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Autore: fiorediloto87    03/12/2006    7 recensioni
Cos'è accaduto cinque anni fa? In questa piccola fic cerco di dare la mia versione dei fatti del periodo immediatamente post-infarto. Nota: Il prologo prende le mosse dalla scena conclusiva dell'episodio 2x11 "E' meglio sapere", ma continua deviando dal canon. Nota ulteriore: Non è una traduzione, anche se il titolo è in inglese.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash, Yaoi | Personaggi: Altri, Greg House, James Wilson, Lisa Cuddy
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Hit the Cripple
Prologo


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[0] Aim

 

 

Quando James Wilson sbucò fuori dalla porta che conduceva al tetto, una folata di vento notturno gli investì la faccia al di sopra della sciarpa slacciata e del cappotto invernale, avvisandolo che se il suo umore non era proprio roseo, quello degli elementi si stava seriamente incazzando. Se non fosse stato così irritato, e se non fosse stato così irritato con House, avrebbe forse iniziato la discussione con qualche quieto apprezzamento sul tempo, che prometteva pioggia, e sulla pioggia, che in linea di massima non gli dispiaceva. Invece, siccome era così irritato, e con House per giunta, sbucò fuori dalla porta con cinque piani di scale nei polmoni e neanche un’oncia della sua proverbiale diplomazia.

«Che cosa le hai detto?»

«Che starà meglio senza di me.»

«Oh. Probabilmente è vero» replicò, tentando un sarcasmo che un po’ per il fiatone e un po’ perché il sarcasmo era specialità di House gli riuscì alquanto sfiatato.

Dalla sua posizione sopra la balaustra del tetto, House non gli rivolse uno sguardo. Brutto segno. Era il gesto che riservava a due stati d’animo, entrambi meno rari di quanto ci si potesse aspettare: la sofferenza e il senso di colpa. Quale dei due, stavolta?

Stappò la bottiglietta di Vicodin, mandando giù le due pillole di rito.

Probabilmente entrambi.

«Sei un idiota» gli disse, alzando la voce più di quanto avrebbe voluto. «Tu non pensi che starebbe meglio senza di te.»

«Giusto. L’ho mandata via per capriccio» replicò House, monocorde.

«Tu non hai idea del perché l’hai mandata via.» E neppure io, aggiunse mentalmente.

House lasciò scivolare prima una gamba, poi l’altra, giù dal muretto, mettendosi lentamente in piedi. Continuò a non guardarlo. «Non cominciare» ribatté, con voce atona, anche se Wilson avrebbe potuto giurare d’aver sentito una nota di supplica insinuarsi tra le pieghe aspre della sua voce.

«Per te non è stato un grande sacrificio!» scattò, annaspando alla ricerca di una giustificazione, una qualsiasi, che ricomponesse quella storia nella sua testa. Che gli togliesse quella nebbia dagli occhi ogni volta che cercava di farvi luce. Impresa vana, comunque. «L’hai mandata via perché tu hai bisogno di essere infelice.»

Aveva dato notizie peggiori con più tatto.

La risposta lo investì con più violenza di quanta se ne aspettasse. «Questa psicologia da quattro soldi la rifili ai tuoi pazienti per farli stare meglio? O serve a te? Ti piace la gente che soffre? Ti piace quando ammette che sta soffrendo?»

«Tu non ti piaci» rispose, senza davvero rispondere, solo seguendo quel bislacco filo logico che aveva appena stabilito e in cui non sapeva più se credere. «Ma ti ammiri. È tutto ciò che hai, e ti ci aggrappi. Hai paura che se cambi perderai quello che ti rende speciale.» Fece una pausa, guardando la sua gamba. Avrebbe potuto dire lui in due parole cosa lo rendeva speciale, ed era tutto meno che il dolore. Concluse, svariati toni di voce più giù: «Essere infelice non ti rende migliore degli altri, House. Ti rende solo infelice.»

Non si fermò ad aspettare una risposta che non sarebbe arrivata, e gli passò accanto diretto alla porta. Un tuono gli rimbombò nelle orecchie nell’istante in cui House gli stringeva il braccio.

«E il resto?»

«Quale resto?» replicò, con un sospiro.

«Quello che non hai menzionato perché pensare che potrebbe essere il motivo ti ucciderebbe di sensi di colpa.»

«Non…» Wilson aprì la bocca e la richiuse, come un pesce, senza riuscire a pronunciare una parola. «Non puoi averlo fatto» mormorò. «Non dirmelo.»

«Ti manderò un fax» sospirò House, massaggiandosi la coscia lesa.

«Ma… ma perché? Che senso ha?» Alzò le mani come per mettergliele al collo, o sulle spalle, ma si afflosciarono sconfitte lungo i fianchi. «Perché?»

«Perché ti amo» rispose House, rudemente. «E ora vattene» aggiunse, voltandosi verso la balaustra.

  
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