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Autore: fiorediloto87    04/12/2006    10 recensioni
Crossover House/LOTR. Il biondo elfo Jagolas si è innamorato e si comporta in modo molto strano. Ma chi sarà l'altra metà della sua mela?
Genere: Demenziale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Un po' tutti
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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Gregandalf e i tre hobbit
 

 

Serie: House MD
Rating: PG-13
 

 

***

Non c’era motivo, in natura, per cui quel radioso mattino nella Terra di Mezzo non dovesse iniziare come tutte le mattine da migliaia d’anni a quella parte, cioè col dolce cinguettio degli uccellini, lo zampettare lieve degli animaletti del sottobosco, lo stormire delle fronde smosse dal vento, il battere ritmico e distante di un picchio contro il tronco.

«… mhm… a-ah!... oh sì! Sì! Sì!»

Be’, magari qualcosa di simile al picchio c’era.

In un primo momento gli hobbit Frodeman e Pipino, svegliati nel bel mezzo di dolci sogni pieni di stufato di coniglio e pan di spagna con crema gialla, sobbalzarono e si guardarono in faccia come ad accusarsi reciprocamente dell’urlo disumano appena sentito. In seconda istanza notarono che Camerry non era lì, ma non vi fecero molto caso. La graziosa hobbit era lontana, come ogni mattina, alle prese col suo piccolo, improvvisato ospedale per animaletti selvatici, e probabilmente in quel momento era tutta intenta a steccare le zampine dei poveri fortunati, controllare loro le tonsille, contare le pulsazioni, e fare grandi girotondi felici nel suo mondo d’amore e rispetto reciproco.

O magari se l’era mangiata un orso.

«Ma che diavolo era?» sbottò Frodeman, che oltre ad essere un hobbit notoriamente poco raccomandabile, nero, brutto e cattivo, aveva anche un eloquio non proprio forbito.

«Sembrava Jagolas» mormorò Pipino, scuotendo il lucente casco biondo – per nessun altro motivo apparente che spandere intorno il profumo di shampoo all’aroma di Pino Silvestre.

Frodeman si fece scuro (be’, un po’ più scuro). «Forse è nei guai. Dobbiamo andare ad aiutarlo.»

«Oh… non mi sembrava tanto nei guai…» osservò Pipino, pigramente.

«Hai mai sentito una persona che non fosse nei guai gridare a quel modo?»

«Be’…» Pipino chiuse gli occhi, lasciandosi andare ai ricordi di un tempo felice, un tempo in cui, su alla Contea, tutti lo amavano e lui era l’hobbit più carino e ricercato del paese. A quel tempo Frodeman non gli sembrava tanto un rivale, e Gregandalf si intratteneva sempre con lui in significative conversazioni sul tempo che avrebbe fatto l’indomani. (A differenza dei maligni come Frodeman, lui non aveva avuto sentore del suo callo miracoloso. Lo cercava per amore della sua compagnia, lui.)

«Pipino? Stai sbavando» lo avvisò Frodeman, vagamente disgustato.

 

***

 

Verso mezzogiorno, tutto il bosco di Fangorn sapeva che l’elfo Jagolas – sì, proprio lui, quello coi lunghi e lisci capelli biondi, l’incarnato pallido, le orecchie a punta e gli occhioni profondi – si era innamorato. Si aggirava per le radure lasciandosi sfiorare i capelli dalle fronde, annusava il vento, lasciava che i pargoli venissero a lui e leccava le rane. Fin qui niente di strano, insomma, niente di strano per un elfo. Piuttosto la cosa strana – al di là dello sguardo perso e svagato e delle ciocche che continuava ad arricciarsi intorno al dito – erano i suoi discorsi. Aveva iniziato a rivangare certe sue ballate elfiche d’infanzia e pareva che ne avesse una per ogni argomento. E quando non parlava canticchiava tra sé, intrecciando giacinti e fiordalisi in ghirlande grandi e piccole che metteva al collo o ai polsi.

Verso mezzogiorno sembrava uno di quei manichini infiorati cui davano fuoco la notte del solstizio d’estate, e puzzava peggio di una profumeria dopo un terremoto.

«Jagolas? Ti senti bene?» gli chiese Frodeman, corrugando la fronte.

«Mai stato meglio» cinguettò l’elfo, rimescolando l’acqua nel pentolone con un cucchiaio di legno. Indossava il suo grembiule preferito, quello con la scritta cuoco è bello ma cuoco elfo è meglio.

«Sembri… strano.»

«Tu credi che sia giusto in questo mondo pensare e comportarsi come te» rispose Jagolas, distrattamente.

«Err… sì. E allora?»

«Niente» disse l’elfo, scrollando le spalle. (La fine dialettica delle ballate elfiche aveva sempre qualche intoppo nelle argomentazioni, per cui Jagolas tendeva a troncare le conversazioni con frasi ad effetto, tipo…) «Ma solo se difenderai la vita scoprirai le tante cose che non sai.»

Frodeman fece per scollare la lingua dal palato e replicare, ma un alternarsi sgraziato di passi li avvisò che il potente stregone Gregandalf stava portando la sua augusta persona vicino a loro. Il mago si lasciò cadere con un tonfo sul masso più vicino e stese la gamba malata, la destra, per darle riposo. Quindi trasse fuori da sotto il mantello una fiaschetta marrone e se la portò alle labbra, ingollando tre violenti sorsi prima di richiuderla.

Era chiaramente una pozione magica che serviva ad alleviare il dolore della sua ferita. Nessuno aveva più sollevato dubbi da quando Pipino gli aveva detto: «È chiaramente una pozione magica che serve ad alleviare il dolore della tua ferita», e Gregandalf aveva risposto: «No, è whisky, ne vuoi un po’?»

E benché persistesse ancora qualche perplessità (perlopiù legata al fatto che quando ne beveva troppa Gregandalf zoppicava sì più agevolmente, ma dalla gamba sana, e iniziava a cantare e a fare avances alle scoiattoline), i più credevano ciecamente nella tesi della pozione magica.

«Be’, che si mangia oggi?»

«Ragù e sufflè, torte e caramel flambé, preparati e serviti con un grande cabaret!» rispose Jagolas, rimescolando con vigore.

Frodeman rimase un istante a bocca aperta. «Davvero?»

«No.»

«Da qui sembrano i capelli del biondo» osservò Gregandalf, indifferente.

«Hai cucinato Pipino?» replicò Frodeman, orripilato, studiando il pentolone come a giudicare se l’hobbit potesse o meno entrarci intero. A occhio e croce stimò di sì, e un brivido gelido gli attraversò la schiena.

«Tranquillo, Frodeman, voi neri siete indigesti» lo rassicurò Gregandalf, giocherellando col bastone.

«È minestrone» spiegò Jagolas.

Frodeman tirò un sospiro di sollievo. «E allora dov’è Pipino?»

«Che c’è, il bimbo s’è perso?» ribatté Gregandalf, inarcando un sopracciglio. «Sarà andato a cogliere margherite o a giocare ad acchiapparella da solo. Anzi, perché non lo vai a cercare? Su, su.» Gli diede un colpetto col bastone sulla gamba.

«Ma… il pranzo…»

«Ti chiameremo quando sarà pronto, ora mamma e papà devono decidere se sia il caso di castrarvi tutti e mettervi all’ingrasso come maiali. Aria!»

Frodeman se ne andò, rimuginando sul senso profondo delle parole del mago e decretando che “castrarvi” stava per “proteggervi”, “mettervi all’ingrasso” per “salvaguardare la vostra salute” e “maiali” per “maiali”. Solo quando l’hobbit fu scomparso tra gli alberi Jagolas smise di rimestare nel suo pentolone e lanciò a Gregandalf un timido sguardo.

Lo stregone lo ricambiò, e parve che l’iride senza fondo dei suoi occhi si colorisse di nuove sfumature, nuovi riflessi, mai visti e profondissimi. Jagolas arrossì. «Te ne sei accorto, vero?» disse Gregandalf, con voce misurata.

L’elfo annuì. «È lo stesso per me» mormorò.

«Ma non mi dire. Anche tu lenti colorate?» ribatté lo stregone, specchiandosi nel tappo argenteo della fiaschetta.

 

***

 

Dopo pranzo Gregandalf tentò di scappare il più veloce possibile, ma per quanto detenesse il record mondiale di corsa col bastone non poté evitare il placcaggio di Camerry, appena tornata dal suo giro di visite porta a porta agli animali del bosco.

«Dobbiamo parlare» disse l’hobbit, seria per quanto potesse esserlo un esserino alto un metro e una noce.

«Ma tu non hai qualche oscuro signore del male da sconfiggere con la sola forza della tua bontà?» sbottò Gregandalf.

«Perché?» chiese Camerry, disperata, portandosi il dorso della mano sulla fronte. «Perché rifiuti di amarmi? Noi siamo fatti l’uno per l’altra! Io mi prenderei cura di te, ti preparerei da mangiare, ti farei i massaggi ai piedi, sarei la tua dolce e adorabile mogliettina servizievole! Che cosa c’è che non va in me?»

«Non mi piacciono le donne pelose» rispose Gregandalf.

Ma Camerry parve non averlo sentito, infatti continuò drammatica: «È la tua gamba, vero? È quella il problema.» Tirò un grosso respiro. «Lo so. Hai avuto un infarto e quello ti ha mandato in necrosi un muscolo della gamba, rendendoti zoppo a vita e lasciandoti dolori cronici che riesci a sopportare solo bevendo costantemente la tua pozione magica. Ma nessuna pozione può guarire quel terribile, straziante senso di inutilità che ti trascini dentro e che ti fa sentire così… così…»

«Artritico?»

Camerry si fermò, le mani alzate come in preghiera e lo sguardo volto all’orizzonte. «… artritico…? Be’, è una metafora un po’ azzardata, però ha una sua poesia, e in effetti se ci pensi c’è bla bla bla…»

Gregandalf se n’era già andato, zoppicando sullo strato soffice di muschio che ricopriva il sottobosco, quando Camerry si riscosse con un ennesimo: «… e quindi bla bla e ancora…» Sollevò gli occhi. «… bla?... Gregandalf? Dove sei?» Fece una smorfia di disappunto, voltandosi per essere sicura che la luce illuminasse con la dovuta grazia le sue adorabili fossette. Poi sbiancò. «Artritico? Oh per la polenta!» E corse via disperata per circa due metri e mezzo, quando si fermò di nuovo piantando i pugni sui fianchi. «Ma non è neanche lontanamente così drammatico come l’infarto alla gamba e la necrosi e bla bla bla!»

«Ma è vero» mormorò Jagolas, venendo fuori dalle fronde dove evidentemente era rimasto nascosto fino a quel momento. «È una storia sai, vera più che mai» aggiunse, annuendo a se stesso.

«E tu come lo sai?» replicò Camerry, sospettosa, cui la fronte corrugata non toglieva un grammo della consueta bellezza. «Lo conosci da tanto quanto noi!»

«… uno dice un noi… tutto cambia già» sussurrò Jagolas, guardando pensosamente il tronco di un albero.

«Be’… comunque mi amerà, non può non amarmi. Noi siamo fatti l’uno per l’altra. Bla bla bla. Bla. Non pensi, Jagolas? L’ho anche sognato stanotte… mi stringeva tra le sue forti braccia e mi sussurrava dolci parole d’amore…»

«I sogni sono desideri di felicità» commentò l’elfo, saggiamente.

«… in una lingua così strana… sembrava… non so… ah, ma devo scoprirlo! Forse era un sogno premonitore e in quella frase c’è il segreto con cui conquisterò il suo amore!»

Jagolas le appoggiò una mano sulla spalla. «Quello che scoprirai è davvero importante.»

«E poi mi sembra che lui sia già cambiato, mi tratta più gentilmente, mi cede la prima porzione… Prima non era così cortese, tu non pensi, Jagolas?»

«Era sgarbato, un po’ volgare, ora no» ammise l’elfo, e poi aggiunse in un sospiro a se stesso: «È timido, piacevole… non mi ero accorto che ora è incantevole».

«Hai ragione, Jagolas. Ti ringrazio. Non so come avrei fatto senza i tuoi consigli.» Camerry fece per dargli un bacio sulla guancia, ma sollevarsi sulle punte non fu sufficiente, e l’elfo era troppo svagato per darle considerazione, per cui la hobbit scrollò le spalle e corse via.

«… quello che accade è una grande novità…» canticchiò Jagolas prima di riscuotersi, una mezz’oretta dopo. «... Camerry? Hai detto qualcosa?»

 

***

 

Quella notte, quando andarono a coricarsi ognuno nella sua tenda, nessuno vide né sentì il potente stregone Gregandalf sgattaiolare furtivamente fuori, zoppicare per l’accampamento, sbattere l’alluce contro un masso, imprecare in venti lingue diverse, vuotare la fiaschetta per dimenticare il dolore e quell’orribile orsetto di peluche regalatogli da Camerry, e infine intrufolarsi silenzioso come un gatto nella tenda di Jagolas.

L’elfo sobbalzò. Aveva organizzato la propria tenda in modo spartano: un solo letto a due piazze con un baldacchino in broccato rosso, un’area cucina con set di pentole in acciaio inox e lavastoviglie, un’area bagno con gabinetto, bidet, rubinetti d’oro e rimozione liquami gestita dagli scoiattoli del bosco.

«Hai gettato un incantesimo perché non ti sentissero?» domandò l’elfo, interessato.

«Semplicemente detto che stanotte sarebbe venuto l’uomo nero a prendersi gli hobbit cattivi.»

«E ti hanno creduto?»

«Sì, quando ho detto loro che avevo semplicemente sbagliato a impostare la lavatrice» rispose Gregandalf, indicando la propria tunica grigia, da cui giustamente gli veniva il nome di Gregandalf il Grigio.

Jagolas sorrise, ma Gregandalf continuò, stizzito: «Sennonché la signorina Piedi Pelosi ha detto che non vedeva l’ora! Ma che bisogno c’era d’incoraggiarla?» sbottò, lasciandosi cadere sul letto.

«Non l’ho incoraggiata!»

«Sì che l’hai fatto.»

«No.»

«Sì.»

«No!»

«Ce la giochiamo a freccette?»

Jagolas sollevò un sopracciglio. «Cosa ci giochiamo?»

«La tua virtù.»

Il secondo sopracciglio salì a far compagnia al primo.

«Sì, insomma, quel che ne resta.»

«E se vinco io?»

«Questo tenerissimo orsetto di peluche che se gli premi la pancia dice “mamma”.»

«E io dovrei giocarmi la mia virtù contro un tenero… morbido… sofficissimo… orsetto di peluche?» mormorò Jagolas, con una minima contrazione del labbro inferiore e gli occhioni sgranati.

«Esatto.»

«Ci sto.»

 

***

 

Il giorno seguente il nome dell’innamorato di Jagolas era ancora un mistero, ma Pipino aveva una sua teoria circa un Nazgul che aveva visto svolazzare da quelle parti. La teoria contemplava anche un lungo elenco di pratiche sadomaso che apriva squarci d’orrore nella vita del pacato elfo biondo. Per questo fu presto accantonata quando Jagolas si presentò a pranzo con un orsacchiotto di peluche agganciato alla cintura. (Pipino, forse per la delusione, sparì dalla circolazione.)

Camerry era fuori per il suo solito giro di visite, e Gregandalf non era ancora arrivato.

«Allora, Jagolas» disse Frodeman, cui la mancanza di sonno causava strani tic facciali. «A me puoi dirlo. Di chi ti sei innamorato?»

«Non sono innamorato.»

«Oh, certo. Avanti, è evidente. Ce ne siamo accorti tutti» lo incitò Frodeman, strizzando l’occhio.

«A-accorti? E da cosa?»

«Insomma… ti comporti in modo strano.»

Jagolas sgranò gli occhi castani. «È per le rane, vero? Avevo giurato di smettere!»

«Err… no, no, le rane non c’entrano. Avanti, non lo dirò a nessuno.»

«Non dirai cosa?» interloquì Gregandalf, scolandosi metà della fiaschetta in un solo sorso.

«Niente!» scattò l’elfo. «Proprio niente! Ah… Frodeman? Hai sentito mai pregare un lupo verso il blu?»

«No, perché?»

«Ce n’è uno proprio laggiù! Perché non vai a sentirlo?»

«Sei pazzo? I lupi se li mangiano gli hobbit!»

«Sciocchezze! Quello lì poi lo manda… eh… lo manda Lisagorn! Senti un po’ cos’ha da dirci, magari è importante! Vai, vai…»

«Lisagorn ha mandato un lupo messaggero?»

«Esatto! Vai, su, ti chiamiamo appena è pronto!»

Mentre Frodeman si allontanava, sempre più perplesso, e il lupo in lontananza già si leccava i baffi, e Camerry fasciava una zampina perfettamente sana a una puzzola incazzata, e Jagolas tirava un gran sospiro di sollievo, Gregandalf si avvicinò al pentolone e raccolse un po’ di brodo col mestolo, assaggiandolo.

«Io ci aggiungerei un altro po’ di sale.»

«Dici?»

«Sì, giusto un pizzico, per insaporire.» Rimise il mestolo nel pentolone. «L’ho sempre detto che questi hobbit non sanno di niente.»

«Magari con un po’ di peperoncino…»

Gregandalf scosse la testa, tirando fuori la fiaschetta. «Whisky?»

«Rana?»

 

 

 

 

- Fine -

 

 

 

Canzoni Disney (in ordine di apparizione):

 

I colori del vento – Pocahontas

Stia con noi – La bella e la bestia

La bella e la bestia – La bella e la bestia

I sogni son desideri – Cenerentola

Il mondo è mio – Aladdin

Quello che accade – La bella e la bestia

I colori del vento – Pocahontas

  
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