Sopravvivendo
a Weasley!
[o a Pansy, dipende dai punti di
vista]
Dicono che col tempo
arriverò
A far convivere io e te e l’amore.
Dicono che per stare insieme a te
Bisognerebbe darti e mai privarti.
Io ci voglio credere…e tu?
Io ci voglio credere, convivendo
Io ti voglio vivere...e tu?
Io ti voglio vivere, convivendo
[B.
Antonacci,
Convivendo]
Quando
il campanello cominciò a suonare, Pansy era stesa sul
divano, coperta fino al
naso da un pesante plaid, i capelli legati in una coda disordinata e
fra le
mani un enorme confezione di fazzoletti, che da qualche giorno era
diventata la
sua migliore amica insieme a termometro e medicine.
Si
soffiò il naso e prima di domandarsi chi mai potesse essere
(Daphne e Millicent
erano già andate a trovarla quella mattina per vedere se
fosse guarita e darle
gli auguri), il campanello squillò di nuovo e questa volta
non aveva nessuna
intenzione di smetterla.
Sbuffando
si alzò, mentre uno strano presentimento la prese: conosceva
soltanto una
persona che poteva essere tanto stupido da suonare alla sua
porta in quel modo e soprattutto alla vigilia di
Natale…
-Chi
è?- domandò per confermare i suoi dubbi.
-Indovina
chi viene a cena?- le chiese quella voce
che ormai da un mese aveva imparato a riconoscere bene.
-Weasley?-
alzando leggermente il tono di voce per quanto glielo permettesse il
fastidioso
mal di gola che da giorni la tormentava.
-Sì!
Forza, Parkinson, aprimi! Qui fuori si gela, sta anche nevicando-
Pansy
guardò per un attimo la sua immagine riflessa nello specchio
dell’ingresso:
tutto era tranne che presentabile! Non poteva certo farsi vedere
così da
Weasley, o avrebbe perso la faccia. Sciolse la coda e passandosi le
dita fra i
capelli corvini, cercò di dare loro una forma, poi la rifece
e si sistemò
meglio la vestaglia per coprire il pigiama.
Abbassò
la maniglia e aprì di un poco la porta. –Cosa ci
fai qui, Weasley?-
-Oh,
avanti!- esclamò. –Fammi entrare, queste buste
pesano-
-Buste?-
spinta dalla curiosità, aprì di più la
porta per osservarlo meglio.
Il
vento gelido le colpì in pieno il viso e non seppe dire se
il brivido che le
attraversò la schiena fosse dovuto al freddo invernale o
allo splendido sorriso
che si aprì sul viso di George mentre la guardava. Nessuno
la guardava più così
da tantissimo tempo, ormai. Forse, nessuno
l’aveva mai guardata così.
Piccoli
fiocchi di neve gli si erano poggiati sul cappello e sul lungo
impermeabile
nero, al collo aveva una lunga sciarpa rossa avvolta più
volte, mentre le mani,
coperte dai guanti di lana, reggevano delle buste piene di solo Dio
sapeva
cosa.
-Come
hai fatto a sapere dove abito?- gli domandò, ma non gli
diede il tempo di
rispondere che aggiunse. –Beh, fa niente, non mi interessa,
tanto in casa mia
tu non ci metti piede!-
-Sì,
certo, faccio da solo. Permesso!- e prima che lei potesse fare
qualsiasi cosa
per impedirglielo, lui mise un piede nella porta e con una leggere
spinta che
Pansy non riuscì a bloccare, la spalancò ancora
di più ed entrò. -Finalmente!
Dai Pansy, chiudi la porta, non vorrai prendere altro freddo; non vieni
a lavoro
già a tre giorni e cominci a mancarmi-
-Weasley,
questa è violazione di domicilio!- esclamò lei,
poggiando le mani sui fianchi e
assumendo un cipiglio severo.
-Oh,
cavolo, sembri quasi mia mamma… avete la stessa espressione-
-Paragonarmi
a tua madre non è certo il modo migliore per convincermi a
non cacciarti a
calci nel sedere da casa mia, Weasley!-
-Lo
sanno tutti che un uomo cerca una ragazza simile alla proprio madre,
perciò
credo che tu sia la ragazza perfetta per me-
-Perché
non te ne torni dalla tua cara mammina, allora?-
-Beh, sono venuto a
controllarti- disse,
guardandosi attorno per individuare la cucina.
-Controllarmi?-
ripeté lei, inarcando un sopracciglio.
-Già.
Da una Serpe come te posso aspettarmi di tutto, perfino che si finga
malata per
non venire a lavoro ed essere pagata lo stesso-
-Bene
mi hai visto, ho davvero la febbre; perciò puoi anche
andartene adesso- lo
prese per un polso e cercò di spintonarlo per cacciarlo.
-No
che non posso andarmene! Non posso lasciarti da sola alla vigilia di
Natale, va
contro tutti i miei principi, non è da me e io sono un
gentiluomo-
Pansy
cercò di reprimere un sorriso, ma non ci riuscì:
era carino che Weasley si
preoccupasse per lei. –Quindi che intenzioni hai?-
-Prima
di tutto, dimmi dove posso poggiare queste- e sollevò
leggermente le braccia
per far vedere le buste.
-Di
là… ma cosa diavolo vuoi fare? Non vorrai
mica…-
Non
ci fu bisogno di continuare la frase, perché George
seguì le sue indicazioni
dirigendosi verso la cucina e Pansy capì perfettamente il
suo piano.
-Hai
fame?- le domandò, mentre cominciava a tirare fuori dai
sacchetti ciò che aveva
portato.
-Un
po’- ammise suo malgrado. Era da giorni che mangiava zuppe
bollenti e insipide
e l’avrebbe fatto anche quella sera, se non fosse arrivato
lui.
-Meglio,
perché ho preso un bel po’ di roba-
-Hai
cucinato tu?- chiese, stupita.
-No,
magari… ha fatto tutto mia madre, i miei hanno organizzato
alla Tana il solito
cenone con tutta la famiglia e io ne ho approfittato per sgraffignare
qualcosa-
Pansy
immaginò una mandria di persone dai capelli rossi strette in
una minuscola
cucina e lei seduta affianco a George, mentre Potter le passava una
bottiglia
di Burrobirra e la grassa Molly Weasley le serviva del pudding .
Certo,
l’idea di lei e Potter che mangiavano ad uno stesso tavolo le
fece un po’ schifo,
ma era certa che l’atmosfera di unione e affetto che era
presente in quella
famiglia le sarebbe piaciuta.
Scosse
il capo, non era da lei rimuginare su quelle cose! Era colpa della
febbre, in
condizioni normali non avrebbe mai pensato ad una cosa del genere;
diamine, lei
era Pansy Parkinson… non poteva avere quei pensieri,
perché…
-Devo
solo riscaldarle e poi potremo mangiare- l’avvisò
George.
Lei
annuì leggermente e l’osservò togliersi
l’impermeabile e il cappello. Indossava
un orribile maglione: verde smeraldo e con una G più scura
al centro; doveva
essere nuovo, non gliel’aveva mai visto indossare,
probabilmente il regalo
natalizio della madre.
-Perché
sei qui?-
Doveva
sapere: non poteva davvero aver rinunciato ad un Natale in famiglia per
trascorrere la serata con lei.
-Volevo
stare con te- ripose semplicemente, abbandonando per un attimo piatti e
posate
per fissarla negli occhi. E a quelle parole, le difese di Pansy
cominciarono a
crollare, perché si rese conto quanto esse fossero vere.
–E poi-
aggiunse. –Non sei mai voluta venire a
cena fuori con me, perciò adesso eccomi qui… te
l’ho portata direttamente a
casa-.
-Mi
stai costringendo a cenare con te- concluse lei, velenosa.
-Pansy,
dì la verità, dai! Se tu non avesse voluto la mia
compagnia, adesso sarei
ancora fuori dalla tua porta a bussare; invece mi hai fatto entrare in
meno di
due minuti. Sai cosa vuol dire questo?-
Forse
lo sapeva, ma non aveva il coraggio di ammetterlo nemmeno a
sé stessa.
-Ok,
ti ascolto, cosa vuol dire?-
-Che ho iniziato ad abbattere quel tuo
muro di indifferenza nei miei confronti-.
Pansy
si sforzò di ridere. –Questa è bella!
Stai per caso recuperando le cavolate che
non hai potuto dirmi in questi giorni?-
-Vieni
a cenare, dai-. Cambiò discorso lui.
Ok,
avrebbe fatto in questo modo: entro mezzora avrebbe dovuto trovare
almeno due
motivi validi, anzi validissimi, per cacciare George e tornare a
raggomitolarsi
sul divano in santa pace; se non le sarebbe venuto in mente
niente…beh, ci
avrebbe pensato su più tardi.
George
portò il cibo nel salotto e apparecchiò con
impegno il basso tavolino vicino al
divano.
-Et
voilà, miss Parkinson- scherzò lui, facendo un
pomposo gesto con la mano e un
piccolo inchino.
-Non
è che mi avveleni?-
-Oh,
no, Pansy…non sono mica una serpe io-
-Come ben sai, io
invece lo sono e tu, mio
caro, non sai quanto stai rischiando- lo avvertì, prendendo
da un piattino una
patatina e mangiandola. –Mmm, buona-.
-Sono
pronto a rischiare… ogni cosa, se mi farà
ottenere quello che voglio- rispose,
serio.
-Cos’è
che vuoi?- gli chiese, giocherellando con la forchetta per poi prendere
un
pezzo di pollo, tanto per fare qualcosa e non fare incrociare i loro
sguardi.
Primo
motivo: si
veste malissimo.
Ma
quella motivazione non reggeva e mentalmente la eliminò.
-Sarebbe
più corretto dire “chi”
voglio! E la
riposta la conosci già da te-.
Non
riesce a
rimare serio per più di due secondi.
Niente
da fare, le faceva schifo anche quel motivo.
Pansy
continuò a mangiare in silenzio, nonostante la fame fosse
sparita e lo stomaco si
fosse fatto pesante, nemmeno avesse ingoiato a forza delle pietre.
Riesce
a
mettermi sempre in difficoltà. E’ una sfida
continua, un incessante botta e
risposta senza vincitori.
-Perché
proprio me?- riuscì finalmente a mormorare.
-Amo
complicarmi la vita…e poi, boh, non lo so neanche io! Non
credo esista una
spiegazione giusta e razionale per queste cose: volontà
divina? Forse. Fato?
Probabile. Una stranissima congiunzione astrale? Potrebbe essere. Fatto
sta che
è successo e credo sia mia compito farti capire che non
è una cosa sbagliata-.
-Non
pensi che sarebbe difficile far funzionare le cose fra noi? Parkinson e
Weasley, Serpeverde e Grifondoro e così via! Potrei
continuare a lungo, George-
Lui
notò che l’aveva chiamato per nome e sorrise. Un
sorriso che, quasi per magia,
ebbe la forza di riscaldare Pansy dall’interno. Era una magia
che lei non aveva
mai provato, fino ad adesso.
Se avesse
chiuso gli occhi, ne era sicura, sarebbe riuscita a visualizzare quel
volto in
tutti i suoi particolari. E sicuramente le avrebbe fatto lo stesso
effetto.
-Forse
non te ne sei accorta, ma Hogwarts è finita da un bel pezzo
ormai. E anche la
guerra! Il mondo è andato avanti e dovresti farlo anche tu:
smettila di vivere
nel passato-
George
le si avvicinò e, piano, le prese il viso fra le mani,
fissando i propri occhi
nei suoi. –Ascolta, so perfettamente chi siamo e cosa abbiamo
fatto, conosco la
mia famiglia e posso immaginare la reazione della tua se mi presentassi
loro; ma
sinceramente in questo momento, in ogni momento che trascorro in tua
compagnia,
i giudizi degli altri non sono un problema per me-.
Pansy
si allontanò di scatto, come se quel contatto
l’avesse scottata; ma George non
si arrese -uno come lui non conosceva quel vocabolo- e di nuovo le
sfiorò il
viso.
-Non
funzionerà, tu non mi conosci realmente…-
-Credi
forse che io non lo sappia? Sei una delle persone più
complicate che conosca; e
lo so che per stare insieme a te, dovrò darti
e mai privarti. Ma io ci
voglio
credere, anzi io già ci credo! E tu?-
Senza
darle il tempo di rispondere, appellò un pacchetto e glielo
porse.
-Cos’è?-
si ritrovo a chiedergli, ancora spiazzata da quelle parole.
-Il
tuo regalo di Natale, facile-
-Io
mio regalo di Natale? Scherzi?-
George
scosse il capo. –Avanti, aprilo-
Pansy
cominciò a scartalo e quando capì cosa conteneva,
non riuscì a non scoppiare a
ridere. –Un maglione made in Weasley?-
-Già.
Ti piace?-
-E’
arancione!-
-Sì,
ma la P è nera- si difese George, unendosi alla sua risata.
–Beh, non lo
indossi?-
-Ma
sono
in pigiama!-
-Devi
soltanto provarlo, voglio vedere come questo bellissimo colore doni al
tuo
incarnato- controbatté, ripetendo le parole che tempo prima
gli aveva detto
lei.
Pansy
lo indossò di sopra alla maglia del pigiama e sapeva di
essere ridicola, ma per
una volta non se ne curava.
-Avevi
ragione, Pansy… l’arancione non ti dona-
–Molto
simpatico, eh! Ma io non ho pensato a
farti un reg…-
Non
riuscì a finire le frase, perché improvvisamente
sentì le labbra calde di
George sulle sue e pensò che, ormai, aveva infranto tutte le
regole che da
sempre si era imposta e che quindi poteva tranquillamente ricambiare il
bacio.
In
quel momento, ammise a sé stessa, aveva trovato almeno dieci
motivi per cui poter
crederci pure lei e nemmeno uno che
la convincesse che il suo comportamento fosse sbagliato.
Si
staccò leggermente, toccando la fronte di George con la sua
e parlandogli a
pochissimi centimetri dal viso. –Forse, posso cominciare a
credere in noi anch’io-
sussurrò.
-E’
questo il tuo regalo- rispose, per poi continuare a baciarla.
Qualche
tempo dopo…
-Amore,
mi hai
chiamato?-
La testa rossa
di George fece capolino nel retro del negozio
e lei
velocemente spense la radio,
facendo finta di
nulla.
-No, perché?-
domandò, innocentemente.
-Mi pareva di
averti sentito parlare…-
Pansy scosse il
capo, alzando le spalle e George le si avvicinò
per darle un bacio e
poi tonare nel negozio.
La ragazza
accese di nuovo la radio, abbassando ancora di più il volume
e cominciò ripetere quello
che diceva una voce maschile in una
lingua sconosciuta:
Gliel’avrebbe
fatto vedere lei a George come avrebbe imparato finalmente il
finlandese!
Ragazzeee,
eccomi qua :D e anche l’ultimo capitolo è
arrivato! E
io non posso non sperare che anche questo vi sia piaciuto. Vi ringrazio
tantissimo per le recensioni e per aver seguito questa piccola storia,
che dopo
due anni ha finalmente visto la luce del sole xD
Che ne pensate? Fa schifo o è stata una fine quanto meno
accettabile? Ero insicura se inserire la parte finale, l’ho
scritta,
modificata, cancellata e riscritta e allafine l’ho lasciata xD
Lettori silenziosi me lo dite il vostro parere almeno
all’ultimo
capitolo? Mi farebbe un enorme piacere :D
Alla prossima,
Greta.