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Autore: Gemini_no_Aki    13/05/2012    2 recensioni
“Alles ist gut.”
I genitori, le madri soprattutto tendono sempre a dire così.
“Alles ist gut”
Anche quando sanno che non è vero.
È la classica bugia a cui i bambini tendono sempre a credere.
Una bugia innocente.
“Alles ist gut”
Ma solo una bugia che si affievolisce sempre di più fino a spegnersi.
Con uno sparo.
Genere: Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
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Alles ist gut



“Alles ist gut.”
I genitori, le madri soprattutto tendono sempre a dire così.
“Alles ist gut.”
Anche quando sanno che non è vero.
È la classica bugia a cui i bambini tendono sempre a credere.
Una bugia innocente.
“Alles ist gut.”
Ma solo una bugia che si affievolisce sempre di più fino a spegnersi.
Con uno sparo.

L’uomo aprì gli occhi di scatto, le mani stringevano il lenzuolo leggero, leggermente bagnato di sudore.
Si guardò intorno abituando gradualmente gli occhi al buio senza alzarsi da quel letto assurdamente grande, in una stanza ancora più grande di quanto non sembrasse quando la sera vi era entrato, in una casa che pareva più una scuola, sia per la grandezza sia per la funzione di scuola che ora aveva preso.
La luce della pallida luna entrava dalle finestre prive di tende, una stanza che si addiceva perfettamente a chi la occupava, vuota, semplice, senza decorazioni o particolari cose inutili.
Giusto il minimo indispensabile.
Quei ragazzini che avevano trovato si erano ambientati in fretta, sia nel posto sia tra loro, parlavano come se si conoscessero da sempre e, al tempo stesso, parlavano per conoscersi meglio.
Si comportavano tipicamente da ragazzi, studenti, facevano cose che alla loro età lui nemmeno aveva avuto il tempo di sognare.
A quel tempo l’unica cosa che occupava la sua mente era la sopravvivenza, non c’era spazio per altro, i sogni non ricordava più come fossero.

“Alles ist gut.”

E in fondo quello non era un sogno, non completamente.
Non vedeva immagini, o forse era il suo subconscio che le oscurava, sentiva quella voce, debole, stanca, decisa e dolce che continuava a dirgli che andava tutto bene.
Avrebbe voluto urlare che non era vero, che era una bugia, che i bugiardi non gli piacevano.
Avrebbe voluto urlare come avrebbe fatto un bambino, avrebbe voluto, preferito, comportarsi da bambino.
Tutto perché quei ragazzini stavano parlando delle loro famiglie, avrebbe voluto non aver sentito nulla.
Avrebbe voluto tante cose.
Per prima cosa uccidere Shaw, la rabbia era tanta, ma forse non ancora sufficiente.
O come aveva detto Charles non bastava.
Poi avrebbe desiderato cancellare ciò che gli ricordava costantemente il passato.
214782.
Era stato il suo nome per tanto, troppo tempo.
Era impresso sull’avambraccio, come una macchia nera che stonava sulla pelle.
Lo odiava eppure guardarlo gli serviva per aumentare l’odio verso quell’uomo.

“La rabbia non basta. Non è tutto.”

Ma aveva bisogno di essere arrabbiato.
O forse voleva che qualcuno gli ripetesse quella cantilena, stavolta con sincerità.
Aveva bisogno di tante cose, era un uomo adulto eppure non aveva nessun punto di riferimento, li aveva persi tutti, in un giorno solo.
Effettivamente si considerava, in quei momenti di solitudine, come un bambino in un corpo troppo cresciuto.
Non poteva, e per orgoglio non voleva, mostrarsi così debole davanti a nessuno, aveva subito abbastanza.
Se si mostrava debole lo faceva davanti a se stesso, senza lacrime.
Con un gesto attirò davanti a se la moneta che gli aveva distrutto la vita e iniziò a farla girare, ammirandola con disprezzo sotto ogni lato, in ogni modo.

“Alles ist gut.”

Quella voce di nuovo fece capolino nella sua mente, non lo lasciava mai solo e non poteva dire di esserne felice in quei momenti.
Se solo avesse mosso quella maledetta moneta!
La scagliò contro al muro rovinando la carta da parati che lo rivestiva.
La richiamò a se e la lasciò cadere sul comodino prima di distendersi e voltarsi su un lato, verso la finestra.
Una mano esitò sfiorando la maniglia della porta, ormai quella era la stanza di Erik, entrare senza permesso, nel cuore della notte non era educato.
E poteva anche essere frainteso.
Ti disturbo?
Il pensiero raggiunse la mente, ormai abituata a queste “invasioni”, di Erik.
Con uno sbuffo soffocato  rispose aprendo la porta al posto dell’altro che, a quanto pareva, era troppo imbarazzato anche solo per muoversi in casa propria.
Charles entrò silenziosamente guardando l’uomo che non molto tempo prima aveva salvato.
“Non era mia intenzione sentire i tuoi pensieri, mi sono giunti senza che me ne rendessi conto.”
Si giustificò chiudendo la porta prima che l’altro potesse fare domande sulla sua presenza li.
“Erano forti, sembrava quasi che volessero essere sentiti.”
La sua voce era gentile e comprensiva.
Sarebbe potuto essere un buon padre, magari in futuro lo sarà, pensò Erik, sperando che non sentisse anche questo.
Era paziente e sempre disposto ad aiutare tutti, forse si fidava troppo delle persone ma sapeva cambiarle.
E cambiare le loro vite.
“Ne vuoi parlare?”
“E cosa ci sarebbe da dire?”
Sbottò senza realmente volerlo e abbassando lo sguardo.
Charles esitò un attimo prima di voltarsi e aprire la porta, forse offeso.
Lui si preoccupava e la risposta era questa.
“No. Aspetta.”
Lo fermò l’uomo prendendo un respiro.
“Rimani.”
Lasciò perdere la porta e con un sorriso tornò verso di lui.
“È vuota la stanza. Sei sicuro che vada bene?”
Domandò, non veramente intenzionato a parlare di quei pensieri che aveva sentito.
Preferiva così, preferiva stargli vicino senza ricordargli nulla, solo stargli vicino.
Erik posò la mano sul numero tatuato, a coprirlo.
In quel momento, ora che Charles aveva sentito, se ne vergognava.
La mano, così morbida, del telepate si posò a sua volta sulla sua.
“Non è il tuo nome.”
Disse con dolcezza, rispondendo ai suoi pensieri, strinse di più la presa, avrebbe voluto cancellarlo strappandosi la pelle.
“Erik Lensherr.”
Continuò ancora il giovane professore.
Allentò la presa e si distese chiudendo gli occhi.
Ti dispiace...?
Pensò sapendo che l’avrebbe sentito.
Charles sorrise e gli posò una mano sulla spalla chinandosi su di lui.
Cercò di ricordare le parole che aveva sentito prima, quelle parole ripetute, in tedesco, ma temeva di sbagliarle, dire chissà cosa, magari di imbarazzante o peggio ancora offensivo.
Magari gli avrebbe chiesto di insegnargliele, perché sapeva che erano importanti, e Erik aveva bisogno di sentirle.

“Va tutto bene Erik.”
Sussurrò infine al suo orecchio prima di posare la testa sul cuscino, senza togliere la mano dalla spalla dell’uomo.

“Alles ist gut.”

La voce dolce della madre si sovrappose a quella di Charles.
Una vecchia bugia sovrapposta ad una promessa.
Forse i sogni non erano così male come pensava che fossero.

I raggi caldi del sole entrarono prepotenti dalle finestre, svegliandosi l’uomo si appuntò mentalmente che, magari, delle tende potevano fare al caso suo.
Stava per mettersi seduto, con un sorriso nuovo, dovuto a quella sensazione di protezione che gli aveva dato il sogno, che sentì un leggero peso attorno alla sua vita.
Voltandosi si ritrovò a guardare un paio di occhi chiari che lo guardavano a loro volta.
“Mi stavi fissando?”
Domandò dopo alcuni secondi di silenzio, nonostante il corpo non tradisse nessuna emozione la voce poteva risultare quasi imbarazzata.
“Ti servono delle tende. Non è un bel risveglio.”
Non sei tu che devi svegliarti così. Stava per rispondere ma avrebbe solo ottenuto il primo risultato di quella notte, rischiare di farlo andare via offeso.
Non lo meritava, non Charles.
Si voltò e lo circondò con le braccia in un impacciato abbraccio.
Dopo la sorpresa iniziale, poco meno di qualche secondo, il telepate sorrise senza cercare di sgusciare via come al contrario l’altro si immaginava.
“È la giornata delle cose nuove?”
Chiese con un sorriso, con tono divertito e dolce cercando di abbracciare a sua volta l’uomo.

Grazie.

Charles chiuse gli occhi sorridendo come faceva quando uno dei giovani mutanti riusciva a controllare i suoi poteri, un sorriso allegro, che si addiceva perfettamente al suo viso.
Appoggiò la testa contro di lui senza muoversi, senza pensare, assaporando quel momento come se fosse qualcosa che non sarebbe capitato mai più, e conoscendo Erik poteva anche essere.
Non era esattamente il tipo di persona che si lasciava andare a simili dimostrazioni d’affetto, piuttosto era chi, silenziosamente, cercava di ottenerle.
Era il tipo di persona che dietro la decisione, la rabbia e un carattere duro nascondeva dolore e malinconia, e il desiderio di nascondere ciò che era realmente ma che gli era stato strappato senza pietà dagli uomini.
Era quel tipo di persona a cui Charles sapeva voler bene senza conoscerlo completamente, che sentiva di dover tenere accanto per proteggerlo.
A cui sentiva di dover dire che andava tutto bene.





Angolo Autrice: Là Là Làààà~
Ho fin troppe cose da scrivere, il tempo non è mai abbastanza e l'ispirazione arriva a scatti, e spesso di notte mentre cerco di dormire, quanto è simpatica!
In ogni caso, seconda Cherik che scrivo, come al solito mi piace solo la parte finale, o meglio, le righe finali, son fatta così, spero che a voi piaccia di più questa mia versione...
Ah, la frase ricorrente, all'inizio, "Alles ist gut." è ciò che nel film ripete la madre di Erik, il significato è appunto "Va tutto bene".
Spero vi piaccia...

Bye Bye~
Aki





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