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Autore: DonatellaR    08/05/2012    13 recensioni
Breve seguito di Silver, storia scritta dalla bravissima Butterphil presente sempre nella sezione Romantico e che vi consiglio caldamente di leggere se non l'avete già fatto.
William riscopre il vero se stesso dopo la scomparsa di Clementine. Una maturità acerba che dovrà essere pazientemente coltivata.
E' un modesto omaggio all'autrice e a ciò che ha rappresentato la sua storia per me. Grazie mille, Giuls! :)
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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DAFFODILS
 
basata su Silver By Butterphil

 
 
 
Era come se fosse stato innamorato di se stesso per tutto quel tempo. Si era chiuso al mondo per metà della sua vita e adesso stava rinascendo. Era uscito dal bozzolo che l’aveva avviluppato, soffocante, e guardava ora la superficie dorata del mare con occhi limpidi.
Non era stato facile. Aver accettato la parte sensibile di sé era stato solo l’inizio della sua trasformazione.
Miriam era tornata a casa tre giorni dopo la sparizione di Clementine. Era inciampata negli scalini dell’ingresso talmente era rimasta abbagliata dal sorriso raggiante di colui che pareva assomigliare a suo fratello.
No. Era suo fratello ma lo spirito che dimorava in fondo alle sue pupille era differente. Assurdamente le ricordava la sorella adottiva e fu in quell’istante che chiese dove fosse, non nascondendo un certo tremore nella voce.
William aveva corrugato in modo curioso le sopracciglia come se si aspettasse la domanda e stesse cercando una via adatta per spiegarle un evento complesso.
Lei l’aveva scansato, poco incline a sopportare la sua temporanea balbuzie, e si era diretta di corsa di sopra, mossa da un opprimente presentimento.
Aveva trovato la camera di Clementine vuota e aveva subito tirato uno strano respiro di sollievo. William l’aveva e rimaneva un passo indietro a lei, in attesa. Lei aveva girato lentamente la testa e si erano guardati.
Glielo lesse negli occhi.
Troppo sgombri e distesi per essere i suoi.
William li abbassò, non sapendo bene decifrare lo sguardo intenso di Miriam.
Un sospiro.
- Sembri aver raggiunto un tuo – la pausa di un secondo – equilibrio.
Rialzò le iridi su lei e la sorprese ad indirizzargli un’occhiata di placida consapevolezza.
Fu allora che notò la sua tenuta da viaggio. La giacca di satin abbottonata fino al collo, i guanti di pelle rigidamente stretti attorno al manico dell’ombrello che l’aveva riparata dalla sottile pioggerellina estiva.
A Miriam non sfuggì il suo scandagliare indagatore.
- Sono venuta a prendere le cose che mi servono. – disse trattenendo leggermente il fiato al pensiero che il fratello potesse tentare di fermarla e rilevasse il motivo che l’aveva condotta a quella risoluzione.
Ma William non mostrò rabbia, soltanto un lieve sconcerto per un’intraprendenza che gli era inedita nella sorella. Non sarebbe potuto essere altrimenti dato che aveva speso metà della sua esistenza ad ignorarla, concentrato al massimo su se stesso e Clementine. Non avevano avuto il tempo di saldare un legame consistente tra loro e la sua reazione fu naturalmente tiepida.
Fu come se la vedesse per la prima volta e imparasse in quel momento a conoscerla.
- Dove vai? – chiese quasi emozionato per lei.
- Nella nostra casa a Londra. Ho bisogno di distrarmi e raccogliere le idee. – dichiarò scrutandolo febbrile e determinata. Non era una decisione presa su due piedi. Era stata ponderata forse dal funerale della madre. Nei giorni imminenti si era accorto fosse accompagnata a breve distanza da un ragazzo dagli abiti popolani munito di una certa dignità nel portamento che l’aveva colpito. Si era ricordato più tardi che era lo stesso garzone di Brighton col nome seicentesco di Milton. Un esemplare raro che pareva addirsi ad una donna particolare come Miriam.
- Ti fidi di lui? – domandò a bruciapelo. Tralasciando il romanticismo, non poteva non registrare il profondo divario tra i due.
Lei gli piantò le pupille dritte nelle sue, l’espressione ferma.
- Si. Lo prenderò a servizio per il momento. – gli rivelò sempre con tono definitivo.
L’aveva osservata per un minuto buono e, poi, si era allungato verso la sua fronte a stamparle un bacio di benedizione. Infine, dopo aver caricato la sua carrozza, Miriam era scivolata via e non l’aveva più rivista.
Ogni tanto gli scriveva allegandogli i fogli della sua contabilità. Parche parole per dire che era tutto tranquillo.
Aveva chiuso le stanze che non usava. Quella villa non era strutturata per un uomo solo. Aveva salvato la sala della musica. Più che in passato avvertiva l’impellente necessità di esprimersi al pianoforte.
Sarebbe stato capace di rianimare quei tasti silenziosi? O si sarebbe bloccato con un dito meditabondo sul Do, incapace di proseguire? Poi aveva capito che era l’unico modo di riportare indietro quella notte con Clementine. Il suo odore stava svanendo impercettibilmente nei labirinti della sua mente. Tuttavia, l’essenza del loro rapporto era ancora possibile catturarla in una sinfonia che aveva scoperto calzasse alla loro storia come una seconda pelle. Era di un compositore molto in voga in quel periodo. Lui l’aveva snobbato all’inizio con la spocchia di un pianista professionista, il quale non poteva confessare di essere.
Ora, però, il suo stato d’animo era mutato.
Aveva incominciato timidamente a comporre le note.
Sembravano scorrere con un senso.
La prima volta che arrivò alla fine  della composizione di Franz Liszt, Seliger Tod, Holy Death, pianse come un bambino.
I was dead from love’s bliss,
Era morto ed era rinato tra le sue braccia.
I lay buried in her arms
Si era sciolto in lei, dimentico dell’ostinato mondo che li circondava e l’aveva accolta come un balsamo.
I was wakened by her kisses
Aveva percepito un’energia, una spinta vitale inaudita che l’aveva travolto.
I saw heaven in her eyes.
Si era svegliato e nessuno gli aveva detto che cosa fare da quell’istante a seguire.
Privo della sua ossessione si era sentito nudo al cospetto della società.
Suonare questa melodia gli faceva rivivere gli attimi con lei ma lo aiutava anche lentamente a superarli.
Non poteva deperire e morire. Avrebbe reso vana l’unione con Clementine. Doveva conferire un significato a quella notte e in muto ringraziamento di essa sarebbe vissuto.
Si aggrappò alla ringhiera della nave, sostenendosi troppo pesantemente.
- Cosa ti turba?
Si voltò, di colpo rilassato e a suo agio. Avrebbe riconosciuto quella voce pur se avesse smarrito la memoria.
Capelli d’oro raccolti in una crocchia a cui erano sfuggiti diversi che ondeggiavano piano al vento, il viso sorridente accendeva gli occhi trasparenti di una luce calda.
A volte tornava a trovarlo.
Raramente ma succedeva.
- Non è scappato. – le comunicò come se fosse sottinteso di chi stesse parlando.
Clementine esaminò l’orizzonte.
- Perché avrebbe dovuto? – chiese per dimostrargli l’ovvio.
- Bè, non è evidente? – la interrogò come se in realtà stesse ponendo la domanda a sé.
Lei sorrise di velata indulgenza.
- Non dovresti chiederlo a me, io lo capisco.
William, suo malgrado, avvampò tenuemente. Era folle, non era più padrone delle sue reazioni corporee.
- Ma… - era impacciato. La sua metà gli coprì la mano destra con la sua, serrandola gentilmente.
- Non è il motivo per cui stai compiendo questo viaggio? – ottenne un lieve cenno d’assenso.
Si, assurdamente lo era.
Lui e Martin non si erano parlati per un mese dopo la scomparsa di lei.
Era stato una presenza silenziosa che gli rammentava di avere un appetito quando lui se ne dimenticava. Gli lasciava sempre qualcosa fuori dalla porta della sua camera. Successivamente era diventata abitudine di William scendere in cucina per pranzare o cenare. Il vuoto della quiete in sala da pranzo era piuttosto rumoroso per lui che aveva perso così tanto ultimamente.
Bessy, la madre di Martin, lo aveva rimproverato all’inizio per la sua infrazione alle regole del costume. Aveva finito col convincerla con la sua docile insistenza. Non ci voleva un genio per comprendere che la solitudine di cui era stato tanto fiero e aveva amato gli stava stretta. Ora tutto ciò che non desiderava era diventare un lupo solitario.
La donna lo osservava di sottecchi quando gli serviva il vino. Aveva captato una volta di troppo gli sguardi fuggevoli tra lui e suo figlio.
Di Clementine le avevano detto che era stata maritata ad un signore scozzese. Lei aveva finto di essersela bevuta, nonostante ciò era persuaso avesse i suoi sospetti in materia.
William e Martin si erano cercati ed evitati per settimane, restii alla medesima idea di loro stessi.
Un giorno passando distrattamente per il suo studio era stato costretto ad arrestarsi e a tornare indietro accigliato.
Sul suo scrittoio, illuminati dai pallidi raggi di un cielo uggioso, vi erano dei fiori gialli.
Si era appropinquato, confuso, per riconoscere fossero tre narcisi gialli. Il suo timore su chi potesse averli posizionati lì fu confermato da un biglietto senza firma posto al di sotto dei loro steli:
“Sei in grado di innamorarti solo di te stesso?”
Aveva spalancato gli occhi, esterrefatto dall’audacia dell’autore.
Martin si era risolto di non voler stare più al suo posto. Ci era rimasto a lungo ed era giunto il momento di lanciare il suo sassolino nello stagno.
La domanda provocatoria gli inflisse una fitta dolorosa al petto.
Era vero.
Fino a quell’attimo non aveva bramato e amato altri che la sua persona. Aveva anelato al contrario del suo riflesso come un Narciso.
Non più rosa non più girasole ma il fiore dell’egoismo e della vanità.
Un’accusa esasperata per spingerlo a reagire e respirare finalmente la nuova aria a pieni polmoni.
Abbrancò i narcisi e scese dabbasso, non molto sicuro sul da farsi.
Controllò nella cucina, nel soggiorno, nella biblioteca, nell’atrio. Nulla.
Martin sembrava si fosse dileguato.
Uscì in giardino, i gambi dei fiori afflosciati dalla sua morsa ferrea.
Vagò sino al lago. Ormai aveva perso speranze nel trovarlo da qualche parte. Probabilmente si era recato al paese per delle commissioni.
Alzò gli occhi sulla superficie increspata da leggeri accenni di onde.
Una figura stava sulla sponda opposta, le ciocche scarmigliate dal vento.
Martin.
Una canna da pesca giaceva molle tra le sue mani, stupito dalla sua repentina venuta.
William nascose il suo piacere nell’averlo scovato con un’espressione severamente impegnata. Levò di botto il mazzo sventolandolo per attirare la sua attenzione.
Il ragazzo aveva rincorso il suo gesto, all’erta.
Lanciò i fiori con tutta la forza del braccio destro al centro del lago.
William gli sorrise.
Martin gli sorrise di rimando.
Basta specchi. Era ora di vivere.
Era per proteggere ciò che era sbocciato ai bordi del lago che si erano imbarcati su quel transatlantico. Destinazione: le Americhe.
In Inghilterra avrebbero incontrato delle difficoltà enormi anche a vivere in campagna nel placido stallo di scapoli. Bessy, inoltre, sarebbe stata un problema costante.
Non che il nuovo continente fosse il paradiso ma l’opinione della gente di grandi stati vergini incideva assai meno sulla loro vita che tra le umide mura inglesi.
Sulla nave si spacciavano per il signore e il suo maggiordomo, accorti a non dare nell’occhio.
Clementine, comprendendo che i suoi pensieri non fossero più rivolti a lei, si congedò con un bacio sulla guancia sussurrando lietamente:
- Sta arrivando.
Martin stava protendendo una mano verso la spalla di William ma la ritrasse. Aveva recepito alla lettera l’accordo tra di loro di non toccarsi in pubblico.
- Vi sentite meglio, signore? – chiese contritamente, lo sguardo guardingo.
- Si, grazie, Martin. – rispose confidenziale. Ai signori era concesso chiamare i propri servitori con i nomi di battesimo, a differenza del contrario per questi ultimi.
Quell’atmosfera di forzata normalità intrigava entrambi perché inusuale. Sperò non dovessero farci l’abitudine se non in rare occasioni in America. Alla lunga gli sarebbe riuscito ridicolo e, soprattutto, opprimente.
- Con chi stavate parlando poco fa, se posso permettermi? – William sentì le guance accaldarsi per l’imbarazzo. Da quanto tempo lo stava guardando?
- Una vecchia conoscenza. – si voltò, le iridi luminescenti di serenità.
Martin provò l’impulso inatteso di poggiare le labbra sulle sue, stordito dalla quiete che si espandeva sul suo viso.
Magari in cabina, dopo, si ricordò mordendosi un labbro, interdetto.
William rise, intuendo la sua mal dissimulata intenzione.
- Che vuoi che ti suoni oggi? – mormorò mentre si avviavano verso il salone della nave.
- Liebestraume di Liszt.
Sorrise fugacemente.
Sogni d’Amore.
 
 
O love, so long as you can!
O love, so long as you may!
The hour comes, the hour comes,
When you will stand by graves and deep!
 
 
Spazio Autrice
Salve a tutti! Nessuno dei personaggi sopra presenti è mio ma appartiene alla fantastica Giuls, di cui consiglio di leggere Silver, una storia straordinaria, se ancora non l’avete fatto! Trovate qui tutte le sue opere: http://www.efpfanfic.net/viewuser.php?uid=111921
Questa è una misera e indegna OS su cosa potrebbe essere accaduto dopo il finale. Non ho mai scritto di una relazione omosessuale ma spero di non essere stata pesante o banale. Se si, me ne scuso ribadendo che è la prima volta che ne descrivo una.
Ho scelto di occuparmi di William perché assieme a Clementine è il personaggio che più mi è rimasto nel cuore e mi ha colpito durante il corso della narrazione.
Le sinfonie citate appartengono al trittico del Liebestraume di Franz Liszt e sono rispettivamente la seconda e la terza in ordine cronologico di apparizione. Holy Death è tratta dalla poesia di Ludwig Uhland che cito in alcune frasi riportate in inglese (il tedesco mi è ostico, lo ammetto e d’altronde i personaggi sono UK), e Dreams of Love, il notturno della fine, da Ferdinand Freiligrath.
Questi sono i link per ascorltarle:
1)  Holy Death: http://www.youtube.com/watch?v=KpOtuoHL45Y
2)  Dreams of Love: http://www.youtube.com/watch?v=jB0P5D-fbYM
Rivelato ciò, spero si capisca il senso globale di questo scorcio di seguito e spero non vi abbia fatto totalmente schifo. Per chi non avesse letto la storia principale, vi rassicuro che è cento volte meglio!!!^^
A presto,
Dona
 
 
 
   
 
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