sweetCaroline
“Perhaps
one day. In a year, or even in a century. You’ll
turn up at my door and let me show you what the world has to
offer.”
“Forse
un giorno. Tra un anno, o magari un secolo. Ti presenterai alla mia
porta e
lascerai che ti mostri quello che il mondo ha da offrire.”
Summerville,
South Carolina. Giugno 2019.
Si
annoiava. Si annoiava profondamente. Erano appena le undici, e lui
già si
ritrovava a bere del bourbon in un bar piuttosto cupo per una
città dove tutto
sembrava gridare ‘Allegria! Sole!
Felicità!’, e forse era proprio per questo
che se ne era già stancato, nonostante fosse arrivato a
Summerville solo
qualche giorno prima. Che poi, che razza di nome è
Summerville per
una città?, pensò, disgustato,
portandosi il bicchiere alle labbra e
decidendo sul momento che sarebbe partito l’indomani stesso.
Aveva vissuto a New York per tre mesi, in un attico
dell’Upper East Side - solo
il meglio per lui, ovviamente - e aveva sentito il bisogno di prendersi
una
pausa dal caos, dallo smog, e dalla fretta che sembrava affliggere
tutti i
newyorkesi. Lui odiava la fretta, la riteneva tipicamente mortale,
scioccamente umana, anche se doveva ammettere che
lo divertiva guardare
quegli esseri così deboli e ingenui affannarsi per non
arrivare in ritardo a un
appuntamento, o per riuscire a prendere in tempo la metropolitana.
Infondo lui
non sapeva neanche cosa significasse andare di corsa,
ma d’altronde
perché mai avrebbe dovuto conoscerlo? Aveva
l’eternità davanti a lui,
letteralmente.
Klaus Mikaelson amava la calma, invece; gli piaceva godersi ogni
attimo, notare
ogni particolare nascosto, bearsi della bellezza che il mondo poteva
offrire.
Ma troppa quiete finiva per infastidire persino lui.
Quando aveva deciso di allontanarsi da New York, aveva optato per
qualche bella
città del South Carolina, e quella lo aveva inizialmente
colpito, ma dopo soli
tre giorni cominciava a odiare quel posto che, per i suoi gusti, poteva
solo
ritrovarsi a fare da sfondo a qualche romanzo d’amore che
avrebbe incendiato
gli animi delle adolescenti.
Where it began, I can’t begin to knowin’
but then I know it’s growin’ strong
Una radio posta in un angolo del bancone del bar diffuse
nell’aria le note
di una vecchia canzone, che l’ibrido giudicò del
tutto adatta alla sensazione
di languore caratteristica del luogo. Scavò tra i suoi
ricordi alla ricerca del
titolo di quel pezzo, corrugando leggermente le sopracciglia chiare. Ma
certo!, esultò vittorioso fra sé e
sé, Sweet Caroline. E quel nome
fece riaffiorare alla sua mente momenti che, con la canzone, non
c’entravano
nulla, ma che piuttosto rimandavano alla sagoma alta e slanciata di una
vampira
bionda che, qualche anno prima, era riuscita a catturare la sua
attenzione.
«Io
amo
i compleanni»
«Già… Tu non hai un milione di anni, o
giù di lì?»
Klaus sorrise involontariamente. Quella ragazza stava morendo, e
trovava ancora
la forza per essere sarcastica.
«Dobbiamo sistemare la percezione del tempo quando si diventa
vampiri,
Caroline» disse, parlandole come un paziente maestro si
rivolge alla sua
allieva preferita «Celebrare che non si è
più legati alle volgari convenzioni
umane. Che si è liberi»
«No!» lo interruppe lei «Sto
morendo»
Klaus la guardò, fissandosi ogni dettaglio di quella scena:
i capelli biondi
della ragazza che le circondavano il capo come una corona
d’oro, gli occhi
grandi e lucidi, come quelli di un bambino, l’atmosfera
intima della sua camera
da letto, il ridicolo gingillo che portava al polso.
Sospirò, e si sedette
accanto alla vampira. «Potrei lasciarti morire, se
è quello che vuoi»
Lei ricambiava il suo sguardo, altrettanto intensamente. Un piccolo
sorriso gli
comparve sulle labbra, mentre si avvicinava al suo volto:
l’espressione di un
bambino in procinto di compiere una marachella. «Ma ti
confido un piccolo
segreto»
Gli occhi di Caroline si spalancarono, e le labbra si schiusero: era
curiosa.
Lui le si avvicinò ancora di più.
«C’è un mondo intero, lì
fuori, ad aspettarti. Grandi città e arte, e musica. Vera
bellezza. E tu
puoi avere tutto. Puoi avere altri mille compleanni. Tutto
ciò che devi fare è…
Chiedere»
Una lacrima scese lungo la guancia della vampira, mentre sbatteva in
continuazione le ciglia tentando disperatamente di non scoppiare a
piangere. Trasse
un lungo respiro, come per calmarsi, ma il labbro inferiore non voleva
saperne
di smettere di tremare. «Non voglio morire»
piagnucolò. E Klaus sorrise, pronto
a salvarla.
Si arrotolò la manica della camicia, lasciando scoperto
l’avambraccio, e prese
Caroline per la nuca, portandola vicina a sé, in una sorta
di abbraccio.
«Ecco fatto, tesoro. Prendine un po’»
mormorò l’ibrido, accostandole il polso
ai denti, permettendole di bere il proprio sangue. Un respiro ansante
gli
sfuggì dalle labbra quando i canini della ragazza
affondarono nella sua carne,
ma non si mosse. «Buon compleanno, Caroline»
Rimase accanto a lei, mentre beveva, accarezzandole i capelli, e la
osservò
quando il sonno cominciò ad avere la meglio. Vide i suoi
tratti rilassarsi e
distendersi in un’espressione serena, quando la sua
attenzione venne catturata
da un bagliore prodotto da quel braccialetto che portava al polso. Un
braccialetto volgare e sicuramente non adatto a lei, pensò,
con una smorfia di
disgusto dipinta sulle labbra. Forse gliel’aveva regalato
quel Tyler. No,
Caroline non era tipo da bracciali di bigiotteria laccati in argento,
lei
meritava di meglio. E decise che gliene avrebbe regalato uno degno di
essere
chiamato tale, uno che rispecchiasse la sua vera natura. Un bracciale
di
diamanti, ecco cosa ci voleva!
Le baciò la fronte, prima di andarsene, sapendo che sarebbe
tornato da lì a
poche ore con il proprio regalo.
Un
sorriso distese le labbra dell’ibrido, al ricordo di quella
scena.
Probabilmente, era stata in quell’occasione che aveva
cominciato a rendersi
conto del reale valore di Caroline, della sua forza, della sua
bellezza, della
sua intelligenza. Gli sarebbe piaciuto portarla con sé,
mostrarle il mondo e
tutto ciò che aveva da offrire, ma lei aveva rifiutato. La
sua vita era a
Mystic Falls, aveva dichiarato, quel paesino minuscolo dove era nata e
cresciuta, e che non si sentiva pronta a lasciare.
Ma Klaus sapeva che non era vero, sapeva che si stava sbagliando: non
poteva
risplendere di una luce così potente per poi finire a
marcire in una città
dimenticata anche da Dio. Sapeva che una come lei non era adatta a
vivere
un’esistenza triste e grigia al fianco di un essere anonimo.
Lei aveva bisogno
di un posto dove potesse brillare, e di qualcuno che potesse insegnarle
a
emergere fra tutti. E dopotutto, chi meglio di lui?
Hands, touchin’ hands, reachin’
out, touchin’ me, touchin’ you
E le sue mani l’avevano effettivamente raggiunta in
più occasioni, come
quando avevano danzato insieme, al Ballo indetto dalla propria
famiglia. E i
suoi occhi non l’avevano abbandonata un attimo, ma
l’avevano seguita sin dal
momento in cui aveva fatto il suo ingresso, bellissima in
quell’abito blu carta
da zucchero che lui stesso le aveva regalato, prevedendo quanto le
sarebbe
stato bene.
L’aveva
vista in giardino, osservare affascinata un cavallo, e le si era
avvicinato,
non riuscendo a starle lontano. Aveva provato ad intavolare una
discussione, ma
anche in quel caso lei aveva dato prova della sua fermezza.
«Non ti rivolgerò la parola finchè non
mi dirai perché mi hai invitata» aveva
affermato, senza neanche guardarlo.
«Mi piaci»
Aveva parlato senza pensare, è vero, ma era riuscito nel suo
intento: l’aveva
spiazzata. Completamente.
Infatti lei si girò di scatto, con un’espressione
leggermente spaesata sul
viso, di sicuro non si aspettava una risposta del genere. Lo
fissò per qualche
minuto, sospettosa, forse soppesando le sue parole.
«E’ così difficile da
credere?» le aveva chiesto, con un sorriso sghembo.
«Sì!»
«Perché? Sei bella, sei forte, sei piena di
vita… Mi piace stare con te»
Caroline sembrava ancora più shockata, a questo punto. Le
sopracciglia
aggrottate e la bocca semichiusa in una smorfia
d’incredulità le conferivano
un’aria buffa, facendola somigliare a una bambina.
«Beh… Io sono impegnata» gli aveva
risposto, eppure quando lui le aveva
proposto di mostrarle una cosa, l’aveva seguito.
E così le aveva fatto vedere una delle sue passioni
più grandi, le aveva
mostrato i quadri e i dipinti che disegnava. Le aveva rivelato che,
addirittura,
uno dei suoi paesaggi era esposto all’Hermitage, uno dei
musei più importanti
di San Pietroburgo. Le aveva domandato se ci era mai stata, e lei si
era girata
a guardarlo un po’ imbarazzata. «Non sono mai stata
da nessuna parte» aveva
ammesso.
Lui aveva sorriso di quella timidezza improvvisa. «Ti ci
porterò io»
Caroline l’aveva guardato storto, alzando gli occhi al cielo.
«Ovunque vorrai» continuò
«Roma, Parigi…» lei scuoteva la testa,
incredula.
«Tokyo?»
A questo punto era scoppiata a ridere, e aveva riso anche lui.
In
realtà quella conversazione non era poi finita tanto bene,
ripensandoci. Lei
gli aveva detto chiaramente cosa ne pensava di lui e del suo esercito
di
ibridi, e per tutta risposta, Klaus l’aveva gentilmente
invitata ad
andarsene.
Il biondo scosse la testa, come a voler scacciare quei pensieri.
C’era stato un
tempo in cui lei gli era piaciuta, e le aveva offerto tutto
ciò che il mondo
aveva da offrire: gioielli, viaggi, cultura, arte, vestiti. Ma lei
aveva
rifiutato, preferendogli una vita di paese con un ragazzo
di paese. Anche
se non sarebbe stato abbastanza per lei, e lui questo lo sapeva.
Klaus abbassò lo sguardo sul bicchiere tra le sue mani,
ormai vuoto: doveva
averlo finito mentre si perdeva tra i ricordi. Lasciò i
soldi direttamente sul
bancone, senza curarsi di aspettare il resto, improvvisamente sentiva
il
bisogno di uscire all’aria aperta, e di bearsi guardando il
meraviglioso
panorama che offriva quella città.
Spinse la porta di vetro, facendo tintinnare il campanellino appeso
sopra di
essa, e uscì dal locale, mentre il ritornello di quella
vecchia canzone ancora
gli risuonava nella testa. Sweet Caroline, good times never
seemed so good.
L’ibrido si guardò distrattamente
attorno, dando un’occhiata alle persone
che affollavano i tavolini esterni del bar, quando una chioma bionda
attirò la
sua attenzione. Klaus era sicuro che, se fosse stato ancora umano, il
suo cuore
avrebbe perso un battito.
La osservò da lontano, percorrendo con lo sguardo tutta la
sua figura: i
riccioli che le ricadevano morbidamente sulle spalle, il naso diritto e
le
labbra piene, le gambe lunghe, lasciate scoperte da uno shorts di
jeans, i
piedi infilati in deliziose ballerine rosa. Caroline Forbes sorseggiava
lentamente una bevanda ghiacciata - dal colore si poteva evincere che
doveva
trattarsi di the freddo - senza curarsi di ciò che le
accadeva attorno, e
apparentemente, era sola. Erano passati sette anni
da quando l’aveva
vista l’ultima volta, eppure l’ibrido dovette
ammettere che lei continuava ad
esercitare un’attrazione su di lui che non riusciva ad
ignorare.
Rimase ancora a fissarla, immobile, e la vampira dovette rendersi conto
che
c’era qualcuno che la guardava, così prese a far
vagare lo sguardo sulle
persone che la circondavano, finché non incontrò
il suo. Trasalì
visibilmente, mentre le labbra andavano a disegnare una
‘o’ stupita.
Klaus si incamminò nella sua direzione, lentamente,
raggiungendo il tavolino
dove era seduta. «Ehilà, tesoro»
«Klaus!» esclamò Caroline, ancora
shockata di ritrovarselo avanti, dopo tutto
quel tempo. «Che ci fai qui?» continuò,
riprendendosi.
«Noto con piacere che non hai perso il tuo spirito»
commentò l’ibrido, piegando
le labbra in un sorriso pigro e sedendosi accanto alla bionda.
La vampira alzò un sopracciglio. «Non mi sembra di
averti invitato a sederti»
osservò, facendo alzare gli occhi al cielo
all’altro.
«Andiamo, tesoro, sono passati sette anni
dall’ultima volta che ci siamo visti,
potresti almeno cercare di essere più carina con
me»
Caroline sbuffò. «Come vuoi» rispose,
tornando alla sua bevanda. Ma Klaus non
aveva la minima voglia di lasciarla andare così.
«Allora, qual buon vento ti porta qui, da sola?»
domandò, calcando
sull’ultima parola.
La vampira si morse nervosamente il labbro inferiore. «Sono
dovuta partire…»
mormorò «Due anni fa, all’incirca.
Dovevo avere ventitré anni, e continuavo a
dimostrarne diciassette. Le persone cominciavano a parlare, a fare
domande… Non
ho avuto altra scelta», si interruppe per bere un piccolo
sorso di the, poi
continuò «Tyler… Gli avevo chiesto di
partire con me. Avremmo scelto un’altra
città, una città qualsiasi, e avremmo
ricominciato da capo, insieme» la sua
voce era oramai ridotta a un sussurro. L’ibrido fece
schioccare la lingua,
alzando un sopracciglio. «Ma immagino che lui non sia voluto
partire» concluse,
al suo posto.
Caroline gli rivolse un sorriso amaro. «Avanti, puoi
procedere con il te
l’avevo detto, so che muori dalla voglia di
dirmelo»
Klaus rise, ma scosse la testa. «Non ce
n’è bisogno, tesoro, credo tu abbia
imparato la lezione da sola» commentò.
«E quindi ora giri il mondo per conto
tui?»
La bionda si strinse nelle spalle. «Ho solo visto qualche
città degli Stati
Uniti, non ho ancora visitato il resto. Sto facendo le cose con calma,
infondo
non ho fretta, giusto?»
Giusto, pensò l’ibrido, infondo
quella era la sua filosofia. «E
dove sei stata finora?»
«Sono stata a Los Angeles, ho vissuto per un po’ a
Malibu, mi sono innamorata
di quel posto. Ho visto altre città della California, e poi
sono andata a
Phoenix, Miami, Chicago. Ho assistito alle prime dei musical
più belli di
Broadway, ho visto il Gran Canyon, e sono persino andata a
Disneyland!»
«E ora, eccoti quì»
«E ora, eccomi quì» ripetè la
vampira, sorridendo. «Sono arrivata ieri, prima
stavo a Charleston. Ho visto i locali dove una volta si ballava per
tutta la
notte a ritmo di musica jazz… Mi è anche venuta
in mente una cosa che mi
dicesti, una volta»
«E cioè?»
«Che mi sarebbe piaciuto vivere negli anni Venti, quando le
ragazze erano…
Com’è che dicesti? Sconsiderate, sexy,
divertenti»
Klaus sorrise, si ricordava di quella sera: le aveva rubato un ballo al
Decade
Dance, che aveva per tema gli anni Venti, per l’appunto.
«Raramente il mio intuito commette errori»
commentò.
«Sempre pieno di te, vedo»
Il biondo sorrise, sornione. «Sempre»,
confermò.
«E anche tu sei qui da solo?»
«Perché? Ti dispiacerebbe sapere che sono in
dolce compagnia?»
Caroline alzò gli occhi al cielo. «Volevo solo
sapere se eri con la tua adorabile
sorellina»
«No, Rebekah è rimasta a New York»
La vampira annuì, sentendosi improvvisamente a disagio. Se
ne stava in una
città del South Carolina, seduta fuori a un bar a
chiacchierare con colui che,
qualche anno prima, era stato il fautore della sua - e non solo della
sua -
infelicità. Oltretutto, Klaus aveva quello sguardo che era
in grado di farla
sentire nuda davanti a lui, come se fosse
effettivamente in grado di
leggerle dentro, di carpire tutte le sue emozioni e di decifrare i
segreti più
reconditi del suo animo. Si mosse sulla sedia, imbarazzata, consapevole
dello
sguardo che lui non le staccava di dosso, ma che, anzi, sembrava
seguire ogni
suo piccolo movimento.
«Sai, credo che tu sia ancora più bella
dell’ultima volta che ti ho vista»
«E io che mi illudevo di non essere cambiata, in questi
anni» gli rispose,
cercando di darsi un contegno e tentando di non fargli capire quanto in
realtà
apprezzasse - l’aveva sempre fatto - i suoi complimenti.
«A una prima occhiata sì, potresti sembrare
identica a sette anni fa, Caroline
Forbes, ma la verità è che
c’è una nuova maturità in te, una nuova
consapevolezza di ciò che sei che ti mancava quando eri
vampira da solo un
anno, e che ti rende solo più affascinante»
La ragazza fece spallucce, non sapendo bene cosa dire.
«Proprio per questo, mi piacerebbe molto invitarti a cena,
stasera»
Stavolta la bionda strabuzzò gli occhi. «Per
un… Appuntamento?»
«Esatto, sì» confermò
l’ibrido.
«Non so cosa dire» ammise Caroline
«Tu… Beh, tu sei lo stesso pazzoide che fino
a qualche anno fa cercava in tutti modi di uccidere la mia migliore
amica, che
ha quasi raso al suolo Mystic Falls e che ha asservito il mio ex
fidanzato.
Sinceramente non vedo con che coraggio mi inviti a cena»
Klaus rise. «E’ vero, ho fatto tutte queste cose, e
a essere sinceri ho fatto
anche di peggio, nel corso della mia lunghissima vita, tesoro. Ma
questo era… Prima.
Sono trascorsi degli anni, e ora siamo a kilometri di
distanza da quel
triste paese di provincia, solo tu e io. Perché
negarti la possibilità
di conoscermi meglio?»
Non
poteva credere di essersi fatta convincere a uscire con lui, lui,
Klaus
Mikaelson.
Caroline studiò dubbiosa la propria immagine riflessa allo
specchio. L’ibrido
non le aveva detto dove sarebbero andati, anche se la bionda si
aspettava di
venire trascinata nel ristorante più lussuoso di
Summerville, una cosa che
probabilmente sarebbe stata totalmente da lui.
I capelli erano raccolti in una morbida coda laterale e le
accarezzavano,
vaporosi, la spalla sinistra; aveva indossato un adorabile abitino
bianco con
una stampa a fiori rosa, che le si stringeva sotto il seno grazie a una
fascia
color pesca, e che poi si allargava sui fianchi, e aveva completato il
tutto
con un paio di décolleté rosa ai piedi.
In quel momento, lo schermo del suo cellulare si illuminò,
segnalando l’arrivo di
un messaggio: Klaus la stava aspettando nella hall del suo albergo. La
vampira
fece un respiro profondo e, afferrata la pochette, scese.
Il biondo la sentì arrivare ancora prima di vederla. Ne
percepì il profumo -
fragole e Chanel - diffondersi nell’aria, e si
voltò per guardarla. La ragazza
stava scendendo le scale, appoggiandosi al corrimano, e ancora non si
era
accorta di lui. Quando lo vide, gli andò incontro,
fermandosi davanti a lui, un
sorriso imbarazzato impresso sulle labbra.
«Sei bellissima, ma non credo ci sia neanche il bisogno che
io te lo dica»
dichiarò l’ibrido, desiderando istintivamente di
chinarsi su di lei e baciarla,
ma si limitò a poggiarle una mano sulla schiena, avviandosi
verso l’uscita
dell’albergo.
«Spero non ti dispiaccia camminare»
«No, mi fa piacere: è una bella serata
infondo»
Camminarono in silenzio per un po’, l’uno accanto
all’altra, poi fu proprio
Caroline a parlare per prima. «Dove stiamo andando?»
Klaus si voltò a guardarla. «Hai paura?»
le chiese, divertito. Lei lo guardò
male. «Non ho paura di te»
L’ibrido scoppiò a ridere. «Allora sei
una dei pochi»
«Vuoi dirmi dove mi stai portando?»
«Tu dove credi ti stia portando?»
«Il più bel ristorante di questa
città?»
Lui le fece l’occhiolino. «Credo ti
stupirò» sentenziò, e poi non aggiunse
più
nulla.
Una decina di minuti dopo, Klaus si fermò davanti a un
locale dall’aria
trasandata, con l’ampia veranda ingombra e
l’intonaco scrostato. L’esterno era
decorato con reti, coprimozzi, una vecchia ancora, e addirittura,
accanto alla porta
vi era una vecchia barca a remi. L’ibrido le tenne aperta la
porta d’ingresso
al ristorantino, e una volta entrata, Caroline si guardò
intorno. Non era
sicuramente il ristorante più lussuoso di
Summerville, ma in realtà era
meglio così. Su un lato correva il lungo bancone del bar,
c’erano finestre
affacciate sul mare e la sala era arredata da tavolini informali,
apparecchiati
con tovaglie candide. L’aria era permeata
dall’odore di fritto e fumo di
sigaretta, eppure non era fastidioso. Gran parte dei tavoli era
occupata, ma ce
ne era uno libero tra una porta che dava su un terrazzino e un vecchio
juke-box, intento a suonare una canzone country.
Lei sembrava soddisfatta di quel posto, e il biondo ne fu contento. Si
sedettero uno di fronte all’altra, dando uno sguardo ai menu
plastificati già
poggiati sul tavolino.
«Allora, qual è la specialità della
casa?» gli domandò la bionda.
«Gamberetti. Di tutti i tipi. Grigliati, saltati, arrosto, al
limone, alla
creola, cocktail di gamberetti… »
«A te come piacciono?»
«Fritti. O crudi, con la salsa cocktail»
La ragazza poggiò il menu sul tavolino. «Bene,
visto che sembri abbastanza
esperto, scegli tu anche per me»
Klaus le sorrise. «Grazie per la fiducia, mademoiselle»
«Allora?»
«Allora crudi. In un secchio pieno di ghiaccio. E’
un’esperienza sublime»
«E sentiamo, quante ragazze hai portato qui? Per
un’esperienza sublime, si
intende»
«Cos’è, sei gelosa per caso?»
la punzecchiò lui «Fammi pensare…
Compresa te?
Una»
Caroline alzò un sopracciglio, scettica.
«Perché non ti credo?»
«Sto dicendo la verità»
La vampira lasciò che le sue labbra si distendessero in un
sorriso. «Va bene,
va bene» acconsentì.
Una cameriera dai capelli cotonati e apparentemente senza
età giunse poco dopo
per prendere le ordinazioni, per poi tornare con un secchiello colmo di
gamberetti e due bottigliette di salsa da cocktail.
Alternarono il silenzio alle chiacchiere, parlando dei posti che
Caroline
avrebbe voluto vedere, e quelli dove era già stata. Klaus
raccontò aneddoti
divertenti sulla sua vita, e la ragazza ebbe la sensazione che la
persona che
l’aveva portata a cena fuori, quella sera, era una persona
che valeva la pena
conoscere.
Erano lì da almeno un paio d’ore, quando
l’ibrido si alzò per infilare degli
spiccioli nel juke-box, per poi chinarsi in avanti e scegliere una
canzone, e
le note allegre ed estive di Sweet Caroline ben
presto riempirono la
sala.
«Mi concede questo ballo, dolce Caroline?»
Klaus la stava fissando intensamente, e la bionda si ritrovò
a ricambiare lo
sguardo. «Ma… Nessuno sta ballando»
replicò, debolmente.
«Per ora» aggiunse lui, porgendole la mano, e per
la vampira fu naturale
accettarla e seguirlo al centro della sala.
La ragazza gli posò una mano sulla spalla, dandogli
l’altra, mentre lui la
stringeva sulla vita. L’ibrido si rivelò un
ballerino eccellente, la fece
volteggiare più e più volte, facendola sentire
leggera e spensierata, per poi
farle terminare la canzone in un perfetto casquet.
«I bei tempi non sono mai stati così belli»
mormorò Klaus, a un
centimetro dal viso della bionda. La ragazza poteva avvertire il
respiro per
niente affaticato dell’ibrido, poteva distinguere le
pagliuzze verdi
all’interno dei suoi occhi azzurrissimi, che guardavano le sue
labbra.
Notò l’impercettibile movimento che
compì lui nel avvicinarsi maggiormente al
suo volto, e fu svelta a spostarsi.
«Fa molto caldo qui» sussurrò,
imbarazzata «Dovremmo uscire» continuò,
avviandosi
verso la porta del locale.
Poco
dopo, si ritrovarono a camminare in silenzio l’uno affianco
all’altra, tornando
all’hotel di Caroline. Le immagini di quello che era appena
successo si
susseguivano veloci nella mente della vampira, che non riusciva a
smettere di
pensare a quel bacio mancato. Fu la voce di Klaus a interrompere quel
turbinio
di riflessioni: «Domani parto»
La vampira si voltò a guardarlo di scatto.
«Domani… Di già?» non
potè
trattenersi dal domandare.
«Questo posto mi ha stancato, è troppo tranquillo
per i miei gusti»
Lei si ritrovò ad annuire, senza ben sapere cosa replicare.
«Parti con me»
L’ibrido si era fermato, nel bel mezzo del marciapiede, e la
guardava dritto
negli occhi.
«Io non ti conosco» obiettò lei,
debolmente «Per quanto mi riguarda potresti
essere il folle ibrido con manie omicida e che vuole sempre stare al
centro
dell’attenzione di qualche anno fa, questa potrebbe essere
tutta una farsa, una
messinscena… Potrebbe essere tutta una montatura da te
costruita per uccidermi,
o non so… Potresti soggiogarmi,
potresti…»
Ma Caroline non completò mai la frase, perché
Klaus si era tuffato sulle sue
labbra, zittendola. La vampira era rimasta interdetta per un secondo,
poi si
era ritrovata magicamente a ricambiare il suo
bacio, a schiudere le
proprie labbra per far entrare la sua lingua e a rincorrerla, a
stringersi a
lui e a farsi stringere, a intrecciare le proprie dita con i suoi
capelli, a
perdersi - e ritrovarsi nuovamente - in lui.
Quando si separarono, la ragazza avvertì una serie di
emozioni contrastanti
esploderle dentro, si sentiva come un’adolescente dopo il suo
primo bacio, con
gli ormoni in subbuglio e la mente annebbiata. Klaus continuava a
guardarla, e
lei non riusciva ad abbassare lo sguardo.
«Parti con me, tesoro. Ti mostrerò tutto
ciò che non hai visto, ti porterò in
posti che non hai mai neanche sognato, avrai solo il meglio con me,
Caroline.
Non ti sto chiedendo di fidarti, non ti sto dicendo che sono un bravo
ragazzo,
perché non lo sono e non lo sarò mai. Ma non ti
farei mai del male. Sono
passati sette anni… Le cose sono cambiate, le mie
prerogative sono cambiate.
Corri un rischio, Caroline, pensa fuori dagli schemi, buttati senza
guardare. Parti
con me»
La vampira rimase a fissarlo, immobile. Lui le aveva parlato col cuore
in mano,
e probabilmente gli era costato parecchio, e lei se ne rendeva conto.
Sentì le lacrime pizzicarle gli occhi e premere per uscire,
ma si fece forza e
deglutì, tentando di ricacciarle indietro. Pensò
a quel bacio che li aveva
uniti poco prima, alla serata appena trascorsa, e alle emozioni che,
volente o
nolente, lui era in grado di farle provare. Stette in silenzio a
guardarlo per
un tempo che le parve infinito, e solo quando fu sicura che non sarebbe
scoppiata a piangere, si azzardò a parlare.
«Mi dispiace» mormorò, scuotendo la
testa «Mi dispiace ma non posso»
Quelle furono le sue ultime parole, poi fuggì via,
più veloce che poté.
Dublino,
Irlanda. Dicembre 2019.
Il
giovane uscì dalla doccia, passandosi una mano tra i capelli
bagnati.
Goccioline d’acqua gli imperlavano la fronte, ricadendogli
sulle spalle; a
coprirlo, solo un asciugamano arrotolato in vita. Si
avvicinò con aria annoiata
alla finestra della sua camera d’albergo - una suite naturalmente
- osservando
ciò che accadeva fuori. Persone di ogni
età affollavano i marciapiedi,
lasciando impronte sulla neve, e camminando frettolosamente in una
disperata
caccia al regalo. Natale era alle porte, mancavano solo due giorni alla
Vigilia, e tutti si affannavano acquistando le ultime cose.
L’aveva sempre odiato il Natale, lui, con quella cosa del tutti
sono più
buoni, e i dolci, e quell’allegria immotivata che
sembrava far impazzire
chiunque. Almeno avrebbe rivisto Rebekah, che l’avrebbe
salvato dal trascorrere
quel giorno da solo. Persino per lui era una cosa decisamente triste,
così
aveva sentenziato la sorella, che l’aveva convinto a
raggiungerla alla Vigilia,
nonostante lui non facesse più caso a queste cose. Aveva
passato innumerevoli
Natali da solo, infondo.
Un leggero bussare lo distolse dai suoi pensieri. Non attendeva visite,
e non
aveva chiamato il servizio in camera, perciò non aveva la
minima idea di chi
potesse essere. Incuriosito, aprì la porta, ritrovandosi
davanti una vampira
bionda che non sperava di rivedere ancora.
Il ricordo di come l’aveva lasciato l’ultima volta
che si erano incontrati,
però, gli bruciava ancora, perciò si
limitò ad alzare un sopracciglio.
«Hey» mormorò lei, sorridendo
timidamente.
«Che ci fai qui?»
«Non ne sono sicura, veramente» ammise Caroline,
abbassando lo sguardo. «Credo
di doverti… Beh, delle scuse»
L’ibrido si appoggiò allo stipite della porta,
osservandola attentamente. «Ti
ascolto»
«Mi dispiace di essermene andata così, senza una
spiegazione, senza una parola…
La verità è che avevo paura»
«Pensavo avessi detto di non avere paura di me»
«Non avevo paura di te, infatti» replicò
subito, guardandolo male. A Klaus
venne spontaneo sorridere, ma si trattenne, continuando a sfoggiare
un’espressione disinteressata.
«Avevo paura di… Non lo so nemmeno io, ero
spaventata. Dal mondo. Da quello che
mi avevi detto. Di quello che poteva succedere»
«Cosa sarebbe potuto succedere? Ti avevo detto che non ti
avrei fatto del
male…»
«Non in quel senso» lo interruppe lei, arrossendo.
Klaus la guardò, e stavolta non potè fare a meno
di sorridere, serafico. «Ora
comprendo» dichiarò, mentre il sorriso diveniva
via via più grande, e
un’espressione soddisfatta gli si dipingeva sul volto.
«Tu provi qualcosa per
me!»
«Io non… No! No, non proprio. Così
è esagerato»
«Ammettilo!» gongolò l’ibrido.
«Sei crudele. E meschino. E te ne stai
approfittando»
«Mai detto il contrario, tesoro»
Caroline alzò gli occhi al cielo, e prese un respiro
profondo. «Forse potresti
interessarmi, un pochino»
«E così ho fatto colpo anche su di te, lo sapevo
che ci sarei riuscito prima o
poi! Ho impiegato più tempo del previsto, lo ammetto, ma ci
sono riuscito»
La vampira lo fulminò con lo sguardo. «Hai
intenzione di startene lì a gioire
del tuo ultimo successo ancora per molto? Perché se
è così potrei sempre
cambiare idea» lo minacciò. Klaus rise, gettando
indietro la testa, e si fece
da parte per farla entrare. Caroline avanzò
all’interno della stanza,
guardandosi intorno.
«La tua proposta di farmi vedere il mondo è ancora
valida?»
«Ma certo, tesoro mio» asserì lui,
andandole vicino.
«E con cosa cominceremo? Roma, Parigi,
Tokyo…?» domandò lei, sorridendo.
«Oh, mi sa che per ora cominceremo proprio da qui, da questa
camera… Ho la
netta sensazione che non ci muoveremo da qui per un
po’» mormorò Klaus per
tutta risposta, stringendola a sé e chinandosi su di lei per
baciarla.
Author’s
Corner:
salve
a tutti! Avevo
questa shottina (chiamatela shottina poi… 13 pagine di Word
XD) in mente da un
po’, ma dopo aver visto la 3x21 ho sentito
l’urgenza di scriverla u.u Neanche a
dirlo, mi sono innamorata di questa coppia con tutta me stessa
<333 Non so
perché, ma io adoro tutte le coppie impossibili di questo
mondo .-. Ho cercato
il più possibile di non esagerare con l’OOC, ma
è proprio questo il problema
delle coppie impossibili :D La citazione iniziale viene pronunciata da
Klaus
all'interno della puntata 3x20, i ricordi dell'ibrido scritti in
corsivo
all'interno della ff non sono frutto della mia immaginazione, ma di
quella
degli autori di TVD u.u Io mi sono limitata a raccontare ciò
che abbiamo visto
sullo schermo, dal punto di vista di Klaus. Inoltre, il pensiero
dell'ibrido riguardo il South Carolina (sfondo a romanzi d'amore ecc
ecc) è un
riferimento a Nicholas Sparks, che se non erro ambienta tutti i suoi
libri nel
North Carolina. Niente da togliergli, comunque, i suoi romanzi potranno
essere
banali, scontati e 'leggeri'... Ma io li adoro u.u Infatti la scena
della cena
(l'inizio) è volutamente ispirata a una scena di Ricordati
di guardare la luna.
Spero che la storia sia stata di vostro gradimento, fatemi sapere cosa
ne
pensate, se vi è piaciuta, o anche se non l’avete
apprezzata… Le critiche costruttive
sono sempre ben accette :) Un bacio e a presto <3