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Autore: suni    10/05/2012    3 recensioni
SPOILER! fino all'episodio 7x17.
Continuava a fare il suo lavoro, ossessionarsi sui Leviathans e cercare risposte come aveva sempre fatto, sentendosi solo un po’ più solo. Sempre più solo. Finché una notte, appoggiato alla portiera dell’Impala, dopo aver composto il solito numero non interruppe la chiamata ma rimase così, col telefono appoggiato all’orecchio e il segnale acustico che lasciava posto al silenzio. Si schiarì la voce senza nemmeno pensarci su.
“Ehi, ehm, Cass, sono io. Volevo solo… Niente. Che idiota.”
Si infilò il telefono in tasca di fretta, con la sensazione di essere molto stupido e molto patetico, e ritornò velocemente in camera quasi avesse fatto qualcosa di sbagliato e dovesse sparire.
Genere: Generale, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Dean Winchester
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Settima stagione
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Bene, bene. Questa è la prima fanfiction che pubblico in questo fandom, che non è un modo per dire "vogliatemibbeneh" ma solo, ehm, portate pazienza, le prossime andranno meglio. Non è propriamente una Destiel anche se immagino traspaia la mia opione su questa, ahn, amicizia.

Quindi… Una specie di missing-qualcosa tra l’episodio 11 e il 17 della settima stagione. Perché Cas c’è anche quando non c’è, se si tratta di Dean.

Piccole precisazioni: il dialogo finale della fanfic è tratto direttamente dall’episodio 17, mentre la citazione che apre la storia è © della mia demente amica Cia’, cui va imputata ogni responsabilità per la nascita di questa mia.
 
 
Not available?
 

Un angelo sulla spalla è come un diamante: per sempre.

 

Qualche volta, di sera, dopo che Sam aveva già preso sonno e dormiva col respiro pesante nel letto accanto, Dean rimaneva con lo sguardo fisso sul soffitto buio. Ascoltava l’aria entrare ed uscire dai polmoni di suo fratello e stava lì fermo senza quasi riuscire nemmeno a deglutire: immobile, fino a quando la sensazione angosciante del bisogno assoluto di muoversi e smettere di pensare diventava totalizzante.

Allora sgusciava fuori dal letto e silenziosamente scivolava verso la finestra, verso la debole luce esterna, vinto dalla necessità di vedere qualcosa, anche solo il profilo della casa, di ritornare nella realtà e nel presente. Poi veniva l’impellenza di fare qualcosa, una cosa qualunque, anche piccola, anche dolorosa. Spesso si limitava a chiamare un numero di telefono che nessuno usava più e ad ascoltare la segreteria telefonica meno riuscita della storia del mondo e della galassia, prima e dopo l’Apocalisse.
Non capisco. Perché vuole che dica il mio nome?”
Scoppiava a ridere tutte le volte, anche se l’aveva già sentita all’infinito. In silenzio, per non disturbare Sam, si abbandonava a uno scroscio di risa con la tristezza nei polmoni, immaginando l’espressione del viso di Castiel nel sentirsi chiedere dalla voce registrata come si chiamasse, la piega aggrottata delle sue sopracciglia e la vaga confusione nel suo sguardo.
Qualche volta, quando l’ansia non se ne andava, usciva pian piano, attento a non far rumore con la porta, e scendeva fin dalla sua bambina. Le accarezzava distrattamente la carrozzeria e apriva il bagagliaio nell’oscurità, tendendo le dita alla cieca per afferrare il fagotto che era stata la peculiare divisa di un angelo. Lo tastava cercando di ignorare le macchie di sangue sul tessuto sdrucito, ogni tanto infilava persino le mani nelle tasche come nella speranza insensata di trovare qualcosa che fosse stato lasciato per lui, un altro amabile resto che gli appartenesse.
Una volta, pochi giorni dopo la morte di Bobby, si infilò persino quel vecchio trench brutto e rovinato e se ne rimase lì per più di un’ora a stringerselo addosso, chiedendosi quando avrebbe smesso di sentirsi così male e di perdere nel modo peggiore tutte le cose non troppo schifose che aveva. Lisa, Ben, Castiel, Bobby. Nel giro di pochi mesi tutto quel che gli rimaneva erano Sam e il suo cervello a un dito dal baratro, un’ancora così poco rassicurante che gli faceva venire le vertigini.
Soltanto pochi mesi prima non era così. Aveva un fratello sano di mente, un padre putativo dal carattere atroce ma sempre pronto a farsi in quattro e un angelo sulla spalla. Gli rimanevano uno psicolabile, un buco vuoto al posto di Bobby e l’impronta di una mano sulla spalla sinistra, una cicatrice incisa nelle fiamme dell’Inferno. La sagoma di cinque dita, al posto della sicurezza di avere un bambino immortale sempre disposto a correre in suo aiuto.
E un trench rovinato, e una segreteria telefonica che era l’ultimo segno tangibile della presenza di Castiel, la sua voce.
Di solito si rimetteva nel letto che già quasi s’intravedeva l’aurora. Non aveva mai dormito molto e ora si limitava solo a dormire ancora meno. Continuava a fare il suo lavoro, ossessionarsi sui Leviathans e cercare risposte come aveva sempre fatto, sentendosi solo un po’ più solo. Sempre più solo. Finché una notte, appoggiato alla portiera dell’Impala, dopo aver composto il solito numero non interruppe la chiamata ma rimase così, col telefono appoggiato all’orecchio e il segnale acustico che lasciava posto al silenzio. Si schiarì la voce senza nemmeno pensarci su.
Ehi, ehm, Cas, sono io. Volevo solo… Niente. Che idiota.”
Si infilò il telefono in tasca di fretta, con la sensazione di essere molto stupido e molto patetico, e ritornò velocemente in camera quasi avesse fatto qualcosa di sbagliato e dovesse sparire. Si rifiutò di pensarci per tutta la giornata, mentre Sam fronteggiava le sue fobie indagando in mezzo a clown e giocattoli. Si ripromise di non richiamare più.
Lo rifece due sere dopo. La stessa segreteria, lo stesso segnale.
Sono di nuovo io. Sono in un motel e sto pensando che sei il più grande figlio di puttana della storia. Volevo solo che sapessi quanto mi hai deluso e quanto ce l’ho con te, e quanto mi dispiaccia l’idea che non te lo perdonerò mai e che non riuscirò a lasciarmelo alle spalle per quanto ci provi. “Sbuffò amaro. “Mi fidavo di te. Io, Sam, Bobby. Ah, a proposito, Bobby è morto. Leviathans. Quelli che tu hai portato qui. Ovunque ti trovi ora, spero che la pagherai cara.”
 Si sentì meglio, questa volta, scaricato di un peso. Si addormentò più presto del solito, sempre furioso come stava vivendo da settimane o da anni, non lo sapeva più, ma con un placebo tutto nuovo e così funzionale che telefonò di nuovo la sera dopo. In ogni caso, quei messaggi non li avrebbe mai sentiti nessuno.
Ehi. Stiamo andando ad occuparci di un vecchio caso che sembra si stia ripresentando. Forse non avevamo finito il lavoro e sai com’è, a differenza di altri a noi piace sistemare il nostro casino e mettere a posto le cose. Ah, dimenticavo anche che noi siamo onesti.” Studiò per un paio di secondi la ghiaia e la ruota dell’Impala. “Ci stavo pensando l’altro giorno, sai, di tutte le schifose creature che ho incontrato nella mia vita, e credimi sono un bel po’, la peggiore di tutte sono gli angeli. E mi fa veramente incazzare l’idea di aver riposto tanta fiducia in una porcheria del genere.”
La mattina dopo incontrò la prima difficoltà. Si era appena svegliato quando Sam, rotolando nel letto, sbadigliò sonoramente e lo guardò incuriosito.
Con chi parlavi?” chiese perplesso.
Dean lo guardò senza capire, infilandosi una scarpa.
Quando?”
Stanotte, al telefono. Mi sono svegliato e ti ho visto nel parcheggio con il telefono all’orecchio,” spiegò Sam stropicciandosi la testa.
Dean trattenne il fiato per un paio di secondi.
Oh, quello,” rispose con lo sguardo fisso. “Niente, ascoltavo dei vecchi messaggi.”
Lasciò perdere per qualche giorno. Era già tutto abbastanza preoccupante senza diventare un pazzoide che parla con un morto e far preoccupare il suo fratello minore sull'orlo della psicosi sul fatto che stesse andando fuori di testa anche lui.
Poi Sam smise di dormire. Lucifer lo teneva sveglio, e anche Dean smise quasi completamente di risposare per l’angoscia. Beveva parecchio, in compenso, e c’era una storia di una ballerina senza piedi su cui lavorare. Cercava di pensare che tutto restava sotto controllo, ma dopo il tramonto era difficile mantenere l’equilibrio e la lucidità sulle cose. Sam annegava e lui era ancora sempre più solo. Faceva una paura fottuta e faceva infinitamente rabbia, una rabbia che si sommava a tutta quella accumulata ma che bisognava sfogare e gettar fuori in qualche modo. Scelse il meno pericoloso per se stesso e per gli altri: il telefono.
Ehi, Cas, sempre io. Ci sono novità,” barrì una mattina mentre Sam andava a caccia di caffè. “Hai presente mio fratello, quello a cui hai tolto il muro mentale? Beh, ben fatto. È andato, gli si sta fottendo definitivamente il cervello. Quindi grazie, angelo salvatore e redentore dell’universo tutto, brutto bastardo infame, vorrei tanto che sulla ruota ci finissi tu, e che restassi lì a essere fatto a pezzi per l’eternità.”
Successe davvero. Ospedale psichiatrico, l’ultima fermata prima della morte cerebrale. Dean vide soltanto la faccia disfatta di Sam e il suo sguardo rassegnato nel momento della lucidità, pallido, quasi grigio di occhiaie. Non riuscì più a percepire nient’altro. Telefonò a tutti i cacciatori che poteva trovare, chiunque, metodicamente, lasciando messaggi che probabilmente sarebbero rimasti senza risposta, sempre più sconfortato, sempre più a pezzi. Chiamò persino un numero saltato fuori dal portafoglio di Bobby, e aveva fatto tante di quelle telefonate che a un certo punto fece anche l’ultima.
Beh, Cas, di bene in meglio. Sam è internato, e probabilmente non ne uscirà mai più. Quindi, ehi…” Si morse le labbra cercando di mantenere la calma e la voce ferma, anche se aveva la vista appannata. “…Beh, grazie. Di tutte le tue porcate questa è la peggiore. E non so perché vorrei lo stesso che fosse come prima e tu fossi qui a dare una mano e sistemare le cose. Potresti. Avresti potuto, dovevi solo fidarti di noi. Quindi vai al diavolo, letteralmente, e se almeno tu fossi qui…”
Buttò giù di violenza, quasi scagliando via il telefono. Non era sano. Non serviva a niente. Suo fratello era perso, non sapeva cosa fare, Bobby non c’era più e lui parlava con un angelo morto, che non era un buon modo per superare la cosa ma tanto in definitiva non ci riusciva. Era abituato a superare lo schifo, ma non quello. C’era qualcosa di freddo e malinconico che glielo impediva.
Ma nessuno lo poteva aiutare, e in fondo Dean lo sapeva da solo. Non esistevano magici stregoni che potessero salvare suo fratello, nessuno poteva più aiutare Sam e nemmeno aiutare lui. Era così disperato che ritelefonò la mattina successiva semplicemente per il bisogno di dire di nuovo a voce alta quant’erano tristemente finiti, aspettandosi la segreteria telefonica.
Siamo spiacenti,” annunciò invece in modo profondamente irreale una voce femminile registrata, “il numero da lei composto è inesistente o inattivo.”
Dean rimase per qualche secondo aggrappato al telefono contro il suo orecchio. Quello stronzo era così stronzo che il suo numero di cellulare si era disattivato nella settimana più brutta della sua vita. Cercò di respirare, per qualche secondo, mentre pensava che non rimaneva nulla, adesso, soltanto lui e Sam che moriva piano, non c'era nemmeno più la voce, di Castiel, nemmeno più un alito di esistenza, soltanto un vuoto immenso e nero fatto di rabbia e nostalgia. Lo odiava, aveva bisogno di lui, non c’era più niente.
Rimase in uno stato penoso per quasi tutto il resto della giornata. Non uscì nemmeno dalla stanza e si sentiva così disperato che a un certo punto, preso dallo sconforto assoluto, cominciò a cercare recapiti di ciarlatani su internet in caccia di qualche magico curatore. Stava scrutando vacuo la pagina del fantastico “Amazing Grace”, l’ennesimo gruppo di ladri travestiti da santoni, quando il suo cellulare squillò.
Dean,” rispose meccanicamente.
Malckey,” annunciò la voce dall’altro capo. “Ho sentito il messaggio. Ehi, mi spiace per Bobby.”
Sì, anche a me,” rispose lui, cercando di non pensarci realmente.
Senti, a proposito di quello per cui hai chiamato… Potrei avere qualcosa per te. C’è questo tizio, si fa chiamare Emanuel. Uno che gira. Ho sentito dire un paio di mesi fa che cura gli ammalati e fa rinsavire i matti. Ovviamente la cosa mi puzzava alla grande. Avevo sentito che il modo migliore per contattarlo era tramite sua moglie Daphne, in Colorado. Così ci vado. Dico che sto diventando cieco. E’ vero, il mio occhio destro era fottuto. Lei mi dice di tornare a casa e che lui verrà. Quindi ci vado e preparo trappole di ogni genere, come da manuale.”
Avrei fatto lo stesso,” commentò Dean, ansioso di arrivare al punto.
Emanuel arriva, le passa tutte indenne. Non c’è niente di strano in quel tizio, tranne… Che lo fa davvero.”
Dean trattenne il fiato per un secondo.
Cosa intendi?”
Mi ha toccato e il mio occhio è guarito.”
Dean riprese a respirare veramente per la prima volta da giorni.
Emanuel. L’ultima speranza.


   
 
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