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Autore: Iwuvyoubearymuch    09/05/2012    36 recensioni
Ho provato a mettere nero su bianco ciò che può essere accaduto dopo gli eventi dell'ultimo libro.
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Katniss Everdeen, Peeta Mellark
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Capitolo Primo
A occhi chiusi, riesco quasi a sentire lo scalpiccio che spezzava il silenzio del Giacimento. Quello provocato dai lavoratori che, di mattina presto, si incamminavano verso le miniere di carbone; quello che annunciava l'inizio di una nuova, estenuante giornata di fatiche che avrebbe visto la conclusione soltanto dodici ore più tarsi; quello che mi ricordava ogni singolo giorno di mio padre e la sua morte, dopo avergli urlato di correre nel sonno. Sembra passato molto tempo dall'ultima volta che l'ho sentito realmente. E, in effetti, è così. Questione di mesi, ma dal mio punto di vista sono passati anni e anni. Era prima che uccidessi il presidente Coin al posto di Snow, prima di aver capito il ruolo notevole che ricoprivo in tutta la faccenda della rivolta, prima della distruzione del Distretto 12, prima di partecipare alla terza Edizione della Memoria. Prima della morte di Prim.
Prim. Anche solo pensare il suo nome fa male. Non fisicamente; il che è peggio. Sono abituata al dolore. Con tutte le ferite riportate durante entrambe le edizioni degli Hunger Games - e, a volte, anche prima - ho sviluppato una soglia della sopportabilità piuttosto alta. In fondo, nel caso di bruciature, costole rotte o tagli, basta usare pomate o medicine, e il gioco è fatto. La guarigione per la perdita di una persona che si ama, va ben oltre un impacco di erbe curative, delle flebo attaccate al braccio e un paio di pillole. No, quando si perde una persona essenziale per la propria vita, nient'altro che il tempo può essere d'aiuto. Eppure, io sono convinta che il tempo non avrà alcun effetto su di me. Mi è difficile, se non impossibile, immaginare di poter vivere senza Prim. 
Katniss sceglierà chiunque lei pensi non potrà sopravvivere senza.
Così aveva detto Gale, in riferimento a lui e Peeta. Sopravvivere. Allora, mi sentii offesa che avesse scelto proprio quel termine, perché mi faceva sembrare una persona fredda e insensibile, a cui importava soltanto del proprio tornaconto. Pensai che si sbagliasse e che avrei potuto continuare a vivere anche senza di loro. Adesso, ne sono assolutamente certa. Il fatto che Prim è morta, ed io sono ancora qui, seduta tra ciò che resta del Giacimento, non ne è la prova? L'unica persona di cui non posso fare a meno è morta, quindi non ho bisogno di loro due, tantomeno di Haymitch o mia madre. Tutto ciò di cui ho bisogno davvero per sopravvivere è il cibo, un tetto sotto cui abitare e delle mura per ripararmi dal freddo, arco e frecce. Tuttavia, farei a meno anche di arco e frecce, se non fosse strettamente necessario. Fanno ritornare alla mente troppi ricordi, di cui molti spiacevoli. A partire dall'arena, per finire al bosco al di là del filo spinato. Da quando sono tornata al Distretto 12, non sono ancora andata a caccia. E come potrei? Mi basta guardare il filo spinato, che il volto di Gale compare proprio davanti al mio. E il ricordo di Gale, grida la morte di Prim.
Riapro gli occhi e non vedo niente. Niente è ciò che è rimasto del Distretto 12. Soltanto una massa indistinta di macerie, ricoperta da un inquietante velo di carbone. I resti bruciati del Forno, le case distrutte, le miniere andate perdute. Lo strato di polvere che ricopre ogni cosa forma una specie di patina argentea. I granelli alzati dal vento, anch'essi illuminati dai raggi della luna, contribuiscono a rendere il tutto un po' meno inquietante di quello che è in realtà.
Faccio lentamente ritorno al Villaggio dei Vincitori, l'unica zona del Distretto che è rimasta in piedi. Nessuna delle dodici case è illuminata, non la mia o quella di Haymitch. Non quella di Peeta. Anche se dalla finestra non riesco a scorgere alcun bagliore, so per certo che Haymitch non sta dormendo. E' attaccato, come al solito, al collo di una bottiglia di vino rosso o, magari, di liquore bianco. Inizialmente, disprezzavo il fatto che fosse sempre ubriaco, al punto di rendersi ridicolo come nel giorno della mia prima Mietitura. Poi, ho capito che era un bisogno: essere il mentore di due ragazzini che avevano altissime probabilità di morire nel giro pochi giorni - se non ore o minuti - dall'entrata nell'arena, non doveva essere una cosa semplice, che ti lascia dormire tranquillamente la notte. Adesso, mi rendo conto che era necessario. Dopo due settimane dalla sua incoronazione come vincitore della seconda Edizione della Memoria, Snow uccise sua madre, suo fratello e la sua fidanzata. Se bere gli fece di dimenticare anche solo per un istante quello che gli era successo, allora niente impedisce anche a me di farlo. Anzi, mi occorre dimenticare. Anche per un minuto soltanto. Così, dopo essere rientrata in casa, mi metto alla ricerca di una bottiglia. Da qualche parte, deve esserci ciò che è rimasto della scorta per Haymitch prima del Tour della Vittoria. E, infatti, ecco che la trovo. Una bottiglia di liquore bianco mai toccata. Me ne verso un bicchiere e lo vuoto in un solo sorso. Brucia lungo tutta la gola, ma ne prendo un altro. E un altro ancora, che porto nella mia camera. Mi siedo sul letto e sorseggio senza fretta. E' sorprendente come la testa già mi sembri più leggera, meno carica di brutti ricordi. Quelli ci sono sempre - so che non posso fare nulla per eliminarli del tutto - ma è piacevole sentirne meno il peso. Bevo ancora un po' di liquore. Quando sul fondo del bicchiere non c'è più nulla, avverto le palpebre appesantirsi poco alla volta. Forse, sono pronta per dormire.
Ecco la piccola Rue. Ha ancora la lancia di Marvel conficcata nell'addome. Ma è in piedi, per una strana ragione, come se non avvertisse il dolore. Canta le quattro note che nel suo distretto segnano la fine della giornata nei campi. Accanto a lei c'è Finnick, coperto soltanto dalla stessa rete che indossava la prima volta che lo incontrai. Velocemente le loro figure dissolvono sullo sfondo nero. In lontananza si sentono dei rumori. No, più che rumori, sono versi di animali. Quack. Quack. Quack. Papere. Strizzo gli occhi, allungo il collo. Ma non c'è niente. Non riesco a distinguere nulla attorno a me, per via dell'oscurità che mi circonda. Poi, spunta una sagoma. E' troppo familiare per non riconoscerla. Indossa una camicia che non le va bene, troppo grande sulle spalle. Un lembo è fuori dalla gonna, anch'essa non della sua taglia. I capelli biondi ricadono lungo la schiena e gli occhi azzurri sono l'unica fonte di luce. Poi la sento. E' lei che sta imitando il verso di una papera. E' Prim. Appena il tempo di formulare il suo nome mentalmente che scompare, proprio come Rue e Finnick prima di lei. Immediatamente, attorno a me non c'è più il buio. O meglio, c'è ma riesco a intravedere altre persone. Molte non le riconosco. Alcune le ho viste semplicemente durante la mia vita al Distretto 12. Altre, come Prim, sono indimenticabili. Jackson. Boogs. Tresh. Cinna. Anche Faccia di Volpe è lì. Wiress. E poi, la cosa più sorprendente di tutte. Me. Ci sono anche io tra quella schiera numerosa. L'unica cosa che tutte quelle persone hanno in comune è che sono morte. Sono morta anche io, quindi? No, impossibile. Ricordo con precisione di essere rientrata in casa e di aver bevuto il liquore destinato a Haymitch, prima di andare a letto. Magari, fossi morta. Qualcuno sussurra il mio nome. Katniss. Mi volto. Nessuno sta parlando. Katniss. Mi avvicino a Cinna. La voce proviene dalla sua direzione. Sono proprio davanti a lui, faccia a faccia. Eppure sembra che non mi veda, come se fossi trasparente. Sono un fantasma? Katniss. La testa mi fa male. Un dolore quasi insopportabile mi attraversa la fronte da tempia a tempia. Non è Cinna che sta chiamando il mio nome. E allora chi? Mi ritrovo a sperare di veder comparire anche Gale. Poi ci ripenso. Se Gale è lì, vuol dire che è morto. Katniss. Un'onda alta parecchi metri compare alle spalle della folla che mi circonda. E' come quella nell'arena, la seconda volta che ho partecipato agli Hunger Games. Dico a tutti di scappare, di correre via e mettersi in salvo. E' con l'immagine di mio padre dietro le palpebre chiuse, che l'onda mi travolge.
Sono già seduta, quando apro gli occhi. Mi guardo attorno, disorientata e stordita. Mi accorgo di essere bagnata soltanto quando scorgo Haymitch con un secchio tra le mani. Non ci metto molto a capire che pochi istanti fa quel secchio era colmo dell'acqua che adesso è sopra la mia testa. "Perché l'hai fatto?" chiedo, senza preoccuparmi di limitare lo sdegno nella voce.
Haymitch mi fissa per un momento. "Senti, se volevi farti coccolare, avresti dovuto chiedere a Sae" dice, imitando maldestramente una voce femminile.
Per via dell'alcol non afferro subito cosa voglia dire. Ho solo la sensazione che voglia prendermi in giro. E, poi, quando quel mezzo sorriso conferma la mia ipotesi, ricordo perfettamente a cosa sta facendo riferimento. Il giorno della partenza per il Tour tra i Distretti, svegliai Haymitch proprio in quel modo e gli riferii esattamente queste parole. Non proprio queste, a dire il vero. Il finale era diverso. Avresti dovuto chiedere a Peeta, fu la mia versione. Allora immaginai che fosse troppo ubriaco anche solo per starmi a sentire. Chiaramente mi sbagliavo.
"Non ti ho chiesto niente" sbotto, spostando con un gesto nervoso i capelli dalla fronte. "Che vuoi?" abbaio, prima che lui possa parlare.
"Avresti dovuto lasciare a me quella bottiglia" dice Haymitch, ignorando del tutto la mai domanda.
Mi alzo dal letto, con gli occhi al cielo. La maglia è zuppa e appiccicata addosso. La biancheria intima è ben evidente. Non mi interessa molto e la presenza di Haymitch non mi imbarazza. Durante la mia prima volta agli Hunger Games, l'intera Panem mi ha vista mezza nuda quando lavai i vestiti. "Che vuoi?" ripeto, aggiungendo una maggiore risolutezza, mentre prendo un asciugamano per i capelli.
Con la coda dell'occhio vedo Haymitch darsi un'occhiata in giro. "Rimettiti in sesto" ordina, semplicemente. "Dobbiamo andare in un posto"
Non rispondo subito. Poi sento me stessa chiedere: "Dove?". Non che muoia dalla voglia di andare ovunque Haymitch voglia portarmi. Anzi, non ci tengo affatto a seguirlo. Però, la curiosità di saperlo c'è.
"Alla stazione" risponde. "Peeta sta tornando"
Mi accorgo subito di come Haymitch osservi la mia reazione, nonostante finga di non farlo. Comunque, non c'è molto da osservare. Solo un lieve, impercettibile sussulto interno. Peeta sta tornando. Suppongo che dovrei essere contenta, sollevata dal suo ritorno. Ma non lo sono. Non ho bisogno di lui, per ben due motivi. Primo: il suo ritorno va contro la nuova iniziativa di sopravvivenza che ho iniziato questa notte. Dimenticare. Come potrei dimenticare gli ultimi due anni, se ogni giorno sarò costretta a vederlo? Per quanto la gente abbia insistito con la storia che sono la Ghiandaia Imitatrice, il simbolo della rivoluzione, Peeta è sempre stato al mio fianco. Ha vissuto le stesse cose che hanno afflitto me, anche peggiori in alcuni casi. E' presente in ogni ricordo degli Hunger Games e della guerra. Semplicemente, non posso dimenticarmene se me lo ritrovo davanti a ogni ora del giorno. Secondo: a ritornare non sarebbe lui, ma la sua copia sbiadita. Il vecchio Peeta, ne sono sicura, non esiste più. Per avergli accordato il permesso di ritornare, deve stare decisamente meglio. Ma meglio non è bene. Magari, tenterà ancora di uccidermi in preda a uno dei flashback. Questo potrebbe essere l'unico aspetto positivo. Finalmente, sarei morta anche io.
"Ho da fare" dico a Haymitch, consapevole che non crederà a una sola parola. Poco mi interessa, comunque. Voglio che capisca che non ho alcuna intenzione di andare alla stazione con lui.
Le sopracciglia arcuate di Haymitch mi bastano per capire che ho ragione. Non mi ha creduto. "Cosa avresti da fare? Ubriacarti?" domanda, con un misto di scetticismo e rimprovero.
"Tu sei l'ultima persona che può farmi la morale" gli faccio notare, lo sguardo ben fisso nei suoi occhi grigi. Proprio lui, tra tutti, viene a dirmi che non approva il mio stile di vita. Lui, che per primo l'ha messo in atto per ventisette anni e oltre.
Haymitch non sembra nemmeno scalfito dalle mie parole. Le ha sentite? "E invece sono una di quelle persone che può meglio capirti" esplode lui. Fa una piccola pausa. Dal modo in cui ricambia il mio sguardo, però, sembra che stia continuando a parlare. In quel silenzio riesco facilmente a scorgere la sofferenza per la morte di sua madre, quella di suo fratello minore e della sua fidanzata. La stessa sofferenza che paralizza me. "L'altra è Peeta. Tutta la sua famiglia è morta, le uniche persone che ha adesso siamo noi" conclude, indicando prima se stesso e poi me.
Queste parole mi costringono ad abbassare lo sguardo. Se il mio dolore è insopportabile, quello di Peeta deve essere moltiplicato per quattro. In una volta sola, ha perso entrambi i suoi genitori e i due fratelli. Non so che genere di rapporto avesse con loro, ma questo non cambia nulla.
Poco dopo Haymitch va via, non prima di avermi detto che il treno è previsto per le undici. Faccio finta che non abbia parlato. Sono più che decisa: non voglio andare alla stazione. E non ci andrò. Metto una maglia asciutta e cambio i pantaloni. Al piano di sotto, trovo qualcosa che mi lascia immobile sull'ultimo scalino.
  
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