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Autore: Selene Silver    08/05/2012    2 recensioni
Un alieno di Alpha Centauri e un coraggioso army doctor adottano una bambina che somiglia un po' troppo a entrambi, John perde il suo nome di battesimo e Sherlock per la prima volta va a comprare il latte.
Genere: Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: John Watson , Nuovo personaggio, Sherlock Holmes
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Then you stole me and I stole you.
[credits titolo: x]


La nursery era illuminata da lampade schermate, la luce burrosa a tingersi del rosa e del blu dei nastri che contraddistinguevano le culle. Quei respiri placidi e pesanti che hanno solo i bambini erano in netto contrasto con le urla ed i pianti cessati meno di due ore prima.
Ancora una volta, il genio di Sherlock Holmes aveva salvato delle vite innocenti. Che forse, come Mycroft una volta si era augurato, era diventato un buon uomo, invece che un grand'uomo.
John osservò in silenzio quella figura alta e sottile aggirarsi fra le culle, il cervello ancora pieno di troppa frenesia per cedere al riposo. Doveva accertarsi che i suoi sforzi fossero stati premiati, il risultato raggiunto; che quelle cinque piccole vite, e quelle dei loro genitori, fossero al sicuro.
Sherlock si fermò davanti ad una culla, le mani intrecciate dietro la schiena, il capo chino.
Quasi.
John entrò nella stanza, e nonostante il passo strascicato per la stanchezza - quasi sessanta ore di sonno perso a premergli come un nocciolo di dolore dietro gli occhi - ben udibile in quel silenzio, il detective non si voltò. Lui si morse le labbra e lo raggiunse, affiancandoglisi.
La bambina nella culla che stavano osservando aveva a malapena tre settimane di vita - tutti quei bambini erano stati sistemati lì in mancanza di spazio con il benestare dell'ispettore Lestrade - ma già una soffice peluria bionda sul capo, e le manine paffute, minuscole, strette attorno a un lembo di coperta.
A differenza degli altri, questa bambina aveva un'espressione corrucciata, le palpebre strette. Il suo respiro non era soffice come quello dei suoi compagni, ed il cerotto sulla sua fronte la faceva apparire - possibile? - più vecchia e infinitamente più piccola insieme.
Forse una parte di lei si rendeva conto che nessuno sarebbe venuto a prenderla; che i suoi genitori non erano a fare una dichiarazione in commissariato né in un'altra stanza dell'ospedale - non c'erano più.
Sherlock prese un respiro profondo, il che fece sembrare a John che avesse trattenuto il fiato fino a quel momento. «Ti somiglia» sussurrò il detective.
Lui provò a sorridere. «È solo perché siamo entrambi un po' paffuti.»
Sherlock scosse la testa. «Stessa forma del naso, colore di capelli, forma delle unghie. Certo è quasi sicuro che tutto ciò cambierà.»
John inclinò la testa e, non resistendo più al bisogno di toccarlo, a fargli capire che era lì, che c'era, per lui, afferrò la manica del suo cappotto. Poco prima, Sherlock aveva lasciato che le braccia gli penzolassero lungo i fianchi. Era un atteggiamento così strano, per lui, così sconfitto, da fargli sentire un vuoto nel petto.
E non poteva neppure dirgli che avevano vinto, perché non era del tutto vero, e neanche che non era colpa sua, perché lui non ci avrebbe mai creduto.
«Cosa le succederà, adesso?» la domanda era stata così improvvisa, pronunciata con un tono appena più alto del normale, che la bambina aggrottò le sopracciglia. Sherlock strinse le labbra, come se avesse voluto rimangiarsi quelle parole.
John fece scivolare la mano finché non fu contro la sua, al che il suo compagno intrecciò le dita alle sue e le strinse forte.
Si guardarono, per la prima volta da quando il caso era finito, dritto negli occhi. «Possiamo… scegliere noi, forse.» Erano probabilmente le parole più coraggiose che John avesse mai pronunciato, e Sherlock, l'alieno di Alpha Centauri, parve capirlo.

«Sherlock, vai tu a comprare il latte?»
«Cosa?»
«Il latte. Per favore.» John teneva in braccio una Maeve accaldata e scossa dalla tosse, aggrappata al suo collo.
Il detective si tolse gli occhiali protettivi e posò la pipetta con cui stava armeggiando sul tavolo, accanto a un alambicco pieno di un liquido viola. «Sono nel bel mezzo di un esperimento.»
«Sì, lo vedo. Ma ci serve il latte, o non posso darle lo sciroppo.»
«Ma…»
«Sherlock. O il latte, o badi a lei mentre io esco.»
Il detective uscì senza farselo ripetere due volte.

«Mycroft è sicuro che questi siano libri adatti?» domandò John, osservando con espressione corrucciata il libro dalla copertina rosata. Winnie-the-Pooh. Doveva ammettere che quella sottospecie di orso non gli era mai piaciuto.
Se non a lui, figuriamoci a Sherlock. «No idea. Probabilmente è entrato in modalità "zio felice", o qualcosa del genere.»
«È stato gentile» sospirò John. Sarebbe diventato scemo a tentare di mediare fra quei due. «Ho sentito dire che tutti i personaggi di queste storie sono in realtà personificazioni di disturbi mentali» continuò, aggrottando un pelo la fronte.
«Questo avrebbe senso» ridacchiò il detective, pizzicando una corda del suo violino.
Maeve si voltò a guardarlo, seduta per terra e circondata da giocattoli e scatoloni pieni di altri giocattoli. E libri. E vestiti. Sì, zio Mycroft tendeva a diventare un pelo ossessivo. Un wanna-be-a-daddy represso, pensò John, sogghignando - il ghigno che comparve anche sul viso del suo compagno lo fece preoccupare.
Sherlock pizzicò una scala e la bambina batté le mani. Sembrava eccitarsi oltremodo ogni volta che lo sentiva suonare - potevano essere reazioni allegre, come in quel caso, oppure scoppi di pianto irrefrenabili, cosa che aveva indotto John e Mrs Hudson a proibire a Sherlock di suonare Bach.
«Per favore» sospirò John.
«Ma le piace.»
«Non fare il bambino.»
«Papà!» esclamò Maeve, interrompendoli. Guardava con insistenza Shelrock, corrucciata, come a chiedere "perché ti sei fermato?". Non parlava mai molto, anche se, a forza di stare con gli Holmes, aveva sviluppato un linguaggio stranamente antiquato per una bambina di quattro anni. Il problema principale del linguaggio di Maeve era che chiamava entrambi "papà", senza preoccuparsi di creare distinzioni; il che creava una certa confusione.
«Visto?» sottolineò il detective.
«Piccola, non preferiresti leggere questo?» John le porse il libro. Maeve spostò subito gli occhi verso di lui. Erano grigio-azzurri, spruzzati di pervinca; avevano un che degli occhi di Sherlock, forse lo sguardo penetrante. Magari non era geneticamente figlia sua, ma iniziava a somigliare a entrambi in modo anche un po' inquietante.
Prima di tutto, l'aspetto. La prima volta che l'aveva vista, Sherlock non si era sbagliato. Somigliava davvero a John. I capelli erano rimasti biondi, stesso colore, le guance paffute come le sue. E gli occhi, sì, erano quelli del detective. 
E come seconda cosa, anche l'intelligenza non era da meno. Quattro anni, e aveva già imparato a leggere. Non fosse che gli scaffali di Baker Street erano troppo alti per lei, avrebbe già divorato tutti i libri dell'appartamento. Cosa che John non si augurava, visto il best-seller appoggiato con noncuranza sulla mensola più alta della scrivania. Le avventure di Sherlock Holmes, autore: John H. Watson.
Maeve accettò il libro, lo aprì alla prima pagina e prese ad ignorarli entrambi. John rivolse a Sherlock uno sguardo di sufficienza in stile "avevo ragione io." Il detective sbuffò.
Una mezz'ora dopo, mentre John era impegnato a preparare il tè e Sherlock stava scrivendo al computer, sgranocchiando biscotti, Maeve, che ora si era spostata sulla poltrona nera, iniziò a chiamare con insistenza: «Winnie! Winnie!»
Per un po' Sherlock non ci badò, poi voltò la testa. La bambina si stava calando giù dalla poltrona con la gonna che le risaliva lungo le gambe; quando arrivò a terra, trotterellò verso la cucina continuando a chiamare. «Winnie!»
John si voltò con le sopracciglia aggrottate. «Mae? Cosa c'é?»
«Winnie» rispose lei, fissandolo.
«Ti piace il libro?»
«No, tu sei Winnie.»
John sperò che quel traditore di Sherlock, nella stanza accanto, non stesse ridendo. «Tesoro, io…»
«So che non sei un orso. Ma gli somigli. Moltissimo.»
Lui rimase zitto, immobile. Infine, riuscì a dire: «Non sono così pazzo per il miele.»
«Allora sostituiscilo con la marmellata.»
Soddisfatta di avergli comunicato quell'importante novità, Maeve trotterellò via e tornò al suo libro; affacciandosi dalla cucina per seguirla con lo sguardo, John colse Sherlock di schiena, le spalle sussultanti per una risata repressa.
Da quel giorno, Maeve lo chiamò Winnie.


«Ma papà non era morto, vero?»
John sospirò. «Tesoro, forse dovrei raccontarti una storia meno inquietante
«Veramente, le favole per bambini che mi racconta papà mi fanno più paura» ribatté candidamente la bambina rannicchiata fra le lenzuola. L'ex army doctor maledisse fra sé e sé Jim Moriarty e anche quell'idiota di Sherlock Holmes, e si massaggiò la fronte. «Gli somigli, sai?»
Le afferrò la punta del naso, e lei gli rivolse la stessa occhiata del detective quando gli faceva una domanda da lui considerata stupida.
«Papà non era morto» insisté la bambina, bionda come lui.
«No, non lo era, e tu mi hai chiesto di raccontarti questa "storia" almeno ottanta volte.»
Lei fece un la sua migliore espressione implorante, al che John scosse il capo e le tirò la coperta fin sotto il mento. «E ogni volta ti ho ripetuto che tuo padre è tornato e io gli ho tirato un pugno. È finito tutto bene, come puoi vedere.»
«Mh-mh. Ma mi piacciono le storie tristi.»
«Perché sei una piccola masochista.» E questa non è una storia; ma Maeve lo sapeva, perciò lui tacque quel dettaglio. «Ora dormi, okay?»
Quattro colpi appena accennati sulla cornice della porta li fecero voltare entrambi. «Scusate se interrompo il vostro momento.»
«Simpaticone» disse John.
«Papà!» La bambina allungò le mani, facendo volar via le lenzuola, e attese che Sherlock fosse accanto a lui per abbracciarlo e poi tirargli le orecchie. «Non avresti dovuto far spaventare Winnie così» disse, il faccino tutto serio e gli occhi quasi lucidi. 
John ridacchiò. «Siamo tutti d'accordo su questo punto. Ora potresti, per favore, dormire?»
«Tu e papà non state andando a dormire, però.»
A dispetto dell'espressione imbarazzata di John, Sherlock sogghignò. «Ottima deduzione. Ma tu non sei autorizzata a fare altrettanto.»
Si chinò e le diede un ultimo bacio in fronte, che John osservò di sfuggita, fingendo di essere distratto. Anche adesso, il suo compagno si sarebbe fatto monaco piuttosto che ammettere che effettivamente riusciva a provare calore umano - dopotutto essere algido e misterioso gli piaceva troppo. Ma stare con Maeve, o anche solo con lui, lo rendeva così… umano.
«Andiamo, John.»
Sherlock lo aspettò sulla porta, l'espressione scocciata e le guance rosee a testimoniare il fatto che avesse perfettamente seguito il corso dei suoi pensieri. Gli prese la mano, spense la luce e chiuse la porta. John gli diede un bacio leggerissimo, gli sorrise socchiudendo gli occhi.
«Oh, non farmi quella faccia» soffiò Sherlock, sembrando in tutto e per tutto un gatto bagnato, di quelli che si avvicinano con gli occhi sgranati e fanno di tutto per non farti capire che vogliono le coccole.



I wrote it for my best friend but I don't think she'll appreciate it because this is a very nice indeed example of crappy writing and also she's a masochist angs!whore and I don't see angst anywhere here because holy fuck I'm a SuperWhoLockian, I have angst instead of blood, AND IT HURTS!
So I'm sorry, Honey Bee, just wanted to cheer you up ^^
Mi scuso per tutti i possibili errori di battitura e per il fatto che fa davvero schifo, non ho attenuanti per questo, siete liberi di venire a fustigarmi ecc ecc.
  
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