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Autore: Aya Lawliet ___backupFGI    13/05/2012    2 recensioni
«Ti avevo detto che l’avrei tenuto... che me ne sarei presa cura... finché non fossi stata più forte.»
«Ma puoi tenerlo...»
«No. Sono abbastanza forte per dirti addio.»

{Subaru/Kuniko ♥}
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Subaru Sumeragi
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Ferite ~

prompt: #083, pillar of strength

 

 

 

Gli avevano indicato una stanza e si erano offerti di accompagnarlo, ma lui aveva declinato l’offerta con gentile fermezza.

Ora che bussava a un’anonima porta di legno scuro, solo, con un mazzo di rose bianche e un sorriso triste, constatava quanto tutto all’apparenza fosse simile a quella prima – e ultima – volta.

«Chi è?»

La sua voce era tranquilla, priva d’inflessioni. Il ragazzo chiuse gli occhi e si chiese quante lacrime avesse versato tra quelle quattro mura, lontano dallo sguardo del mondo e incapace di sfuggire al proprio.

«Sono io, Hashimoto-san. Ti ricordi di me?»

 

Subaru.

 

Un breve silenzio. Quanto doveva farle male, quanto faceva male a lui.

«Mi hanno detto che il tuo... che non sei ancora guarita. Non temere, non ho intenzione di entrare. Sono solo passato a salutarti. Sto... Sto per partire.»

Hashimoto non parlava, forse non respirava neanche. Il silenzio, oltre quella porta, era assoluto.

«Ti ho portato dei fiori...»

«Dove vai?»

Il bisbiglio lo colse di sorpresa, lacerando l’aria immobile con una nota vibrante di quelli che sembravano fantasmi di lacrime.

Gli occhi ancora chiusi, chinò il capo fino a sfiorare la porta con la fronte.

«Non lo so. Lontano. C’è qualcosa che devo fare.»

Qualcuno che devo trovare.

 

Mi dispiace, Subaru.

 

«Ho capito.»

Hashimoto tacque, ma ora c’erano dei rumori lievi, appena percettibili, a suggerirgli che si era alzata, che si avvicinava piano alla porta.

Subaru continuò a sorridere tristemente. Non voleva farla soffrire ancora, di nuovo, eppure aveva tanta voglia di rivederla. Già, sembrava tutto come allora – una porta chiusa a dividere il suo dispiacere dal dolore di lei – solo che, stavolta, Hashimoto non era l’unica a sanguinare.

Che le ferite fossero inferte a un occhio o a un cuore, il dolore era lo stesso.

«Non vuoi indietro il tuo fazzoletto?»

Aprì gli occhi. La voce suonava così vicina, ora, come se lei fosse venuta a posare le mani là dove, se la porta fosse stata aperta, avrebbe trovato le sue.

«Ti avevo detto che l’avrei tenuto... che me ne sarei presa cura... finché non fossi stata più forte.»

«Ma puoi tenerlo...»

«No. Sono abbastanza forte per dirti addio.»

 

Me l’hai insegnato tu, Subaru.

 

«Ora aprirò questa porta e verrò da te. Soltanto...»

Subaru attese. Passarono secondi pieni di ricordi, di immagini, di improvvise consapevolezze: la voce di Hashimoto era ancora bassa e quieta, ma il tremore di poco prima aveva dato vita a più sentimenti di quanto le parole non sarebbero mai state in grado di fare.

«Soltanto, non mi guardare.»

 

Soltanto, non guardarmi piangere, Subaru.

 

Annuì, anche se lei non poteva vederlo.

Voltò le spalle alla porta.

Fu un soffio di vento proveniente da una qualche finestra aperta a portargli la sensazione della vicinanza della ragazza, così piccola, così fragile, così meravigliosamente forte. Perché lo era. Subaru sapeva leggere nel cuore delle persone – tranne che nel proprio; vero, Hokuto-chan? – e il cuore di Hashimoto era tra quelli che, al primo lieve tocco, l’avevano lasciato senza parole, piacevolmente turbato.

Non la sentì camminare e non la sentì muoversi, ma si sentì circondato del suo timido abbraccio. E qualcosa, in quel vuoto con cui si era ritrovato a convivere, in quella sofferenza che ora li rendeva più vicini che mai, si addolcì.

La mano di Hashimoto si posò tra i petali bianchi. Stringeva tra le dita un fazzoletto immacolato.

 

Grazie, Subaru.

 

Per un tempo infinito Subaru restò immobile, concentrato sul viso che lei gli premeva nella schiena, struggendosi dal bisogno di voltarsi e baciarle quella cicatrice e dirle che era bellissima e che questo non sarebbe cambiato mai – non osando farlo. Perché tanta forza andava rispettata, era impensabile l’idea di rovinare tutto con parole che non servivano più.

«Tornerai, un giorno?»

«Non lo so.»

«Posso aspettarti?»

 

Mi mancherai, Subaru.

 

Gli avevano indicato una stanza e si erano offerti di accompagnarlo, ma nessuno avrebbe mai potuto prepararlo a questo.

Non gli chiedeva niente. Non voleva sapere niente. E in quel momento, in quell’abbraccio, era lui a sentirsi inerme.

Ma lei lo teneva stretto. Non era solo.

Grazie a te, Kuniko.

 

 

[ 675 parole ]

 

 

 

 

 

 

Nota: Il quarto volume di Tokyo Babylon è stato il primo a farmi piangere. E la storia di Kuniko Hashimoto, che sul momento non mi era parsa una delle più dolorose, a freddo – dopo la lettura – è stata tra quelle che mi hanno fatto pensare di più. Così ho immaginato che alla fine, prima di partire alla ricerca di Seishiro, Subaru sia andato a salutarla, e lei abbia avuto la forza di restituirgli quel fazzoletto.

È solo una sciocchezza, ma, ecco, dovevo scriverla.

   
 
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