente, svenuta a un passo da Takanori. Si chiede se esista qualcuno più
inutile di lei a quel mondo. Poi ci ripensa, riflette su come sono andate effettivamente le cose e ringrazia la propria volubilità, sorride consapevole di avere un
conto aperto con lei.
Quella che inizialmente ha interpretato come una tragedia si è presto trasformata
nel miracolo in cui ha sempre sperato.
Quando
riprende conoscenza avverte immediatamente un profumo pungente solleticarle il naso, qualcosa di soffice accarezzarle il volto.
Una realtà più dolce e surreale del più fantasmagorico dei sogni
Una mano percorre la sua fronte, delicata quanto il battito d’ali di una farfalla, le
infonde tepore e protezione.
Sa di casa, di famiglia, di coperte profumate che ogni sera l’avvolgono per difenderla dal freddo e dall’oscurità
Volge lo
sguardo anzi a sé, incontra due occhi ambrati dal taglio inconfondibile.
Il cuore, stregato, esala l’ultimo battito
Un sorriso sollevato prende vita sul volto dell’uomo, le fossette a lato si fanno appena
più marcate.
La mente, accecata,
rifugge ogni pensiero abbandonando Setsuna a se stessa
< Va
meglio? >
Non è così che si è sempre immaginata il suo primo, forse unico, dialogo/incontro
con Takanori Matsumoto, non è così che le cose sarebbero dovute andare. Lì per
lì non ci ha fatto caso, anzi, ne è stata a dir poco entusiasta: quale fan non
avrebbe sacrificato la propria mano per essere al suo posto in quel momento? A distanza di mesi, ricorda ancora la consistenza della sua pelle, il tepore che
i suoi polpastrelli emanavano trasmettendole brividi di piacere, la consapevolezza di essere considerata sua pari, semplicemente una persona bisognosa d’aiuto che lui non aveva abbandonato lavandosene le mani, come invece avrebbe potuto benissimo fare. Si è dimostrato umano, lui come gli altri Gaze, riuniti al suo capezzale, preoccupati per le sue condizioni fisiche: il successo e la fama non li avevano trasformati in chimere irraggiungibili, uomini avvezzi all’arte del pensar unicamente a se stessi. Avrebbero potuto
affibbiarla alle cure dello staff perché lei sa, l’ha ha sempre saputo, di
esser stata un peso in quell’occasione: nessuno gliel’ha fatto notare, non un
solo alito di disapprovazione ha sussurrato alle sue orecchie frastornate.
Protetta. Si è sentita semplicemente, si fa per dire, “a suo agio”, circondata da
meravigliosi esseri umani che di divino, se non il talento, avevano ben poco o
niente. Forse è per questo che, contro ogni sua più fervida ipotesi, è riuscita
a mantenere un comportamento dignitoso e a non scadere in gesti o parole inappropriati. Perché lei non è mai stata una fangirl né tantomeno una semplice fan. La verità
è che non esiste un vocabolo per descriverla, o forse si illude che sia così
per sentirsi diversa quando invece è spudoratamente parte integrante della
massa.
<
Aspetta, ma tu sei la ragazza che è sempre presente in prima fila ai nostri
live. Ma sì, sei proprio tu... >
Impossibile cercare di immaginare la sua reazione all’udire quelle poche, celestiali
parole, ancora più difficile credere che, tra migliaia di fan in calore, Ruki
abbia potuto riconoscerne uno costante tra i tanti che ci sono sempre stati.
Esiste una parole per descrivere il tutto ed è “miracolo”, qualcosa di decisamente troppo anti-scientifico per poter esser preso anche solo in
considerazione. Per questo Setsuna non ha risposto, si è limitata a sgranare
gli occhi e a battere stupidamente le palpebre, come un pesce fuor d’acqua. Se non fosse successo quel che dopo è successo, se la copertina di DIM ora non fosse imbrattata di inchiostro nero arrangiato nei cinque nomi più belli del Sol
Levante, se solo ora non si trovasse in quella stanza bianca, molto
probabilmente penserebbe all’accaduto come un sogno, il più bello mai fatto per di più.
Ma il sogno non le è bastato
Si sa che l’ingordigia è uno dei vizi che
da sempre caratterizza l’essere umano in quanto tale.
“Chi troppo vuole nulla stringe” dice un detto occidentale. Setsuna ride al pensiero
che, se così fosse stato, se davvero il tutto si fosse risolto in un NIENTE,
ora probabilmente sarebbe la ragazza più felice dell’universo, felice di aver
incontrato Takanori Matsumoto, di averci parlato, di aver pianto con lui al Tokyo Dome solo poche settimane dopo, inginocchiata a terra, di averlo rincontrato, salutato e stretto la mano all’uscita posteriore dello stadio, con incommensurabile gelosia da parte degli altri fan (che sospetta l’avrebbero presa volentieri a sprangate se i cinque Gaze non fossero stati lì, protagonisti di quella scena). Se potesse tornare indietro si fermerebbe lì, all’ultimo concerto del gruppo, l’ultimo che ha potuto vedere, l’ultimo che effettivamente c’è stato e che per lei ci sarà. Non avrebbe notato il foglietto di carta ripiegato più volte su se stesso che il vocalist, stringendole la
mano, le aveva lasciato in custodia, non avrebbe letto il numero, l’indirizzo e
le referenze che l’avrebbero guidata più tardi da lui, in un appartamento lussuoso preso in affitto per festeggiare la fine del tour.
Quanto è stata stupida ad illudersi, quanto è stata cretina a seguire il cuore.
Ha sbagliato, oh, eccome se l’ha fatto.
Quello sbaglio le ha aperto gli occhi riguardo al suo essere una qualunque, semplice,
banalissima e debole fan, né più né meno.
Le labbra
di Ruki, dischiuse appena, promettono lo sbocciare di un sentimento che si
appresta ad incidere sulla sua pelle.
< La
prendi la pillola? > le soffia roco all’orecchio, la testa china sul suo
seno scoperto.
Attende una risposta mentre tesse i capelli dell’amante in intrecci arabeschi, anima la sua
chioma corvina che ricade sulla sua bionda platino.
Setsuna deglutisce, chiude gli occhi cercando di mettere a tacere il senso di colpa ed allarmismo che, come veleno, ogni cellula del suo corpo rigetta in quel momento: quando le ricapiterà un’occasione così? Non è una stupida, sa fin troppo bene di aver raggiunto l’apice della sua “carriera di fan”, come sa altrettanto bene che un “no” comprometterebbe il passo decisivo per arrivare in cima alla vetta.
< Sì...
> dice quindi senza tradire il benché minimo ripensamento, senza trasmettere
la più piccola nota di menzogna.
Takanori
non replica, si accinge invece a continuare da dove si era fermato: i suoi
gesti sono lucidi, scende con la lingua lungo il collo della ragazza la quale,
stringendosi alla sua schiena nuda e muscolosa, non può far altro che tenere per sé gemiti e pensieri che non vuole rovinino l’atmosfera che si è venuta a creare. E’ questo ciò che ha sempre voluto, un momento d’intimità tra lei e Ruki, un attimo per poter toccare la sua anima, condividere un’emozione, permettergli di sfogare il dolore che si reca appresso. Non è importante il
sesso in quanto sesso, ma il sesso in quanto mezzo per riuscire finalmente ad incontrare Takanori, l’uomo celato, come un’ombra fuggevole, dietro Miseinen. Ecco perché in futuro tacerà quell’atto carnale, raccontando invece di aver visto e conosciuto Takanori Matsumoto, non Ruki, non il demone traviato che si presta a compiacere il pubblico facendo esattamente quello che ci si aspetta da lui.
Sospira
preparandosi ad accoglierlo, impaziente, i suoi occhi cercando quelli del
partner riuscendo di tanto in tanto a farli propri, a strappargli un sorriso.
< Quanti
anni hai? >
Setsuna si
lascia scappare una risata lieve. Un po’ tardi per chiederglielo ora, no?
< Oggi venti... > risponde infine.
Takanori si
ferma all’improvviso guardandola di stucco, il trucco leggermente sbavato sotto l’occhio destro. Una nota di tristezza offusca la sinfonia che scaturisce dal
solo incrociare il suo sguardo, malinconia che si appresta a soffocare posando un bacio casto, completamente diverso da quelli scambiati sinora, sulla sua fronte.
< Tanti
auguri allora...? >
<
Setsuna. > risponde lei a quella tacita domanda.
Ruki
sorride e annuisce.
<
Setsuna. >
E il sogno
intanto si è avverato.
Quella che lei ha frainteso ed interpretato come tristezza,
altro non era che incomputabile pena, pena per una creatura così giovane
che,
sacrificando tutto e tutti, così ciecamente legata a qualcosa che non
era e mai avrebbe potuto essere suo, arrancava alla sua stregua,
accecata da un sogno che le precludeva ieri come oggi di vivere la sua esistenza se non
in funzione di un uomo che la stava semplicemente usando.
Questo, Setsuna, Takanori ha cercato di dirti con quel bacio sulla
fronte quella sera e che tu non hai mai capito
Non ha più incontrato Ruki dopo quella notte.
< Vuole prendersi del tempo? Le posso concedere al massimo dieci minuti... >
Vi è un che di minaccioso nella parola “tempo”, l’illusione che, nel rimandare
l’inevitabile, il dolore possa affievolirsi e lei maturare la volontà
necessaria per accettare ciò a cui sta andando incontro.
< Sì... grazie. >
< Si figuri. > risponde l’uomo avviandosi verso l’uscita e chiudendo, con
lentezza esasperante, la porta dietro a sé.
Setsuna trae un interminabile sospiro incollando lo sguardo perso e spaventato alla facciata apparentemente intonsa che le si prostra davanti, imbrattata di pianti e
disperazione, vergine di gioie e risate. Si perde in considerazioni stupide
nelle quali, oggi, riesce ad identificarsi, riflessioni che le forniscono solo l’ennesima prova della sua cecità, del suo esser stata una stupidissima fan e niente più, malgrado le innumerevoli traviate filosofiche da lei partorite e che altro non
erano che maschere dietro alle quali nascondersi. Lo dimostra il fatto che, in seguito a quella notte, il suo sogno è cambiato, uniformandosi a quello che caratterizza la massa in quanto tale.
Il desiderio più comune, banale, trito e ritrito del tipico fan isterico, può
essere paragonato ad una ricetta culinaria di cui bisogna seguire attentamente le istruzioni se si vuole raggiungere il successo.
Prendete
mezzo chilo di perseveranza e tre cucchiai di ammirazione incondizionata.
Otterrete lo stimolo
necessario per recarvi a tutti i concerti dei GazettE e scavalcare ogni genere
d’intoppo, ostacolo o divieto impostovi da amici, parenti, cani e porci
Aggiungete
un pizzico di fortuna e una fialetta di sacrificio.
L’impasto conseguito vi permetterà di incontrare il vostro Gaze preferito
Mescolare
il tutto e filtrare una bustina di costanza e originalità.
Col passare del tempo, di incontri, accenni, parole e saluti scambiati, il musicista in questione si accorgerà di essere perdutamente innamorato di voi
A questo
punto lasciate riposare il tutto per un paio d’ore.
Consumerete la vostra
prima notte d’amore in seguito alla quale Ruki/Reita/Aoi/Uruha/Kai chiederà la vostra mano
Infine,
spolverate un sorriso sempre radioso.
Otterrete così la vostra
bella famigliola, nata, cresciuta e rafforzata su un anello da ventiquattro
carati e un figlio che, quando si dice il caso, è la copia sputata del padre.
Bravi, avete appena coronato il vostro sogno da patetica fangirl
starnazzante fatto in casa!
Seguire passo dopo passo le istruzioni sopracitate è l’unico modo per appagare le
proprie ambizioni, trasformare in un fatto concreto un’illusione dai contorni
sfocati. Precisione, passione e pazienza sono le tre doti necessarie per premiare
il desiderio, doti indispensabili tanto al fan quanto a un qualsiasi cuoco. Più
questo è bravo, più si applica e ci mette il cuore, più il dolce creerà
aspettative nel cliente; per questo non può permettersi sbagli o improvvisazioni, deve seguire il ricettario con attenzione maniacale, sezionare ogni frase ed estrapolare il significato di ogni parola presa dal suo contesto. Sa bene che invertire l’ordine degli ingredienti trasfigurerebbe la sua opera, trasformandola così in
un confezionato scialbo o, peggio ancora, in un disgustoso dolciume
inappetibile. Stessa cosa dicasi per il fan: dare la precedenza a un’azione a
discapito di un’altra comprometterebbe il suo cammino, mutando quella che
poteva essere la vita più meravigliosa ed appagante del mondo in una catastrofe
senza precedenti che di positivo non ha che il ricordo.
Positivo
Un brivido gelido si arrampica vorace sulla sua schiena.
Veloce
e senza un perché, si muove a passo felpato verso la finestra, timorosa d’infrangere
il silenzio agghiacciante entro cui è barricata. Il cielo continua ad essere
maledettamente deterso, libero da nubi, una giornata che sa regalerà un sorriso
positivo a molte persone.
Positivo
Come fa una parola che, generalmente, è portatrice di riso e buone notizie a
rappresentare, nel suo caso, la peggiore disgrazia che si sia mai trovata a fronteggiare?
Doppia linea.
Risultato:
POSITIVO
China lo sguardo sul proprio ventre, vi passa una mano come ormai è solita fare da un
po’ di tempo a questa parte quando, ancora incredula e non disposta a
sobbarcarsi il cambiamento che il suo corpo sta sostenendo, vuole accertarsi
che non vi siano segni visibili del segreto che nasconde.
Si chiede se il mondo sia pronto ad accogliere una notizia del genere, ad accettare
la cosa e lei per quel che sono. Non lo saprà mai, non ci tiene a farlo, eppure
continua a porsi, affetta da una curiosità che non verrà saziata, lo stesso,
identico, tristissimo quesito, che ormai è diventato un chiodo fisso, scalfito nella sua mente: come reagirebbero milioni e milioni di fan, il mondo e la PSC nel sapere che, dentro il suo utero, di minuto in minuto, cresce e si rafforza
il figlio di Ruki?
Il riflesso di una ragazza smunta sulla vetrata anzi a lei le rivolge una seconda
domanda, domanda che si è sempre preclusa e che oggi, lì, in quello studio
medico dalle pareti bianche, affronta coraggiosamente per la prima volta:
“Cosa penserebbe Ruki di tutto ciò?”
< Non è possibile, hai rifatto il test? Ci deve essere un errore. >
Rei stringe
tra le mani la barretta di plastica che Setsuna le ha consegnato, la guarda con
occhi a metà tra l’incredulo e l’angosciato, cerca di ostentare una serenità
che non potrebbe esserle meno propria per infondere una nota di tranquillità nel cuore dell’amica.
< E’ il
terzo, il risultato non cambia. > esala la giovane, ormai priva di forze e
lacrime, con voce apatica. Si accomoda sul bordo del letto continuando a
guardare un punto indefinito della sua camera, troppo stanca per pensare, troppo svilita per concretizzare che tra poche ore dovrà svelare tutto ai suoi genitori. Può sentire l’impotenza che impregna lo sguardo di Rei senza prestarle attenzione, percepire che sta per dire qualcosa prima ancora che lo faccia, sapere che non risolverà il problema e che non servirà a farla stare meglio.
Quella che le sfila innanzi è una battaglia
persa in partenza.
< Devi
andare alla PS Company, Setsuna, e incontrare Ruki. >
Si volta
appena cercando il suo sguardo, lasciandosi scappare un sorriso di scherno che
tutto può dirsi tranne che divertito.
< E cosa
vuoi che faccia? Non posso certo presentarmi lì e chiedere di incontrarlo, mi
prenderebbero per pazza. E metti anche caso che riesca ad intercettare qualcuno che lavora con lui, cosa posso dirgli? Che Ruki tra nove mesi diventerà padre? >
Rei ammicca
con lo sguardo imponendosi una voce autoritaria, o quanto meno speranzosa.
< E’
difficile ma devi comunque tentare: lui saprà cosa fare meglio di te e me. >
Sospira
affranta, farlo le costa una fitta alle costole.
< Ti
rendi conto che è una pazzia? Potrebbe anche darmi della bugiarda o fingere di
non avermi mai visto prima. >
< Ma
almeno prova! In fondo, che hai da perdere? >
Incolparsi ora non ha alcun senso, non almeno per i prossimi dieci minuti, ormai già in
parte volati. Avrà tutta la vita per pentirsi di quel giorno, maledire quello
in cui, da brava stupida quale sa oggi di essere, ha ceduto all’ambizione
correndo tra le braccia di Ruki, piangere la menzogna pronunciata a fior di labbra per non lasciar scivolare tra le dita, come sabbia del deserto, quell’occasione semplicemente unica, irrepetibile.
Il ticchettare dell’orologio affisso alla parete le ricorda il tempo speso ad
attendere il ritorno dei suoi genitori dal lavoro. Si vede come fosse ieri,
seduta su una sedia, completamente rapita dal muoversi delle lancette,
elemosinare ancora qualche minuto di preparazione psicologica per raccogliere tutto il coraggio necessario per fare outing quando sente il ciottolato della strada fuori scricchiolare.
Non vuole rivangare le urla, i loro sguardi delusi e feriti, le frasi crudeli,
certo, ma anche e soprattutto meritate. Tre settimane fa è stata catapultata all’improvviso in mezzo alla strada senza un posto dove andare, un soldo per
potersi comprare da mangiare. Rei l’ha aiutata, lo sta facendo tuttora: grazie a lei è riuscita a trovare un monolocale diroccato che comincerà ad abitare da
domani stesso, inaugurando una nuova vita e raccogliendo i frutti dei vari
lavori che ha trovato per pagarsi l’affitto. Vorrebbe tornare a casa un giorno, spera che il gesto che compirà di lì a poco le basti per farsi aprire la porta d’ingresso da suo padre. Non cerca d’illudersi, sa che ci vorrà del tempo,
dovrà dimostrare di essere maturata, come effettivamente quest’esperienza le ha permesso di fare, prima di potersi ripresentare al loro cospetto senza farsi aspettative, senza credere in un perdono che sì potrebbe esserle concesso come esattamente il contrario. In ogni caso sarà pronta, decisa ad affrontare le conseguenze che il suo gesto immaturo hanno portato e ad assumersi le proprie responsabilità.
< La
prego mi ascolti, ho bisogno di parlare con Takanori Matsumoto, è questione di...
> la gola, torta in un nodo troppo stretto per poter essere allentato, le
distorce la voce, terribilmente spaventata per la conclusione della frase che si appresta a porre < ... vita o morte. >
La
segretaria dietro il banco della reception la scruta con cipiglio annoiato, più attenta ed interessata alla fotografia dei GazettE attaccata sopra lo schermo del suo pc.
<
Ragazzina sono quattro giorni che non ti sposti da davanti l’edificio, non hai
una casa dove andare, o qualcosa di meglio da fare? > non cerca di
mascherare la scocciatura di cui è pregna ed avvelenata ogni sua parola, non vuole ascoltare qualunque cosa abbia da dirle.
< La
prego... mi faccia incontrare Ruki. E’ importante. >
< Se
dovessi far passare tutte le fan che dicono di avere una questione di massima segretezza da risolvere con Ruki, Reita o altri ancora, credo a quest’ora i
GazettE sarebbero poltiglia masticata da mocciose irrispettose del lavoro
altrui. Segui il mio consiglio e alza i tacchi: anche quelli della direzione ti
hanno notata e ho sentito che faranno scattare la denuncia per invasione di
proprietà privata se non sgomberi immediatamente. Sono stata chiara? >
Setsuna
ascolta ma non recepisce, la sua mente si rifiuta di tradurre parole che non
diano un riscontro positivo alle sue speranze; per questo si appoggia sfinita
alla scrivania, pallida ed affamata, infreddolita e con una fortissima nausea a
ricordarle che non può cedere, non dopo quattro giorni trascorsi fuori dalla
PSC dormendo su un muretto e mangiando degli avanzi preparati da Rei.
< Che
vengano ad arrestarmi allora, così almeno potrò parlare con loro. >
sentenzia infine passandosi una mano sulla fronte madida di sudore < ...io
sarò fuori ad aspettarli, giudicheranno loro se potrò parlare o meno a Takanori Matsumoto.
Una vena minacciosa pulsa sulla tempia della segretaria, un rossore sinistro le imbratta
le gote unte e pesantemente truccate.
< Di
tante teste calde che ho conosciuto devo dire che tu sei la peggiore! Cosa ti
fa credere che quelli dei piani alti abbiano tempo da sprecare con te? Non c’è
un solo motivo valido per cui tu possa avere un incontro con loro, lo capisci?! > strepita senza contegno lasciando da parte ogni residuo di pazienza rimastole in corpo.
La nausea
si fa più forte, complice il profumo dolciastro dei diffusori sparsi qua e là
all’interno della reception: voleva tenere per sé la cosa e confidarsi solo con
chi di dovere, non certo a una zitella di mezza età che rappresenta solo il primo ostacolo al suo cammino. Dovrà fare uno strappo ai suoi piani se vuole arrivare al cantante.
< Se le
dicessi che sono incinta e che il padre è proprio Takanori Matsumoto crede
avrei un motivo ABBASTANZA –calca quella parola infondendogli un che di
minaccioso– importante per poterlo incontrare? >
...
...
...nessuna risposta, nessun segno
di vita.
A bocca spalancata, penna sospesa per aria, in attesa di risvolti che però tardano ad
arrivare, la donna altro non può fare che boccheggiare cercando di recuperare
l’uso della parola.
< Di
tutte le scuse infami che ho sentito... questa... è... > comincia piegando la propria mente a una convinzione che avverte esser falsa
specie quando, malgrado si impegni a non cadervi, rimane imprigionata dal
dolore che straripa come un fiume in piena dagli occhi afflitti della giovane.
< Mi
creda che vorrei tanto fosse anch’io solo una balla per incontrare Ruki... >
< Ma...
non è possibile, non c’è alcuna prova che tu stia dicendo il vero. Sei solo una
bugiarda! >
<
Basterà fare gli esami del sangue e i risultati parleranno da sé. Andrò fino in
fondo a questa faccenda, mi creda. >
La determinazione che traspare da ogni gesto della mocciosa la mette in allerta,
un campanello trilla minaccioso nella sua testa: deve agire e alla svelta.
Supponendo per assurdo che quella storia sia vera, che quella ragazza sia davvero incinta (evita accuratamente di interrogarsi sulla sua età, onde
evitare ulteriori scandali, metti caso, questa sia minorenne), questo equivarrebbe
a dire “GAME OVER” per i GazettE.
< Tu non
ti rendi conto di quel che dici, hai il benché minimo sentore di cos’accadrebbe
se ti lasciassi sfuggire una parola di troppo fuori da queste mura? CE L’HAI??
> urla infine alzandosi di scatto e attirando su di sé l’attenzione dei suoi colleghi.
Setsuna indietreggia spaventata, la pancia in subbuglio, il desiderio di rimettere
anche l’anima sempre più prepotente.
< Che...
che vorrebbe dire? Io voglio solo... > comincia timidamente venendo però
interrotta seduta stante.
< Hai
provato ad immaginare cosa succederebbe se questa notizia si spargesse ai
quattro venti? Sei una fan dei Gaze mi par di capire, in particolare di
Takanori: ti sei domandata cosa succederà al tuo beniamino quando getterai fango su di lui rendendolo un mirino facile per giornali scandalistici e giornalisti da quattro soldi? >
Se possibile, il suo volto perde ulteriormente colore mentre la terrificante consapevolezza di ciò che è, nasconde e sta per fare la schiaffeggia con violenza inaudita.
< Quale
fan che si rispetti stroncherebbe la carriera del suo idolo per tornaconto
personale? Per egoismo? Quale mostro separerebbe Takanori dal suo microfono, Uruha dalla sua chitarra o Kai dalla sua batteria? E’ davvero questo che vuoi
ragazzina? Vuoi la fine dei GazettE? >
Un pugno allo stomaco.
Sapere di non poter fare nulla, di avere le mani legate.
L’ultimo ricordo, l’ultima spiaggia tradita, il muro contro il quale le sue speranze si
sono schiantate perendo una a una.
Quella
donna, quella megera dal volto avvizzito e spigoloso, le ha aperto gli occhi e
allo stesso tempo tarpato ali e fede per guardare al futuro con un briciolo di fiducia.
Come ha potuto pensare, anche solo per un momento, di prendere contattato con Ruki?
Come ha potuto riporre fiducia nelle parole di Rei? Credere che quell’uomo
potesse risolvere un problema così grosso senza avere una bacchetta magica? Non
stai vivendo una favola, non stai sognando, dice a se stessa: questa è l’amara realtà, Setsuna, e in questa realtà tu non puoi ferire Takanori Matsumoto, non
puoi impedirgli di cantare (malgrado tu abbia smesso di ascoltarlo), non puoi e non devi assolutamente interferire con la sua carriera, sapendo quanto questa sia importante per lui.
E’ matematico, no? Cosa causerebbe uno scandalo del genere se non la sua disfatta?
Ed è proprio perché lo ami, lo veneri, ammiri con tutto il cuore e cerchi di
tenerlo vivo nei ricordi che serbi con cura, quasi fossero gioielli preziosi,
che non puoi neanche prendere in considerazione l’idea di ferirlo, l’idea di coinvolgerlo.
Sei una maledizione Setsuna, una meteora che si è abbattuta su uno dei personaggi
più amati del Giappone sotto forma di stella cadente, esile ragazza di vent’anni
con fronzoli e storielle stupide in testa che non seguono una logica. E se ci
pensi il primo monito di quella catastrofe ti è piombato tra capo e collo ancor
prima di conoscerlo, quando Rei ti ha fatto sentire la sua canzone preferita
sul tetto della scuola: Miseinen. Capisci ora che quella melodia altro non era
che il presagio del destino che il futuro aveva in serbo per te e lui?
Il suo amore è nato sotto il segno della morte
L’ansia
si impossessa del suo corpo, volge l’ennesima occhiata fugace all’orologio.
Tre minuti. Mancano solo tre minuti, cent’ottanta secondi, diciottomila
microsecondi. Tra poco sarà tutto finito, un ricordo che porrà fine al suo
amore per Takanori e alla sua “carriera” di fan scalmanata.
Cammina avanti ed indietro, continua a guardare la porta spaventata, in attesa che il
medico riappaia accompagnato dall’anestesista, che le dica di stendersi e di rilassarsi.
< Non voglio. > dice stringendosi in un abbraccio ed inginocchiandosi con
lentezza esasperante.
Scivola contro il muro, la testa gira e fa male, si rifiuta di pensare, di accettare
che sta per troncare ogni legame con Ruki, il motivo che l’ha spinta a vivere
fino ad oggi.
< Non.. voglio... > singhiozza raggomitolandosi in un angolo e tirandosi i capelli.
Non voglio, dice.
Ancora una volta sbagli Setsuna: non hai ancora capito che la tua volontà vale meno di
zero?
Tu DEVI, scrivitelo a fuoco sulla pelle, stupida cretina.
L’acqua è
pronta, piccole bolle salgono in superficie deturpando la linearità di questa,
segno che finalmente è arrivato il momento per gettare la pasta.
Setsuna
prende un pugno di spaghetti e si accinge a completare l’opera, armeggiando come meglio può la pentola futuristica che suo marito, fiero sostenitore del design
estetico quanto oppositore di quello pratico, si è fatto regalare dalla PS Company tempo indietro. Impreca tra sé e sé studiando i manici leopardati più che mai decisa ad affrontare l’ennesima lite con quell’uomo: è forte di ben tredici scottature, se non si deciderà neanche stavolta a comprarle delle stoviglie che possano definirsi tali allora ci
penserà lei, che gli piaccia o meno.
Una cadenza
di passi nervosi la distrae dalle proprie considerazioni, poco dopo la porta si
spalanca e una figura visibilmente contrariata le appare innanzi accomodandosi
di mala voglia su una sedia a caso.
Setsuna
sospira dimenticandosi per un istante dei propri dilemmi per dedicarsi a
questioni più importanti: se il suo intuito non sbaglia (e a questo proposito
non lo fa mai), Takanori deve aver combinato l’ultima delle sue.
< Che è successo? Cos’ha fatto stavolta tuo padre? >
La
ragazzina borbotta tra sé e sé, ribolle di rabbia esattamente come l’acqua
nella pentola leopardata che tanto vorrebbe tirar dietro a quel screanzato.
Prima di poter rispondere, o quantomeno mettere in ordine coerente la fiumana
di insulti che le passano per la testa, la porta della cucina si apre nuovamente
e la causa di quel trambusto fa la sua divina apparizione.
< Orihime Matsumoto esigo le tue scuse seduta stante! Non puoi permetterti di parlare
così a tuo padre! > esordisce l’uomo accompagnando le parole a gesti
teatrali atti ad enfatizzare la sua indignazione.
L’interpellata
non presta la benché minima attenzione a quei rimproveri e anzi si concentra su
sua madre la quale, come ogni sacrosanta volta in cui i due litigano (facendo
sempre pace dopo un massimo di cinque, dieci catastrofici minuti), si prepara a rivestire il ruolo d’intermediario pacificatore.
< Puoi riferire a pa... > si interrompe rimuginando minuziosamente sulla scelta dei vocaboli, una pignoleria che non può aver preso che da Takanori: quei due sono fatti della stessa pasta, due gran donne cocciute ed esibizioniste, eccessivamente orgogliose e testarde, identici fisicamente parlando e dotati delle più belle voci dell’intero paese. Si sente fiera per aver dato alla luce
una bambina così, con difetti e pregi come tutti, amata da suo padre in maniera quasi morbosa, coccolata e vezzeggiata come la più preziosa tra le principesse (non a caso da qui il nome, scelto proprio da suo marito quando, ritrovatasela tra le braccia per la prima volta, è scoppiato letteralmente a piangere per la gioia).
< Puoi
dire al Signor Matsumoto che non voglio in alcun modo indossare quei pantaloni rosa shocking durante il servizio fotografico di oggi? Non sono più una bambina, voglio
decidere io cosa mettermi! > esclama infine alzando il nasino all’insù ed
evitando accuratamente di guardare l’uomo poco distante da dove si trova.
Setsuna
sospira pesantemente portandosi una mano sulla fronte e lanciando un’occhiata eloquente al compagno; lui la fronteggia, per nulla intimidito, convinto di
essere nel giusto (come sempre d’altro canto).
< Taka
c’è un motivo per cui nostra figlia deve indossare per forza quei... cosi? > conclude non trovando nome migliore per definire un tale abominio della natura.
Lui
ammicca, incrocia le braccia al petto profondamente sdegnato.
< Voglio semplicemente coordinare il mio vestiario con il suo. >
< E non
puoi farlo basandoti su quello che piacerebbe a lei, per una volta? >
<
Giusto!! A me piacciono le pailette! > si intromette la piccola Hime
balzando a terra.
Gli occhi
del cantante si spalancano all’inverosimile accompagnati da una smorfia di puro terrore.
Setsuna non
sa bene se sia più saggio fingere orecchie da mercante, scoppiare a ridere o a
piangere: immaginarsi Takanori con addosso una canottiera di pailette
sfavillanti è uno spettacolo troppo assurdo per riuscire a mantenere un
briciolo di contegno. Oltretutto, capi d’abbigliamento del genere rappresentano
l’anti-gusto estetico per eccellenza secondo il suo “modesto” parere, indi per
cui può solo lontanamente fantasticare lo smarrimento di fronte alla confessione
pronunciata dal sangue del suo sangue, innamorato di quelle che lui definisce
delle “pacchianerie di dimensioni cosmiche”. Un’onta bell’e buona insomma.
< Le pailette... cioè tu preferiresti una robaccia del genere ai
miei pantaloni? > Ruki è pallido come un lenzuolo, si appoggia a una sedia
colto da un calo di zuccheri.
< Ma è
proprio necessario che siate coordinati? Non potete indossare quello che
volete? >
< Certo
che no! Al servizio di oggi ci saranno anche le figlie di Reita ed Aoi, io e
Hime dobbiamo assolutamente essere i migliori. >
“Ah buon
dio...” conclude Setsuna abbandonando ogni buon proposito e tornando a dedicarsi
al pranzo, quello almeno le avrebbe riservato qualche soddisfazione.
Orihime
arriccia le labbra indispettita, un velo di rabbia si adagia sul suo volto
altrimenti serafico e dolce come lo zucchero.
< Haine
e Ushio possono vestirsi come vogliono, i loro papà non le obbligano a mettersi pantaloni così brutti. >
Le due
bimbe, rispettivamente figlie del bassista e del chitarrista, sono da sempre le
uniche amiche che la piccola può vantare: vuoi il successo del padre, che la
rende irraggiungibile ai più, vuoi l’atteggiamento tutt’altro che consono dei
fan, che la vedono o come un mezzo per arrivare a Ruki o come intralcio alla
sua carriera, vuoi cento e più motivi uno più triste dell’altro ma sta di fatto
che i suoi genitori hanno dovuto, per costrizione non certo per volere,
isolarla dal mondo comune, un mondo che Setsuna ha vissuto sulla sua pelle e che ha dovuto abbandonare per amore della sua nuova famiglia. Non è pentita delle sue scelte, non se n’è mai lamentata, prova solo una sconfinata amarezza quando, specchiandosi negli occhi di Hime, vi trova impressa una tristezza che non dovrebbe esserci, non in una bambina di appena dieci anni. Lei e Takanori si sono adoperati, e continuano a farlo, come meglio potevano per colmare la solitudine cui la stavano costringendo, specie suo marito: malgrado il lavoro, i tour e tutti gli impegni
che la fama gli impone, è sempre stato presente nella vita della sua principessina, ha sempre trovato il tempo per
stare in sua compagnia e darle tutto ciò di cui aveva bisogno, portandosela addirittura ai concerti e cercando di essere il padre esemplare che non ha mai avuto.
Ruki ama
sua figlia con tutto il cuore, è il papà più premuroso e dolce del mondo, tanto
attento e scrupoloso quanto traviato e lascivo sul palco. Quando Hime si
ammala, che sia un’influenza coi fiocchi o un banalissimo raffreddore, non importa dove si trovi o cosa stia facendo, corre immediatamente a casa per rimboccarle le coperte, stendersi sul suo letto, abbracciarla e raccontarle
ogni sorta di epiteti che gli vengono in mente, per lo più legati al mondo
dello spettacolo, di cui lui stesso fa parte. Padre e figlia si adorano visceralmente ed è per questo che quando litigano i loro battibecchi suonano più come delle prese in giro, certo irritanti, ma pur sempre degli scherzi che sanno entrambi dureranno poco.
< Non lo
fanno semplicemente perché non hanno alcun gusto in fatto di vestiti,
altrimenti anche Haine e Ushio sarebbero costrette ad indossare quello che vogliono
i loro genitori! > controbatte infine dimostrando, col suo ragionamento ben
lungi dal potersi definire logico o maturo, giù di lì l’età di Orihime.
Se spera
che la bambina si beva quel turpiloquio senza capo né coda, beh, si sbaglia di grosso.
< Sei
cattivo papà, non ti voglio più bene. Ti odio, vattene via! > strilla Hime
correndo a cercare conforto dalla madre, perfettamente conscia di aver appena giocato la carta che le permetterà di uscire vincitrice.
Non è
stupida e ormai sa fin troppo bene quanto sia suscettibile il suo vecchio a quel
genere di scenate: ha scoperto, memorizzato e fatto suoi i punti deboli di
Takanori, imparando presto come e quando sfruttarli per ottenere quel che vuole. Non le piace usare certi mezzi ma quando suo padre esagera ricorrervi è l’unico modo per insegnarli un briciolo di modestia e umiltà, che certo non gli guasterebbero. Setsuna lo sa ed è per questo che la lascia fare, perché in fin dei conti, in occasioni come quella, vede sua figlia infinitamente più matura
di suo marito.
Ruki sbarra
gli occhi esterrefatto, se possibile diventa ancora più pallido. Combatte
fieramente per mettere a tacere il proprio orgoglio, quindi sospira e, con uno
sforzo disumano, si appresta a venire incontro alla figlia, il tutto nel giro di venti, interminabili secondi.
< E va bene, per una volta faremo come vuoi tu, ma la prossima volta mettiamo i pantaloni rosa, va bene? >
Hime studia
il suo interlocutore con cipiglio insoddisfatto.
< Non
voglio, non mi piacciono... >
< E
leopardati? > tratta alla meglio il poveretto ormai privo di forze.
L’aguzzina sorride finalmente soddisfatta, corre in direzione del padre e gli salta al collo tutta felice.
< Il
leopardato sì, mi piace un sacco! > urla entusiasta accoccolandosi sulle sue
gambe < E poi... > continua staccandosi per una frazione di secondo per
poterlo fronteggiare. < Io e te saremmo comunque i più belli anche se ci vestissimo come quello sciattone di zio Reita. >
A metà tra
il costernato e l’esilarato Takanori scoppia nella più fragorosa risata mai
contemplata dal genere umano.
< Ma
quanto è in gamba la mia bambina! > asserisce tutto fiero lanciando uno
sguardo interessato a sua moglie, ancora intenta a cucinare. < Cosa c’è per
pranzo? Muoio di fame... >
Setsuna
sorride brandendo il cucchiaio di legno a mezz’aria, sollevata che, come ogni sacrosanta volta, il litigio tra i due si sia risolto in meglio.
Si ferma ad osservali, potrebbe farlo per ore, a contemplare quella che in fondo è un’opera
d’arte, e si sente la donna più fortunata del mondo, integrata, perfettamente
realizzata nel prendersi cura delle due persone per cui darebbe, senza pensarci due volte, anche la vita se necessario.
<
Spaghetti all’italiana, il tuo piatto preferito, sempre che questa tua
fantastica pentola non si intrometta e decida di rovinare tutto... >
< Non è
giusto mamma, cucini sempre quello che piace a papà e mai le patatine fritte
per me! > interviene Hime nel vano tentativo di riscattare quello che, a suo
parere, è un torto bell’e buono.
< Le
patatine fanno male, non si possono mangiare tante volte quanto un sano piatto
di pasta. >
< Tua madre ha ragione, sai? > asserisce Takanori dandole man
forte. Non può far altro che sorridergli riconoscente, traboccante di un amore
che mai si è affievolito, malgrado l’incedere imperioso degli anni.
< Non è vero, la mamma fa così perché vuole più bene a te che a me. > controbatte la piccina inspiegabilmente calma, chinando il capo per far sì
che i capelli le nascondano il volto. Serra le spalle, incapace di sopportare il peso dei propri pensieri e di quella che, nel suo immaginario, è una costatazione di fatto.
Setsuna la guarda tradendo, nel muovere concitatamente le mani, forse
per difendersi da quell’accusa così falsa, forse per sentirsi meno in colpa, una tristezza sconfinata.
< Ma no tesoro, cosa vai a pensare? Io ti voglio un mondo di bene.
Le patatine, se mangiate in quantità eccessive, possono farti stare davvero
male ed è per questo che non posso cucinartele spesso. >
Silenzio di tomba, nessuna risposta. Ruki la ignora bellamente, parla
alla figlia promettendole un gelato dopo il servizio fotografico, ad essere
precisi, il MIGLIOR gelato dell’intero Giappone. Non riuscendo a strapparle un
sorriso comincia a sua volta a deprimersi, evitando accuratamente di darlo a
vedere: è il padre, il centro del suo mondo, nonché suo punto di riferimento,
non può permettersi cedimenti, non quando ha bisogno d’essere risollevata.
Setsuna deve intervenire, alla svelta, per questo, facendo violenza psicologica su se stessa e ignorando quella strana atmosfera che permea ogni
cosa attorno a lei, si decide a parlare.
< Tesoro non fare così, lo faccio per il tuo bene... >
La bambina alza di scatto il volto e la guarda dritta negli occhi, la
inchioda al muro senza darle vie di fuga.
< E allora perché mi hai uccisa dieci anni fa? >
Apre gli occhi di scatto, li scopre velati di lacrime, l’ipotetico futuro
alternativo che il destino le ha appena mostrato è solo nebbia in un mare di
fumo ormai.
Raccolta ogni briciola di coraggio e forza, che neanche credeva di avere, si rialza,
arranca verso la poltroncina pieghevole e vi si appoggia stanca. In lontananza,
un rumore di passi.
La fine è vicina.
< Perché mi stai uccidendo? >
Piange Setsuna, altro non può fare all’udire la voce di sua figlia, un sussurro
flebile e spettrale che di umano non ha niente.
< Perché tu stai uccidendo me, Hime. Me e tuo padre. > risponde flebilmente, accarezzando il proprio ventre e cercando di asciugare le lacrime della bimba
(perché di bimba, ha capito, si tratta) che le piange dentro.
< Scusa mamma, sono stata una bambina cattiva. >
< No tesoro, tu non hai fatto assolutamente niente. Se c’è qualcuno che merita la
tua fine, quella sono io. >
< Se non ho fatto niente perché devo morire? >
Nessuna risposta.
Quale che possa essere, Setsuna sa che non sarà mai valida.
< Mamma tu mi odi? Perché non posso stare con te? Perché non posso nascere?
Perché non posso vivere? >
Vorrebbe prendersi a pugni, Setsuna, lo vorrebbe tanto, ma il dolore è così forte da
impedirle persino di respirare.
< No cuore mio, la mamma non ti odia. > risponde accennando un sorriso ed immaginando il volto contrito di sua figlia, intenta a capire discorsi troppo
difficili per una bambina di appena dieci anni. < Vorrei tanto tenerti con
me, darti alla luce, vederti crescere e diventare bella e brava come il tuo papà, ma non posso. Mi dispiace Hime, scusa. >
La bimba la guarda.
Stupita le chiede:
< Bella come... il mio papà? >
Sorride tirando su col naso.
< Oh sì, angelo mio, il tuo papà è l’uomo più bello, bravo, talentuoso e gentile
del mondo. >
...
Questa volta è sua figlia a non risponderle.
La porta si apre e il dottore riappare, seguito da una giovane ragazza celata
dietro una mascherina. Si stupisce nel trovare la paziente già stesa e accomodata,
pronta solo per cominciare, si rattrista nel scorgere sul suo volto tracce di
pianto che tradiscono un dolore troppo grande per poter essere compreso.
< Non sentirà niente, in men che non si dica sarà fuori
di qui. > E’ tutto quello che può dire, è tutto quello che può fare.
Setsuna annuisce, chiude gli occhi per non vedere, spranga il cuore per non urlare.
Ci siamo
“Scusami Hime. Anche se per poco, sappi che sono stata orgogliosa di sentirti crescere
nella mia pancia.”
Un respiro primaverile le accarezza il volto,
il dolce tepore del sole scalda la sua pelle ghiacciata.
< Mamma... >
< Sì? >
< Posso chiederti una sola cosa prima di andare? >
Setsuna annuisce abbracciando la figlia, coccolandola e vezzeggiandola
per quel poco di tempo che rimane a loro disposizione. I capelli neri e lunghi
della piccina scivolano sui suoi palmi sudati, luminosi come raggi solari.
< Qualsiasi cosa tesoro, qualsiasi cosa... >
Hime cinge la pancia della ragazza, vi poggia sopra la testa
ascoltando il battito del proprio cuore pulsare attraverso questa.
< Ti prego mamma, fammi conoscere il mio papà. >
< ASPETTATE! >
L’anestesista si ferma seduta stante, la siringa impugnata saldamente e ormai pronta per
incidere la sua pelle.
Il dottore alza un sopracciglio perplesso.
< Scusi signorina, non abbiamo tutto il giorno... > dice osservando Setsuna, ora
in piedi e in cerca di qualcosa dentro la sua borsa.
<
Lo so, mi dia solo un minuto. > risponde lei continuando a frugare
disperatamente finché le sue dita non toccano ciò che andavano cercando.
Sorride mentre estrae il lettore mp3 dal bauletto, una lacrima di gioia mista a dolore le
riga il volto.
< Scusate posso tenerlo durante l’intervento? Voglio che mia figlia ascolti una
canzone prima di... >
Si interrompe incapace di andare avanti, travolta nuovamente dal dolore.
I due si scambiano un’occhiata sbalordita, segno più che evidente che nessuno
aveva mai osato porre una richiesta di tal fatta. Ma come si può dire di no a
quegli occhi? Come si può negare quella che può essere una minuscola gioia in
grado, con la sua flebile luce, di illuminare in piccolissima parte l’oscura
disperazione che tiene le redini del cuore di quella ragazza?
< Certo... a condizione che il volume non sia troppo alto... >
Setsuna si esibisce in un inchino tanto frettoloso quanto goffo.
< La ringrazio. > si limita a dire con voce riconoscente.
Torna
a stendersi, ora finalmente pronta: cerca in fretta e furia LA canzone, tra le millequattrocentosettantatré salvate, mentre l’anestesista buca la sua pelle decretando l’inizio dell’atto
finale.
Un degno modo per dire addio a Ruki ed esaudire il desiderio di sua figlia: per la
prima volta insieme, tutti e tre uniti proprio come una vera famiglia.
”Ascolta Hime, questo è il tuo papà”
La musica parte.
Ruki canta.
Madre e figlia si addormentano cullate dalla voce dell’uomo.
Miseinen fiorisce per l’ultima volta
Lo senti Takanori?
Tua figlia sta morendo in questo preciso istante.
Sta morendo per dare la vita a te
...will keep alive them”
[MISEINEN]
Note finali:
Le quindici pagine sono diventate ventidue, chissà perché ma la cosa non mi stupisce
più di quel tanto...
A questo punto vorrei potervi dire qualcosa di intelligente, il punto è che non
mi viene in mente assolutamente niente. Lo so che come racconto è al limite del credibile ma, ehy, si parla pur sempre di una
fiction, quindi non venite a dirmi che i Gaze non andrebbero mai a letto con le proprie fan perché: 1) Nessuno può dirlo per certo; 2) Mi trovereste assolutamente concorde.
Setsuna è un personaggio aperto: l’ho amata, odiata, pianta, apprezzata, sofferta e
ancora odiata. Alla fine credo di essere riuscita a tratteggiare il processo di
crescita di questa ragazza, processo che l’ha portata ad essere, da semplice
fangirl che se ne inventava di tutti i colori pur di differenziarsi dalla massa, consapevole del tipo di persona che è.
La
frase che apre e chiude la storia è “Death will keep alive them”: la morte li terrà in vita. Volete la verità?
Sono stupita dalla potenza che questa frase racchiude in sé, una frase che estrapolata dal suo contesto non avrebbe alcun senso ma che riferita alla morte della figlia acquista una valenza totalmente diversa. Poi boh, l’immagine di Hime che muore per dare la vita al padre, in una sorta di processo di
rinascita, mi ha presa a sberle mentre la scrivevo. E’ la seconda volta che sto male dopo aver finito di comporre qualcosa, così male che, come già detto nelle note introduttive, le prossime storie che posterò saranno tutte a lieto fine. Mi ci vorrà un po’ per riprendermi da questo colpaccio.
Ah, dimenticavo: causa esami e preparazione a questi, non potrò dedicarmi alla
scrittura per un po’, non almeno come vorrei. Ho scoperto infatti di essere
perfezionista e pignola in maniera a dir poco esasperante, ci credete che ho betato questa shot non meno di trenta volte?
Non scherzo.
Trenta.
Volte.
Ogni
volta che cominciavo un nuovo pezzo rileggevo quanto scritto fino a quel
momento, cambiavo una o due parole, poi mi fermavo e ricominciavo da capo. E’
stato un parto allucinante, non so dirvi se sono soddisfatta o meno. Mi sembra
di vivere un deja-vu, mi sento esattamente come quando ho postato Icaro, fine.
Insomma, tutto questo per dirvi che fino al 6 di luglio per me sarà un periodaccio ma vi
incito ad avere fede perché, se dio vuole, tornerò a camminare tra voi dopo gli
esami. In ogni caso per sapere cosa sto facendo, perché lo sto facendo, se lo
sto facendo ecc, ecc... potete benissimo aggiungermi su FB tramite la mia pagina
profilo EFP (ho messo il link tipo una settimana fa): vi prego solo di dirmi
chi siete, preferirei tenere quella pagina aperta solo ai miei lettori.
Grazie per aver letto. Prego chiunque avesse apprezzato questa shot di farmi sapere
cosa ne pensa: significherebbe molto per me.
Shin