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Autore: Erestor    12/05/2012    0 recensioni
profumo di zucchero filato, mille voci intorno a lei, striscioni colorati, risate, grida di persone estasiate. Marianne era abituata a tutto questo ma era come se provasse quelle emozioni per la prima volta. Con passo lento varcò il tendone bianco e nero che conduceva all’interno del circo. Non aveva bisogno di comprare un biglietto, nessuno l’aveva mai fermata, nessuno aveva mai parlato con lei. In realtà, era come se lei non esistesse.
“Maman?”
Marianne per la seconda volta si ritrovò bloccata. Tremava visibilmente, forse era tutto uno scherzo? Si scostò leggermente dalla bambina allentando la presa sulle sue spalle e la guardò. I suoi occhi erano aperti, Celia la stava fissando. Eppure la ferita al collo c’era, la sua pelle era gelida, sicuramente era morta.
Genere: Dark, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Salve a tutti, questa è una seconda versione di "Sentenza", la one short che ho pubblicato per il concorso. Ho deciso di scriverla grazie ad alcuni commenti ricevuti per "Sentenza" che suggerivano di creare una storia più lunga e completa , così è nata "La vita che non ho vissuto". Alcune cose sono diverse dall'originale, sopratutto nel finale ma spero vi piaccia ugualmente. Buona lettura.



CRAC!

La ciotola cadde a terra distruggendosi in mille pezzi che ricaddero sul pavimento lucido producendo un leggero tintinnio. La bambina lasciò le sue gambe dondolare rigidamente mentre uno sguardo duro, quasi di sfida, si dipingeva sul suo volto. Aveva solo cinque anni ma questo non le impediva di ribellarsi a sua madre quando qualcosa non le piaceva.

“Guarda cosa hai combinato! Se non vuoi mangiare la zuppa che ti ho preparato allora non mangiare affatto!”

Le urlò contro sua madre rossa in viso. La povera donna non aveva un lavoro fisso, viveva di stenti. La pelle scarna, magra quasi ad intravedere le ossa, lo sguardo assente mentre sgridava sua figlia per l’ennesima volta.

“Non voglio vederti per il resto della giornata! Vai in camera tua e non uscire fin quando non sarò io a dirtelo”

Urlò ancora mentre la sua voce si affievoliva invece di aumentare. Non era vecchia, no, era solo stanca e debole. La sua vita era, come lei stessa ripeteva più volte, un “inferno”, un incubo continuo dal quale non sembrava potersi risvegliare. Cinque anni prima ricordava il sentimento di gioia che provò alla nascita di Celia , nata allo scattare della mezzanotte che dal primo novembre introduce al due novembre, il giorno della festa dei morti. Proprio per distaccare la nascita di sua figlia da una festa tanto triste, Marianne l’aveva chiamata Celia ovvero “Paradiso”. Eppure, contro tutte le sue speranze, da quando la bambina era nata il suo mondo era crollato. Non ricordava neanche cosa significava essere felice.
La bambina saltò giù dalla sedia e corse nella sua camera, lasciando che i piedi nudi si schiantassero contro il gelo del pavimento. Era inverno, la casa troppo grande per due persone era molto fredda. Marianne non aveva abbastanza denaro per poter comprare la legna per il camino quindi preferiva utilizzarlo solo nei giorni più freddi quando, le coperte non riuscivano a scaldarle.
La donna non si preoccupò di ripulire la zuppa da terra che lentamente si era diffusa formando una piccola pozzanghera. Iniziò a singhiozzare ed a sbattere i pugni contro la tavola. Era così debole da non provocare il minimo spostamento del piccolo mobile in legno.

“Maledizione Maledizione!”

Borbottò incoerentemente e poi crollò per la stanchezza. Non seppe neanche lei quando tempo restò lì a terra fin che l’orologio a pendolo della cucina non segnalò che l’ora era arrivata. Era esattamente mezzanotte. Marianne si alzò con non poca fatica e lentamente uscì dalla cucina dirigendosi verso la sua camera. Prima di poter entrare sentì dei piccoli passi dietro di lei.

“Vai lì? Vai a vedere il circo. Non mi porti mai con te, perché ?”

Domandò Celia guardando sua madre tristemente

“Non ti avevo detto di restare in camera tua?! E poi lo sai che questi non sono affari tuoi”

Celia abbassò il capo asciugandosi una lacrima randagia.

“ E’ solo che… è solo che anche io vorrei vedere la danzatrice del ventre, il domatore di tigri, le ragazze che saltano e fanno tante acrobazie”

Marianne si voltò verso sua figlia provando una grande malinconia. Raccontava sempre tutte le cose più belle che vedeva a “le Cirque des Rêves” ma non poteva portarla con sé, non le era consentito.

“Domani mattina ti racconterò tutto ciò che ho visto ma per il momento non puoi venire con me”

Si avvicinò alla bambina e le accarezzò dolcemente il capo.

“Ora vai”

“Buonanotte, Maman”

“Buonanotte Celia”

Marianne attese che la bambina entrasse in camera prima di varcare la soglia della propria. Strinse forte i pugni e chiuse gli occhi. Quando li riaprì davanti a lei vide la porta che poteva condurla al circo dei sogni. Era una piccola porta blu con tante incisioni dorate che si diramavano per tutta la sua lunghezza. Marienne molte volte aveva cercato di non oltrepassarla ma c’era qualcosa, qualcosa più forte della sua volontà, qualcosa che si insediava nella sua mente e che sempre, da cinque anni, la spingeva, la costringeva ad oltrepassare quella porta.
Profumo di zucchero filato, mille voci intorno a lei, striscioni colorati, risate, grida di persone estasiate. Marianne era abituata a tutto questo ma era come se provasse quelle emozioni per la prima volta. Con passo lento varcò il tendone bianco e nero che conduceva all’interno del circo. Non aveva bisogno di comprare un biglietto, nessuno l’aveva mai fermata, nessuno aveva mai parlato con lei. In realtà, era come se lei non esistesse.
Marianne si sedette al solito posto, non troppo lontano né troppo vicino. Sola guardava e riguardava i circensi esibirsi e non sapeva spiegarsene il motivo ma, li conosceva tutti anche se non vi aveva mai parlato. Animali di ogni tipo, magia, balli, giochi e poi un altro odore si mischiò a quelli dolci della festa. Un odore forte, grigio, pesante, bruciato, odore di morte.
La donna rimase sola al suo posto, vedeva il tendone del circo prendere fuoco davanti ai suoi occhi. Sentiva quel caldo torrido surriscaldarle la pelle. Avvertiva la puzza di carne bruciata diffondersi nelle sue narici. Le urla dei circensi in trappola le risuonavano nelle tempie. Chiuse gli occhi per allontanarsi da quell’incubo ma come ogni volta quando li riapriva li vidi lì. Tutti i circensi camminavano verso di lei lentamente. Prima belli e splendenti nei loro abiti scintillanti poi sempre più scuri e tetri. Vedeva la loro carne bruciare lentamente, insetti di ogni tipo fuoriuscire dalle loro ferite. I sorrisi si trasformarono in ghigni di dolore.
Marianne urlò come ogni notte, come ogni volta che assisteva a quel fantastico e poi macabro spettacolo. Nonostante tutto non riusciva a scappare, non poteva scappare. Era costretta a guardare fino all’ultimo, fin quando le luci non si spegnevano. In un certo senso era come se assistere a tutto quello fosse un suo dovere.

“Maman”

Marianne si svegliò di soprassalto. Era sudata, avvicinò il proprio braccio alle narici e poteva giurare di sentire ancora l’odore di bruciato sulla sua pelle. I capelli erano scompigliati, tremava come una foglia, la paura la attanagliava ancora. Succedeva sempre così, la notte prima entrava con le proprie gambe nella magica porta blu e poi si ritrovava smarrita nel proprio letto.

“Maman”

La donna si voltò al suono di quella dolce voce e guardò sua figlia ai piedi del letto. Diete una veloce occhiata all’unica finestra presente in camera e vide dei pallidi raggi di sole entrare e lottare con la tenebra per il predominio. Si posò una mano sulla fronte e sospirò cercando di riconquistare il controllo. Da cinque anni era quella la sua vita. Una continua lotta a cui non poteva sottrarsi. Sapeva cosa l’attendeva dietro la porta blu che ogni notte si materializzava nella sua camera eppure non riusciva a resistere. Sentiva come un dovere gravare sulle sue spalle, era come se nella sua mente mancasse qualche tassello, qualche pezzo della sua vita molto importante.

“Avevi detto che mi avresti raccontato tutto, tutto quello che hai visto al circo dei sogni”

Mormorò la bambina imbronciata.

“Hai ragione, vieni qui…”

Disse e battette piccoli colpi con la mano sul letto, proprio vicino a lei. In quei momenti riusciva persino a pensare che infondo sua figlia non fosse una maledizione, in quei momenti riusciva ad intravedere la bellezza e la luce che doveva essere il paradiso. Celia si sedette vicino a sua madre appoggiando la testolina sul petto della donna che la strinse a se.

“Hai visto le tigri?”

Marianne ridacchiò scuotendo il capo.

“Non essere frettolosa Celia, le storie bisogna sempre cominciarle partendo dall’inizio o si rovina tutto il divertimento”

Marianne iniziò così a raccontare a sua figlia tutto ciò che aveva visto al circo ma tralasciò la parte più oscura del viaggio. Le parlò dei circensi, delle loro gesta, degli animali. Le raccontò quello che le raccontava sempre, stesse azioni, stesse parole, stessa frenesia. Non cambiava mai nulla nella sua storia eppure Celia sembrava contenta di ascoltarla ogni volta.

“Maman, vorrei che parlassi anche di me con quel sorriso”

Disse Celia quando Marianne finì di parlare. La donna sorrise e la baciò sulla tempia.

“Celia io ti amo, anche se molte volte non te lo dimostro”

Disse sentendosi in colpa per come trattava sua figlia, sangue del suo sangue. Eppure non era capace di cambiare, quella bambina sembrava essere a tratti dolce, la figlia perfetta e altre volte era dispettosa, rumorosa ed indisponente. In questi casi Marianne non poteva controllarsi e sfogava su di lei tutto il suo dolore.

“ E’ quasi ora di pranzo, perché non vai in camera a giocare mentre io preparo qualcosa?”

Domandò alzandosi dal letto insieme alla bambina. Celia annuì senza rispondere e si diresse nella propria stanza. Marianne invece andò in cucina. Dalla nascita di Celia non aveva cucinato mai nulla di davvero buono, solo zuppe e cibi pronti. Non era felice e questo si ripercuoteva anche sulla piccola.

“Celia è pronto!”

Urlò Marianne dalla cucina. Nessuna risposta.

“Celia è pronto in tavola”

Ripetè nuovamente sistemando il piatto di zuppa al solito posto. Lei non mangiava, sgranocchiava qualcosa di tanto in tanto ma nulla di consistente. Non riusciva più a sentire il gusto del cibo.

“Celia non farmi venire lì”

Sbattè con forza lo strofinaccio sul tavolo e si diresse con grandi falcate verso la camera della bambina. Poggiò la mano sulla maniglia della porta e si bloccò. Una strana sensazione la invase, freddo, gelo, paura. Lentamente fece pressione sulla maniglia e la porta si aprì di qualche millimetro lasciando intravedere il buio della stanza. Sembrava come se non vi fosse nessuno dentro, le luci erano spente e le finestre sbarrate visto che nessuna luce illuminava la camera.

“Celia?”

Sussurrò ed aprì maggiormente la porta mentre il cuore le batteva furiosamente in petto. Ancora, nessuna risposta. Marianne entrò definitivamente nella camera e allungò la mano per accendere la luce. Si maledì subito dopo per il suo gesto.

“Celia!”

Urlò mentre sul suo volto si dipingeva uno sguardo d’orrore. La gonnellina come il resto del vestito della bambina erano macchiati di sangue, la testa della piccola pendeva su di un lato, i riccioli scuri ricadevano mollemente attorno al suo viso. Era seduta contro il muro, un rivolo di sangue colava dalla sua bocca semiaperta.

“Celia…. Perché?”

Chiese in stato di trance la donna mentre si avvicinava al cadavere di Celia. Lo sguardo fisso sui suoi occhi chiusi si spostò sulla profonda ferita al collo inferta dal coltello ancora stretto fra le mani della piccola. Come poteva una bambina di cinque anni compiere un gesto simile? Marianne era sconvolta. Si gettò a terra stringendo il corpo gelido della piccola a sé mentre fiumi di lacrime scendevano dai suoi occhi chiari.

“Maman?”

Marianne per la seconda volta si ritrovò bloccata. Tremava visibilmente, forse era tutto uno scherzo? Si scostò leggermente dalla bambina allentando la presa sulle sue spalle e la guardò. I suoi occhi erano aperti, Celia la stava fissando. Eppure la ferita al collo c’era, la sua pelle era gelida, sicuramente era morta.

“Celia? Sei viva”

La bambina scosse il capo facendo scorrere nuovamente il sangue dalla ferita ancora fresca. Puntò il dito contro la scrivania della propria camera e Marianne tremante si alzò per capire cosa Celia volesse dirle. Avvicinatasi alla scrivania vi trovò una lettera scritta da quella che riconosceva come la calligrafia di sua figlia. Prese il fogliettino e lo lesse. Ogni parola era come una pugnalata per lei, era una lettera di suicidio. Conati di vomito salirono alla sua gola e la donna dovette fuggire dalla camera e correre al bagno nel quale rovesciò quel poco di consistenza che aveva nello stomaco.

“Maman?”

Sentiva Celia chiamarla dalla cameretta. Marianne piangeva e tremava, sua figlia era morta eppure parlava ancora. Tenendosi al muro si rialzò e per la prima volta in cinque anni pensò a suo marito. Prospero l’incantatore, un mago ma non uno di quelli che si dilettano in stupidi giochi di prestigio. No, suo marito era un vero mago capace di vere magie e sapeva che sua figlia aveva ereditato la stessa caratteristica. Molte volte quando Celia si arrabbiava riusciva a distruggere ciò che le stava intorno senza neanche posarvi lo sguardo sopra.
Marianne pensò che forse era proprio questa sua forza magica a farla restare in vita ma sua figlia era piccola, debole non poteva continuare ad esistere in quel mondo da sola. Marianne prese così la sua decisione. Velocemente tornò dalla bambina e con tutta la dolcezza di cui era ancora capace le ripulì la ferita, la vestì con abiti puliti, le annodò una sciarpa blu intorno al collo e afferrò la lettera scrivendo poche righe aggiuntive e la infilò sul secondo bottone del piccolo cappotto nero.

“Dove andiamo Maman?”

“Al circo Celia, così potrai vedere quello che volevi ma la mamma non verrà con te. Non preoccuparti ci sarà un uomo buono che si prenderà cura di te”


Celia guardò sua madre ed allungò la piccola manina bianca verso di lei. Marianne la strinse piano ed uscirono di casa. Non ricordava perché aveva litigato con suo marito né il perché da quando la bambina era nata lui non l’avesse mai cercata. Prospero o meglio Hector Bowen lavorava in una compagnia circense ma non aveva idea di dove si trovasse. Sapendo di non poterla portare da lui di persona si diresse all’ufficio di un avvocato che lavorava anche per pochi soldi.
Arrivate l’avvocato le introdusse nel suo piccolo studio e Marianne sapendo di non aver tempo da perdere gli spiegò velocemente il suo compito. Nessuna causa legale, lui doveva solo rintracciare suo marito ed affidarle la bambina. Marianne gli consegnò i suoi ultimi averi e gli promise il suo bracciale d’oro al termine dell’incarico. Era il suo unico gioiello che Prospero stesso le aveva donato. La donna si avvicinò a sua figlia e la strinse a se per l’ultima volta.

“Celia ora dovrai andare con il Signore, ti porterà da tuo padre. Forse non ci rivedremo più o forse il destino ci farà rincontrare. L’importante è che tu sia forte”

Celia annuì a sua madre, voleva piangere perché anche se era morta provava un dolore acuto dentro di lei eppure le lacrime non lasciarono i suoi occhi. Aveva sempre provato un duplice sentimento nei suoi confronti, amore ed odio e neanche lei sapeva quale dei due prevalesse.

“Ci rivedremo di sicuro Maman”

Disse e la donna le diede un bacio sul capo lasciandola nelle mani dell’avvocato. Marianne tornò a casa stremata. Ora non aveva più una bambina capricciosa a cui badare eppure le mancava la sua voce dispettosa che chiedeva sempre qualcosa di più, qualcosa di troppo che lei non poteva darle. Trascorsero due giorni e l’avvocato le comunicò di aver consegnato la bambina al direttore del circo nel quale Hector Bowen lavorava. Marianne come stabilito gli consegnò il suo bracciale.
Si sentiva solleva sapendo la bambina alle cure di suo marito e sperava che lui riuscisse a tenerla in vita e che le permettesse di rivederla. Trascorse la giornata seduto sul proprio letto finchè non arrivò la mezzanotte. Il suono dell’orologio in cucina le sembrava più sinistro delle altre volte. Non aveva alcuna voglia di rientrare in quel mondo e stranamente le sue gambe non la portarono verso la magica porta blu ma la costrinsero a stendersi sul letto. Marianne avvertì il cigolio della porta che si apriva anche se lei non vi era materialmente entrata e poi tutto divenne scuro.
Riaprì gli occhi e si ritrovò all’interno del circo. Ancora ed ancora le stesse grida, gli stessi gesti. Marianne entrò nel tendone come aveva fatto tante altre volte. Si sedette al solito posto e lo spettacolo incominciò. Gli stessi circensi si esibirono ma notò poi una nuova figura muoversi insieme alle altre. Piccola, gracile, vestita di rosso e di nero si muoveva insieme alle altre ragazze del circo. Marianne sgranò gli occhi.

“Celia”

Sussurrò in trance. Sorrise nel rivedere sua figlia lì che si divertiva. Non si domandò il perché fosse lì, da cinque anni aveva smesso di porsi certe domande. Marianne rise, rise come non faceva da tempo. Era pura gioia quella che risuonava nella sua voce. Eppure, all’improvviso tutto cambiò. Avvertì nuovamente l’odore di bruciato nell’aria ed istantaneamente guardò sua figlia. Marianne era spaventata, tutti i circensi prendevano fuoco ma non Celia. La bambina semplicemente guardò per la prima volta sua madre e si diresse verso il bordo del circo che delimitava la zona in cui essi si esibivano.
Celia afferrò qualcosa di luccicante e lungo e tornò al centro dell’arena fissando nuovamente i suoi occhi in quelli della madre. Marianne sembrava non notare i circensi che morivano intorno a lei, sembrava non ascoltare le loro grida. Tutto quello che udì fù:

“Maman, vorrei che parlassi anche di me con quel sorriso”

E allora Marianne capì. Urlò di dolore nel vedere Celia tagliarsi di netto la gola e cadere a terra mentre il sangue sporcava i suoi abiti ed il terreno al di sotto di lei. Marianne provò ad andarle in contro, si ritrovò a correre ma d’improvviso Celia non c’era più. Si ritrovò nuovamente all’esterno del circo con tutte le persone che ridevano e si divertivano aspettandone l’apertura.

“No no Celia!”

Gridò Marianne mentre una forza più grande di lei la spinse ad entrare nuovamente nel circo. Era ricominciato tutto da capo, le stessi luci si riflettavano sul publico, Celia si esibiva con i circensi e poi ancora ed ancora morte e dolore. Celia moriva ogni volta davanti ai suoi occhi e lei non poteva fare nulla. Era tutto diverso, non si risvegliava nel suo letto spaventata e sudata. No, semplicemente quel giorno si ripeteva all’infinito.
E poi Marianne si svegliò. Affannata si guardò intorno riconoscendo la propria camera eppure le sembrava di non vederla da tanto, tanto tempo. Tremante si guardò intorno finchè notò una lettera vicino a lei. Non vi era l’indirizzo su di essa eppure era arrivata a destinazione. Marianne l’aprì e vi lesse poche righe scritte frettolosamente da Prospero l’Incantatore.

“Hai pagato per i tuoi sbagli ora è tempo per te di uscire di scena”

Marianne non capì cosa significassero quelle parole. Si sentiva stanca, nella sua testa si ripetevano ancora ed ancora le immagini del circo dei sogni che prima splendeva in tutta la sua maestosità e poi cadeva a pezzi. Rivide sua figlia sorridere e giocare e poi morire.

“Maman?”

Marianne alzò il capo dalla lettere e vide difronte a lei una bella ragazza con lunghi capelli ricci ed occhi chiari. La guardò cercando di capire chi fosse, le sembrava tremendamente familiare. Notò poi la cicatrice rossa sulla sua gola e sussultò.

“Celia?”

La sua voce risultò rauca e spenta come se non avesse parlato da anni. La giovane scosse il capo.

“Lui dice che avresti dovuto chiamarmi Miranda visto che il primo novembre, giorno in cui sono nata, se ne festeggia l’onomastico. Non è così Maman?”

Marianne scosse il capo cercando di ricordare quel tassello che sapeva mancare dai suoi ricordi.

“No no Celia, tu sei nata il due novembre, nel giorno dei morti. Non ricordi bambina mia?”

“Forse ricordi male Maman. Sono nata il primo novembre, giorno nel quale tu compisti il più grande sbaglio della tua misera vita. Il giorno della morte”

Marianne si scosse violentemente. Sentiva freddo ed era come se le parole di Celia avessero mosso qualcosa dentro di lei. Ancora rivedeva le immagini del circo e sentiva delle urla. Forti urla che riconobbe come le proprie. Si vide lì, sdraiata su un letto di fortuna ricavato in una piccola tenda bianca e nera. Urlava ed urlava ancora mentre un uomo, un uomo che riconosceva come suo marito la incitava a fare di più. E poi lo sentì, il pianto di una nuova vita che viene alla luce. Ricordava quel suono e ricordava anche il dolore che provò nel vedersi strappare via la bambina dalle braccia.

“La porterò nella roulotte Marianne, non può restare qui”

Disse l’uomo mentre usciva dalla tenda lasciandola alle cure di una Signora che aveva assistito al parto. Marianne provò nuovamente quel forte dolore, la stessa disperazione. Fu rimasta sola ed il suo unico pensiero era la sua bambina. Così quando venne la sera, stanca ma volenterosa si alzò dal giaciglio ed uscì dalla tenda. Sentiva grida di stupore e gioia e capì che vi era un’esibizione in corso al Circo dei Sogni. Guardò l’enorme tendone e vi si avvicinò per cercare un appiglio essendo troppo debole per reggersi da sola. D’un tratto inciampò ed il suo peso fece cadere un piccolo piedistallo che si trovava all’ingresso del circo sul quale una candela bruciava per indicarne a tutti l’ingresso.
Immediatamente il tessuto prese fuoco ma Marianne non lanciò l’allarme per salvare tutte quelle persone, restò lì a guardare come tutti cercavano di scappare dal tendone fin che questo non si attorcigliò su se stesso inghiottendo e uccidendo i circensi ancora al suo interno. Marianne corse nella roulotte dove suo marito aveva portato sua figlia. La prese fra le braccia e scappò via allontanandosi da quell’inferno. Si bloccò in mezzo ad un grande piazzale quando sentì il suono di un enorme orologio indicare la mezzanotte.

“Benvenuta al mondo Celia”

Si sentì dire alla piccola che stringeva i suoi capelli fra le piccole mani paffute. Marianne tornò alla realtà con una violenta scossa. Guardò la giovane di fronte a se e pianse, pianse sfogando tutta la sua rabbia ed il suo dolore. Celia non si mosse ma rimase a guardare sua madre. Marianne si guardò le mani trovandole rugose ed ingiallite. Per la prima volta si rese conto della sua fisionomia. Si sentiva vecchia e stanca. Cercò di alzarsi ma i suoi arti non glielo permisero. Sollevò la coperta e vide il suo corpo. Era vecchia, le sue gambe erano piene di rughe e le vene si potevano vedere ergersi al di sopra della pelle. Guardò sua figlia senza capire.

“Hai pagato per i tuoi sbagli ora è tempo per te di uscire di scena”

Le disse la ragazza e Marianne capì di essere stata rinchiusa in quel mondo di gioia e dolore per molti, molti anni.

“Adesso sono pronta”

Le disse Celia avvicinandosi lentamente alla donna che la guardava spaurita.

“No no Celia non farlo!”

Gridò. Non sapeva perché ma provava una grande paura, lo sguardo negli occhi di sua figlia era gelido e soffriva nel pensare che suo marito l’avesse rinchiusa in quel mondo per farle pagare le sue colpe e che poi avesse mandato lì, come sicario, proprio la sua bambina. La bambina che aveva odiato, amato e che aveva spinto al suicidio. Alzò lo sguardo e vide la ragazza vicinissimo a lei.

“Celia?”

Mormorò tremante.

“E’ ora di abbassare il sipario, Maman”

D’un tratto tutto divenne definitivamente buio per Marianne.
  
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