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Autore: LenahSalvatore    06/05/2012    2 recensioni
Mi sentii una fuggiasca quale che ero, mi sentii strana, non sapevo se era benessere o malessere ma sapevo che non ero più come prima, in un solo giorno ero passata dalla dolce Elizabeth Anne Windsor Seconda alla cattiva Elizabeth Anne Windsor Seconda e adesso ero solo Elizabeth, non mi sentivo più appartenente a quel castello perché lo avevo abbandonato per la mia libertà.
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Camminavo tranquillamente per il lungo corridoio di casa mia, i miei famigliari, i miei antenati mi guardavano da quadri immensi appesi al muro e mi incutevano molto timore, i loro sguardi severi, la loro aria provocatoria e inquietante, i loro vestiti scuri e lo sfondo sempre scuro, dall’altra parte avevo le enormi finestre, mio unico legame con la vita al di fuori di quel castello, ebbene si, io ero una specie di principessa vera e propria, la mia famiglia erano gli Windsor e il mio nome era Elizabeth Anne Windsor Seconda, un nome lungo e complicato che neanche mi piaceva. La mia famiglia abitava da sempre in quel castello costruito in epoca romana, io era l’ultima generazione e purtroppo l’unica figlia di mia madre Clara e di mio padre Jebhediam, camminavo in quella casa senza mai uscire dall’Agosto 1659, dal giorno della mia nascita, ero una normale ragazza di buona famiglia di quegli anni e ormai ero in età da matrimonio, la mia unica sfortuna era di essere troppo cagionevole e per questo motivo non avevo mai visto il mondo al di fuori delle stanze enormi di casa mia. Mia madre mi aveva sempre detto che si vedeva che ero molto cagionevole, diceva sempre che il mio aspetto dimostrava la mia fragilità, i lunghi capelli boccolosi e biondi, di un biondo così chiaro da sembrare bianco, una volta un pittore lo aveva definito platino, gli occhi di un azzurro stranamente scuro e violaceo, la pelle candida quasi fosse marmo, le guance del solito colore candido della pelle, la struttura esile e la statura leggermente bassa per i miei diciassette anni, le labbra di un pallido rosa smunto, sembravo una bambola di porcellana che rischiava di rompersi al solo tocco. Mio padre cercava di recuperare le bellezze del mondo in quadri che faceva dipingere e poi mettere nella mia stanza e poi arrivava sempre a casa con un abito nuovo e di un tessuto pregiato, l’abito che indossavo in quel momento era un regalo molto recente, un vestito lungo e largo dalla gonna bianca-azzurra e il corpetto stretto e azzurro, i guanti corti azzurri e le scarpette azzurre, mio padre diceva che l’azzurro mi donava, quel giorno mentre camminavo lungo il corridoio e guardando fuori dalla finestra vidi dei ragazzi della mia età camminare vicini e parlare amabilmente. La tristezza mi assalì come un’ondata implacabile e volli solo correre fuori da quei ragazzi ben vestiti e dall’aria simpatica per conversare, farmi conoscere, una volta una serva aveva detto che in paese ero diventata una specie di leggenda, nessuno mi aveva mai visto e nessuno mai mi avrebbe visto, quadri dove ero il soggetto che nessuno vedeva perché erano chiusi in una stanza particolare e i visitatori non mi vedevano perché mia madre aveva paura di un contagio, la cosa ancora più triste era che tutta quella leggenda era la pura e semplice verità. Corsi velocemente nella mia camera e mi sedetti sul divanetto in fondo al mio letto, volevo immaginarmi come facevo sempre la mia vita al di fuori di quel tetro castello, ogni volta che la tristezza si impadroniva di me, cosa molto frequente, mi rinchiudevo in camera e immaginavo la mia vita attraverso i quadri, ne assaporavo la libertà che la mia illusione creava, assaporavo il piacere di ogni profumo e di ogni cosa sotto le mani e i piedi cercando un senso al perché io fossi esclusa da un mondo che era tanto bello. Quella volta mi stancai in fretta delle mie illusioni e andai nella stanza della musica, una stanza fatta da mio padre dove c’era un enorme pianoforte e divanetti per le persone che ascoltavano, io ero molto brava al pianoforte perché mia madre diceva che era una cosa che si addiceva alle signorine, avevo imparato perfettamente a suonare e sul leggio c’era già una delle mie canzoni preferite, la suonai osservando come le mie dita bianche correvano veloci sui tasti d’avorio e io mi lasciavo cullare dal dolce suono delle note che era così malinconico, esprimeva la mia pura essenza, solo e semplice malinconia. Mi ero sempre sentita male ma non per i malanni che a volte prendevo ma per la mia voglia di uscire, una voglia travolgente che mi penetrava nel cuore e mi faceva desiderare di poter uscire di nascosto o di convincere mia madre che io non ero poi così tanto cagionevole e che potevo benissimo uscire senza che mi ammalassi ma ogni mio tentativo era andato a vuoto, mentre pensavo ai miei tentativi sentii la porta aprirsi, immaginai mia madre che mi vedeva seduta al piano mentre suonavo trascinata dalle note, immaginai la sua espressione rasserenata e la mia sognante di un mondo incantato al di là delle porte della mia casa. Sentii la dolce melodia entrare nel profondo del mio cuore mentre le mio orecchie sentirono un suono nuovo, un suono che non avevo mai sentito, una voce che non avevo mai sentito nemmeno nei miei incubi peggiori, era la voce di mia madre che urlava adirata, mi girai bloccando le dita e guardai la porta alle mie spalle, non era mia madre ad essere entrata o meglio lei era dentro adesso ma la prima persona che era entrata era un ragazzo giovane di uno o due anni in più di me che mi osservava radioso: Mamma- Cosa ci fate voi qui giovane? Ragazzo- Mi scuso per la mia insolenza ma Sir Windsor mi ha fato entrare per un te e ho sentito questa splendida musica, non potevo non conoscerne la provenienza! Mamma- Il vostro nome? Ragazzo- Lorn Mansen! Mamma- Un Mansen bene, conosco vostra madre e statene certo che farò presente questa cosa! Mi sentii improvvisamente umiliata e imbarazzata, volevo esplodere e per una volta far uscire la mia rabbia, mi alzai di scatto sbattendo le dita sui tasti e provocando un suono orribile ma che attirò l’attenzione, il mio rossore era evidente, camminai leggermente in avanti fino a metà strada: Io- Mi scusi madre ma posso chiedervi cosa abbia fatto di male questo ragazzo? Mamma- Elizabeth come ti permetti figlia mia? Cosa ha fatto di male? Cosa? Io- Si madre, dopo tutto stava solo ascoltando la musica che suonavo, non è un crimine! Dal corridoio in lontananza sentii arrivare la voce di mio padre, sentii i passi veloci e poi vidi il suo volto osservare la stanza dalla porta, una faccia leggermente stranita ma anche felice: Mamma- Jebhediam questo tuo ospite è entrato in questa stanza mentre Elizabeth suonava! Papà- Cara non c’è niente di male, dopotutto ascoltare della buona musica non è un delitto! Mamma- Jebhediam ti prego di appoggiarmi! Il ragazzo camminò verso di me senza mai distogliere lo sguardo dai miei occhi, accorciò paurosamente i pochi metri a separarci, mi prese la mano sorridendo e inginocchiandosi la baciò, appena la sua mano prese la mia mi sentii stranamente, era un contatto che non avevo mai provato e poi quando le sue labbra toccarono la mia pelle arrossii ancora di più: Ragazzo- Mi scuso per l’irruenza, il mio nome è Lorn Mansen, è un piacere fare la vostra conoscenza! Io- Il piacere è mio Lorn, il mio nome è…….. Lorn- Elizabeth… Io-…….Anne Windsor Seconda!
  
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