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Autore: FaDiesis    06/05/2012    1 recensioni
Un vicolo cieco.
Un biglietto sbagliato.
Katie e Justin.
E il mondo reale.
Avete mai immaginato i nostri eroi catapultati nel nostro mondo? Alle prese con emozioni e sentimenti veri, coinvolti in impicci e avventure bizzarre?
Beh, io si.
Questo, è il risultato.
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{Storia classificata Prima al "Wrong Mail Contest" di Hidden Writer}
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Justin, Katie
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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-Bididibodibu! Salacadula, magicabula… bodibibù!
La risata di una bambina squillò allegra e libera nel salotto di una graziosa villetta a schiera.
Una donna riposava su una vecchia sedia a dondolo, che scricchiolava fastidiosamente. Sorrise, e abbassò la rivista che stava sfogliando.
La bambina fece una giravolta, gonfiando il suo vestito azzurro da fatina e agitando qua e là un bastoncino bianco con attaccati ad una estremità una stellina e dei fili argento.
Si fermò, barcollando un momento e corrucciando appena le sopracciglia scure. Tuttavia il suo visino roseo e paffuto si distese subito in un ampio sorriso. 
Saltellò allegra e posò le manine carnose sul grembo della donna.
-Zia, zia! Tu credi nella magia?- chiese, con gli occhi che le luccicavano.
La donna sorrise ancora, prendendo in braccio la bimba.
-Se ci credo?-rispose, con uno sguardo enigmatico. –Ma certo!
-Davvero?!- esclamò la nipotina felice.
La zia annuì. –Sicuro. Ascolta, ti racconto una storia…
 
C’era una volta, tanto tempo fa, una ragazza piena di sogni.
Sognava una vita felice, sognava avventure, sognava un bel principe azzurro e tanti bambini.
Era contenta, ma giovane e inesperta. Tanto curiosa e un filino troppo superficiale.
Aveva un’amica del cuore, con cui condivideva tutto e da cui non si staccava un attimo. Erano amiche fin dall’infanzia e si somigliavano tantissimo. La maggior parte delle peripezie che avevano passato le avevano vissute assieme e quello che faceva una faceva anche l’altra.
Non si stancavano mai di stare insieme ed erano pochi i momenti in cui si separavano.
 
-Zia? Quando arriva la magia? Mi annoio!- la bambina sbuffò infastidita, agitando le gambine a ritmo.
La donna rise, e diede un buffetto sulla guancia della nipote.
 
E fu proprio in uno di quegli attimi che la ragazza visse il più memorabile degli imprevisti.
Ma diamole un nome: Katie.
Una tarda mattinata di una domenica come tante, si alzò sbadigliando e scese in cucina seguendo l’odore intenso di caffè e di pancake appena sfornati.
Tutto si svolgeva nella normalità –mandò il suo messaggino di buongiorno alla sua amica, il giardiniere potava le siepi e il suo cane abbaiava al postino- insomma, tutto come d’abitudine.
Finché la madre non le chiese di andare a controllare la posta.
 
-La posta?! Che c’è di magico nella posta?!- chiese turbata la piccola. –E poi perché l’hai chiamata come…
-Shh! –la interruppe la zia- Ascolta, non interrompere e lasciami continuare…
 
Katie uscì sbuffando dal portone di casa e si diresse verso la fine del vialetto, ove si trovava la cassetta della posta verde.
Infilò un mano dentro la scatoletta squadrata e prese tutte le buste che c’erano.
-Uff, bolletta… -borbottò mentre le sfogliava- … pubblicità… pubblicità… ancora bollette e … uhm? E questo cos’è?
La ragazza si arrestò, osservando curiosa un cartoncino blu che aveva in mano.
Si ripiegava in due, come un biglietto d’auguri ed aveva un lieve riflesso platinato.
Senza badare all’altra posta che le era caduta e alla madre che l’aspettava in casa, Katie aprì il cartoncino blu.
Subito la sua fine bocca andò a formare un ovale, dallo stupore. In eleganti caratteri bianchi, era marcata una poesia.
Katie la lesse tutta d’un fiato.
  
 

Cercami, trovami,
Oltre il mare, dopo le stelle.
Cercami, trovami,
Segui la mia splendente pelle.
Cercami, trovami,
Se raggiungermi vuoi realmente
Segui la mappa attentamente.
Io sono lì, ti attendo.
Cosa aspetti? Il tempo sta scadendo!
Cercami, trovami…
T.E.B.
  

 
 
La ragazza emise un urletto eccitato e rientrò in casa quasi correndo, dimentica delle bollette abbandonate per terra.
Doveva assolutamente chiamare la sua amica!
-Sadie? Sì, certo che sono io!-disse nel piccolo altoparlante del suo telefonino rosa confetto- Oh, che carina che sei! No, io sono più contenta di sentirti!
Era inutile, ogni volta che si parlavano, le due amiche non potevano fare a meno di farsi i complimenti a vicenda…Si volevano troppo bene!
Dopo un paio d’ore al telefono, erano giunte alla conclusione che Katie aveva un ammiratore segreto. Ed esso, era Trent. Il loro adorato Trent.
Un ragazzo della loro età circa, poco più grande, ed era un musicista. Un chitarrista e cantautore, per essere precisi. Le due amiche ne erano cotte a puntino.  
A loro parere c’erano motivazioni più che valide per arrivare a quella conclusione.
La T doveva essere sicuramente la T di Trent, ne erano certe. Mentre per la E pensavano fosse un secondo nome, tipo Edward o Edgar e la B certamente il cognome di cui non erano a conoscenza, quindi perfettamente plausibile.
Inoltre lo stile così musicale… come non pensare a lui!
Katie, senza attaccare, prese la giacca e uscì, diretta verso casa della sua Grande Amica Per La Vita.
-No, no! Ti ho detto che tu sei più gentile, Sadie! –stava esclamando, quando all’improvviso si bloccò. –Sadie? Ti richiamo. Sì, ti voglio tanto bene anch’io.- chiuse la chiamata.
Si guardò intorno spaesata. Si era appena accorta che, tra le chiacchiere con la sua amica, si era persa. 
Non riconosceva quello strano palazzo azzurro tra tanti bianchi, neanche la pescheria all’angolo o il grande salice in mezzo ad un parco che, ovviamente, non aveva mai visto.
Sconsolata fece per posare il cellulare in tasca dei suoi pantaloncini jeans, ma la sua mano toccò qualcosa di ruvido.
Con meraviglia tirò fuori il cartoncino blu e si diede una manata in fronte: se l’era già dimenticato!
Lo rilesse ancora una volta e un’idea folle le passò per la mente.
Doveva seguire la poesia, il messaggio! , si disse, è destino! Sennò perché mi sarei persa, no?! E’ così ovvio!
Segui la mia splendente pelle, diceva il quarto verso.
Con lo sguardo attento si guardò ancora una volta intorno, decisa a non mollare.
Però, non vedeva nulla di particolare. Le persone camminavano svelte per il viale, entravano e uscivano dai negozi, parlavano animatamente con altra gente. Le fronde degli alberi oscillavano sotto il vento, i bambini giocavano e si rincorrevano e un gruppo di gatti vagava attorno alla pescheria, in attesa di qualche scarto di pesce.
Niente di strano.
Si incamminò, sia mai trovava qualcosa in seguito.
Passò davanti alla gioielleria, ammirando due bracciali di Swarovski identici, solo di diversi colori. Pensando a quanto sarebbero stati bene a lei e Sadie, riprese a camminare.
Potrebbero essere i nostri bracciali dell’Amicizia!, meditava, mentre l’odore pungente di pesce fresco le arrivò al naso. 
Si girò infastidita, ma subito sgranò gli occhi stupita.
L’aveva appena scorto! Aveva appena visto il luccichio che cercava! Doveva per forza essere la pelle splendente del biglietto di Trent!
Non si sarebbe mai immaginata che il luogo dell’appuntamento potesse essere una pescheria, ma si mise a correre per raggiungere l’interno del negozio, dove aveva visto brillare qualcosa.
Fece lo slalom tra le persone piene di sacchetti, cercando di non inciampare. Purtroppo, la sua attenzione non servì: andò a sbattere contro un banchetto e cadde rovinosamente, trascinandosi dietro tutte le orate e le trote esposte sopra di esso.
-Scusate, scusate!- esclamò dispiaciuta rialzandosi.
Il pescivendolo che stava al banco per servire i clienti la guardò male, bloccando in aria il coltello con cui stava affettando un roseo salmone.
E Katie si rese conto del grossissimo errore che aveva appena fatto.
Il luccichio non era altro che il coltello.
Con un sospiro maledisse la sua avventatezza e anche quel maledetto pesce, che le aveva intriso di puzza i vestiti.
Uscì a testa bassa, ancora imbarazzata dall’incidente. Quando raggiunse la strada principale da dove veniva, si accorse di un miagolio insistente che la seguiva da parecchio.
Si girò e vide tre micetti che le trotterellavano intorno, evidentemente attirati dall’odore di pesce.
-Oh, che dolci!- esclamò, abbassandosi per dargli qualche carezza.  
Lì coccolò un po’, poi si rialzò per cercare di ritrovare la strada per casa di Sadie, e magari anche un indizio del biglietto.
Fatto qualche passo, si sentì seguita e si girò guardinga… I gattini erano ancora là! Camminò più svelta, ma quelli non si decidevano a mollarla. Tutta colpa del cattivo odore dei suoi vestiti!, esclamò tra sé e sé.
Vedendo che i gatti non desistevano a seguirla si mise a correre. Passò davanti alla macelleria, alla lavanderia e perfino ad un concorso di cani.
Brutta mossa.
Quando si fermò a prendere fiato e i mici le furono più vicini, irrimediabilmenteattirò l’attenzione di un pastore tedesco.
Il cane abbaiò, lei alzò la testa stupita e urlò, rimettendosi a correre.
Una ragazza inseguita da tre gatti a loro volta rincorsi da un cagnone… la scena poteva essere piuttosto comica per chiunque la vedesse, ma non per lei, che la stava vivendo.
Aveva piuttosto paura, soprattutto per quel bestione a quattro zampe là in fondo… corse, corse e corse.
Finché, sfinita, si ritrovò in un vicolo cieco.
Ingenuamente raggiunse il fondo, trovandosi quasi spalla-spalla con il muro. Si girò indietro nervosa, vide il cane che si avvicinava sempre più minaccioso e arretrò ancora di più.
Avvertì un contatto morbido sulla schiena e si voltò sorpresa verso la parete di cemento. Le sembrava più… soffice… possibile? Allungò un dito ed emise un urletto spaventato.
Il muro le stava inghiottendo la mano.
All’improvviso il cane le sembrava molto più mansueto.
Cercò di ribellarsi ma più si muoveva, più una misteriosa forza la inghiottiva. Oramai la faccia sfiorava la superfice ruvida e con un ultimo gemito si arrese alla potenza di quel fenomeno.
Sentì un blocco allo stomaco e un suono strano, simile ad un risucchio.
Vide tutto grigio e provò un grande dolore alla spalla.
Dischiuse a fatica gli occhi e notò di essere caduta a terra.
Fece per passarsi una mano sul viso ma, tremante, si bloccò a mezz’aria.
Sgranando gli occhi, trattenne il fiato, emozionata.
 
Justin sollevò lo specchio, ammirandosi compiaciuto.
-Specchio Specchio delle mie brame, chi è il più bel modello del reame? – domandò con una risatina soddisfatta. –Ma sì, ovvio che sono io!
Si trovava nell’ufficio del suo capo, il direttore della più nota rivista di moda del Canada.
-Andiamo, finiscila di fare l’egocentrico e confermami che sei riuscito a fare quella cosa! –proruppe questo, una donna asiatica di bell’aspetto ma stressata dai tanti impegni. Erano… diciamo, amici di vecchia data. Erano stati ingaggiati per lo stesso reality show, qualche tempo addietro.
-Certo, per chi mi prendi?- sbottò con aria piccata.
Almeno spero…, pensava intanto.
La cosa a cui alludeva il Capo e che sembrava tanto urgente dal suo tono di voce, era in realtà la consegna di un biglietto.
Come ogni rivista che si rispetti,  anche la sua aveva una rivale più “accanita”, che la ostacolava in tutto. E proprio la scorsa settimana, questa aveva pubblicato un articolo in cui tutte le capacità e i pregi di Justin venivano sottostimati e disprezzati. Ma la cosa che più dava fastidio al giornale del modello era la frase che avevano piazzato in copertina.
“Si parla tanto di una persona, di quanto è bella e famosa, di quanto la gente la idolatri e la ammiri per la sua bravura… Alla fine, è tutto fumo e niente arrosto. Perché Justin, il super modello del momento, se è tanto gentile e simpatico come dicono, è  ancora eternamente single? Perché sono mesi che non ha una fidanzata?”
Questo aveva fatto particolarmente arrabbiare Justin e il Capo. Per rimediare, avevano ingaggiato il primo poeta trovato e avevano spedito un biglietto intrigante e sdolcinato –di quelli che piacciono alle ragazze- a Courtney, un’altra concorrente di quel reality, con la speranza che gli cadesse ai piedi.
Non che Courtney le interessasse più di tanto, le serviva piuttosto per riconquistarsi la fama.
Justin sospirò, c’era solo da sperare che il piano funzionasse o la sua reputazione sarebbe andata in frantumi.
-E allora? E’ arrivato il biglietto? –chiese Heather, fissandolo scettica con quei suoi occhi a mandorla.
-Non lo so! Ci vuole del tempo, no?- ribatté lui, riprendendo il suo specchio per un’ultima controllatina. –Io vado… ho un appuntamento con l’estetista. A domani!
Heather mugugnò qualcosa come “Inutile scansafatiche” e non lo guardò uscire, continuando a fissare ininterrottamente il monitor del suo computer.
 
Katie non credeva ai suoi occhi!
Le sue mani, le sue braccia, il viso, tutto il suo corpo era… era più… morbido. E rotondeggiante.
Vedeva lo spessore, le lieve rughette delle dita e le pellicine delle unghie.
Alzava il braccio e si stupiva di quanto fosse più pesante, allargava le mani e si stupiva di quanto fossero  più delineate, si portava un dito davanti gli occhi e si stupiva di quanto la punta fosse tonda.
La sua bocca era spalancata dalla sorpresa e non faceva che emettere involontariamente versi di timore misti a stupore. Si alzò piano e le sue gambe tremolarono, incerte. Fece qualche passo, riuscendo a trovare l’equilibrio giusto.
Si guardò i piedi, strofinò le dita tra loro e le scappò una risatina. Era così strano vedere quei piccoli salsicciotti flettersi pigramente!
Arrivò alla fine del vicolo cieco da dove era sbucata, osservando la strada.
Come il suo corpo, anche le auto e i palazzi sembravano avere più consistenza.
Mentre passeggiava sul marciapiede con la testa alzata per guardarsi in giro, non si accorse di essere andata a sbattere contro un passante.
-Ehi, stai più attenta ragazzina! –sbraitò questo, spintonandola.
-Mi scusi! Ma…ecco, io non so dove andare! Mi sa indicare la str… wow!- ne approfittò per chiedere informazioni, ma non resistette e si lasciò sfuggire un esclamazione. Gli occhi di quel tipo l’avevano lasciata a bocca aperta. Erano verdi, ma non come quelli di Trent, erano più intensi. E riusciva a scorgere delle piccole pagliuzze castane attorno all’iride scura e un contorno giallognolo intorno alla pupilla.
Il signore la guardò storto e se ne andò irritato.
Katie corse fino alla vetrina del negozio più vicino, curiosa di osservare anche i suoi occhi. Erano esattamente come quelli del passante: intensi, neri sfumati e sbrilluccicanti.
Sorrise, non sapeva dove si trovava e come ci era finita, ma decisamente quel posto le piaceva.
Anche se… anche se aveva una fame pazzesca.
Con la pancia che brontolava riprese a passeggiare, osservando le vetrine, curiosa. Tutt’ad un tratto si bloccò e appiccicò  le sue mani al vetro di un negozio di televisori. Uno di essi in particolare aveva catturato la sua attenzione.   
La nostalgia tornò improvvisamente a farle visita: aveva appena visto il suo mondo alla TV. C’era “A Caccia di Celebrità”, il  programma di gossip di Blaineley e Josh. Il caso volle che i due presentatori stessero parlando proprio di lei e Sadie. Blaineley disse qualcosa che Katie non riuscì a sentire, essendo fuori il negozio, e passarono le immagini di una figura incappucciata che stava uscendo da un palazzo azzurro.
La ragazza riconobbe l’edificio e, nonostante l’impermeabile, anche la persona.
Era Justin! I capelli erano inconfondibili! Lo guardò camminare svelto lungo il viale e un’idea folle le venne in mente.
Non sapeva se avrebbe funzionato, ma sapeva che Justin si trovava vicino al vicolo cieco che l’aveva portata lì inizialmente.
Prese il cellulare, compose il messaggio e incrociò le dita.
 
La tasca dei pantaloni di Justin vibrò e con disinvoltura lui tirò fuori il suo cellulare ultramoderno, sbloccò lo schermo e lesse il messaggio appena arrivato.
Strano, Katie… , pensò vedendo il mittente. Era da parecchio tempo che non la sentiva.
“Justin, aiutami! Fai ancora circa tre metri e infilati nel primo vicolo cieco! Tocca il muro, lasciati trasportare… aiutami, per favore!”, diceva il messaggio.
“Lasciati trasportare”, cosa significa? , si chiese perplesso.
Nonostante non avesse la più pallida idea di cosa il messaggio volesse dire, la curiosità lo spinse due strade più in là, di fronte al vicolo cieco.
Con lenti passi si introdusse nel vicolo, guardandosi cautamente in giro.
A parte un fastidioso odore di pesce e dei cartoni malconci buttati a terra non notava niente di particolare.
Toccò una parete ma l’unica cosa che ottenne fu quella di sporcarsi le sue mani fresche fresche di manicure.
Sbuffò, sempre il solito scherzo idiota!
Fece per andarsene, quando uno specchio storto appeso sul muro che chiudeva la via attirò la sua attenzione.
Come le falene sono attratte dalla luce, così gli specchi attraevano Justin.
Si precipitò ad ammirarsi, tutto felice.
-Certo che sono proprio esagerato… Sono stupendo anche alla cupa ombra di un vicolo cieco e con tutti i capelli scompigliati! –commentò, ammirato da tanta bellezza. –Mi danno un’aria da affascinante tenebroso!
Dei miagolii lo distrassero dai suoi pensieri. Abbassò il capo e sentì tre micetti che strusciavano contro la sua gamba.
-Argh! Andatevene, brutte bestiacce!- esclamò, spaventato dalla possibilità di riempirsi di pelo i suoi pantaloni di seta color cachi. –Shò shò!
Ma le urla di Justin servirono solo a peggiorare la situazione. I gattini miagolarono più forte, Justin fece un salto all’indietro a andò a sbattere contro il muro.
E fu allora, che venne risucchiato dalla strana parete di cemento molle.
 
La campanella della porta del negozio di elettronica tintinnò mentre Katie entrava.
Cercò di orientarsi al meglio tra tutti quegli aggeggi elettronici e finalmente trovò quel vecchio televisore dove stavano trasmettendo “A Caccia di Celebrità”. Si infilò con difficoltà tra la vetrina e i prodotti esposti, facendo cadere un paio di telecomandi e scollegando alcuni cavi.
Davanti allo schermo si accigliò notando che ora Blanleley e Josh stavano straparlando di un film appena uscito al cinema. Bussò ripetutamente, convinta che di sicuro qualcosa sarebbe successo. “Ehi! Voglio tornare a casa!” , urlava, continuando a battere sul vetro, più forte.
Disperata, colpì il televisore con la proprio testa, come se fosse un ariete.
A quel punto, un addetto le si avvicinò e le intimò di smetterla, che stava facendo troppo rumore e che avrebbe danneggiato la TV.
-No! Voglio entrarci dentro! Voglio tornare a casa! Da Sadie! –urlava lei, sperando che lo schermo si ammorbidisse e che la risucchiasse. –Sadie…
-Adesso basta! –esclamò il commesso esasperato, bloccando Katie che stava per ributtarsi sul televisore. –Chiamo la polizia!
Dopo alcuni minuti la porta si spalancò violentemente e la ragazza scoppiò in lacrime.
Due agenti vestiti di blu la immobilizzarono, ammanettandola con la forza.
-No! Non voglio essere arrestata! Voglio tornare a casa! Nel mio mondo! –urlava lei, con gli occhi arrossati.
Di peso la sollevarono e la sistemarono sul sedile posteriore e la macchina partì a sirene spiegate.
Un ragazzo dalla pelle scura e gli occhi azzurri camminava lentamente sul grande viale alberato, soffermandosi ad osservare ogni piccolo particolare.
Si era svegliato frastornato in quel vicolo cieco, con i pantaloni sporchi e un fastidioso senso di dolore ad un braccio.
Stranamente, il male non era ancora andato via.
Era incantato dalla morbidezza della sua pelle, da quei piccoli peletti che non si erano mai visti sulle sue braccia, dal modo in cui i suoi capelli frusciavano al vento senza restare fermi nella solita massa nera.
Non se lo sapeva spiegare, ma in un qualche modo era riuscito a diventare ancora più bello.
Stava guardando con attenzione le foglie autunnali che cadevano oscillando dagli alberi, quando all’improvviso sentì un rumore che lo fece sussultare.
-Un… una sirena della polizia?!-mormorò.
E come a confermare la sua incertezza, una volante blu con le scritte bianche sopra gli passò ululando davanti.
Justin spalancò gli occhi. Gli era appena sembrato di vedere una persona che piangeva dal finestrino, una persona che conosceva molto bene.
-Katie!-urlò, cominciando a correre. Non le interessava salvarla o cose simili, lui voleva sapere. Sapere come era finito lì, sapere perché, sapere come tornare.
Correndo, inciampò e ruzzolò a terra. Si alzò dolorante e tirò su il pantalone color cachi, per controllare se si era ferito.
Con suo grande sconforto notò una bella botta  piena di graffi sanguinanti sul ginocchio destro. E si erano pure rovinati i pantaloni!
Disperato si infilò all’interno del negozio più vicino per chiedere informazioni sulla posizione del carcere, ormai aveva perso la macchina della polizia.
Dopo aver scoperto che si trovava a poca distanza, si rimise a correre, seppur zoppicando e lamentandosi dal dolore.
Arrivò col fiatone, stremato –insomma, non era abituato a grandi sforzi, lui!-  e chiese, ansimando, di poter vedere Katie.
-Chi?-chiese con espressione vacua il carceriere all’ingresso.
-Katie… una ragazzina più meno alta così –fece un segno con la mano, a indicare la sua altezza- con i codini neri, vestita di rosa e… e che urla sempre.
-Ah, quella! –esclamò il tizio illuminandosi. –Venga, le possiamo dare solamente dieci minuti, però, gli orari di visita stanno terminando.
Lo condusse lungo un grigio corridoio dove le celle buie risiedevano tristemente.
Si fermò davanti una di esse, non diversa dalle altre.
-Bene. Questa è la cella, le può parlare da qui fuori.
Justin farfugliò un “Gr-grazie” e titubante sporse il viso attraverso le sbarre.
Subito rischiò di ricevere un pugno e risatine sghignazzanti provennero da dentro la cella. Justin urlò spaventato, facendo un salto all’indietro.
Altre risa. Ma… ma Justin era sicuro di aver inteso un singhiozzo disperato, tra tutta quella falsa ilarità.
-Katie!- esclamò.- Sei tu?
Sentì un sussulto, dei leggeri passi e il viso familiare della ragazza spuntare tra le sbarre.
-Iiiih! –strepitò lei- Justin, mi hai trovata! Grazie, grazie! Portami a casa!
-Ehm, calma… stai tranquilla.- rispose lui, notando le occhiatacce delle muscolose compagne di cella di Katie.
-Justin, voglio tornare a casa! Portami via!- continuò invece ad urlare lei, stringendo le sbarre della cella.
-Si… cercherò di riportarti a casa, ma prima… voglio sapere dove siamo!- contrattò Justin.
Katie emise un singhiozzo strozzato. –Non lo so… qui è tutto così strano… Prima mi sembrava bello, ma ora mi sono resa conto che è troppo diverso da noi!
-Come sei arrivata qui?
-Ho ricevuto un biglietto con una poesia che diceva di cercare l’autore, e io… io ho c-cercato di seguirla, ma sono solo riuscita a cacciarmi nei guai! Poi… poi ti ho visto alla TV e ho provato a contattarti, però così siamo intrappolati qui entrambi! Sono una stupida…
Justin si irrigidì, spalancando la bocca.
Non mi dire che…
-Katie, dammi subito quel biglietto! –strepitò. La ragazza lo guardò confusa, consegnandoli poi la poesia.
-Puoi anche buttarlo… è tutta colpa sua se siamo finiti qua!- esclamò lei, quasi disgustata dal foglio.
Il ragazzo non le diede retta e le strappò il cartoncino blu dalle mani, che tremarono alla vista dei caratteri bianchi.
-Oh, no! –si disperò, infilandosi le mani tra i capelli. –Non ci credo…
-Justin? Che dici?- chiese Katie disorientata dalla scoraggiamento del ragazzo. -E perché siamo diversi? Di cosa… cosa siamo fatti, qui?
Altre risate si scatenarono dalle bocche delle carcerate compagne di stanza, seguite da un “Di cosa vuoi che siamo fatte, bambolina? Di carta? Carne e ossa, bella! In effetti tu sembri proprio un cartone animato!” particolarmente malizioso, che suscitò ancora più divertimento.
Gli occhi neri di Katie si inumidirono ancora e poco ci mancava poco che scoppiasse nuovamente in singhiozzi, fortunatamente bloccata da Justin che le sussurrò in un orecchio: “Vedrai, riusciremo a tornare a casa. Te lo prometto”, con il suo solito fascino.
Katie emise un lungo sospiro e cercò di sorridere.
Justin all’improvviso si ricordò un vecchio film di spionaggio e con voce decisa e una smorfia sghemba affermò:-Ho un piano.
 
 
Carcere di Toronto.
Mezzanotte.
Cella numero 414.
 
Rannicchiata nella sua cuccetta, Katie aspettava il segno.
Rabbrividiva, dal freddo e anche un po’ dallo spavento, le sue compagne non facevano altro che sghignazzare e giocare a poker con assurde penitenze dolorose al posto delle fiches.
Si premette il cuscino sulle orecchie, per soffocare quelle risate, che la facevano sentire un’estranea in un mondo di persone diverse da lei.
Passarono alcune ore, e finalmente la ragazza sentì russare, segno che le compagne erano crollate nel sonno.
Katie si alzò silenziosamente, in punta dei piedi, sedendosi su uno sgabello a fianco della finestra.
Osservò le ragazze stese sui propri letti,  a guardarle sembravano quasi innocenti… Subito l’ennesima ondata di malinconia si fece sentire, ricordandole i bei pigiama party fatti insieme a Sadie e altre lacrime affiorarono lentamente.
Un ticchettio alle sbarre della piccola finestrella la fece sussultare.
Si voltò spaventata e quasi non urlò dalla paura. Cos’era quel luccichio stranamente allungato?
Un… un coltello!,realizzò Katie atterrita.
-Katie!- la ragazza bloccò l’urlo in arrivo appena sentì il suo nome.- Hey, ci sei?
-Justin, sei tu?- sussurrò, con il timore di svegliare le altre.
-Certo! Chi vuoi che sia?!- rispose scorbutico Justin, riuscendo ad affacciarsi dalla finestrella. –Te l’avevo detto che sarei venuto, no? E ho perfino il piano pronto.
-Oh, grazie Justin! Ti prego, fammi uscire di qui! –esclamò Katie, congiungendo le mani al petto.
Il ragazzo non rispose, ma schiacciò un pulsantino e con uno schiocco la lama ruotò, come una mini-sega. Justin la avvicinò alle sbarre e solo sfiorandole esse si divisero in due, senza il minimo rumore.
-Oh, dove hai trovato quel coso?- chiese Katie, un po’ ammirata, un po’ spaventata.
-L’ho accuratamente preso in prestito ad un tizio grosso e pieno di piercing. –si vantò lui, buttando dietro sé, al di fuori della finestra, quello che restava delle sbarre. –Ora vieni, dammi la mano, dobbiamo fuggire di qui…
Katie si alzò in piedi sulla sedia e allungò le braccia, prontamente afferrate da quelle muscolose del ragazzo. Justin cercò di tirarla su e, seppur con qualche sforzo, ce la fece.
-Stai attenta adesso, devi passare attraverso la finestra….- disse, issandola sul piccolo davanzale.- E potresti anche scivolare e in quel caso non riuscirei proprio a prendert… ooh, …oh, aaah!
Detto fatto.
Katie mise un piede nel posto sbagliato e boom, cadde addosso a Justin, che a sua volta fece crollare gli scatoloni su cui era salito per arrivare alla finestrella, provocando un gran rumore.
L’allarme si attivò automaticamente, e fu il caos.
Milioni di voci sovrapposte urlarono e guardie da tutte le parti cercavano di tener a bada i prigionieri.
Mentre le luci delle torce si avvicinavano pericolosamente ai due fuggitivi, altre di lampioni si accesero improvvisamente, provocando un rapido dolore agli occhi ad entrambi.
Si alzarono velocemente e, meglio che poterono, si misero di nuovo a correre.
Non riuscivano ad andare ancora avanti, Justin aveva ancora il ginocchio insanguinato e Katie aveva avuto una giornata pesante, così si fermarono e il ragazzo prese una decisione inaspettata, senza pensare.
Afferrò Katie per un braccio e saltò su una macchina, buttando fuori il conducente.
-Justin!- urlò Katie, prolungando la I, mentre il ragazzo smanettava i comandi.- Che fai?! Aiuto!
Delle guardie li avvistarono e li puntarono con le torce. Katie continuava a dimenarsi sul sedile, impedendo a Justin di compiere una manovra esatta,  lui nella confusione si distrasse, pigiò sulla retromarcia e con una sonora sgommata prese ad andare all’indietro.
Urlarono tutti e due, spaventati, la velocità cresceva e Justin stava perdendo il controllo dell’auto.
La vista di un albero dietro di loro lo svegliò un poco e fece appena in tempo a frenare bruscamente, per poi ripartire a tutto gas nella direzione giusta.
Il rombo del motore faceva intuire a Katie che la macchina era potente, molto potente, lo poteva comprendere anche dai parecchi chilometri che avevano percorso in così pochi minuti.
Justin svoltò l’angolo e accostò cautamente, scrutandosi guardingo intorno.
-Dovremmo averli superati…- mormorò, mentre stancamente si appoggiava al sedile.
Katie sospirò. –Accipicchia, Justin, mi hai salvato…- disse con gratitudine.- Non ti facevo così intraprendente!
-Solo perché sono così stupendamente bello non vuol dire che sono stupido.- sogghignò lui, ripensando al momento in cui era stato ingiustamente squalificato dalla seconda stagione di quel reality, classificandosi settimo, nonostante era nettamente uno dei più furbi.
Rimasero qualche minuto in silenzio, ragionando su quanto era appena accaduto.
Justin inspirò profondamente, scese dall’auto e raggiunse la portiera di Katie. La aprì e le porse la mano, aiutandola a smontare. Lei lo guardò interrogativa.
-Dobbiamo lasciare la macchina, avranno preso il numero della targa.- spiegò il ragazzo, mentre sfregava con i piedi la scia di catrame lasciata dal serbatoio bucato durante la corsa, per cautela.
-E ora? Cosa facciamo?- chiese Katie, preoccupata. –Dobbiamo cercare quel vicolo cieco, Justin, è strettamente necessario per tornare a casa.
Justin corrugò le sopracciglia, impensierito, ma subito la sua bocca si distese in uno dei suoi sorrisi più affascinanti.
-Beh, corriamo.
Katie sgranò gli occhi, stupefatta. –Come?
-Dobbiamo trovare quel maledetto vicolo cieco, no? E le guardie ci stanno dietro. E’ vero, il mio ginocchio duole ancora, ma al momento è l’unica cosa da fare che mi viene in mente.
La ragazza sorrise commossa, non aveva mai conosciuto quell’aspetto diverso di Justin.
Annuì, decisa.
Justin le afferrò la mano, e incominciarono a correre più forte che potevano.
Avevano una meta da raggiungere.
 
La donna smise di far oscillare la sedia a dondolo.
Sospirò leggermente.
-Ora a letto, cara, è tardi e mamma Sadie sta per tornare dal lavoro!
La bambina spalancò gli occhi. –Ma… zia Katie! Devi finire la storia!
-La finiremo domani, se ti comporterai bene. –disse Katie, dirigendosi verso la cameretta della bimba, con la piccola attaccata al collo.
-Io voglio sapere come finisce, zia! Mi devi svelare ancora un sacco di cose! Perché hai chiamato come te la protagonista? E lo trovano il vicolo cieco? Tornano a casa?
-Domani!- ordinò la donna, ma un sorriso le sfuggì all’espressione severa.
-Ma zia…- si lamentò la piccina mentre la zia le rimboccava le coperte. Sbadigliò, gli occhi le si chiudevano, ma non ne voleva sapere di dormire .-Io voglio… la storia… magia… awwhn!
-Shh… dormi, ora…- sussurrò Katie, guardando teneramente la bimba che si stringeva al suo orsacchiotto di peluche.
 
-Eeeh Stop! Basta, per oggi siamo a posto! –urlò Chris dalla sua sedia da regista, con un megafono in mano. –La prima parte di “C’era una volta…”, l’episodio speciale di A Tutto Reality, è stata girata con successo! Si ringraziano gli attori e Justin per il suo inaspettato apporto artistico per la sceneggiatura e blablabla… Addio! Io vado a farmi una sauna nella mia roulotte privata! A domani, per il gran finale!
L’uomo si alzò, e con indifferenza si diresse verso una roulotte accampata pochi metri più il là del set.
La bambina nel letto sulla scena si alzò veloce e se andò allegra a giocare.
La donna, invece, si sedette sul letto con un sospiro malinconico.
Alzò gli occhi e incontrarono subito il viso di Justin, che di rimando le fece l’occhiolino, guardandola intensamente.
Katie gli regalò un enorme sorriso pieno di sottintesi.

 

Note di Esis

Buonasera!
Ed eccola qua, la storia che ha vinto il "Wrong Mail Contest" di Hidden Writer (a proposito, lo ringrazio per avermi detto come inserire i suoi banner-premio lì sopra! ^^) !
Ancora non ci credo.
E' stato difficile relazionare Katie e Justin, essendomi stati assegnati a caso, e non sapevo proprio cosa fargli fare. Alla fine, ho dovuto inventarmi qualcosa e... beh, ha funzionato!
Ho ancora i crampi alla faccia e la voce roca per aver troppo sorriso e troppo urlato... :D
Spero che sia piaciuta anche a voi... fatemi sapere! :)

Esis
   
 
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