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början
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Le
mani legate dietro la schiena, la
bocca bloccata da un laccio fin troppo stretto, le braccia e le gambe
prive di sensibilità.
Ecco il potente Loki, lo stolto che
voleva essere il re, divenuto d'un tratto impotente, meno offensivo di
un bambino. Eccolo umiliato e gettato senza alcun riguardo sul fondo
di una cella sterile e nera, che nulla aveva da spartire con l'oro e
l'azzurro di Asgard. Non c'erano finestre dalle quali potesse cibarsi
della luce del sole, ma non gliene importava. Loki si ambientava bene
tra le tenebre, la sua pelle pallida e i suoi occhi chiari ne erano
come testimoni.
L'accusa che pendeva sulla sua testa
era pesante: tradimento. Risuonava come il più efferato dei
crimini,
tra le mura di Asgard. Tradimento da parte del casato reale, che si
era arrischiato ad accogliere al suo interno un subdolo ibrido, uno
straniero, un figlio del demonio.
Dunque la colpa ricadeva anche su
Odino, e le accuse verso l'anziano padre riempivano di rabbia il vero
erede al trono. Per guadagnarsi la stima dei suoi futuri sudditi,
Thor avrebbe dovuto uccidere nel peggiore dei modi il fratellastro, e
ne era consapevole. La gente voleva il suo sangue, Thor voleva
divenire un capo amato.
Loki sarebbe morto, dato in pasto alla
folla.
Doveva solo pazientare, e attendere la
sua condanna. Perché non sarebbe arrivata presto.
Intanto, chiuso nella sua tomba, Loki
non spiccicava parola. Sapeva di essere osservato attraverso qualche
specchio nero, qualche dannato angolo cieco che lui, immobilizzato
com'era, non poteva scorgere. Sapeva, immaginava il suo destino. Ma
non gli importava.
Aveva fallito, aveva fatto il fatidico
passo più lungo della gamba, stavolta. Nessun rancore,
nessun
rammarico. Era nell'ordine delle cose. Era sempre andata
così, fin
dall'inizio. A lui spettava l'umiliazione, la sconfitta, a Thor la
gloria e il trono. Non c'era modo di cambiare le cose. D'altronde, se
ci fosse stato un modo, Loki avrebbe smesso di lottare già
da quel
tempo.
Invece continuava a tramare, ad
inventare, a usare il cervello. Proprio perché in cuor suo
non
vedeva margini di vittoria.
«Tu manchi di convinzione».
La
sua era la natura di un titano. Avrebbe perso, qualunque cosa
tentasse di fare, ma vincere non era il suo obiettivo reale. Quello
che veramente voleva Loki, arrivato a questo punto e sbolliti gli
spiriti caldi dell'adolescenza, era finire la sua storia a testa
alta.
Ma
prima aveva un altro compito da svolgere.
Passò
tre giorni, avvolto nella calma e nel silenzio. Tre giorni in cui
mangiò normalmente, liberato per quel breve lasso di tempo
che gli
occorreva dal bavaglio d'acciaio.
Passò
tre giorni a studiare la fuga. Una fuga temporanea, breve. Non
pretendeva certo di fuggire da Asgard. Qualche diavoleria lo aveva privato dell'uso dei suoi poteri, non poteva smaterializzarsi, né varcare i
confini
dello spazio aperto. La pressione l'avrebbe schiacciato.
Quella
modifica appurata al suo dna era sicuramente un'invenzione terrestre,
ideata per tenerlo confinato per sempre ad Asgard, vivo o morto.
Perché
Odino e Thor non avevano dovuto prendere accordi di pace solo con i
loro abitanti, ma in primis con il popolo leso: i terrestri.
Ma
benché fosse cosciente del suo confinamento forzato, Loki
necessitava di uscire, per un'ora o due. E l'avrebbe fatto a
qualunque costo.
*
«Padre».
Thor
si avvicinò cauto al letto di Odino, che assomigliava
maggiormente a
una nicchia di morte.
Il
vecchio era schiacciato dal dolore, dalla terribile situazione che,
con la stanchezza dei suoi anni, doveva affrontare. Uccidere colui
che aveva sempre considerato un figlio, e che aveva amato.
Vedere
i due fratelli combattersi, odiarsi, senza apparente via d'uscita.
«Thor,
affido a te la situazione. Hai amato Loki, forse più di
quanto
l'abbia mai fatto io, perciò a te spetta la
responsabilità maggiore
dello sbaglio».
Il
principe, a quelle parole, deformò il suo viso in una
smorfia
incredula, e si portò una mano sul petto possente.
«A
me? Sarebbe mio lo sbaglio maggiore? Padre, se tu non
l'avessi...»
«Non
rinfacciare a me ciò che feci», disse minaccioso
il monarca,
alzando un dito tremante verso il figlio. «Al contrario di
te, io so
quali sono le mie responsabilità, e le mie colpe. Ho accolto
Loki
come un figlio. Gli ho dato eguale amore ed eguale fiducia. Credevo
di poterlo crescere come un asgardiano, ma mi sbagliavo». La
mano
ammiccante cadde sulle lenzuola, provata dallo sforzo. Odino
respirava lentamente, emetteva profondi rantoli, come le esalazioni
di un morente. Terminò così il suo terribile e
cieco discorso:
«Loki è sempre stato diverso. La
mostruosità e la perversione dei
giganti di ghiaccio non poteva essere cancellata. Avrei dovuto
ucciderlo con le mie mani, subito, appena lo raccolsi nel tempio.
Vedi invece ora, figlio mio, che barbarie ho causato, che
carneficina? Ho immesso un traditore nella mia casa, ho scatenato
l'ira dei miei sudditi, e il tuo odio. Ho messo in pericolo la mia,
la tua, la vita di tutti noi».
Thor
trattenne il fiato, ascoltando le flebili parole del padre, che
stavano assumendo contorni deliranti.
«Sono
stato uno stolto a crederlo, per un po'», concluse infine il
vecchio
re con un filo di voce, per poi abbandonarsi al sonno.
Il
ragazzo stette immobile per alcuni istanti, recuperando fiato come se
avesse corso. Si accorgeva del tremendo dolore che attanagliava
Odino, e questo non faceva che aumentare il suo odio per Loki,
annientando quasi ogni briciola di amore e di compassione che gli era
rimasta.
«Fratello,
se tu fossi stato riconoscente come avresti dovuto essere, ora non
causeresti un tale dolore a nostro padre» sussurrò
Thor
all'indirizzo del re dormiente, ma in verità rivolgendosi a
se
stesso.
Poi,
lo colse un presentimento. Come una minaccia, penetrata
all'improvviso entro le difese del palazzo. Una minaccia che da poco
aveva imparato a conoscere come tale.
Non
sapeva esattamente cosa glielo suggerisse, ma era sicuro che Loki
fosse riuscito ad eludere la sorveglianza della propria prigionia.
Abbandonò
in fretta il capezzale del padre ed uscì dalla stanza,
cercando di
essere il più silenzioso possibile. Attraversò in
fretta e furia il
palazzo, scendendo fino ai piani inferiori che davano sui balconi
delle Cascate spioventi. Istintivamente prese con sé Mjöllnir,
facendolo rabbiosamente vibrare di campi magnetici. Loki conosceva
meglio la reggia, l'aveva esplorata più a fondo e con
più
circospezione. Strinse i denti, dilaniato dalla rabbia crescente e
dal dispiacere.
Era
sicuro che non avrebbe trovato il fratellastro dove l'aveva lasciato.
Giunse
in un batter d'occhio alle vicine stanze di prigionia, appena
incassate sotto lo scalino di roccia. Irato chiese alle guardie che
vigilavano la cella di Loki se avessero notato qualche strano
movimento. Queste gli fecero immediatamente di no con la testa,
irrigidendosi sotto lo sguardo tempestoso del dio.
Per
nulla convinto, Thor aprì la porta di sicurezza antecedente
alla
guardiola della prigione, e ne guardò precipitosamente
l'interno.
Ad
una prima occhiata, Loki era lì, seduto per terra, con la
schiena
dritta e lo sguardo volto verso il basso. Ma poi, la sua figura
svanì, smaterializzandosi sotto lo sguardo di Thor.
Quest'ultimo,
per nulla sorpreso di fronte ai trucchetti del ragazzo, si
lasciò
sfuggire un ringhio.
Ordinò
in fretta e furia una punizione esemplare per le due guardie,
sbigottite da quell'inaspettato rimprovero, e si diresse verso gli
scantinati della servitù.
Sapeva
dove trovarlo. Lo sapeva in base a un semplice e futile motivo: Loki
aveva sempre amato nascondersi in quei luoghi, quando giocavano
insieme da bambini. Quei meandri fatti di soffitti bassi e muri
umidicci erano dei nascondigli labirintici perfetti ed efficaci.
Dopo
aver velocemente setacciato le prime tre sezioni,
s'intrufolò nel
magazzino dell'armeria, seguendo le indicazioni di qualche testimone.
Dovunque fosse diretto, Loki aveva certamente fretta di raggiungere
quel luogo. Non si era curato di far smarrire le sue tracce, gli
serviva solo tempo.
Thor
spalancò la porta dell'ultimo deposito di armi e finalmente
vide, in
fondo all'esigua camerata, la figura esile di Loki girato di spalle.
Appena entrò il dio sussultò visibilmente,
stranamente spaventato.
Non azzardò a girarsi, nemmeno per controllare
l'identità
dell'intruso - anche se non ne avrebbe avuto bisogno. Stava
nascondendo qualcosa. Un'arma,
pensò d'istinto Thor, stringendo più ferocemente
il martello nel
pugno, pronto allo scontro. Era sicuro che Loki aspettasse il momento
giusto per voltarsi e per attaccarlo, con minor
prevedibilità
possibile.
«Secondo
te un condannato al patibolo può andarsene in giro quando e
dove più
gli aggrada?»
Le
spalle di Loki s'irrigidirono a quelle parole fredde. Tremarono un
poco, sussultarono impercettibilmente, come se si sforzasse di
mantenere il controllo.
Thor
invece, perse definitivamente quel poco che gli era rimasto.
Avanzò
come una furia verso il fratello, ringhiando come una belva affamata.
«Disgraziato!
Lo sai che dolore rechi a mio
padre? Lo sai che inferno stai rendendo i suoi ultimi giorni di vita?
Sei un ingrato!»
Afferrò
Loki per le spalle, lo costrinse a guardarlo in faccia. Il suo volto
era più pallido e remissivo del solito, il verde dei suoi
occhi era
spento e velato. Nessun sorriso di sfida, nessun sguardo ingannatore.
Solo un muto viso, stanco e vagamente spaventato.
Il
dio degli inganni affrontò a viso pieno l'ira del fratello,
ma
rimase immobile. Immobile nella sua posizione, vulnerabile a
qualsiasi attacco; rimase così, con i palmi appoggiati ai
bordi
dell'enorme cassa dietro di sé, rimase così pur
di non abbandonare
quella che pareva una postazione di guardia.
Thor
aggredì senza pietà il fratello, sovrastandolo e
minacciandolo con
l'arma che recava. Non si curò di trattenere uno schiaffo,
bruciante
su quel viso bianco e su quell'espressione arrendevole, che non
mutò.
Poi,
nel ritirare la mano, il dio scorse qualcosa.
Un
movimento, oltre la schiena del fratello.
Dentro
la cassa.
Tra
le lenzuola che servivano ad avvolgere le armi.
Loki
abbassò lo sguardo verso il pavimento, e fu incapace di
trattenere
un sommesso gemito di dolore. Sentiva gli occhi inumidirglisi e
bruciargli vedendo che l'attenzione di Thor era ormai stata
catturata. Ormai aveva visto.
Il
dio del tuono scavalcò l'ormai inutile sorveglianza del
fratello, e
scostò le lenzuola con cautela. Rivelò la testa
ricoperta di
capelli neri di un bambino, poco più che neonato. E un paio
di occhi
verdi, vispi e attenti, vogliosi di accogliere il mondo dentro di
loro.
Non
appena fu scoperto dal lenzuolo, il bimbo singhiozzò piano,
allargando ulteriormente le pupille alla luce. La sua incredibile
somiglianza con Loki era inequivocabile.
Un
dolore lancinante colse l'erede al trono di Asgard. Si portò
la mano
destra alla bocca, come se avesse appena compiuto un delitto atroce.
«L-Loki,
tu non sai cosa...»
Senza
neanche avere il tempo di formulare una frase sensata, Thor si
ritrovò scaraventato contro la parete, immobilizzato dallo
sguardo
del fratellastro, colmo d'odio, di disperazione e di umiltà
allo
stesso tempo. E in quel preciso istante, realizzò che il
ragazzo
sarebbe stato disposto a far qualsiasi cosa pur di salvare quel
bambino.
«Non
lo toccherai, non gli farai del male, hai capito, Thor?»
Suonava
più come una supplica che come una minaccia. Loki che
supplicava, e
stavolta non per finta. Non poteva accadere niente di più
assurdo.
Ma
il dio degli inganni lesse dissenso e freddezza negli occhi glaciali
del fratello. Sapeva che quella sarebbe stata la sua prima e ultima
sentenza.
«THOR!»
Si lasciò andare ad un urlo furioso e cadde in ginocchio,
scuotendo
le regali vesti del fratello.
Era
finita. Era veramente finita.
A
nulla sarebbero valse le più intime suppliche. La decisione
era
stata presa. Anzi, era il metodo ideale per Thor. Uccidere il
bambino, punire in modo esemplare il traditore, non ripetere l'errore
del padre, e al contempo risparmiare
Loki.
Risparmiare
il fratellastro, a lungo odiato, ma anche profondamente amato.
Loki sapeva che Thor si
sarebbe macchiato di un sangue innocente, piuttosto che rendere
esecutiva la sua condanna a morte. Non aveva mai avuto intenzione di
ucciderlo, ma se prima non aveva scelta, ora che gli si presentava
un'occasione alternativa non poteva farsela fuggire.
«Loki,
sai alla perfezione come funziona la nostra legge».
«TACI!»
gridò il dio degli inganni, a pezzi, fissando stravolto e
incredulo
la fredda impassibilità del fratello. «Taci. Io le
leggi le
conosco, e molto più a fondo di te e credimi, sarebbe stata
la prima
cosa che avrei cambiato una volta re, fermare questa barbara regola
di troncare la vita dei traditori uccidendo i loro figli! Asgard
è
un reame assetato di sangue e maledetto!»
Il
suo volto, stremato dallo sforzo, dal tentativo di proteggere il
bimbo dal volere del fratello, era rigato di lacrime. Lacrime di
rabbia.
Il
dio del tuono, colpito dolorosamente da quelle ingiurie,
tentò di
strappare il neonato dalle braccia di Loki. Quest'ultimo raccolse le
ultime briciole di sangue freddo che gli erano rimaste e respinse
Thor con un calcio ben assestato, tentando poi di avvelenarlo con la
forza innata della sua stirpe. Velocemente avvolse di ghiaccio la
lancia che brandiva nella mano destra, afferrata tra la
confusione dell'armamentario. Ma Thor schivò prontamente la
colonna
ghiacciata, e senza sforzo fece rovinare Loki per terra, ormai privo
di alcun potere e di alcuna forza.
Gli
prese il neonato dalle braccia, confondendo un momento il fratello
tramite una leggera scossa trasmessagli nel corpo.
Non
appena se ne rese conto, Loki tentò nuovamente di assalire
Thor,
invano. Ormai, privato dei suoi poteri più letali, era del
tutto
innocuo, inoltre nel frattempo erano arrivati i rinforzi.
Un
manipolo di guardie asgardiane fece irruzione nello scantinato e
circondò il traditore, impedendogli in tutti i modi la fuga.
«Vigliacco!
Sei un vile e un codardo, Thor!» gli urlò
avvelenato Loki,
arrancando in ginocchio verso di lui. Ma una delle guardie lo
immobilizzò con un forte colpo alla nuca e altre due si
affrettarono
a legargli le mani e ad imporgli il bavaglio.
Thor
rivolse un ultimo sguardo al fratello, carico di falsa pietà.
«Asgard
non è un regno di traditori. Non è il regno che
hai descritto tu
poc'anzi. È proprio perché non gli hai mai
portato rispetto,
fedeltà e riconoscenza che ora devi scontare questa pena. Se
non
fosse stato per mio padre, se non fosse stato per Asgard, tu a
quest'ora saresti morto, e non ci sarebbe nessun bambino».
Dette
queste poche ultime parole uscì dal deposito con il bambino
in
braccio, cercando di calmarne il pianto. Ordinò in fretta al
corpo
di guardia speciale di condurre Loki in cella, e di triplicare le
misure di sicurezza.
Il
dio degli inganni si lasciò condurre nella stanza sudicia di
prima,
senza più un filo di vigore in corpo. I carcerieri lo
gettarono sul
pavimento, e lì restò, immobile, con gli occhi
spalancati e rossi.
Incapace di piangere.
continua...
Note
di Silvar: se
vi state chiedendo dove sia
il pairing, beh, abbiate fede. Arriverà.
Grazie per
essere arrivati fin qui! ♡