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Autore: Dadasopher    07/05/2012    5 recensioni
«...lottammo a denti stretti entrambi, lei contro il pavimento e io contro la perdizione, due “p” , principio comune per futuri fallimenti...».
Disclaimer: i personaggi di questa storia non mi appartengono e tutto quello che scrivo è frutto della mia mente.
Genere: Comico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Reita, Ruki
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Atto Finale.

Il dilemma del Porcospino.


(3.)

«Oggi, appena entrato nella tua casa,
mi sono sentito
a disagio.
Tu celavi qualcosa nell'abito di seta
e s'effondeva nell'aria un profumo di incenso.
Sei felice?
Hai risposto un freddo:
molto”
[…]

Lo so,
ormai l'ha consunto l'amore.
Da tanti segni indovino la noia.
Fammi tornare giovane nell'anima.
La gioia del corpo fa di nuovo conoscere al cuore.

[...]

Gioisci,
gioisci
d'avermi finito!
Ora è tale l'angoscia che desidero
soltanto fuggire al canale
e il capo cacciare nell'acqua digrignante

[...]

Oh, questa
che notte!
Ho spremuto a non finire la mia disperazione.
Al mio pianto e al mio riso
il muso della stanza s'è torto in una smorfia di orrore.

[…]

Tu che hai saccheggiato il mio cuore,
privandolo di tutto,
e nel delirio, m'hai lacerato l'anima,
accogli, il mio dono,
forse più nulla io potrò inventare.

[…] »*


L'albeggiare filtrava cautamente attraverso gli spifferi della tapparella mettendo in rilievo il disordine che io e il signorino avevamo creato artisticamente giusto un po' di ore prima: svariati calzini spaiati pendenti pericolosamente dallo schienale bluastro della sedia e disseminati sulla sua scrivania (superficie piana sulla quale mi ero adagiato durante le ore della passione), la sua camicia inamidata gettata frettolosamente all'estremità del letto e salendo da lì, procedendo vertiginosamente nella nostra direzione, c'erano vari indumenti spiegazzati dal nostro impeto animalesco, ora sparpagliati chissà come ovunque. La stanza era così animata da Ryo, da me e tutti i nostri stracci quotidiani ingarbugliati in modo inspiegabile tra e intorno a noi.
Tanto improvvisamente mi aveva colto il sonno -rivelando peraltro le mie attitudini bambinesche- che mi ero addormentato stringendo la sua maglia di pile tra le braccia esili.
Un tempo questo pezzetto di stoffa scadente usava essere di un colore tendente al blu oltremare; poi da quella luminosità e intensità tipica dei capi freschi di negozio si era fatto piuttosto sbiadito nei risvolti delle maniche, per non parlare delle fodere delle tasche completamente sdrucite e rattoppate alla bell'e meglio. Così quell'acquisto, vantato più volte come a buon mercato, aveva finito irrimediabilmente nel trasformarsi in una fregatura. Tant'è che lo usava solamente per scopi domestici e se gli capitava anche di uscirci per sbaglio se ne vergognava. Eppure era comodissimo, abbondante sui fianchi, tutto dimesso e in netto contrasto con le camicie da impiegato che soleva tenere al di sotto per pigrizia in alcune sere, anche dopo essere uscito dall'ufficio. “Le cose vecchie e lacere sono sempre le migliori!” Pensai scherzosamente. Tenendomelo stretto sentivo il profumo penetrante di Ryo impresso in quelle fibre semplici; non era sgradevole come uno potrebbe immaginarsi, tutt'altro. All'odore balsamico di fondo dell'ammorbidente e del bagnoschiuma al sandalo si aggiungeva timidamente quello della sua pelle matura che manteneva ancora una leggera punta di latte, come se il bambino in lui fosse sempre presente per giunta nella fragranza della sua persona. Io di caratteristico avevo tutte le mie stramberie modaiole matsumotiane di una raffinata pacchianeria domestica e non, mentre Suzuki in ambienti intimi vestiva di una semplice straccionaggine cucitagli alla perfezione addosso, quasi egli fosse un ordito di stracci e depressione.
Alla fine il manufatto tessuto con quel binomio particolare – e poi ribattezzato da sua madre al momento della creazione-nascita “modello Ryo”– una volta tanto resistente quanto il fustagno, si era evidentemente lacerato troppo da lasciare in alcuni punti dei buchi notevoli. Allo stesso modo aveva fatto lui ultimamente, aveva permesso che le tarme affamate gli divorassero poco a poco la maglia che indossava quotidianamente, lasciandolo inerme nei confronti del mondo con dei vuoti nell'anima.
Mi carezzò il viso un leggero anelito o forse ebbi soltanto l'impressione del suo ricordo e spezzò la salda catena di pensieri del dormiveglia. Non saprei dire se questo piccolo segnale sia stato frutto della mia mente fantasiosa o cosa. Davvero. Decisi. Indagai.
Aprii gli occhi su quello scenario di giacente irrequietudine, sicuro di trovarmi di fronte le sue spalle tornite e glabre accompagnate dal odore di nicotina, impregnatosi già nelle tende e federe. Invece a darmi il buongiorno fu la delicatezza del suo respiro e le sue mani possenti, che ricalcavano, non senza qualche incertezza, le linee del mio viso imberbe soffermandosi sulle imperfette estremità quadrate del mio mento.
-Buongiorno- disse carezzevole, scostando un ciuffo dai miei occhi cosicché potesse osservarmi in toto.
Nel tepore del risveglio mi sentii di commentare ingenuamente quel gesto piuttosto contrario alla sua natura coriacea.
-Non credevo che ti piacesse guardare le persone dormire- scossi il capo per fare tornare i ciuffi davanti al mio viso, mi vergognavo a mostrarmi così nudo a lui.
-Non è che ti guardo da ore eh. È solo che mi hai fatto il solletico coi capelli svegliandomi!- rise dando baci al mio collo mentre il suo corpo, sovrastandomi, cercava di bloccarmi contro il materasso.
-Dai Ryo!- strillai- Puzzi di animale. Vatti a lavare e dopo ti abbraccio quanto vuoi!- volevo una scusa per scrollarmelo di dosso.
-Gne gne gne- prese possesso delle mie labbra per qualche secondo- Tra poco...Bah profumato te allora!- iniziò a spettinarmi
-Sei un disturbatore della quiete, Puzzola- e come tutta risposta mi rigirai a pancia all'ingiù.
Cadde a sua volta accanto a me, intontito più del solito dal sonno.
Uno scatto repentino di molla e il materasso finalmente era diventato un territorio di mia appartenenza. In uno scambio di battute veloce ero riuscito a conquistarmi la morbidezza incontrastata, il giaciglio d'amore ancora caldo dove rotolarsi senza alcun ostacolo!
Tutto ciò che animava l'appartamento era lo scorrere dell'acqua, poi regnava la calma incontrastata.
Eppure c'era qualcosa che stonava in quella situazione, lo percepivo distintamente sebbene mi fosse impossibile delineare la semplice idea di cosa si trattasse. Vagliai accuratamente le varie ipotesi del caso, attento a non cadere in ragionamenti troppo scontati o animati da interesse personale. Il risultato fu assolutamente deludente, del resto cosa avrei potuto pretendere da me stesso a quell'ora? E poi....che ore erano? Da lì iniziò una travagliata ricerca del mio orologio entro le pareti di cartongesso della stanza precarie quanto noi due; Scossi il materasso, alzai i cuscini, poi pensai addirittura che potesse essere finito tra le federe e il cuscino tanto che vi indagai, irrequieto cercai sotto le lenzuola, tra il piumone ed esse, sotto il letto, sui tappetti gattonando disperato, sotto ai calzini, gettando occhiate sui mobili, e di nuovo giù in terra per finire sul letto, ma qui per scopi di comodità. Tutto a un tratto la gelida stretta di lui si era impossessata del mio bacino, serrando la mia virilità tra le sue dita.
-Cosa stai andando a cercare così pazzamente? Ti ho osservato sai?-bisbigliò rapace all'orecchio
Incapace di rispondergli qualcosa, mugugnai andando a sovrapporre le mie mani sulle sue.
Passò un attimo di silenzio, in cui si divertì come un sadico a tormentare il mio lato perverso, passando poi a palpare le mie cosce provando un certo gusto sopraffino.
-Sa Matsumoto lei ha delle cosce così morbide...com'è morbido Lei...uhm-cambiava registro qualora volesse delineare un qualcosa di strano oppure apprezzabile. Era uso tra noi due dire di queste sciocchezze nei nostri discorsi. Era il feeling che avevamo costruito io e lui. Per concludere in bellezza, naturalmente aggiungeva sovente delle piccole onomatopee delineanti gaudio.
Posi fine violentemente a quel contatto, spingendolo pochi passi più distante da me.
-Smettila Ryo, smettila di farmi male così...-avevo la voce spezzata da un profluvio di lacrime.
Evitò di chiedermi cosa mi stesse succedendo, sapendo preventivamente che sarei esploso come una pentola a pressione surriscaldata. Girandomi verso di sé fu mosso a compassione e si mise ad asciugarmi il viso con le dita
-Perché stai piangendo?- almeno quella volta fu affabile.
-So che mi vuoi bene, ma non mi sento amato da te. Mi sento così morto ecco un anno e mezzo di tribolazioni silenziose confessato.
-Takanori...lo sai che ti voglio tanto bene, che tu ne sia convinto o no sinceramente, ma sai che non sono ancora pronto...- tutto d'un tratto assunse un atteggiamento compassato.
-Ryo è passato più di un anno. Io voglio darti amore, ho tanto bisogno di amarti, di farti credere che c'è qualcosa di migliore. Tu hai costruito un muro di fronte a me, tu non mi permetti di amarti!- il tono crescente finale venne da sé.
-Takanori lo sai che sono uscito da una storia difficile. Perché dobbiamo sempre parlare delle solite cose? Viviamo così come viene la cosa...e poi...guardiamo- rispose piuttosto seccato, come se la “cosa” non lo toccasse.
-Forse intendi storia per cosa. Diamo un nome alle “cose”.E poi... Ti ho aspettato per un anno, ti sono stato accanto SEMPRE, mi sono donato a te...e tu perché non me l'hai detto subito chiaramente che non te la sentivi? Hai sempre cercato di eludere dal discorso con tutte quelle tue chiacchiere.-
-E va bene. Io però mai ti ho detto “mettiamoci insieme”, ti ho sempre detto chiaramente che non volevo una cosa seria...Lo sai il motivo comunque...-
-RYO CAZZO è PASSATO UN ANNO E MEZZO!-ridimensionai il mio tono, accorgendomi di essermi fatto prendere dalla furia del momento- Io ti ho aspettato per tutto questo tempo, non ho mai avuto occhi se non per te, per le tue pene e dolori. E sono stato felice di averti aiutato, credimi. Ma potevi spezzare subito le mie illusioni. Ed evitami la storia dei sei anni e mezzo passati con quella...tutto ciò fa parte del passato ormai, che tu lo voglia o no-
-Takanori...-mi afferrò le mani- Come devo spiegartelo che non ho da donarti nulla? Io tengo a te e tenevo sinceramente a lei...ma non posso rendervi felici-
-Tu sei un codardo! Te lo dico io cosa...Tu a trenta e passa anni hai paura di amare! Di legarti a qualcuno!-inveii. Lui non ammise apertamente che avevo perfettamente ragione, probabilmente l'avrebbe confermato a se stesso tacitamente tra qualche annetto, dandosi di stupido per aver perso un'occasione d'oro nella sua vita. Badate, di questo ne sono sicuro.

Afferrai furioso le mie cose disseminate per terra e mi vestii come meglio potevo, nonostante le mie mani tremassero per la rabbia. L'ultima possibilità la riposi in un tentativo da parte sua di fermarmi, di ribellarsi alle mie parole, di dimostrarmi che tutto ciò non era stato vano. Ma come ogni ottimista che convinto potrebbe morire per le sue aspettative, io attesi invano, vedendo la sua mollezza e fiaccaggine rimanere le solite e anzi aumentare portandolo a sedere sul letto con lo sguardo perso nel vuoto.
-Ciao Ryo- sbattei la porta dietro di me.
Lui era convinto che me ne sarei tornato da lui con la coda tra le gambe in un batter d'occhio; ed effettivamente fui tentato molte volte di ripetere i miei errori del passato, di continuare a fingere di stare bene, di tralasciare quel implicito problema che ci trascinavamo dietro da mesi a questa parte.
Tanto più alto è il dolore tanta più è la dignità. Fu la massima tramutatasi in imperativo categorico con la quale mi imposi di affrontare il dolore soffocante che mi toglieva la forza, la vitalità, la mia dimensione personale. Mi ero annullato. Adesso apparivo come un coacervo inanimato di più istinti contrastanti e vivevo quella futile esistenza per inerzia, perché di privare quel piccolo corpo della sua singolarità non ne avevo il coraggio. Ripensando alla mia condizione infelice ero devastato dal pensiero di essere in qualche modo simile a lui, sgomentato dal fatto che ancora qualcosa mi legava alla sua parallela esistenza, sebbene fossero delle coincidenze generiche e non più articolate come quelle passate. Inutile dire come mi sentissi straziato e anche se provassi con la massima precisione a descrivervi gli stati d'animo e sofferenze con le quali convivevo allora, non riuscirei nel mio intento dandovi solo parole vacue, troppo generiche, usate spesso pure dagli altri e sfruttate senza criterio. Non era mica per lo smacco subito, ho imparato da tempo a lasciare l'orgoglio da parte, ritengo maggiormente verosimile che sia stata spezzata quella riposta fiducia negli altri, l'impossibilità di fare del bene a farmi precipitare tanto a fondo.

Se davvero avessi potuto avrei sacrificato la mia intera esistenza per renderlo felice; poi ho realizzato che non è necessario mettersi in gioco a tal punto affinché qualcuno a noi caro trovi la propria felicità, d'altra parte essa è personale. Sì ognuno è capace di conquistarla anche se sul momento sembra un'impresa ardua e irraggiungibile. Alla fine non è questa la bellezza del nostro stare al mondo? Sorrido al pensiero di aver formulato in un tempo non tanto remoto un pensiero tanto sciocco. Con questo non intendo dire che sia sbagliato sacrificarsi per gli altri, per il semplice motivo che sarei un ingrato verso la fonte della mia vita, la mia vera genitrice. Però comprendo l'importanza della conquista individuale, in quanto aiuta a districarsi nel complicato labirinto della vita. Amavo così inconsciamente questo uomo accanto a me, da non rendermi conto di essere stato coinvolto in qualcosa di più grande. Adesso non dico di non provare nulla, la differenza delle due condizioni sentimentali giace nella lucidità con cui ho vissuto la cosa e ne fui consapevole solamente l'ultima volta che lo vidi.

Dall'angolo della strada proveniva un piacevole odore di caffè misto a paste appena sfornate, calde di quelle che mangeresti senza pietà per ore di seguito, senza il minimo ritegno e autocontrollo. Ricordai della mia golosità congenita, di quando assaporavo la favolosa cioccolata a cucchiaiate sentendomi improvvisamente meglio e questo era uno dei miei numerosi episodi fanciulleschi di ghiottoneria.
Entrai guidato là dentro più dal fiuto che dai miei piedi, bisognoso di un break prima di rigettarmi a capo fitto nella vita di sempre, pieno come ero di visite ospedaliere e problemi molte volte originali. Al di là del bancone se ne stava una ragazza sulla ventina, non particolarmente avvenente, in attesa di avventori fortuiti e io ero uno di quelli. Rimasi fedele alla brioche riempita con gustosa cioccolata accompagnata da un cappuccino; per l'appunto lo stupido mi aveva raccontato che qui si fanno ottimi espressi perciò mi era sempre rimasta la voglia di venirci e tra una cosa e l'altra non avevo mai avuto l'occasione di farci un giro.
-Buongiorno Matsumoto- una voce stranamente allegra mi sorprese alle spalle.
-Buongiorno a Lei- fui altrettanto cordiale nel salutare.
-Un caffè per favore- chiese espressamente quando fu accanto a me- Anche lei a prendersi un bel caffè per iniziare al meglio?- sorrise squisitamente.
-Ebbeh mi pare d'obbligo, no? Lei ha finito i turni oppure attacca adesso?- era più carina del solito senza l'uniforme bianco, nei suoi panni privi di etichettatura professionale.
-Ah io ho finito il turno di notte proprio una trentina di minuti fa! Stanotte sua madre è stata più brava del solito sa?-la sua voce si fece più sommessa e riservata- L'ha chiamata solo un paio di volte, pensi voleva solo lei! Poi le abbiamo spiegato che sarebbe venuto l'indomani a trovarla-
-Mi spiace che vi disturbi così tante volte durante la notte, davvero. Immagino che con tutto lo sgambare che abbiate sia un po' noioso stare dietro alle sue “bambinate”. Non so veramente come ringraziarvi di tutto...-fui intimamente grato alla ragazza per le parole che stava spendendo con me, ne avevo veramente bisogno. E forse ella lo aveva capito solo guardandomi, comprendendo il motivo della mia stanchezza.
-Matsumoto via non mi ringrazi! Questo è il mio lavoro e lo faccio volentieri!- mi fece un occhiolino- Vedo che sua madre è molto attaccata a lei, deve essere un figlio d'oro. Non tutti se ne prenderebbero cura come fa lei!- pareva molto affascinata dal mio operato paziente e scrupoloso. Spesso evitavo a Lei e alle sue colleghe di spendere molto tempo dietro a ogni esigenza di mia madre, che purtroppo ne aveva tante, occupandomi delle sue abluzioni mattutine, dei suoi pasti e delle piccole cose. Adesso ero io il genitore e lei la creatura da accudire; ma forse era sempre stato così e non mi faceva particolarmente effetto né mi destava alcuna fatica.
- Vedi, ti do del tu- una luce strana mi si accese negli occhi- io cerco di darle il meglio non per scrupolo di coscienza, ma perché ho bisogno di vederla stare bene...-lasciai in sospeso la frase sicuro che altre parole sarebbero state superflue. Lei parve capire ciò a cui alludessi e non commentò se non con uno sguardo comprensivo.
Alla fine quel viavai era servito a farmi ricordare da Lei.


***

-Papà, papà!-urlava correndo verso di me, con quel vestitino di velluto rosso tutto gonfio, con le maniche a sbuffo sembrando una minuta e graziosa fragolina matura. Un sorrisetto furbastro, i piccoli dentini da latte sulle labbra altrettanto rosse e gli occhietti da cerbiatta posati su di me
-Papà la nonna mi ha rubato le caramelle! Diglielo che sono mie!-si aggrappò ai miei jeans da dietro cercando un appoggio nella sua piccola lotta fanciullesca.
-Oh, ci sono tante caramelle nel barattolo! Dividetele su Ayumi!- lasciai la brace per un attimo concentrandomi su di lei, in ginocchioni- Amore mio, la nonna vuole giocare con te. Vai su e offrigliele da brava bimba, come ti ha insegnato tuo papà. Te ne compro quante ne vuoi...però non dirlo a mamma eh!- le baciai amorevolmente la fronte e poi via, libera nel praticello a correre.

Era tutta sua madre non c'è che dire e di mio, beh apparte il cognome, aveva la vitalità fanciullesca e lo sguardo curioso verso i misteri del mondo. Ayumi era la mia certezza inconfondibile da ormai quattro anni e mi era parso che le nostre esistenze fossero sempre state collegate in qualche modo, solo che non lo avevamo mai saputo prima. Succedeva che la spiassi a lungo dalla fessura, senza essere visto e ogni volta venivo colto dall'idea di essere sempre vissuto per concepirla, perché lei era stata realmente la gioia più grande che avessi avuto. E non parlo solo della contentezza di poterti donare liberamente a qualcuno, ma anche della condizione di farlo privo di interessi. Quell'amore incondizionato, puro mai datomi dai due uomini più importanti della mia vita.
Dopo il biondo a essere sincero credevo di non riuscire più a vivere l'innamoramento spensierato, dato che tutti i miei sforzi erano stati abbattuti deplorevolmente dall'egoismo di una certa persona malata. Invece trovai il modo di costruirmi una mia piccola oasi di felicità con tanta semplicità e sforzi, ma non era forse quello l'obiettivo di Takanori Matsumoto?
Avere una famiglia, un lavoro modesto e vivere. Ora potevo aggiungerci pure la modalità: felicemente.
In mia moglie avevo trovato la complementarità, se non perfetta, almeno coincidente con i miei lati più nobili e vi avevo lasciato tutto ciò che avrei amato alla follia, Ayumi. Maggio non era stato semplicemente il mese più caldo e adatto ad innamorarsi ma aveva dato i suoi frutti: avrebbe portato una nuova meravigliosa vita tra di noi. E più mi spingevo dentro e verso il grembo di mia moglie, consapevole del mio atto di creazione, tanto più raggiungevo quello spazio dove un tempo anche io avevo dormito tanto tempo prima. Finalmente avevo riabbracciato mia madre.
Ayumi era stata voluta tra le nostre lacrime di gioia, predestinata a una famiglia “originale” e di sicuro non si sarebbe mai annoiata tra le birichinate di sua nonna e i baci dolci di suo padre.
Se ci penso adesso, neppure in condizione stessa di padre comprendo il coraggio che ebbe a sua volta quell'uomo ad abbandonarmi in un così malo modo. Che essere abietto!

Voglio raccontarvi anche questa: ogni sera io e la piccola guardiamo dalla finestra-oblò il mantello blu incantato ricamato di stelle e impreziosito dalle luci della città. Spesso mi chiede se la sua nonna brilla con loro e io le do la conferma, sussurrandole cose dolci. Lei allora mi abbraccia e mi dice che sono il papà più bravo del mondo e a me scappano due lacrime.
Dopo che le ho rimboccato le coperte e lei si è addormentata volgo sempre uno sguardo al cielo, proiettandomi a quell'ultima volta.

Rividi per caso Ryo molto tempo dopo dalla nostra frequentazione pretenziosamente intellettuale in uno di quei bar in fondo alla città. Parlammo, ma soprattutto lui riversò tutto quello che aveva passato durante quella lunga separazione, mantenendo l'impeto e la convinzione di un tempo. Fu meraviglioso constatare che mi ero finalmente liberato dai suoi flussi logorroici. Ormai non l'ascoltavo con quella rapita attenzione amorosa di un tempo. Era tutto finito. Il fantasma di Ryo Sukuzi non mi tormentava più.






Sai mamma,

avevo ragione...“Certe persone non possono essere salvate dal loro avvenire e neanche vogliono che nessuno lo faccia.” Io e te siamo stati molto sfortunati nella nostra vita fino ad adesso incontrando delle persone che ci hanno ferito così profondamente da farci credere di aver perso ogni speranza. Senza di te è stata veramente dura, avrei tanto voluto avere qualcuno con cui confidarmi quando soffrivo, avrei voluto condividere con te le piccolezze della vita, ti avrei voluta accanto nel giorno del mio matrimonio o quando Ayumi ha perso il primo dentino.
Eppure so che tu mi tieni sempre per mano o che mi carezzi il viso con l'impeto del vento ricordandomi di essere come te.

Mamma ti voglio bene,
il tuo bambino Takanori.


FINE.




Note dell'autrice:

Sono realmente emozionata, sono tantissimi anni che scrivo (e poi puntualmente cancello con costanza ciò che creo) ed è la prima long fic che finisco. In tutto questo tempo molte persone sono andate, venute nella mia vita e mi sento un po' come Takanori, deluso da quello che la vita gli ha dato ma desideroso di trovare la sua pace. E a lui l'ho fatta trovare sul serio, come mai nessuno gli ha permesso- o almeno da quello che leggo io nelle fiction e se sbaglio vi prego di correggermi. Ho voluto regalargli la gioia di essere padre, dato che anche il vero pare amare i bambini e in più ho fatto riferimento al rapporto femmina-madre che si viene a completare nell'ultimo pezzo.

Riguardo al titolo di questo capitolo “Il dilemma del Porcospino” ho preso ispirazione dalla teoria Freudiana (in “Psicologia delle masse e analisi dell'Io”) e poi Schopenaueriana (in “Parerga und Paralipomena”) dell'amore. Questa teoria compara l'amore di due persone a quella dei porcospini in quanto più questi si avvicinano tanto più si feriscono tra di sé per gli aculei. Se poi si estende al rapporto di coppia, Schopenauer dice che quando si inizia a prendersi cura l'uno dell'altro e a fidarsi qualsiasi cosa di spiacevole che accade a uno ferisce irrimediabilmente anche l'altro, causando incomprensioni ben maggiori e problemi. Pertanto è importante trovare la giusta distanza per vivere e non farsi del male a vicenda. Quindi diventa un amore masochista (e si entra nel cerchio del conte Masoch ) e strumento di tortura autoinflitta dal quale è impossibile scampare.
Riguardo al titolo della fan fiction l'ho ripreso con la variazione ortografica della y, dal film “Disturbia” (2007) diretto da Caruso per le analogie tra i due riguardanti l' “osservazione della vita” degli altri e del vivere apatico in una situazione famigliare difficile (anche se la mia fan fiction è contraddistinta da una diversa reazione vitalistica).

*Questi pezzi di poesia sono ripresi dal “Flauto di Vertebre” di Vladimir Majakovskij, tradotti da Guido Carpi,edito da BUR, 2010.
Mi sembra scontato il motivo per cui abbia deciso di metterli qui. Riassumono un po' tutta la storia anche se ovviamente gli sviluppi della poesia e della mia storia sono diversissimi. Ricordo a chi leggerà le mie note che Majakovskij dedicò questa poesia alla femme fatale Lilicka della quale era follemente innamorato, invece nella mia storia fa riferimento al rapporto omosessuale , sempre travagliato ma più fortunato nella fine rispetto alle vicende del poeta russo. Vi consiglio comunque di leggerla integralmente se avete voglia e curiosità, perché è di una bellezza unica. Capirete il motivo per cui egli è diventato tanto famoso e la sua bravura e originalità scrittoria.
Oltretutto l'ho scelto tra molte poesie (anche perché di poesie d'amore ce ne sono a bizzeffe!) perché lui è l'autore preferito della persona a cui ho dedicato questa storia e che mai (forse) leggerà questa semplice fiction.

Ci terrei a ringraziare particolarmente GurenSuzuki per i suoi commenti splendidi che mi hanno dato la forza di continuare e coloro che l'hanno messa tra le seguite, quindi BlackSwan, Kinokochan, momo89,Pad_foot e fantasy_40 che addirittura l'ha messa tra le preferite. Certo non vi nascondo che mi piacerebbe sapere il motivo per il quale avete deciso di seguirla o addirittura l'abbiate messa tra le preferite.
Se volete rendermi felice sapete come fare ;D

Grazie di tutto e alla prossima!
Essì ho in progetto un'altra long fic con i gaze...mooooolto particolare ;D niente spoilers però!

Valja.

  
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