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Autore: miseenabime    09/05/2012    2 recensioni
Dal testo:
A 14 anni, in terza media, la mia professoressa di italiano si rifiutò di far partecipare il mio tema a un “concorso”. Lei pensava che in un concorso bisognasse scrivere utilizzando argomentazioni positive.
Il succo che ricavai dalla sua dichiarazione fu “Se vuoi ottenere risultati, non dire quello che pensi, ma quello che la gente vuole sentirsi dire”.
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A 15 anni mi rivolsi alla mia professoressa di lettere. Mi consigliò di risolverlo nel modo più facile e liberatorio che conoscesse: scrivere.
Pochi giorni dopo il mio tema appariva in una paginetta del giornale locale.
Ecco quello che c’era scritto:

Hai la piena coscienza di ciò che ti circonda?
society mus have the control
Genere: Drammatico, Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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A 14 anni, in terza media, la mia professoressa di italiano si rifiutò di far partecipare il mio tema a un “concorso”. L’argomento su cui discutere era “La Pace nel Mondo”. Lei bocciò il mio scritto perché avevo espressamente detto che la pace nel Mondo non esiste. Lei pensava che in un concorso bisognasse scrivere utilizzando argomentazioni positive.

Il succo che ricavai dalla sua dichiarazione fu “Se vuoi ottenere risultati, non dire quello che pensi, ma quello che la gente vuole sentirsi dire”. Non quello che pensi, ma quello che la gente vuole sentirsi dire.

Da quel momento, una persona in più, nella mia vita, perse la mia ammirazione.

 

A 15 anni, in prima superiore, questa storia non mi era ancora andata giù.

Mi rivolsi alla mia professoressa di lettere, una persona rispettabile e comprensiva. Rimase basita dal mio racconto e, capito che avrei faticato a svincolarmi da questo peso, mi consigliò di risolverlo nel modo più facile e liberatorio che conoscesse: scrivere. Quel pomeriggio arrivai a casa, accesi il computer e scrissi, scrissi tutto quello che avevo per la testa, finché non vi rimase più niente.

Il giorno dopo consegnai lo scritto alla mia professoressa, lei lo portò a casa e lo corresse.

Pochi giorni dopo il mio tema appariva in una paginetta del giornale locale.

Ecco quello che c’era scritto:

 

Mia mamma mi ha sempre detto di non buttare la polvere sotto il tappeto.

Io non capivo, non ho capito fino ad ora. Il pavimento rimarrà rallegrato dalla presenza del tappeto colorato che nasconde la polvere sotto di sé, facendola diventare invisibile all’occhio.

Ma sotto questo strato di pulito c’è lo sporco.

E se non si dà una pulitina ogni tanto lo sporco si accumula e contagia anche le parti più pulite del pavimento. Solo noi possiamo sapere della polvere sotto il tappeto, i nostri ospiti vedranno solo un bel pavimento pulito. Finché la polvere, ormai troppa, non fuoriuscirà dai bordi del tappeto.

Lo stesso problema si riflette su di noi.

Anzi, è proprio il modo, il mondo, in cui viviamo a farci prendere l’abitudine di nascondere la polvere sotto il tappeto. Da un po’ di anni a questa parte ci siamo abituati a non risolvere i nostri problemi, ma lasciare che essi si accumulino in uno spazio ben nascosto della nostra coscienza. Li ignoriamo, finché essi non si presentano chiari e tondi davanti ai nostri occhi e noi non sappiamo cosa fare perché i problemi sono tanti, tu uno solo. La stessa cosa è successa anche a me.

Ho vissuto a occhi chiusi finché ho potuto, poi un fulmine mi ha svegliata e la sua luce accecante mi ha fatto male agli occhi.  Incredibile quanto la realtà è diversa da come la immaginiamo.

Ma veniamo al punto:

A 14 anni, in terza media, la mia professoressa di italiano si rifiutò di far partecipare il mio tema a un “concorso”. L’argomento su cui discutere era “La Pace nel Mondo”. Lei bocciò il mio scritto perché avevo espressamente detto che la pace nel Mondo non esiste. Lei pensava che in un concorso bisognasse scrivere utilizzando argomentazioni positive.

Questo fu il fulmine a ciel sereno che mi svegliò. Come è possibile che una professoressa –come avrebbe potuto essere un genitore, un insegnante, un parente- , un simbolo per il ragazzo, un modello che gli impartisca l’educazione, dica una cosa del genere.

Il messaggio che mi arrivò fu “Se vuoi raggiungere un obiettivo, non dire quello che pensi, solo quello che gli altri vogliono sentirsi dire”. Se non fossi stata una ragazzina avrei chiesto spiegazioni, avrei tentato di parlare con la professoressa. Invece restai in silenzio e assorbii il rimprovero. La realtà è che ero confusa perché fino a quel giorno mi era stato mandato un messaggio diverso da quello che mi trasmise quel biasimo. Mi era sempre stato insegnato a esprimere i miei pensieri, giusti o sbagliati che fossero, così avrei potuto confrontarmi con gli altri e, se fossi stata nello sbaglio, correggermi. Questo episodio mi ha fatto capire quanta falsità giri. Quanta polvere ci sia sotto i nostri piedi.

Quanto in realtà tutto questo mondo colorato può essere solo un’illusione e nascondere, sotto il suo sottile strato vivace, un panorama grigio, dove per fare parte dignitosamente della società devi essere come la società richiede. Io non ho alcuna intenzione di cambiare per alcuno. Penso ancora che la pace nel Mondo non esista. E penso che continuerà ad essere un progetto irrealizzabile finché non faremo veramente fronte a tutta la polvere che abbiamo ammucchiato per anni sotto un sottile tappeto di allegria e di benessere.

C’è la necessità di farlo, prima che la polvere cresca e cresca e si propaghi fino a raggiungerci.

Quando la polvere ci contaminerà, allora saremo perduti.

Perché continueremo a vivere fingendo che vada tutto bene, quando la gente muore tutti i giorni, in qualsiasi parte del mondo. Ma a noi non importerà, perché avremmo il nostro mantello colorato a farci da scudo, che ci coprirà gli occhi  e noi crederemo di vivere in un mondo felice e spensierato.

A quel punto, saremo più inutili, più aspri, più grigi della polvere stessa.

E niente ci salverà.

Aprite gli occhi, la maggior parte di voi, di noi ha già la polvere fin sopra il ginocchio.

 

 

 

Era un giorno di febbraio quando la mia professoressa di lettere lesse questo articolo alla classe.

Poi poggiò il giornale sulla cattedra, si alzò e mi fece un applauso.

  
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