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Autore: AmhranNaFarraige    08/05/2012    1 recensioni
My Little Dashie -La Mia Piccola Dashie- è una fanfiction americana di grandissimo successo scritta da ROBCakeran53, a cura di SirPeppermintJam, e pubblicata in originale su Fimfiction.net per il fandom My Little Pony: Friendship is Magic. L'autore si è detto ispirato ad un'immagine che rappresentava un piccolo pony arcobaleno -la nostra Rainbow Dash- in uno scatolone di cartone. Dunque cosa accadrebbe se gli capitasse di trovare il cavallino che sempre ha amato, se il grigio mondo in cui vive venisse invaso dalla luce dei colori della piccola abitante di Equestria? La storia che ha fatto piangere moltissimi bronies in tutto il mondo.
Genere: Fluff, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: AU, Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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N.d.T.: Annuncio che l'autore originale ha acconsentito alla traduzione, tuttavia mi ha fatto sapre che dovrebbero esistere già delle traduzioni in italiano, ma per questo non ho inenzione di mollare questo mio progetto. Ultima sottura del momento prima di lasciarvi alla lettura: essendo il secondo paragrafo davvero lungo e pieno di eventi, ho deciso di dividerlo in due parti a mio piacere. Questo per rendervi noti del fatto che in originale la storia qui non presenta alcuna divisione.



Oggi, come al solito, sono andato al lavoro. E’ stata la solita merda, solo un giorno diverso, guardare le solite persone entrare nel negozio afferrare la loro merce e pagare, quindi tornare in città con le loro borse. Ho chiuso e ho iniziato ad incamminarmi verso casa. Questa volta ho deciso di prendere una strada diversa, per cambiare ritmo, qualcosa di un po’ diverso dalla solita strada che percorro. Questa parte della città era stata colpita più gravemente; solo poche case stavano ancora in piedi e nessuna di queste era più occupata. E’ veramente una brutta scena da vedere. In verità è l’unica scena che vedo. L’unica scena che avrei sempre visto.

Almeno era quello che pensavo

Sono stato fermato da qualcosa di insolito; uno scatolone di cartone abbandonato nel mezzo del marciapiede.

Ora, vivendo in questo tipo di area vedo sempre spazzatura. Scatoloni, bicchieri di McDonalds e buste di plastica inquinano le strade e i campi vuoti, ma raramente capita di vedere scatoloni di cartone che non vengono distrutti in un modo o nell’altro. Ho notato questo scatolone particolare perché è capitato che si trovasse sulla mia strada. Durante i miei anni più giovani ho provato a fare quello che potevo per la comunità. Raccoglievo la spazzatura quando la vedevo o tentavo di aiutare i miei vicini. Era una battaglia persa. Attualmente ho perso ogni speranza di ripulire questa città ed ancora di più il mio quartiere.

Ora passo semplicemente accanto alla spazzatura, lasciandola volare via nella brezza o qui a giacere e decomporsi. Lascio che ciò che rimane delle “persone” faccia le sue cose da quando la maggior parte di loro non si cura di nessuno al di fuori di loro stessi. Perché dovrei comportarmi diversamente?

Ho camminato oltre lo scatolone, dandogli a mala pena uno sguardo. Inizialmente nulla di esso ha attirato la mia attenzione. Proseguo, la mia casa ormai non distava molto. Arrivato mi sono seduto e ho giocato a qualche gioco, tentando di spingere lo scatolone fuori dalla mia mente. Ho avuto un po’ di fortuna, finché lo scatolone in qualche modo è riuscito a rientrarci. Il tempo striscia avanti e presto mi sono accorto che voglio uscire per un’altra camminata. Ho lasciato casa mia e ho cominciato a camminare lungo la solita strada quando mi sono fermato. Che si trattasse di quello scatolone che si era incollato alla mia mente? Mi sono girato, percorrendo la strada che avevo preso per tornare a casa, la strada sulla quale avevo camminato una sola volta in una luna blu. Curiosamente ho dato il meglio di me e voglio starmene un po’ al chiuso.

L’ho trovato in pochi minuti, ancora abbandonato lì, triste e solo, tra i pezzi di calcestruzzo rotto e l’erba alta. Non si è mosso, non se ne sta lì come se fosse speciale. E’ un comune, marrone scatolone di cartone. Non voglio dire di essere andato lì per niente, così mi sono avvicinato. Come mi sono avvicinato, comunque, ho notato che c’era qualcosa al suo interno. E’ di colori brillanti, in effetti era di molti colori, ed era piuttosto piccolo. Forse è della misura di un cucciolo di Labrador di pochi mesi.

Mi sono fermato accanto allo scatolone ed ho guardato verso la macchia colorata che c’era dentro.

Questo è quello che posso sostenere al momento: sto guardando dentro uno scatolone un piccolo… qualcosa. No, so esattamente che cos’è, ma il mio cervello non mi permette ancora di realizzarlo a pieno. All’inizio penso che si tratti di un semplice giocattolo, lasciato a morire qui con tutte le altre cose in questo isolato. Ma poi mi sono accorto che respira. In effetti sembra stia dormendo. Le mie mani sudano, il mio respiro si fa irregolare e strizzando gli occhi cerco di capire cosa sto vedendo.

Ogni volta che apro gli occhi l’immagine è la stessa. Dentro sta dormendo… la puledra… Rainbow Dash.

Mi sono inginocchiato , cercando di guardare dentro lo scatolone da più vicino. Non posso credere a quello che sto vedendo. Non c’è una spiegazione fisica, mentale o extraterrestre per cui possa essere qui… Come può essere qui, nel mio cupo, oscuro e orribile mondo. Ho esaminato ulteriormente lo scatolone e su un lato ho trovato scritto semplicemente a penna “Portatemi in una bella casa.”

Il primo pensiero che ha percorso la mia mente, dopo all’iniziale “La puledra Rainbow Dash in uno scatolone”, è stato “Chi avrebbe mai abbandonato la puledra Rainbow Dash?” La mia mente al momento è una confusione di domande. Com’è arrivata qui? Perché è qui? Perchè è una puledra? Il suo fianco infatti è privo del suo cutie mark, il che vuol dire che lei è una puledra.

Si guarda attorno, strofinandosi il viso con una zampa, cercando di svegliarsi. All’inizio tutto ciò che ha visto erano le pareti marroni dello scatolone, ma poi ha alzato gli occhi ed a guardato verso di me. Quei grandi occhi neri, contornati dal cerchio colorato di rosa, hanno portato il mio cuore ad esplodere… due volte. La dolcezza pura di tutto ciò mi ha portato ad inginocchiarmi e non riesco a trattenere il sorriso. Non ho mai sorriso così in questi anni, da quando io ed i miei genitori siamo andati per l’ultima volta nell’unico parco rimasto nella zona.

I suoi occhi continuano a fissarmi, ed io la ricambio. Non so cosa dire o cosa fare, ma devo pur iniziare da qualche parte.

“Ehi, ciao.”

Ho parlato, ma lei non risponde.

“Uh, che cosa ci fai qui?”

Si guarda attorno per tornare poi a guardare verso di me. Più la studio, più realizzo che è davvero giovane; anni più giovane della puledra che sembrava nell’episodio ventitré [N.d.T.: E’ l’episodio in cui le Cutie Mark Crusaiders chiedono a Rainbow Dash come ha ottenuto il suo cutie mark]. Non deve essere ancora capace di parlare… Ecco il motivo, se anche potesse parlare nel mio mondo. Il solo fatto che lei anche solo esista proprio ora mi manda in confusione. Ho riportato l’attenzione su di lei ed ho notato un leggero tremolio sul suo corpo. E’ arrivato l’autunno, qui, e può diventare piuttosto freddo, specialmente verso metà settembre.

Non sono sicuro di come dovrei affrontare la situazione; dovrei portarla a casa? Dovrei chiamare qualcuno? Comunque chi avrei potuto chiamare? Io sono un brony riservato, periò nessuno dei miei amici sa del mio amore per il programma. Non posso portarla in un rifugio… E’ un pensiero stupido in primo luogo. Non solo sarebbe una vista orribile, potrebbe essere portata in qualche laboratorio ed usata come cavia per esperimenti o qualcosa di ugualmente orribile. Mi è rimasta solo una possibilità.

Trema ancora una volta quando l’aria fredda raggiunge il suo manto; le sue ali si arruffano mentre giace sulla schiena e stringe le gambe più vicino al suo corpo per tenerlo al caldo. Questa è l’ultima goccia, non ce la faccio più. Mi tolgo la giacca e mi abbasso per prenderla. Ho ottenuto la prima reazione che mi sarei aspettato: paura. Lei comincia a dimenarsi, non sapendo che cosa ho intenzione di fare di lei. Non sa ancora volare, ma sbatte comunque le ali come se pregasse per il miracolo che lei potesse magicamente spiccare il volo. La poso nella mia giacca, arrotolandola dentro in modo da far uscire la sua testa e la tengo tra le mie braccia. Continua ad agitarsi, ma poi il calore del mio corpo comincia finalmente a penetrare il tessuto sottile della giacca e lei si calma.

“Va tutto bene. Andiamo in un posto più caldo, huh?”

Le sorrido ancora. Lei guarda in alto verso di me con così tanta confusione negli occhi come se cercasse di elaborare che cosa sta succedendo.

“Non preoccuparti, non ti farò del male. Sta facendo tardi e congelerai se resti qui fuori.”

Penso che mi capisca, perché dopo che ho detto queste parole i suoi occhi sono tornati della giusta misura e lei si rannicchia più comodamente nella mia giacca. Trema un pochino, cercando trovare una posizione più comoda. Riesco a sentire i suoi zoccoli e le sue ali colpirmi quando si sposta. Allora, per finire, posa il mento sul mio braccio e sospira profondamente, chiudendo gli occhi per lasciarsi trasportare dal sonno.

Il mio cuore esplode per la terza volta.
  
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