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Autore: DazedAndConfused    10/05/2012    5 recensioni
Il Sole in California brillava più che a New York, dove invece sembrava un disco di plastica fredda buttato a caso nel cielo.
Erano secoli che non tornava lì, una capatina ci sarebbe stata a pennello.
Dopotutto, ora avrebbe avuto tempo a sufficienza per se stesso.

Umile omaggio a John Frusciante e ai Red Hot Chili Peppers.
Genere: Introspettivo, Slice of life, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Nick Autore: DazedAndConfused

Titolo Fanfiction: Thank you for the lessons that I learned while John was sleeping

Fandom: RPF Red Hot Chili Peppers

Canzone scelta: Doing All Right

Pairing: /

Rating: verde

Generi: introspettivo, slice of life, song-fic

Avvertimenti: one-shot, missing moments

Eventuali note dell'autore: allego il link del testo e della traduzione del brano che ho scelto (http://www.tydany.it/Queen/Testi/Doingalright.htm).

Il titolo della ff è un verso tratto da Today, una canzone dell’album The Empyrean di John Frusciante.

Ho scelto di descrivere le vicende alternandole tra 2008 e 1992, stacco temporale che si percepisce dai vari paragrafi distanziati. L’ultimo paragrafo è ambientato ai giorni nostri, com’è intuibile dal contesto.

Ho provato ad immaginare come sia andata: in base a quel che Anthony ha raccontato nella sua autobiografia Scar Tissue, c’è da dire che la prima rottura l’ho resa indubbiamente più dolce, mentre sulla seconda non si sa molto, quindi ho dato carta bianca alla mia fantasia.

Adoro questi quattro uomini e vorrei essere riuscita a renderli nella maniera più fedele possibile, tutto qua.

 

 

Thank you for the lessons that I learned while John was sleeping

 

Yesterday my life was in ruins

Now today I know what I’m doing

Got a feeling I should be doing all right

Doing all right

 

Il Sole in California brillava più che a New York, dove invece sembrava un disco di plastica fredda buttato a caso nel cielo. Erano secoli che non tornava lì, una capatina ci sarebbe stata a pennello. Dopotutto, ora avrebbe avuto tempo a sufficienza per se stesso.

L’uomo continuò a fissare l’astro arancione fin quando gli occhi gli lacrimarono, dopodiché tornò con lo sguardo al proprio interlocutore.

-Johnny…-

Il diretto interessato arricciò un po’ il naso: anche a quasi quarant’anni restava comunque Johnny, il ragazzetto dal viso pulito e le vene un po’ meno linde, anche se ormai non schifava più Greenie, il suo alter-ego.

Ci si era abituato… anche affezionato, a dirla tutta.

Certo, certi cappellini e certi tagli di capelli che aveva portato erano improponibili, ma erano pur sempre stati parte del suo essere.

Andava bene così.

-Non sarà come dieci anni fa, vero? Venire qui a parlarti non servirà a farti tornare, giusto?-

L’uomo annuì e sospirò, tornando a sbirciare una lingua di Sole per una manciata di secondi, voltandosi quasi subito. L’altro lo stava a fissare con quei suoi occhi chiari, gli occhi di un fratello, un padre, un amico.

-Ormai ho deciso, Flea. È la cosa migliore per tutti, credimi.-

L’amico rise, mostrando quella sua fessura che ogni volta trasmetteva a John un’allegria contagiosa, come se il Sole fosse stato rinchiuso lì dentro.

L’aveva rubato lui il Sole di New York, ne era certo.

-Per te indubbiamente, ormai io e gli altri siamo da ospizio… Però ci servirebbe il bastone della nostra vecchiaia, non credi?-

-Non ho alcun dubbio, ma non ne avete bisogno. Dei ragazzini non hanno bisogno di un bastone per camminare, hanno già le gambe.-

-John, noi non siamo ragazzini…- sospirò l’altro malinconico, tornando per un attimo con la mente ai giorni trascorsi a compiere furtarelli in coppia con il degno compare Kiedis.

-L’età anagrafica non conta, conta quello che senti tu. E se al mondo c’è una persona che ha il Sole dei vent’anni dentro di sé, quello sei tu, così come Chad e Anthony.-

-Tu c’hai battuto, John. Tu non hai il Sole dei vent’anni con te… Tu lo hai e basta. L’hai raggiunto e non te ne sei più separato, stai illuminando tutti quanti.-

Il chitarrista arrossì un po’, arricciando le labbra. Appoggiò una mano alla tempia, lasciandola nascondere dai riccioli bruni, mentre con l’altra strinse quella dell’amico per infondergli forza.

Probabilmente era soltanto lui che ne necessitava un po’, e la mano callosa di Flea parve donargliene una dose generosa.

 

Where will I be this time tomorrow?

Chasing joy or drinking in sorrow?

Anyway I should be doing all right

Doing all right

 

Flea lo trovò seduto a gambe incrociate sul letto, intento a sfogliare un libro di arte moderna, uno di quelli con le fotografie patinate e gigantesche stampate esclusivamente su carta lucida.

-Ecco dove ti eri cacciato, mascalzone! Ti ho cercato ovunque!- esultò, sedendoglisi accanto.

-Non mi sono mai mosso di qua.- gli rispose atono quello, senza staccare gli occhi da Number 8 di Pollock.

-Immaginavo, ormai sei un latitante!- lo canzonò nuovamente l’amico, facendo sì che quello gli rivolgesse il primo sguardo da quando era entrato lì dentro.

-Cannetta?-

Il ragazzo sorrise e, dopo aver riposto il volume sul comodino, gli prese lo spinello dalle mani e fece un tiro, il fumo azzurrognolo che gli scappava dalle labbra.

-Sei come il fumo, John…- esordì il bassista, riprendendosi la canna e imitandolo.

L’amico lo fissò aggrottando la fronte, con quella sua espressione perplessa che faceva sempre impazzire stuoli di adolescenti in pieno bombardamento ormonale.

-Sappiamo che ci sei, ma sei impalpabile… Non ti si può catturare, ci sfuggi sempre.-

-E tu sei come questa canna: corto e fai rincoglionire il prossimo.-

Flea ci pensò su un attimo, valutando la serietà di quell’affermazione, optando poi per una vigorosa spinta che fece quasi franare John giù dal letto.

-Dicevo sul serio, Greenie.-

Il ragazzo arricciò le labbra disgustato e fu sul punto di ribadire per l’ennesima volta quanto detestasse quel nomignolo, quando si ricordò che tentare di contraddire Flea di per sé fosse già una missione tosta, ma tentare di contraddire un Flea fatto sarebbe stato impossibile persino per Chuck Norris.

-Vorremmo tutti imbottigliarti e tenerti sempre con noi, ma non si può.-

-Non è vero. C’è gente che desidera vedermi star male, Flea, gente che non sta aspettando altro che vedermi crepare da un momento all’altro… Altro che imbottigliarmi!- rise amaro lui, risiedendosi e portandosi le gambe al petto.

L’amico sapeva che quell’argomento non avrebbe portato nulla di buono, così si limitò a passargli di nuovo lo spinello e a salutarlo con un “ci si vede dopo, stammi bene” prima di uscirsene dalla suite.

Il giovane stette a fissare il muro bianco per un po’, finché gli occhi non gli bruciarono. Si alzò e aprì la porta-finestra, muovendo qualche passo incerto verso il corrimano in ferro battuto, mentre con la mano destra si avvicinava la canna alle labbra.

Il fumo azzurrognolo scivolò verso il cielo di Berlino, e il ragazzo non poté far altro che invidiargli la facilità con cui poteva volarsene via di lì.

 

Simply waiting for the sign

Waiting here to find the words to say

 

-Io me lo sentivo.-

Tutti si voltarono verso Anthony, che teneva il capo stranamente chino. Lo sentirono sospirare pesantemente, in cerca del coraggio per continuare quel discorso.

-Sapevo che prima o poi sarebbe successo di nuovo… Però non sapevo quando, ed è questo che fa star male.-

-Tone…- cominciò Flea, ma John lo bloccò subito, intimandogli di lasciarlo finire.

C’erano stati parecchi nodi al pettine che nel corso degli anni erano riusciti a sciogliere, ma altri ancora erano rimasti in sordina per un decennio e passa, e questo il chitarrista non lo poteva sopportare.

In passato non aveva saputo far altro che scapparsene di qua e di là come un fuggiasco, uno zingaro del mondo, ma con il tempo aveva imparato che una delle cose più belle che siano mai state donate all’uomo risieda proprio nella dignità e nel sapersi prendere le proprie responsabilità. Tutto quello che desiderava in quel momento era avere un dialogo con quelli che erano stati suoi compagni di vita per più di vent’anni, desiderava soltanto un po’ di comunicazione.

La comprensione e l’accettazione sarebbero venute da sé, altrimenti si sarebbe accontentato anche di non averle.

-Tu hai sempre avuto quella scintilla negli occhi, quella fiamma… Nessuno è riuscito a spegnertela, mai. Ed è questo che ti distingue dagli altri, da noi tutti, John: tu hai deciso di uscire e ti sei concesso anche il lusso di tornare, e noi ti abbiamo accolto. Con altri probabilmente non lo avremmo fatto, ma tu sei tu.-

-Non siete stati indulgenti. Non devi rimproverare te stesso o gli altri, non siete stati deboli. Io vi mancavo, voi mi mancavate… Ci siamo cercati, e trovati. Non ne ha colpa nessuno, semmai tutti ne abbiamo il merito. Come ora non è colpa di nessuno se me ne voglio andare di nuovo. Solo… voglio seguire le mie inclinazioni, tutto qua.-

-Andartene? Credevo volessi solo una pausa.- intervenne finalmente Chad, battendo distratto sul tavolino un 4/4 con le bacchette d’acero.

-Pausa? Non esiste la parola “pausa” nel vocabolario di John Frusciante, Chad…- rise Flea, mentre Anthony si limitò ad abbozzare un sorriso.

-Solo intervalli, refrain e voli pindarici, giusto? Vero, è nella sua natura.- si corresse il batterista, rivolgendo un sorriso sincero al diretto interessato, che arrossì un po’.

-Sì, Chad, voglio andarmene. E…- si fermò un attimo per soppesare le parole da pronunciare, quasi per paura di far uscire dalle labbra quelle sbagliate -E non lo faccio con cattiveria, credetemi. Solo che mi piace fare le cose con calma, potermi mettere a cazzeggiare con la chitarra e comporre quando mi pare e piace, quando mi sento di farlo, non quando lo vuole qualcuno che sta più in alto di me.-

Stettero un po’ in silenzio, fin quando Anthony si alzò e abbandonò la stanza a grandi falcate. Chad sospirò e John fece altrettanto, piuttosto intristito.

-Vedrai che gli passerà, dagli del tempo.- lo rassicurò Flea, andandosene via con il batterista e lasciandolo solo con i propri pensieri e la voglia di riuscire ad assemblare parole che avessero finalmente un senso, parole che si sposassero alla perfezione con le proprie aspettative e quelle del cantante.

 

Sitting waiting all this time here

All the time you're away

 

Dopo aver steso l’ultima pennellata color indaco, il ragazzo si allontanò dalla tela per poterla osservare meglio. Tutto sommato era soddisfatto del risultato, ma sentiva che c’era ancora qualcosa che mancava. Mancava qualcosa in quel groviglio di blu e arancio, in quei rampicanti di tempere vinaccia e ocra che correvano lungo il perimetro del dipinto, in quell’abbraccio spasmodico tra il nero e il giallo.

Sciacquò il pennello e lo ripose nella scatola di legno, andando poi in cerca di una sigaretta. Si soffermò davanti alla tela e lasciò che i pensieri vagassero in giro, quasi dimenticandosi della cenere che gli stava sporcando le mani. Diede un paio di tiri rapidi e la spense subito, probabilmente venendo finalmente a capo dell’inghippo.

Si lavò le mani e, dopo essersele asciugate, intinse le dita nella tempera scarlatta che riluceva come sangue grondante.

Le appoggiò sulla tela e, beandosi del contatto con la superficie ruvida, iniziò a tracciare delle linee ad occhi chiusi, lasciandole libere di rincorrersi lungo tutto quello spazio.

S’interruppe solo quando sentì la porta aprirsi di scatto, e la prima cosa che vide fu Anthony, la faccia stravolta e l’aria di uno che sta per esplodere. Sospirò e si preparò al peggio, abbandonando a malincuore il dipinto.

-Mi spieghi che cazzo stai facendo?-

-Credo che la risposta sia piuttosto ovvia, Anthony…-

-Intendo che cazzo ci fai qui! Dovresti essere sul palco a provare con me e gli altri!-

Oh, le prove. si ricordò improvvisamente quello, fissando l’ormai ex-amico con sguardo smarrito.

-Lo sapevo, te ne sei dimenticato! Sei allucinante, John… è pazzesco, io non ho più parole.-

-Se non ne avessi più, non saresti di certo qui a farmi il sermone, non credi?- lo rimbeccò l’altro piuttosto scocciato, ripulendosi le mani con uno strofinaccio trovato per caso.

A quelle parole il cantante lo fissò stupefatto, trattenendosi a stento dalla tentazione di mettergli le mani addosso.

-Fammi capire, pensi di essere nel giusto?-

-Sì, Anthony. In questo momento preferisco starmene qui a dipingere che andare su uno stupido palco a strimpellare quattro cagate in croce, se è questo quello che vuoi sapere.-

-Io… io non ho parole. Le “quattro cagate in croce”, come le chiami tu, significano molto per un sacco di gente! Non pensi ai fan, non pensi a loro quando sali sul palco?-

John scrollò le spalle e riprese a fissare la tela, i pensieri che già vagavano in giro per la mente in cerca di un giudizio soddisfacente riguardo quel che aveva dipinto.

-Ah, no, giusto… Tu pensi soltanto a queste minchiate! Dipingere, leggere Burroughs, fumare erba e bere in quantità industriale… La vita è questo, giusto.-

-La vita è anche questo, Anthony- sbottò risentito il chitarrista, tornando a piantargli gli occhi scuri nei suoi -Ma non vuol dire che sia necessariamente come la vedi tu.-

-Dì quel cazzo che ti pare, ma io continuerò a pensare che tu ti stia comportando da grandissimo stronzo… Se non fosse per loro, non saremmo qui.- sospirò il cantante, massaggiandosi le tempie.

-E chi l’ha chiesto di essere qui?-

Anthony lo guardò storto e gli rispose con un “tutti noi, anche se non te lo ricordi”. Dopodiché uscì dalla stanza.

 

Sitting waiting for the sign

And anyway I got so far

 

-E così questo è un addio…-

-Un arrivederci, Chad. È un arrivederci.-

-Quindi questo significa che tornerai nel gruppo, prima o poi?-

John gli sorrise intenerito, poggiandogli una mano sulla spalla.

-Non penso proprio, ma nella vita non si può mai sapere…-

-Ho capito, mister Faccio Sempre Il Vago… Passiamo ai saluti, prima che mi metta a piangere sul serio.-

E, detto quello, lo strinse a sé, affondando il volto nei suoi ricci scuri. John si morse il labbro inferiore e ricambiò la stretta.

Quel gigante buono gli sarebbe mancato da morire.

 

-John, fatti almeno dare un abbraccio… Mi mancherai.-

Il batterista era appena venuto a sapere delle intenzioni che il chitarrista, dall’alto dei suoi ventidue anni, aveva deciso di inseguire.

Non lo capiva, probabilmente nessuno lo avrebbe fatto, ma lo accettava. Lo accettava perché la sofferenza di John negli ultimi tempi non era affatto passata inosservata, così come quel cumulo informe d’infelicità e cupezza che lo circondava perennemente.

Lui rivoleva il vecchio John, quello che rideva in quel modo sgangherato e assolutamente assurdo, quello che passava le giornate a sparare cazzate in compagnia sua e degli altri, non quello che si rintanava come una bestia nella propria stanza, lontano da tutto e da tutti.

Quello era il fantasma di John, e lui non lo voleva, non più.

Ma in quell’ultimo abbraccio a Chad parve sul serio di essere riuscito a vedere distintamente la vera essenza di John Frusciante, il ventenne costretto a crescere troppo in fretta, il ragazzo che abbandonava la propria famiglia per partirsene in un viaggio tutto suo che non ammetteva ospiti o tappe improvvise, che non ammetteva i Red Hot Chili Peppers.

 

-Johnny…-

John si staccò da Chad, scostandosi qualche riccio bagnato dagli occhi: alla fine il batterista non aveva resistito, lo aveva inzuppato per bene.

-Amico mio…- si rivolse quindi verso chi l’aveva chiamato, abbracciandolo -Grazie di tutto.-

-No, Johnny, sono io che devo ringraziare te: grazie per esserci sempre stato, inconsapevolmente e non. Grazie di essere te stesso e di avere ancora la voglia di lottare per poterlo essere.-

-Grazie a te per essere sempre stato te stesso, Flea. Io me ne sono accorto dopo un po’ di tempo che questa era la strada giusta, e tu c’eri già.-

 

-Greenie, praticamente sei già là. Dammi un abbraccio e chiudiamola in fretta qui, su.- lo ammonì il bassista, stringendolo e lasciandogli una carezza tra i capelli corti.

-Io non volevo, lo giuro… Non volevo arrivare a questo punto…- singhiozzò l’altro, lasciandosi abbracciare -Voglio tornare a quattro anni fa, ai locali e a quelle due banconote in croce, Flea…-

-Lo vorrei anch’io, Johnny. Ma i quattro anni son già passati, noi siamo qui e tu invece ormai non lo sei più. Fatti la valigia e tornatene a casa, lì starai meglio.-

Il chitarrista alzò il volto e lo fissò con quegli occhi scuri, degli occhi che erano contornati da vistose occhiaie ma che racchiudevano ancora una flebile speranza.

-Starò meglio… Sì, starò meglio.- annuì quindi, staccandosi dall’amico e asciugandosi le lacrime con il dorso della mano.

 

L’uomo rivolse uno sguardo alla figura che era rimasta in silenzio dietro agli altri, attenta osservatrice di tutto.

-Anthony, io-

-No, John, per piacere… Stavolta lascia parlare me.-

Il chitarrista smise di andargli incontro e, piuttosto stupito, gli fece cenno di continuare.

-In questi ultimi vent’anni ne abbiamo passate di tutti i tipi: ci sono stati momenti in cui non avrei voluto far altro che mettermi ad urlare o piangere, altri in cui t'avrei spaccato la faccia molto volentieri e altri ancora in cui avrei affrontato perfino il mondo intero pur di poterti proteggere. Ma se c’è una cosa di cui sono sempre stato certo, su cui non ho mai avuto alcun ripensamento, è questa: io ti voglio bene. E non me ne frega un cazzo se per fartelo capire dovrò attraversare un corridoio o gli interi Stati Uniti d’America, perché è importante che tu lo sappia. Non pretenderò di capirti, di capire cosa ci sia dietro questa tua decisione, e so che tu farai lo stesso con me, quindi non mi resta altro da fare che farti sapere tutto questo e sperare che le cose per te si mettano al meglio.-

Il più giovane tra i due lo abbracciò in silenzio, ed Anthony si lasciò stringere più che volentieri.

-Ti voglio bene, Greenie. Ricordatelo.-

-Pian-piantala di chiamarmi così, coglione…- borbottò l’altro piangendo e abbracciandolo con più forza.

Il cantante rise di cuore e fece altrettanto, sorridendo quando l’orecchio destro captò un “anch’io te ne voglio, Tone.”

 

La prova più difficile arrivava ora, e John lo seppe nel momento esatto in cui si staccò dall’abbraccio rassicurante di Flea per rivolgere un primo sguardo ad Anthony, che lo fissava a braccia conserte.

Bastò quell’occhiata tagliente per far caracollare il chitarrista verso il suolo, ormai così sottile e fragile da potersi spezzare in qualsiasi istante.

-Devo andarmene, non posso più andare avanti così, morirò se non uscirò da questo gruppo, me lo sento- balbettò tremante, le sembianze di un animale braccato dal proprio carnefice.

Il cantante sciolse subito la propria maschera d’indifferenza e lo andò a soccorrere, aiutandolo a tirarsi su e sorreggendolo nel momento in cui si accorse che non era in grado di farlo per conto proprio.

-Sta’ calmo, è tutto sotto controllo, non c’è nessun problema.-

-Non è vero, io sto facendo un casino, faccio schifo!- strillò quello, agitando le mani per aria.

-Questo è vero.-

-Tony, non sei d’aiuto!- lo rimproverò Flea, che però venne azzittito quasi subito.

-Non lo saremmo nemmeno se gli dicessimo che va tutto che è una meraviglia! Meglio sbattergli la realtà in faccia, cazzo.-

John abbassò lo sguardo, sentendosi incredibilmente piccolo ed inutile. In quel momento avrebbe soltanto voluto che dal pavimento sorgesse una voragine in grado d’inghiottirlo in fretta.

-Sei deciso?-

Il giovane si riscosse dalle proprie fantasie e guardò Anthony, che a sua volta lo fissava in un misto di apprensione e diffidenza.

-Scusa?-

-Ti ho chiesto se sei deciso… Se sei veramente deciso nel volerti comportare così.-

-Io… suppongo di sì… sì, lo sono.-

-Grazie al cielo.- sorrise l’altro, e lo abbracciò.

 

-Vi farò avere mie notizie al più presto, ve lo prometto.-

-Me lo auguro per te, altrimenti sarò costretto a venirti a trovare con una mazza da baseball.-

Il chitarrista ridacchiò e tirò un pugno affettuoso sulla spalla del batterista, schivando per un pelo la manata che quello gli voleva restituire.

I tre lo accompagnarono alla porta d’ingresso, dove lo salutarono sorridendo.

-Finalmente libero, eh Frusciante? Facci sapere com’è la situazione lì fuori…-

-Lo siamo tutti, Anthony. Lo siamo tutti.- e, dopo aver fatto loro un cenno con la mano, se ne andò.

Lungo la strada nessuno lo fermò, forse perché sull’uscio se ne stavano tre ombre a vegliare su di lui.

 

-Non distruggerti, John. Promettimi che non lo farai.-

-Promesso.-

Quelle furono le ultime parole tra i due, prima che il taxi inghiottisse la figura del più giovane e la facesse scomparire dall’orbita del loro circuito.

Anthony osservò il fumo della sigaretta che saliva sempre più in su, mischiandosi alla scia dell’aereo che, in quell’esatto istante, stava solcando il cielo roseo di Tokyo.

Sospirò.

 

Yesterday my life was in ruins

Now today I've learned what I'm doing

Anyway I should be doing all right

 

Si accarezza pensoso la barba con una mano, mentre con l’altra prova diverse frequenze dell’equalizzatore.

Ha le cuffie, non sente che la moglie lo sta chiamando. Se le leva solo quando capisce che da quella melodia in quel momento non ne caverà fuori nulla di buono.

-John, vieni qui un attimo!-

Raggiunge Nicole in soggiorno, sedendosi accanto a lei e fissandola con sguardo interrogativo, gesto che le dà l’autorizzazione per mostrargli tutto quanto.

-Guarda che foto è appena uscita…- afferma ironica, spostando il lap-top dalle proprie ginocchia a quelle del marito.

John dapprima non capisce, ma nel momento in cui vede lo scatto tutto gli è finalmente più chiaro: Rock n’ Roll Hall Of Fame.

Fissa il tavolo e i segnaposti e non può proprio fare a meno di ridere di gusto, profondamente divertito da quell’insulsaggine.

-Se non altro hanno scelto una foto in cui sono venuto decentemente…- mormora, frugando nella tasca per ripescare il cellulare che non usa quasi mai e che, stranamente, sta vibrando.

Dici che valga la pena di aspettarti, ritardatario?” recita il messaggio, e il mittente è inequivocabile: Chad.

Il chitarrista pigia abbastanza velocemente sui tasti e si ferma a rileggere il risultato.

Aspettare non serve. Sono già lì, in ognuno di voi.

Si morde il labbro inferiore e preme Invio.

Sorride.

 

Doing all right

   
 
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