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Autore: Elos    06/05/2012    9 recensioni
“Potremmo andare anche noi. Sappiamo dove sono andati, possiamo seguirl...”
“No.”
Draco parve sorpreso dalla brusca interruzione:
“Cosa...? Perché?”
“Perché no. Neville ci ha dato degli ordini e noi li eseguiremo.”
L'espressione di Draco passò dallo stupore all'irritazione e dall'irritazione al disprezzo. Le sue labbra sottili diventarono fini come un filo mentre lui le torceva in un atteggiamento che Hermione ricordava dai tempi della scuola:
“Perché tu e i tuoi piccoli amici siete sempre stati così bravi nell'eseguire gli ordini, non è vero? Tu e San Potter e...”
“Esattamente,” lo interruppe Hermione prima che potessero arrivare altri nomi ad aprirle una voragine di nulla nel cuore. “E guarda dove ci ha portati questo.”
Scese il silenzio. [...]

Harry Potter è morto, lunga vita a Voldemort.
I Mangiamorte hanno il controllo dell'Inghilterra, e tutto quel che resta dell'Ordine della Fenice si nasconde a Grimmauld Place portando avanti un'ostinata guerriglia. Qualcosa è andato storto, ma non tutti vogliono gettare la spugna.
Esercito di Potter, il reclutamento è ancora aperto.
Genere: Azione, Dark, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Draco Malfoy, Hermione Granger, Neville Paciock, Remus Lupin, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Da VI libro alternativo
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Come (non) doveva andare' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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1. E poi arrivarono i ragni




“E tu sei sicura che funzionerà?”
Le due fiale nelle mani di Kingsley Shacklebolt sembrarono accendersi, alla luce di quella domanda, di un brillio minaccioso, qualcosa che proveniva, ancor più che dal riflesso sul vetro, dalla pozione al loro interno. Hermione serrò le labbra e sentì Draco, accanto a lei, irrigidirsi e poi rilassarsi deliberatamente, mentre con studiata noncuranza si lasciava ricadere contro la sedia e buttava un braccio oltre lo schienale.
“Sono pozioni,” affermò, la voce strascicata. “Non è una scienza esatta finché non vengono testate.”
“Qui si tratta di mettere in pericolo le vite di parecchi dei nostri, Malfoy,” intervenne quietamente il signor Weasley, qualche posto più in giù lungo il tavolo. “Non stiamo... non stiamo mettendo in dubbio quello che Hermione dice, ma...”
“No? Strano.” Draco tamburellò con impazienza le dita sul tavolo. “Ho avuto per un attimo come l'impressione che si stesse facendo precisamente questo.”
Hermione si schiarì la voce:
“Lascia stare, Draco.”
Il ragazzo girò il capo d'una frazione, il minimo necessario per poterle rivolgere un'occhiata disgustata:
“Stanno cercando un responsabile ancor prima che qualcosa sia andato storto, Granger. Così, quando e se andrà male, avranno qualcuno a cui dare la colpa.”
“Non è così, Draco...” Lei cercò di posargli una mano sul braccio, ma non si stupì di vederglielo ritrarre di scatto, come avesse paura di scottarsi.
“Se vuoi essere il loro capro espiatorio fa' pure, Granger: ma tienimi fuori da tutto questo.”
“Io non ho niente in contrario a testare la pozione,” affermò Remus in tono piano. “Mancano più di ventiquattro ore alla prossima luna piena. Farei ancora in tempo a prenderla insieme all'ultima dose dell'Antilupo.”
Angelina assentì in silenzio, l'espressione cupa. Dall'orlo della maglia a collo alto sbucavano i rami sottili della cicatrice che le copriva la gola e che saliva a tagliarle la mascella, come una colata d'inchiostro pallido in mezzo al color di cioccolato della sua pelle vellutata, scabrosa e irregolare e tanto profonda da averle danneggiato tutto quel che c'era sotto, le arterie e la laringe e le corde vocali. Neanche Madama Chips era riuscita a far tornare la sua voce com'era prima di Greyback, e ad Angelina non piaceva sentirsi parlare, così.
Arthur Weasley scosse la testa:
“Non si tratta solo di te e... e di Angelina, Remus, ma di tutti noi. Tutti quelli che dovessero far parte di questa squadra potrebbero trovarsi in pericolo, se la pozione non funzionasse. E' un rischio troppo grande da correre...”
“E' prioritario sbarazzarsi di Dolohov,” lo interruppe Michael Corner, il tono aspro. “Tu-Sai-Chi continua a reclutare truppe dai mannari, e finché avranno un capo forte...”
“La morte di Greyback li ha indeboliti.”
“Greyback è stato sostituito nel giro di una settimana. Non possiamo perder tempo ad uccidere un capobranco dopo l'altro, dobbiamo eliminarne il più possibile, disperderli!”
“Si potrebbe aspettare la prossima luna piena,” propose Padma Patil. “Testare la pozione in un ambiente controllato, prima di sperimentarla in campo aperto.”
“Potremmo non avere un'altra luna. Se Tu-Sai-Chi decide di scendere in battaglia, rischiamo di trovarci di fronte a...”
“Se avesse potuto spostare la guerriglia in campo aperto l'avrebbe già fatto, Michael!”
“Non puoi esserne certo, Arthur,” intervenne Amos Diggory. “Tutti e tre i Lestrange hanno lasciato Maeshowe la settimana scorsa e non sono ancora tornati. Le ronde di Mangiamorte ad Hogwarts sono aumentate: e se Tu... se Tu-Sai-Chi è riuscito a trovare il modo di entrare nell'ufficio del Preside...”
“Nell'ufficio del Preside potrebbe non esserci niente.”
“Se non ci fosse niente non avrebbe sprecato così tanto tempo a...”
“Basta così.”
La voce piana di Neville fece sì che ogni discussione si interrompesse immediatamente. Hermione alzò gli occhi dal tavolo e vide che il ragazzo si era alzato in piedi. Aveva l'aria stanca: erano tutti stanchi, tutti pallidi, tutti tesi, ma Neville lo era un po' più degli altri. Essere quello che prendeva le decisioni, le aveva detto una volta Draco, significava fondamentalmente essere quello con le occhiaie più grosse.
Neville si rivolse direttamente ad Arthur
“Voldemort sta radunando le forze.” Ignorò il brivido collettivo che scosse una buona metà del tavolo a quel nome e proseguì: “Non so se sia in grado di trascinarci effettivamente in campo aperto: ma, se dovesse riuscirci, non fatevi illusioni, non ne usciremo vivi. Ora come ora, il meglio che possiamo fare è portare avanti piccole sortite ed incursioni e tenere Grimmauld Place chiusa e protetta. Se riuscissimo a liberarci dei suoi mannari, invece, avremmo una possibilità di avere uno scontro alla pari. I mannari sono troppi. Sono pericolosi. Continuano a muoversi in branco e ad infettare civili, ed aumentano di numero ad ogni mese. Abbiamo bisogno che siano annientati. Che siano dispersi.”
Il silenzio rimase drappeggiato sul tavolo come una cappa. Per un attimo fu tale che si sarebbe potuta sentire una mosca volare. Neville lanciò una lunga occhiata circolare a tutti i presenti – i professori e gli adulti e quelli che tutti chiamavano gli studenti, anche se studenti non lo erano più da un po' – prima di fissare Remus. Parve avere un brevissimo, fugace istante d'esitazione, prima che la sua mascella s'indurisse in un'espressione pietrosa:
“Controindicazioni, Hermione...?”
“La pozione è pensata per prolungare il periodo durante il quale sarete sotto l'effetto della luna piena,” spiegò lentamente la ragazza, spostando lo sguardo da Remus ad Angelina. “Vi manterrà nella vostra forma di lupo mannaro per circa quarantotto ore: sarà meglio che lo scontro sia finito, per allora, perché quando tornerete umani sarete deboli e debilitati. Probabilmente resterete privi di conoscenza per diversi giorni. L'ingrediente principale è l'elleboro colto in periodo di luna nuova, perciò è possibile che per voi vi siano degli effetti collaterali a lungo termine: giramenti di capo, nausee, dolori renali. Vista l'alta presenza di belladonna, è possibile che abbia...” Hermione sentì la sua voce incespicare sulle parole. “... degli effetti negativi anche... per il cuore. Probabilmente curabili.”
Vi fu un altro, lunghissimo istante di silenzio, prima che Neville parlasse ancora:
“Se te la senti, Remus...”
Remus annuì.
“Angelina?”
Remus aprì bocca per obiettare, aggrottando la fronte, ma Neville alzò una mano per trattenerlo. Dall'altra parte del tavolo Angelina lanciò quella che pareva un'occhiata di sfida a Remus, prima d'annuire con fermezza.
Neville esalò un sospiro profondo:
“Partiremo domani mattina. Resteremo ai margini della Foresta Proibita finché la luna non sarà sorta e trascorsa: li tracceremo e li seguiremo, ma ci terremo lontani da loro. Non possiamo permettere che ci scoprano finché sono in forma di lupo. Dopodiché, quando la luna sarà calata, attaccheremo. Non possiamo andare tutti. Con loro andremo io e Bill. Bill, obiezioni?”
Bill scosse la testa.
“Bene. Altri due volontari?”
Diverse mani si alzarono attorno al tavolo: quella di Arthur svettò rigida sopra tutte le altre, gli occhi dell'uomo fissi sul viso di quello tra i suoi figli che sarebbe partito entro poche ore verso quello che si prospettava essere un gran brutto scontro. Hermione e Draco avevano alzato le mani ancor prima che Neville finisse di parlare, e poi c'erano quelle dei gemelli, quella di Terry Boot e quella di Millicent Bullstrode, seduta accanto a lui, quella di Shacklebolt e – un poco esitante – quella di Cho Chang, che faceva coppia con lui nelle missioni da più di sette mesi.
Neville contemplò per un istante il mare di mani levate, prima di prendere una decisione:
“Terry e Millicent.”
Draco ed Hermione levarono contemporaneamente un coro di obiezioni, parlando l'uno sulla voce dell'altra, confusamente. Neville alzò nuovamente le mani per interromperli ed Hermione si zittì; e, quando Draco fece per continuare a protestare, incurante, lei gli assestò una gomitata che ebbe l'effetto miracoloso di fargli chiudere la bocca.
“Avete già avuto il vostro turno con Greyback e i Lestrange,” disse Neville, mitemente. “Non possiamo lasciare sguarnita Grimmauld Place. Resterete qui. Qualcuno deve restare, e stavolta tocca a voi.”
Draco gli rivolse un'occhiata di ferocissimo disgusto e, quando Hermione cercò nuovamente di toccarlo, lungi dall'esserne placato, si ritrasse bruscamente e intrecciò le braccia al petto.
Neville scosse lievemente la testa. Aveva delle occhiaie veramente enormi, realizzò Hermione. Peste e nere. Harry aveva avuto occhiaie così, pensò, i giorni prima della Seconda Prova del Tremaghi... ma poi smise di pensarlo, perché pensare ad Harry – ricordare Harry – faceva malissimo. Draco, accanto a lei, se ne stava cupo e inferocito, amareggiato per non essere stato scelto e per non poter andare. C'erano migliaia di ragioni per le quali Hermione sapeva che gli avrebbe fatto piacere occuparsi del branco di Dolohov – ottime ragioni, che cominciavano tutte con la parola rancore. Rancore, vendetta, vendetta, vendetta. Sguazzare nel sangue. Ballare sulle tombe appena chiuse. Il sangue non poteva lavare via tutti i ricordi orribile e il dolore osceno, ma poteva sedare l'ira, la ferocia, quietare la vergogna.
Un'altra volta, si disse lei, un'altra occasione. C'era sempre Voldemort, in cima a quella pila di possibili bare.
“Domattina all'alba, allora,” stava dicendo Neville. “Sei e mezza. Portate poche provviste, pochi bagagli, viaggeremo leggeri. E siate puntuali.”
Hermione vide come in sogno le ampolle passare dalle mani di Shacklebolt in quelle di Remus ed Angelina. Ricordò il giorno della prima partita di Quidditch del suo primo anno ad Hogwarts: Angelina in una divisa rossa e fiammeggiante che sfrecciava sul campo verdissimo, la folla che urlava, il sibilo dei Bolidi e quello, più lieve e rapido, della scopa di Harry in mezzo alle altre. Ricordò il sorriso brillante che Harry aveva avuto solo per Remus – e per Sirius, ma Sirius era morto.
Dovette chiudere gli occhi, per un attimo, per non rischiare che la nausea la travolgesse. C'erano molte cose per le quali si poteva provare vergogna, pensò. Molte cose per le quali farsi venire le occhiaie.



Il mattino dopo Hermione si alzò molto prima dell'alba. Scese le scale di Grimmauld Place e si sedette sull'ultimo gradino ad aspettare. Dopo un po' cominciarono ad arrivare tutti gli altri: Millicent con la sua grossa borsa grigia e la sua faccia squadrata che era diventata molto più asciutta negli ultimi anni, molto più dura, gli occhi piccoli del colore dell'oro che guardavano ogni cosa con infinita asprezza, Terry, che era alto e piuttosto bello e che accanto a lei faceva uno strano contrasto, e poi Angelina, da sola, con un marsupio appeso alla cintura e addosso i vestiti più vecchi che possedesse. Bill e Neville arrivarono trasportando bracciate di mappe sulle quali stavano discutendo ancora e che ridussero con un colpo di bacchetta alla dimensione di francobolli, prima di cacciarsele in tasca.
“Sei sicuro...” cominciò Hermione, quando Neville si fermò di fronte al suo gradino e intercettò il suo sguardo: ma il ragazzo alzò una mano e la fermò di nuovo.
“Sì.”
“E' pericoloso,” riprovò lei, molto piano. “E la pozione è stata una mia idea. Vorrei venire con voi.”
Neville scosse la testa, lentamente:
“Hai fatto quel che dovevi, Hermione. Tutto quel potevi. Sono certo che funzionerà.” E poi, con un piccolissimo sorriso: “Non ricordo una sola occasione in cui qualcosa fatto da te non abbia funzionato.”
Era stata lei a scrivere i calcoli che avevano permesso di trovare Ginny. Lei che aveva guidato Harry e Ron a Maeshowe. Ginny erano riusciti a salvarla, poi – quel che c'era rimasto da salvare – ma tutto il resto era andato in pezzi.
“Ogni tanto è capitato.”
Neville le posò una mano sul braccio e fece per dire qualcosa: ma Draco e Remus scelsero proprio quel momento per arrivare, e lui ed Hermione si fecero da parte per lasciarli passare. Draco aveva i capelli arruffati e l'espressione stanca, e sembrava amareggiato e di cattivo umore. Remus fece per toccargli una spalla e lui si ritrasse con un gesto secco. Remus non disse niente; lo superò e raggiunse Angelina nell'ingresso.
Da quando Draco era in qualche modo riuscito a rimuovere il ritratto della signora Black non c'era più ragione di parlare a bassa voce quando si era davanti alla porta, ma tutti lo facevano lo stesso, anche sapendolo, perché era diventata ormai un'abitudine troppo ingranata per poterla rimuovere.
Neville tirò fuori un tappo di Burrobirra, un paio di occhiali e l'incarto di un'Ape Frizzola e li distribuì, uno per uno, alle tre coppie.
“Le Passaporte ci porteranno ai margini occidentali della Foresta Proibita. Abbiamo tempo fino al tramonto per raggiungere un luogo sicuro e per attrezzarci a passare la notte. La luna non si leverà prima delle undici... questo ci darà un certo margine di sicurezza. Remus, la pozione...?”
Remus lanciò un'occhiata ad Angelina, che si limitò ad intrecciare le braccia sul petto con aria di sfida, in risposta, senza dire niente.
“L'abbiamo presa.”
Neville esitò:
“Tutto bene...?”
“Sì.”
Per ora, pensò Hermione, ma non lo disse. Neville e Bill tennero stretti gli occhiali e Neville allungò la bacchetta per toccarli. Draco fece per muovere avanti un passo e Remus alzò lo sguardo dal tappo che aveva in mano e gli sorrise leggermente. L'attimo dopo le Passaporte erano state avviate e nell'ingresso non c'era più nessuno: Hermione rimase immobile e zitta sull'ultimo gradino e sentì il respiro di Draco farsi affannoso nel silenzio, per un attimo, le luci del piano di sopra che disegnavano la linea troppo magra della sua schiena, curva e spigolosa come un arco rotto.
“Andrà tutto bene,” cominciò lei, ma Draco si volse di scatto, l'espressione feroce, e le lanciò un'occhiata carica di un tale disprezzo che Hermione si ritrovò con la bocca secca.
Il ragazzo – che era troppo vecchio per poter essere ancora pensato come tale, ma anche questa era una di quelle vecchie abitudini troppo ingranate delle quali era difficile liberarsi – le passò accanto, urtandole una spalla, ed Hermione si schiacciò ancor più contro la parete per lasciargli spazio.
Nell'ingresso buio non c'era più nessuno a respirare, adesso. Lei fissò il punto nel quale Remus ed Angelina erano scomparsi e si chiese, tutto ad un tratto, se ne fosse valsa la pena. Non sarebbe stato meglio rinunciare...? La guerra era persa, perduta, e loro non avevano più Harry per cercare di vincerla.
Ma potevano andare via di lì. Andarsene. Andare in un posto lontanissimo e isolato dove nessuno li avrebbe mai cercati: il Guatemala, il Nepal... la Nuova Zelanda... tutti posti dove Voldemort non era mai arrivato e dove, magari, non sarebbe arrivato mai finché loro erano vivi. Bastava non avere figli. Non avere bambini. Nessuno al quale lasciare il peso di quella guerra che loro avevano perso, nessuno che potesse soffrire quando Voldemort sarebbe arrivato – perché Voldemort sarebbe arrivato, alla fine, era solo questione di tempo. Troppo potere, troppa avidità. Finché c'era un mondo, non si sarebbe fermato.
Quando chiudeva gli occhi, Hermione poteva vedere ancora il viso di Ron che la guardava, in piedi sulla soglia di Maeshowe, e che poi le spingeva la Passaporta tra le mani e si girava, si girava, per tornare da Harry e non lasciarlo morire da solo. Poteva sentire ancora la voce di Harry, da qualche parte nel mezzo dei suoi ricordi, che le diceva con voce piena d'emozione che sarebbe stato bello vivere con Sirius, avere una famiglia, una casa vera. La voce piena di pianto di Harry quando Sirius era morto. Tutte le volte che Harry avrebbe potuto ignorare quel che gli accadeva attorno e andare avanti lo stesso e invece non l'aveva fatto, non aveva chiuso gli occhi.
C'erano cose, pensò Hermione, che lei avrebbe voluto poter evitare di fare. Cose orribili che la tenevano sveglia la notte e cose sporche che le avevano macchiato l'anima, ma c'erano cose che andavano fatte, lì ed ora, finché si era vivi. Finché si poteva.
Hermione strinse le labbra e riaprì gli occhi – perché, se li teneva aperti, non doveva vedere il viso di Ron, quello di Harry, e sentire la fitta atroce di dolore e solitudine che le gelava il cuore ogni volta di più.

In cima alle scale trovò Draco, che se ne stava davanti alla porta socchiusa della camera di Piton e guardava all'interno.
“E' già ora di portargli la colazione...?”
Draco non le rispose.
“Sei arrabbiato con me?” ritentò Hermione, pazientemente.
Draco sussultò come se lei l'avesse colpito. Esitò e le lanciò un'occhiata, prima di distogliere lo sguardo ancora una volta e scuotere la testa.
“Con chi sei arrabbiato, allora?”
“Con nessuno,” replicò lui bruscamente. E poi, gli occhi sempre fissi sul letto di Piton: “Saremmo dovuti andare anche noi con loro.”
Hermione annuì.
Draco si girò di scatto per fissarla con un'espressione ferocemente intensa. Aveva gli occhi troppo pallidi, di un grigio tanto chiaro e slavato da parere quasi inumani, le labbra troppo sottili, il naso adunco come quello di un uccello da preda. Non era mai stato bello, e gli ultimi tre anni avevano reso il suo viso più magro e più aspro: ma Hermione pensava che lo preferiva così, davvero. Sembrava più vivo, adesso. Più sveglio.
“Potremmo andare anche noi. Sappiamo dove sono andati, possiamo seguirl...”
“No.”
Draco parve sorpreso dalla brusca interruzione:
“Cosa...? Perché?”
“Perché no. Neville ci ha dato degli ordini e noi li eseguiremo.”
L'espressione di Draco passò dallo stupore all'irritazione e dall'irritazione al disprezzo. Le sue labbra sottili diventarono fini come un filo mentre lui le torceva in un atteggiamento che Hermione ricordava dai tempi della scuola:
“Perché tu e i tuoi piccoli amici siete sempre stati così bravi nell'eseguire gli ordini, non è vero? Tu e San Potter e...”
“Esattamente,” lo interruppe Hermione prima che potessero arrivare altri nomi ad aprirle una voragine di nulla nel cuore. “E guarda dove ci ha portati questo.”
Scese il silenzio.
“Non è la stessa cosa,” tentò Draco dopo un lunghissimo attimo, ma nella sua voce c'era già la nota desolata della sconfitta.
“E' esattamente la stessa cosa.”
Di nuovo silenzio.
“Dobbiamo portargli la colazione,” disse Hermione alla fine, gentilmente. “Madama Chips dice che ci sono stati dei miglioramenti.”
Draco lanciò alla stanza alle proprie spalle un'occhiata rancorosa.
“E' sempre lo stesso vegetale sbavante.”
Hermione aveva imparato che, se voleva avere a che fare con Draco, doveva imparare ad ignorare le sue bizze. Draco era incapace di non fare i capricci. Era stato educato a farne, educato ad essere un ragazzino viziato ed umorale, educato ad essere suscettibile e arrogante e irragionevole. Draco non era stato educato a farsi strada attraverso le asperità, le punte aguzze e spigolose che la vita metteva davanti a tutti, e quella era una lezione che aveva dovuto imparare da solo.
Era cominciato tutto con Maeshowe. Tutte le lezioni che erano venute dopo erano iniziate lì: come imparare a tirare avanti quando ogni speranza sembrava morta, come imparare a cavarsela anche quando non c'erano più profezie alle quali affidarsi, come imparare a ignorare il dolore anche per interi giorni alla volta – dimenticare, quello no, quello non si poteva fare, però ignorare sì, era possibile.
“Ti ho detto che abbiamo trovato una pianta integra di Mandragola?” tentò. Era sempre un buon argomento, potenzialmente utile a fare uscire Draco dal loop delle bizze infinite. “Piagnucolava sotto le macerie delle serre ad Hogwarts, l'abbiamo trovata così. Dev'essere scampata all'acqua dopo l'inondazione.”
Era stato un buon tentativo. Le orecchie di Draco si rizzarono, anche se la sua faccia mantenne l'espressione di un bimbo di cinque anni pronto a scatenare una crisi di capriccite acuta.
“Forse un infuso,” azzardò poi Hermione. “Potrebbe rimediare i danni al sistema nervoso. E' stata usata da Hermanno Malvoglius nel tredicesimo secolo per...”
“Un infuso...?” Le fece eco Draco, con una smorfia di disprezzo. “Un distillato, direi, Granger. Concentrato.”
“Dargli della Mandragola troppo concentrata potrebbe avvelenarlo.”
“Be', non starebbe peggio di così. Non trovi, Granger?”
Rimasero per un istante in silenzio. La porta aperta scricchiolò per uno spiffero ed Hermione si trattenne a stento dallo sbirciare all'interno: se non era proprio necessario, evitava di farlo, perché vedere era sgradevole e le svegliava dentro terribili pensieri.
Non era come se Piton le fosse mai stato veramente simpatico, era solo che... era solo che forse era stata colpa loro. Se l'avevano scoperto. Se l'avevano ridotto così. Colpa loro che non erano arrivati prima, che forse, forse, forse, si erano fatti scappare qualcosa. Che non l'avevano aiutato abbastanza. Era solo che nessuno si era mai abituato a vedere il professor Piton in posizione orizzontale, e senza i suoi vestiti neri, senza la sua camicia dalle maniche sporche di ingredienti per pozioni, bile di rospo e veleno di Acromantula e asfodelo tritato. Avevano dovuto anche tagliargli i capelli e non sembrava più lui, così, davvero. A nessuno a Grimmauld Place piaceva girare per il primo piano, perché in una delle stanze l'esempio vivente di quello che Voldemort avrebbe potuto fare a tutti loro, un giorno o l'altro, era estremamente occupato a sbavare su un cuscino, e due camere più in là vegetava la prova in carne ed ossa del fatto che, se avessero perso la guerra, sarebbe stato perché erano stati troppo sentimentali.
Hermione inclinò la testa da una parte.
“Un distillato,” ripeté.
“Concentrato.” La voce di Draco aveva ripreso un tono che, se non precisamente mite, suonava quantomeno conciliante. Hermione decise di considerarlo un buon segno.
“Non ho mai distillato della Mandragola. Le radici non sono troppo farinose...?”
Draco esitò.
“Potremmo usare una base lievemente acida. Del succo di limone. Qualche goccia di sangue di drago in un composto neutro...”

Dalla porta socchiusa due stanze più in giù arrivò improvvisamente la voce di Molly Weasley che, come tutte le mattine da tre anni a quella parte, cercava di convincere la più piccola dei suoi figli che era ora di aprire gli occhi.
Hermione non credeva che Ginny le avrebbe mai risposto.


- - -




La maggior parte di loro non aveva neanche una bacchetta. Avevano trascorso la notte precedente correndo per le vie di Hogsmeade e cercando di buttar giù le porte delle case, di passare per le finestre sbarrate, divellendo alberi e cespugli sul loro cammino; avevano trascinato in mezzo alla strada una vecchia strega che era uscita ignara dalla Testa di Porco ed al mattino la gente di Hogsmeade aveva dovuto ripulirne i pezzi dai gradini di casa per poter aprire la porta. Avevano puntato verso Newtonmore e c'erano stati ancora Babbani per le strade malgrado il freddo e il buio. Era stato un banchetto. La notte precedente erano stati cinquantuno, ma alla prossima luna piena sarebbero diventati sessantatré – se tutti i nuovi arrivati fossero sopravvissuti alla trasformazione, sicuro. I nuovi non sempre sopravvivevano, e quando erano così giovani... Adesso erano stanchi e stavano dormendo sdraiati sul terreno e non c'era nessuno a montare la guardia... perché nessuno si aspettava che ci fosse qualcosa del quale guardarsi. Non loro. Non qui.
Gli Incantesimi di Disillusione andarono giù nello stesso momento in cui Dolohov si svegliò all'improvviso e, alzando la testa e fiutando l'aria con l'espressione sospettosa di un lupo incattivito, si scagliò senza una parola addosso a Bill.
STUPEFICIUM!”
Ma Dolohov era un mago. Non era mai stato un'aquila neanche nei suoi giorni migliori, ma la trasformazione l'aveva reso più sveglio, più feroce: aveva estratto la bacchetta prima ancora di balzare, e il lampo rosso emerso dalla bacchetta di Bill venne disperso senza danni. Neville Trasfigurò le radici delle piante più vicine, e queste si svegliarono e presero a contorcersi in mezzo ai mannari. Uno di loro strillò quando le radici lo afferrarono e cominciarono a trascinarlo verso l'albero più vicino, e stava ancora strillando mentre veniva trascinato sotto terra. Il suolo che gli si richiuse sopra la testa, inghiottendolo, lo ammutolì bruscamente. Nel silenzio improvviso tutti sentirono il sibilo delle frecce e un'eco ovattata di zoccoli sul terreno morbido: a due passi di distanza da Neville uno dei mannari andò giù con una mano convulsamente stretta attorno alla gola ed alla stecca di legno che ci si era piantata dentro.
Nel buio erano i rumori la cosa più terribile. Tutte le forme erano come confuse sotto le fronde, vaghe come fantasmi, nere come i mantelli dei Dissennatori, e i contorni si mescolavano e si perdevano nel mezzo.
Tutti i mannari in possesso di una bacchetta ora ce l'avevano in mano. Dolohov e Bill stavano ancora duellando, il suono delle maledizioni che si mescolava allo sfrigolio degli incantesimi e all'occasionale lampo verde che schizzava da una parte all'altra e rischiarava per un istante il mondo prima di dissolversi.
Neville lanciò uno Schiantesimo nel mucchio, poi un altro; quando il primo mannaro gli balzò addosso pensò "Sectumsempra!" e mosse la bacchetta dall'alto verso il basso. Sul viso gli arrivò uno schizzo di qualcosa di caldissimo e vischioso e il mannaro cadde pesantemente al suolo. Sentì Terry e Millicent strillare incantesimo dopo incantesimo alla sua destra e al lampo di una maledizione li vide entrambi, le facce che si mescolavano e s'assomigliavano nella pallida luce, scarmigliati e ad occhi sgranati, e se Terry sembrava esitare ogni volta che alzava la bacchetta, Millicent scagliava incantesimi nella mischia come se non avesse mai fatto altro per tutta la vita. Non avevano mai fatto altro. Se l'avevano fatto l'avevano dimenticato.
Qualcosa di grosso e pesante passò correndo alla destra di Neville, qualcos'altro lo seguì dall'altra parte. Neville scagliò uno Schiantesimo alto nel mucchio e vide gli occhi del branco di Dolohov – i loro umanissimi occhi, perché nelle forme umane erano come... come tutti gli altri, come maghi e Babbani, solo qualche zanna che non cambiava più, come quelle di Greyback, perché avevano goduto e gioito un po' troppo della loro maledizione, speso troppo tempo a inseguirla, a gloriarsi della luna bianca che dava loro potere sui loro simili – sgranarsi quando Remus ed Angelina piombarono loro addosso ancora in forma di mannaro, il pelame arruffato per la corsa nella Foresta, i muscoli contratti in arti troppo lunghi e troppo nervosi e le fauci spalancate. Bill gridò per il dolore e Neville, girandosi, lo vide barcollare e arretrare. Dolohov avanzò e Neville corse verso di loro.
Incendio!”
La maglia sbrindellata del lupo mannaro prese fuoco: un colpo di bacchetta bastò a spegnerlo, ma a quel punto Neville era vicino abbastanza da scagliare qualcosa di meglio. Bill aveva una mano premuta sul braccio insanguinato e Neville cominciò a duellare, la bacchetta che guizzava da una parte all'altra senza sosta. Dovevano finire presto, pensò confusamente, senza dare a Dolohov il tempo di avvertire il suo Oscuro Signore, senza dargli il tempo di toccare il Marchio, di chiamare aiuto...
Crucio!” strillò Dolohov, ma Neville non rimase fermo ad aspettare che la maledizione arrivasse: balzò da una parte e mosse la mano destra in una rapida steccata.
Expelliarmus!”
La bacchetta tremò violentemente nella mano di Dolohov, minacciando di sfuggirgli, e il volto del lupo mannaro si contorse nella furia. Recuperò il controllò della bacchetta con uno strattone e vibrò una sferzata di rovescio. Neville si tirò indietro e sentì qualcosa di rovente sfiorargli la guancia, colpirgli la tempia, strusciargli contro lo zigomo e l'occhio. Il dolore arse terribile e metà del suo campo visivo scomparve in un'esplosione di sofferenza incandescente. Gridò, per la rabbia e per il dolore, e poi urlò mentre il fuoco sembrava divorargli la faccia, sciogliergli lo zigomo, mangiarsi l'occhio nell'orbita e poi colare più giù, più all'interno, sotto la pelle, dentro la pelle...
Scorse con l'occhio che gli restava Dolohov che si avvicinava, l'espressione trionfante, e non si fermò a pensare: fece guizzare la bacchetta in avanti.
Avada Kedavra!”
Il lampo verde si trasformò in una pallidissima aurora dai colori sbagliati, e nella luce malata Neville vide Dolohov sgranare gli occhi, stupito, sbalordito, e poi cadere indietro senza emettere un verso.
Sembrò calare il silenzio per un lunghissimo attimo, poi, ma erano solo le orecchie di Neville che ronzavano troppo forte per permettergli di sentire altro che non fosse il suono del suo stesso sangue che pulsava. Vide qualcosa che si muoveva e puntò la bacchetta per istinto, barcollando; fece appena in tempo, così, a riconoscere Bill e ad evitare di lanciargli una maledizione.
“Ce la stiamo facendo!” gli disse Bill. Lo gridò, in verità: doveva gridare per farsi sentire al di sopra dei rumori della battaglia che sembravano essere tornati tutto d'un tratto, sopra alle grida e ai ruggiti e agli strepiti e al pianto di qualcuno con una voce troppo piccola per essere quella di un adulto. “Si disperdono! Ce l'abbiamo...”
E poi arrivarono i ragni.





Note: Prima di tutto, si ringrazia di cuore e infinitamente duedicoppe, che come l'anno scorso si è prestata a betarmi una storia in mezz'ora. Se non è pazienza questa...

Se non sapete cosa sia la serie di Così come (non) doveva andare e non ci avete capito niente... non vi preoccupate, è tutto a posto.
Dato che ci si avvicina a piccoli balzelli alla fine della serie, ed adesso che tutti i punti principali sono stati introdotti, i personaggi illuminati, le scenette allestite, i soppalchi spolv... no, quelli no... è ora di dare uno scossone alla trama e di cominciare a far accadere qualcosa. E, per far questo, non potevo riprendere ancora una volta la descrizione di tutto quel che era accaduto. Nel prossimo capitolo ci sarà un breve riepilogo dal punto di vista di qualcuno all'interno della storia, ma sarà molto, molto breve e molto, molto riepilogante.

Questa storia nasce perché ho deciso di riprendere la mia lievemente psicopatica iniziativa delle domeniche buie dell'anno scorso: una storia per il fandom di Harry Potter per ogni domenica di maggio, e tutte le storie devono avere un'ambientazione in qualche modo cupa, distopica, angosciosa. Per quest'anno, tuttavia, almeno tre delle domeniche buie saranno occupate dagli aggiornamenti di questa storia in più capitoli... ebbene sì, sono riuscita a scrivere una storia della serie che non è una one-shot. x°D

Un grazie a tutti voi che avete letto e doppio con panna a quelli che avranno la pazienza di lasciarmi un'opinione. Al prossimo capitolo!
  
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