Una
fanfic semplice. Era una vita che volevo scriverne
una!
La
prima cosa che mi è saltata all’occhio, nella scena
del “Thank you”, è stata
che non ci sono stati flash back.
Poi,
il fatto che Sakura, nei momenti a seguire, non abbia mai immaginato un futuro
diverso. Forse perché troppo attratta da un più probabile
semi catatonico presente.
Non
lo so, è una cosa che mi sfugge. Fortunatamente le fanfiction
servono a quello, e pertanto eccomi qui.
Una delle mille idee che mi sono venute recentemente. Vorrei avere otto
mani, sisi.
Preciso
che non ho mai fatto una song fic
in tutta la mia vita. È che ormai YouTube regola la
mia vita. Che cosa drammatica, u.u
Ci
ho messo più di un mese per scriverla e poi ricontrollarla.
In
questo caso il mio ringraziamento va alla mia amata Kodamy e alla
sua infinità bonta. Ergo, amore, grazie per le mille
correzioni *.*
Questa è una fanfiction di clicé; ad ogni modo, spero che essa non risulti
banale.
Colgo
l’occasione per ringraziare Miyu92, Solarial,
Kodamy, Mao
chan, Sasusaku, Kagura_san, Sihaya10, gryffindor_ery,
Suzako [sia per la drabble
sia per la fic su Tokyo Mew Mew
del concorso], Hikary, Dark Feder, Scintilla.
La
canzone principale è Far Away, Nickelback. Per il
resto, ci ho messo così tanto a scriverla che di
canzoni ne sono passate, sul pc.
Enjoy
it!!
* Non andare via! *
Perchè se
tu te ne vai, io rimarrò sola. Sola.
La luna
galleggiava in cielo e le nuvole giocavano a nasconderla.
This time,
This place
Il buio non era scacciato dalla luce e giocava ad
ingrigire le loro figure, spegnendo i colori, opacizzato le iridi dei loro
occhi. Le sue iridi erano già spente.
La verità è che io
non potrò mai sperare di accenderle.
Sasuke Uchiha
la fissava con uno sguardo strano, traboccante [ma di cosa?], e lei non poteva certo dire di sentirsi tranquilla,
in quel momento.
Tuttavia Sakura Haruno non
agognava l’alba, perché la presenza della luce avrebbe portato con sé la sua
assenza.
- Io ti amo e tu lo sai. –
- Forse. –
- Eppure te
ne stai andando da Konoha. E calpesti senza ritegno questi miei
sentimenti. –
- Forse. –
- Maledizione! – urlò, facendo sobbalzare il ragazzo, che
colpito da tale veemenza, indietreggiò di un passo. – Smettila di giocare con
me, come se io fossi una bambola da prendere e buttar via. –
- Dopotutto… sei ancora noiosa. -
Misused, Mistakes
La fissò intensamente, come a volersi imprimere la sua
immagine nella testa.
Sakura lo guardava a sua volta, gli occhi fissi, la bocca
spalancata, incapace di dire qualsiasi cosa.
E pensare che prima, pareva volermi
sommergere.
Lei pensò che era tornato tutto
come un tempo.
“Sei noiosa”, ecco cosa l’aveva spinta a cambiare.
Ma poi, era cambiata davvero? Lui era
stato crudele, si, le aveva parlato, permettendole di
avvicinarsi sempre più vicino, fino a quasi sfiorarlo.
L’aveva illusa, ma era ovvio che non voleva
niente.
Sakura si chiese se non avesse sbagliato tutto, nel
credere di aver potuto anche solo convincere Sasuke-kun
a fidarsi di lei, in un prossimo futuro. Era stato un sogno.
Un errore, ecco.
Tutta la sua vita, basata su un errore.
Tornare a casa contenta perché lui le aveva dato un consiglio, addormentarsi tranquilla perché lui
dormiva nella stanza accanto, sentirsi protetta perché c’era Sasuke-kun, davanti a lei.
T u t t o u n e r r o r e.
- Tu mi hai illuso, Sasuke-kun. Ti sei preso gioco di me. –
Il vento si portò via parte della sua risposta – ‘vertimento per me, vederti così
assorta nelle tue fantasticherie da non accorgerti nemmeno di cosa succedeva
davvero, nella realtà. –
Sakura scosse la testa, prendendosi ciocche di capelli fra
le dita e strattonandole con violenza.
Non è vero, non è vero, non è vero, non è
vero, non è vero.
Stai mentendo.
Non può essere stato tutto un errore.
Too long, Too late
- Smettila di essere così… crudele! Sto solo cercando di
farti capire che io ti amo! –
Sasuke Uchiha –
che voleva disperatamente essere un Uchiha per poter
avere una motivazione vera, qualcosa
che lo spingesse avanti – inclinò la testa di lato e sorrise.
La smorfia che aveva sul volto si ingigantì
sempre di più, fino ad esplodere in una risata gorgogliante, ironica.
Derisoria.
La sua risata fu come un colpo al cuore, una scossa
violenta.
“Eppure lui vorrebbe essere normale, normale, normale come
lo sono io.”
Poi un sussurro. – Ho aspettato troppo, Sakura, perché
adesso tu pretenda di privarmi della possibilità che è sempre stata davanti ai
miei occhi.
Tu capisci, ho sempre vissuto per
quello. –
- Ma… -
- Il mio posto è nel passato, dove sono i miei sogni. –
tacque un attimo. – I miei incubi. –
Il vento spazzava via la polvere dalle loro figure, dai loro ricordi.
Ricordi che non erano ricordi, semplicemente abbeveratoi
da cui trarre vita.
- Non… non potresti cercare di lasciarti tutto alle
spalle? In fondo ci siamo noi, qui, e siamo come una piccola famiglia. –
sussurrò lei, come vergognandosi di quel pensiero. – Certo, a volte litighiamo, e Naruto spesso
dice cose senza senso, cercando di essere come te ma…
ma ci vogliamo bene, in fondo. –
Perché ci vogliamo bene,
non è vero?
Who was I to make you wait
- Non avrei mai il coraggio di illuderti così, Sakura. –
Il respiro di lei si bloccò.
Trattenne il fiato, per non piangere.
Un fallimento anche questo.
Le lacrime cadevano copiose rotolando sulle sue guance
pallide, rese magre dall’ansia che in quelle settimane l’aveva pian piano
consumata da dentro.
- Siete stati solo un mezzo per
raggiungere il mio obbiettivo. – disse – E anche se lui non fosse venuto a
mordermi, io me ne sarei andato lo stesso. –
- Sasuke-kun… -
- Non ti mentirò, Sakura. Non ne ho alcun diritto: puoi
aspettarmi, fino alla fine dei tuoi giorni. Probabilmente, io non tornerò. –
Il fiato le uscì tutto improvvisamente dai polmoni [dove sono, i miei
polmoni?], e lei cadde a terra; pregò solo che il suolo avesse la forza di
accoglierla, in quel abbraccio di pietra.
Come il suo cuore.
- Non
ti chiederò di
aspettarmi. Chi sono io, per farlo? –
Infine si volse, e riprese a camminare.
Just one chance
- Sasuke-kun, aspetta! – si rialzò improvvisamente, aiutata
dalla forza della disperazione, e gli si slanciò contro, abbracciandolo per lo
zaino, strattonandolo indietro, verso Konoha.
-
Lasciami almeno provare. Lascia che io ti ami, per un po’. –
I suoi
occhi chiari erano specchio di disperazione.
- Lasciami
vivere, Sasuke-kun. –
Just one breath
Il respiro di lui premette la sua schiena contro il petto di
Sakura.
La ninja sobbalzò.
-
Perché dovrei lasciarti vivere… mentre io muoio,
Sakura? Sei così
egoista? –
Lei chinò
gli occhi, prendendo fiato. – Ti prego… ti giuro che sarai felice, qui con noi.
Qui con me. –
Sasuke
scosse il capo, e, lasciandosela alle spalle, riprese a camminare.
La piccola
cassa toracica di Sakura si gonfiò prepotentemente un’ultima volta, spazzando
via gemiti e singhiozzi. – Non andare!! Se farai un
altro passo, mi metterò a gridare e… -
Sparito.
Un
sussurro alle sue spalle, un respiro alla base della nuca, caldo come era sempre stata la presenza di Sasuke-kun.
Il suo ultimo respiro.
Il mio ultimo respiro, perché poi…
… poi non sarà più
vita.
- Sakura…
- l’incertezza di un attimo, tempo che un’altra folata di vento passasse fra di loro, a dividerli. – Grazie. –
Un colpo
alla base del collo.
Un ultimo
piccolo respiro che, ovviamente, non fece alcun rumore.
Silenzioso
come il vento.
Just in case there's just one left
Il risvegliarsi [uccellini
che cantano] con addosso la consapevolezza di aver
fallito non era nemmeno definibile come una vera e propria sensazione.
Sakura sollevò la testa dal cuscino e poi, con esasperante
lentezza, la lasciò ricadere verso il basso.
Il fatto che fosse una bella giornata non
la rallegrò affatto, anzi, il cielo terso non fece altro che peggiorare il suo
umore.
Lei si sentiva sprofondare e nessuno aveva il diritto di essere felice.
Punto.
Egoisticamente parlando, non c’era nulla che le andasse
bene, quella mattina: il mal di testa era alle stelle – almeno lui -,
probabilmente tutta Konoha si stava mobilitando per cercarlo – ma non l’avrebbero di certo aspettata -, e poi…
… poi lui non c’era.
Avrebbe dovuto abituarsi a questa orripilante
consapevolezza, alla sensazione che Uchiha Sasuke sarebbe stato, d’ora in poi, solo il Traditore.
All’amara verità che le si agitava nel petto: un cuore
sperduto da qualche parte a quel mondo.
Più precisamente, il suo.
Se aveva anche solo sperato di farsi
un favore, liberandosene, aveva miseramente sbagliato i calcoli.
Sospirò, aprendo gli occhi che aveva lasciati
socchiusi.
Non era rimasto nessuno, non nella sua mente, almeno: la
camera d’ospedale era spoglia e priva di fiori, priva
di una qualsiasi presenza umana. Naruto-kun? Kakashi-sensei?
Non era rimasto nessuno.
E alla fine, sono davvero sola.
- Sakura-chan? –
La voce di Naruto irruppe nella camera, riempiendola di improvvise note di colore.
- Sakura-chan, sei sveglia? –
Lei saltò in piedi, barcollando per l’infausto mal di
testa che le aveva preso l’intera spina dorsale, e
subito gli si slanciò addosso. Lo scosse per il
bavero della giacca, spiegazzandola.
- Sakura-chan,
cosa…? –
- Perchè sei qui? Perchè non lo state cercando? –
L’assurda speranza
di poterlo rivedere ancora una volta, magari stretto fra catene, era così forte
da farle dimenticare tutto, persino la forza che continuava a
ordinare alle sue ginocchia di cedere una volta per tutte, facendola cadere per
terra.
Sasuke-kun non può essere andato lontano.
Si sarà fermato a
pensare da qualche parte.
Perché lui non può abbandonarci così, in
fondo.
Non può avermi
abbandonato.
Vero, Sasuke-kun?
Naruto si riprese dalla sua stretta e la scosse a sua
volta, solo molto più delicatamente di quanto la ragazza si fosse
anche solo lontanamente sognata di fare con lui.
- Si può sapere di cosa stai parlando, Sakura-chan?
Sei sicura di sentirti bene? –
Grosse lacrime le tinsero le guance di rosso. – No che non
mi sento bene, ho un tale mal di testa dove lui mi ha colpita
che… - s’interruppe.
- Non importa. Naruto, perché non lo
state cercando?
Perchè sei qui nella
mia camera d’ospedale? –
- Ma… - il biondino rimase in
silenzio.
Sakura s’inalberò, traballando davanti a lui come uno
spaventapasseri in balia del vento. – Perché non lo state cercando!! –
- Ma chi dovremmo cercare, Sakura-chan? –
Lei si fermò, perdendo di colpo tutta
la sua vitalità. Traballò nuovamente, rischiando di cadere a terra.
Fortunatamente Naruto fu rapido nel riprenderla al volo. –
E’ assolutamente chiaro che non stai bene, tesoro. Stai assolutamente
delirando. Devi essere proprio caduta male, per aver preso una tale botta. –
Sakura boccheggiò tra le sue braccia. – Io non sono
caduta, Naruto… lui mi ha… -
La porta della stanza si spalancò di nuovo e Ino irruppe
con la sua solita fragorosa energia.
- Ve la state spassando, eh? –
Naruto lasciò immediatamente la presa su di lei, facendola
franare a terra, dove la povera rimediò una dolorosa botta al sedere. – Baka teme! –
- Oh, scusami, Sakura-chan! –
- E io che pensavo che non avresti
mai avuto il coraggio di tradire Sasuke-kun. – Ino ridacchiò appoggiando dei
fiori sul tavolino a fianco del letto, facendo per uscire. – Ma
d’altra parte, tanto di guadagnato. Hai già perso in partenza. –
Ridendo se ne andò.
Sakura Haruno si sedette a letto
e si prese la testa fra le mani, grugnendo poco finemente.
Aveva una tale voglia di piangere che nemmeno le lacrime
sarebbero stato uno sfogo sufficiente. Scaricò un paio di pugni sul materasso,
fiacca.
- Perché tutti vi comportate come
se… non fosse successo nulla? È così assurdo! –
Sasuke-kun se n’era andato eppure
tutti si affannavano attorno a lei.
Invece che cercarlo, farlo ragionare, mettevano lei al centro dell’attenzione.
E lei… non se lo meritava. Perché non era stata capace neanche di convincerlo a
fermarsi nel suo villaggio.
Ma in
fondo… cos’è il mio amore se paragonato all’odio e al desiderio di
vendetta?
Naruto
incrociò le braccia al petto, impaziente - Cosa sarebbe
successo, sentiamo!! –
- Lui… se n’è andato! –
- Ma chi, Sakura-chan? –
- Già: ma
chi? –
- Ma è ovvio, Sa –
…suke-kun…?
Era
normale vedere tutto nero, si disse, perché in fondo l’amore della sua vita
l’aveva appena abbandonata.
Era
normale prendere a pugni Naruto, perché rientrava nella solita routine
quotidiana.
Ed era
normale che avesse sentito la sua voce.
Ma era
normale che lo vedesse lì, davanti al letto?
'Cause you know
- Credi di stare bene, Sakura? –
Era ovvio che
qualcosa non andava.
Come poteva essere lì, come se nulla fosse accaduto la
sera precedente, e appoggiarsi al suo letto chiedendole se stava bene?
Non stava bene, no!
Il suo cuore rischiava l’infarto, ne era
cosciente, i suoi occhi scorrevano da Sasuke-kun a
Naruto, e di nuovo su Sasuke-kun, completamente
impazziti.
- Si… credo di si. – balbettò. Il
moro incrociò le braccia al petto.
- Puoi provare ad alzarti? –
- Si. –
- Allora io posso provare a vivere, giusto? –
Sakura alzò la testa di scatto, fissandolo. Naruto gli
lanciò un’occhiata estremamente miope. – Mh? –
- C-cosa? –
Sasuke Uchiha
si voltò, dandole le spalle – un’altra volta -, e poi si girò di nuovo verso di
lei, la linea della labbra leggermente tirata verso
l’alto.
- Ad ogni modo, Sakura… -
- Si? –
- Dovresti saperlo, no? Grazie. -
you know, you know
Il risvegliarsi [uccellini
che cantano] con addosso la consapevolezza di aver
fallito non era nemmeno definibile come una vera e propria sensazione.
Sakura sollevò la testa dal cuscino e poi, con esasperante
lentezza, la lasciò ricadere verso il basso.
Un totale, completo fallimento.
Aveva creduto che opporre la forza del suo amore a quelle
motivazioni così bieche, così assurdamente razionali sarebbe bastato a
convincere il suo Sasuke-kun [lui non è mai stato tuo] a desistere da
quella folle avventura, che l’avrebbe inghiottito in un vortice dal quale non
sarebbe mai più uscito.
Era stata sciocca.
E la consapevolezza di tutto ciò
faceva male.
Dannatamente male.
Lui non l’amava.
La porta della camera si spalancò, lasciando intravedere a
Sakura la testa di Naruto, che, con un piccolo e silenzioso cenno del capo, le
chiese come stava.
La ragazza non rispose, limitandosi a chinare
ostinatamente lo sguardo verso le lenzuola del letto.
- Non l’abbiamo trovato, Sakura-chan.
– disse solamente la volpe, scuotendo il capo. – Si deve essere allontanato
molto in fretta, questa notte. Neppure gli ANBU hanno percepito qualcosa. –
Gli fece eco solo il silenzio, che risuonò cupo
all’interno della stanza.
- Sakura-chan… - Naruto chinò
gli occhi, timidamente. – Hai provato a fermarlo, vero? Per questo lui ti ha
colpito. –
E mi ha lasciata con un grazie.
Se l’era sentito sulla pelle, il
freddo settembrino di quella notte, quando lui ancora non era comparso sulla
strada dove lei pazientemente aspettava.
Era stato un gesto irrazionale, quello di alzarsi dal suo
letto a quel ora.
Ma di certo, non si era sbagliata.
- Ad ogni modo, Sakura-chan,
vedrai che lo ritroveremo. – lui tacque. – Prima o poi.
–
Le labbra della ragazza si tesero in una smorfia.
Ma non mi amerà mai.
Avrei voluto che lui
restasse solo per il mio amore.
- Ma è una promessa, la mia. Ti giuro, lo riporterò indietro, a costo della mia vita. –
Silenzio, un grido fuori dalla
finestra.
Naruto desistette. – Sakura-chan…
se non vuoi che rimanga… -
Lei batté una mano sul copriletto, invitandolo a sedersi.
Rimani, almeno tu.
Ino si affacciò alla porta, nella fotocopia di Naruto di
qualche istante prima, stiracchiando un debole sorrisino di conforto che Sakura
trovò alquanto irritante.
La bionda posò dei fiori sul comodino – cosmee -, le carezzò
la testa delicatamente, e quindi uscì.
Una presenza silenziosa e breve, ma quanto mai necessaria.
Ino che forse soffriva, non quanto lei, ma soffriva. Anch’essa,
silenziosamente.
Sakura sapeva che se solo avesse tentato di parlare, sarebbero usciti solo singhiozzi misti ad urli. Pertanto,
rimaneva zitta.
E il dolore aumentava, prendendo
consistenza con sempre maggiore velocità.
- Devi capire, Sakura-chan,
era suo fratello. Lui non si è mai dimenticato di quello che gli aveva
fatto e… d’altra parte, come non giustificarlo? –
Ma io lo amavo!!
Avrebbe dovuto essere
abbastanza.
La ragazza non lo guardò nemmeno. Voleva piangere e non
poteva.
Naruto le poggiò una mano sul braccio, comprensivo.
Sakura Haruno poteva piangere,
adesso, ma non voleva.
- Forse, parlarne ti farebbe bene. Ehi, hai pure qui il
più forte ninja di tutta Konoha pronto a consolarti, cosa vuoi di più? –
La sua battuta rotolò silenziosamente a terra, e poi
scomparve. Il biondo alzò gli occhi al cielo, spazientito.
- Se non mi tiri neanche una sberla,
vuol dire che stai davvero male. –
L’amara verità: soffrire anche se non si aveva più un
cuore da far battere.
Che cosa stupida.
Il ragazzo si alzò dal letto, carezzandole la testa. –
Torno subito, Sakura-chan. –
Lei annuì, e aspettò che se ne fosse andato. Quando la porta si chiuse alle sue spalle, fissò il muro
bianco.
La sua immagine era lì, stampata come una macchia
indelebile.
Un cancro.
Che minacciava di consumarla
dall’interno, se lei non avesse deciso di opporre resistenza, opponendo la ragione
a tali e futili sentimentalismi.
Prese fiato – un altro respiro.
- Ad ogni modo, - disse – prego, Sasuke-kun.
–
Non mi ringrazierai più, dopo che avrò ripreso il mio cuore.
E strappato il tuo.
That I love you
La luna giocava a nascondersi dietro le nubi, oscurando la
via che la ragazza stava faticosamente percorrendo.
Non c’era un muscolo che non le dolesse,
a dir la verità.
Ma c’era una certa volontà a cui lei
si ostinava ad aggrapparsi, e che le suggeriva di continuare a mettere un piede
dietro l’altro, conquistando metri e metri di selciato.
Quella sera la luna era piena e sferica come solo in una
fiaba poteva essere, pensò lei.
Levò il naso verso l’alto, con l’unico immediato risultato
di perdere l’equilibrio e franare a terra con ben poca delicatezza.
Lo sguardo continuamente fisso al cielo.
Niente che riuscisse a distrarla,
né la dura pavimentazione in pietra, né il totale silenzio che serpeggiava per
le strade.
Tranne una voce, che risuonò sibillina
nella notte.
- Ti piace la notte, non è vero?
È per quello che ti ho incontrato, una settimana fa. –
La ragazza chinò lo sguardo, rialzandosi.
Ne aveva percepito la presenza da
parecchio tempo, sensibile com’era al suo flusso d’energia.
Prevedibile che l’avesse sentito arrivare.
- Mi piace solo la luna piena, Sasuke-kun.
Quando ci siamo… incontrati, la scorsa settimana…
sapevo che saresti stato lì. –
Lui sorrise, come un ghigno, una ferita su quel viso. –
Come io sapevo che mi avresti aspettato. –
Sakura gli sorrise gentilmente in
risposta, annuendo.
Mi stai solo illudendo ancora, Sasuke-kun.
- ‘ freddo?
–
Si risvegliò dal suo torpore. – Come, Sasuke-kun?
–
- Non hai freddo? –
- Non ho mai freddo la notte: è di giorno che non so come
ripararmi da esso. –
Sasuke Uchiha
aveva perso il filo del discorso da tempo, e cercava disperatamente di non
farlo notare. Corrucciò un sopracciglio, criptico, aspettando che lei
riprendesse a parlare.
- Non è di notte… - spiegò Sakura, voltandosi verso di
lui, e fissandolo con quegli occhi così chiari e sibbilini
che il ragazzo ne fu quasi spaventato. Occhi come bianchi, vuoti. - … che sono sola, Sasuke-kun. –
È quando dovresti avere caldo
e invece senti freddo, che sei perduta.
- Come…? –
- Credi che non lo sappia? Naruto mi consola solo perchè gli piaccio, Kakashi-sensei
mi dice che sono brava, ma è ovvio che siete voi, i
suoi obbiettivi.
E tu… tu, Sasuke-kun,
sei quello che mi fa soffrire di più. Perché ti comporti come se io fossi qualcosa, per te. E poi mi
abbandoni, per tornare a riprendermi quando ti fa
comodo. –
Gli occhi bianchi lacrimavano.
- Come sei… noiosa. –
Noiosa.
Sono noiosa e tu non mi vuoi.
Perché sono noiosa.
Posso cambiare, Sasuke-kun,
posso cambiare, posso…
Noiosa.
- Cosa? –
- Credi che alla fine non me ne sia andato solo perché
improvvisamente ho cambiato idea? –
- Non… -
- Dopo che tu ti era messa a
piangere, e avevi urlato come una bambina? –
- Sasuke-kun… -
- Apri gli occhi, Sakura-chan. –
[Apri quegli occhi bianchi, fammi vedere
che c’è colore, ti prego…]
- Non ho rinunciato alla mia vendetta solo perché a Konoha c’è un bel sole. –
Sakura rimase a fissarlo, immobile come una statua di cera
[la cera è
bianca, sono bianchi gli occhi], singhiozzando sporadicamente.
La luna rimase lì, a fissarli, pallida anch’essa.
Lei aspettava solo che lui dicesse quelle stupide parole
che le erano costante così tanto, drammaticamente
tanto, e che lui pareva aver rifiutato senza aver nemmeno cura di considerarle
un secondo.
Prendi, giochi, e poi butti via.
Dillo, avanti.
Sasuke-kun, dillo.
-
‘lo. –
- Sakura? –
La ragazza lo fissò, orbite nelle orbite,
e non vi fu nulla di più stravolgente di quello sguardo.
- Avanti, Sasuke-kun, dillo. Fammi vedere che non sei un bambino. –
L’Uchiha prese fiato, guardò il
cielo, guardò lei, di nuovo il cielo.
- E fissami, mentre lo dici. –
Perché a me, è costato
molto di più.
Bastarda.
- Sono rimasto perché tu… io… credo di provare qualcosa
per te, Sakura-chan. –
La luna guardava, camminando.
La luna non è poi così tanto
immobile, in fondo.
Poi fu solo luce e calore.
I have loved you all alone
And I miss you
Been far away for far too long
I keep dreaming you'll be with me
and you'll never go
La luna giocava a nascondersi dietro le nubi, oscurando la
via che la ragazza stava faticosamente percorrendo.
Non c’era un muscolo che non le dolesse,
a dir la verità.
Lei si trascinava per la strada con l’unica consapevolezza
di essere sola, disillusa, ed incredibilmente stanca.
Tutto il suo mondo dorato sparito
improvvisamente nel nulla, una bolla di sapone esplosa.
Perché era quello, non è vero?
Una piccola bolla di sapone che, come tale, era destinata
a sparire.
Per un soffio di vento.
La notte non aveva fine, semplicemente perché non era
giusto che l’avesse.
E pertanto, non l’aveva.
Perché col giungere del giorno la luce
del sole l’avrebbe portata ad essere se stessa: non c’era ombra in cui
nascondersi, in quel domani.
D’altra parte era universalmente dato che Sakura Haruno, la ninja abbandonata, non
voleva abbandonarsi a sé stessa, piangendo o
disperandosi.
Salì sulla cima della piccola collina che sovrastava Konoha.
Urlare però era concesso.
Perché urlare era rabbia, e non
debolezza.
Perché io non sono triste.
Io non sono triste.
No.
- Io te la farò pagare. –
Semplicemente. I suoi occhi chiari mandavano lampi d’ira,
soffocati dalle palpebre che ultimamente erano sempre troppo
pensanti.
Da quanto è che non dormi, Sakura?
- Sakura, vecchia scimmia, non pensavo tu fossi così
prevedibile. –
- Ino, maledetta scrofa.
Ma tu non dormi mai? –
Le due si fronteggiarono per un breve
attimo, poi la bionda si fece cadere su una panchina di pietra, seduta.
– Ah, sapevo di trovarti qui. Ti piace la luna piena, senza contare che ti
piace anche compatirti. Quindi, quale posto migliore
di questo? –
Sakura inclinò lievemente un sopracciglio. – Come, prego?
– Ino annuì.
- Non pretenderai mica di nascondermi qualcosa, Sakura. In
fondo siamo state amiche per anni, e poi… poi si vede benissimo che fai finta
dalla mattina alla sera, per poi trascinarti come un cane bastonato
quando si fa notte. Credi che comincerai anche a
ululare alla luna? Sarebbe estremamente pittoresco. –
L’altra non disse nulla, fortemente divisa tra la voglia
di scoppiare a ridere, oppure di mettersi a piangere. Senza contare
il fatto che c’era la sua sanità mentale, in gioco.
- D’altra parte, è così palese. –
- Che vuoi dire, Ino? –
- Semplicemente… - la ragazza lo
fissò con fare accusatorio, - … che ti stai comportando esattamente come
farebbe lui, Sakura.
–
Fu come se la notte avesse improvvisamente deciso di
diventare più fitta e densa.
Una farfalla dai colori grigi le passò a fianco. Lei, come
ovvio, nemmeno la notò.
- Cosa stai dicendo?! – si
arrabbiò, scuotendo la testa.
- Eppure è così ovvio, Sakura.
Non ti rendi nemmeno conto che anche tu hai sempre vissuto con un chiodo fisso
dentro la testa, incapace di liberartene? –
- Non… -
Ino si alzò e le passò avanti, prendendo la strada per Konoha. – Sei uguale a lui. –
Io non sarò mai come lui.
Io non sarò mai come lui..
Io non sarò mai come lui…
Non l’avrebbe permesso. Quel azzardato
paragone le fece salire il sangue alla testa.
- Fermati subito, Ino! – l’altra
non diede cenno di aver sentito. – INO, FERMATI, ORA!!
–
Un kunai passò così vicino alla
testa della bionda che quasi le tagliò alcune ciocche di capelli. Ino si volse,
sconvolta. – Sakura…?
–
- Io non sarò mai come lui. –
Semplicemente perché io lo odio.
- Io non posso odiarmi, Ino. – disse – Se riferirai di
questa conversazione a qualcun altro, te la farò pagare, cosmea. –
L’altra annuì immediatamente.
Sakura le diede le spalle e si inoltrò
dentro la foresta della Morte, per sentirsi vicina ai suoi spettrali ricordi.
Ino Yamanaka rabbrividì.
Per la prima volta nella sua vita, Sakura appariva come
una rosa piena di spine.
Una
rosa nera.
Stop breathing if
I don't see you anymore
La foresta si apriva davanti ai suoi occhi, un cancello di
semplice ferro battuto a delimitarne la fine.
Come se l’oscurità potesse esser confinata da una labile
barriera umana.
Faceva freddo, ed era come se mille lame di ghiaccio
penetrassero nel suo corpo.
Ma d’altra parte, lei aveva sempre
freddo.
Sakura Haruno alzò gli occhi
chiari su quella massa articolata di alberi e le parve
quasi di comprenderne l’infinita complessità.
Curiosamente le venne immediato un paragone tra quello che
aveva davanti e i suoi sentimenti.
Si sentiva incredibilmente fragile ed emotiva, dopo quella
notte.
Era trascorsa quasi una settimana.
- Sakura-chan! –
Si volse al richiamo quasi urlato di Naruto,
sorridendogli. – Naruto. –
- Kakashi-sensei non è ancora arrivato, suppongo. –
La giovane alzò le spalle con noncuranza, tornando a
guardare gli alberi. – E come potrebbe? In fondo manca
ancora un minuto all’ora esatta in cui avremmo dovuto
incontrarci. Al massimo, Kakashi-sensei si starà
svegliando ora. –
- O forse questa mattina ci degnerà
della sua presenza, avendo la gentilezza di arrivare in orario. –
I due si guardarono per un secondo, poi
scoppiarono a ridere, con irruenza, quasi.
- Uhh, ti prego Naruto, siamo
seri… - piagnucolò la ragazza, tenendosi lo stomaco con le mani per il troppo
ridere. Il biondo si fermò un attimo a guardarla.
Sapeva bene cos’era successo una settimana prima, Sasuke non aveva esitato nel dispensare
particolari nella narrazione, tanto che poteva quasi vedere le lacrime
di Sakura davanti al suo viso.
E la sua faccia sorpresa quando l’Uchiha si era deciso a dire… quella cosa.
Naruto Uzumaki si sentì
stupidamente spaccato in due.
Contento perché lei era contenta.
Infelice perché lei era allegra. Ma non
per merito suo.
- Naruto, ohi, Naruto! –
La mano bianca di Sakura sventolò davanti al naso
dell’altro per almeno dieci secondo, prima che quello
si riprendesse.
- Uh? –
- Ti eri incantato! Sembravi proprio il maestro Kakashi quando
ci lamentiamo dei suoi ritardi: immobile come uno stoccafisso. –
Un rumore di passi estremamente
familiare.
Anche se i suoi passi non facevano
rumore.
- E a proposito di arrivare in
ritardo… - proferì Naruto - … sei in ritardo, maledetto! –
Maledetto perché gliela stava portando via.
E lui era contento e infelice.
Che stupido, dattebayo!
Il viso di Sakura, la sua espressione, dicevano
mille cose insieme.
- Stai zitta, stupida scimmia. – l’ammonì Sasuke. Poi si voltò verso di lei e le sorrise.
È bello, il suo sorriso.
- Buongiorno, Sakura. –
Lei impiegò almeno dieci minuti per capire che si stava
rivolgendo a lei, e infine, realizzato ciò, rispose al suo sorriso.
- Buongiorno Sasuke-kun! –
disse, un po’ militarmente.
- Sasuke. –
- Cosa? –
- Potrebbe bastare Sasuke,
non credi? –
La ragazza si sentì quasi svenire, tanto che le sue guance
divennero di un increscioso color rosso genziana. – Oh, forse si, credo. –
Da lontano, Naruto li osservava. Un po’ triste, un po’
contento.
La foresta nascondeva gli odori degli esseri umani,
mascherandoli con quelli dei fiori e degli animali.
Ma i suoni, era come se fossero
amplificati: per questo Sakura sentì immediatamente l’urlo del ragazzo, che le
giunse alle orecchie come un eco stridulo.
- Sasuke-kun…! –
Saltò rapidamente da un ramo all’altro, spinta
da una sorta di disperazione che le animava le gambe, come fuoco.
Le pareva le mancasse il respiro. La paura di poter
rimanere senza di lui era soffocante.
La radura era piccola e nascosta. Sakura, in ogni caso, non
faticò nel trovarla.
Come se l’eco di quel grido avesse intessuto un filo fino a
lui.
Le lacrime sul suo viso erano trasparenti e limpide, e fu
la prima cosa che lei notò.
Poi giunsero le lacrime nere, che camminando alacremente
coprirono tutto il suo corpo. Lui urlava come se la pelle gli si stesse
staccando dal viso, bruciando senza posa.
Il sigillo sul marchio, rotto, da cui si riversavano
lacrime, implacabili come il loro padrone.
Ed era come se quello stesso marchio
stesse piangendo per il suo Sasuke-kun.
Solo Sasuke, Sakura.
Gli si precipitò accanto, nella fotocopia di quello che
aveva fatto durante l’esame dei chunin.
Ed era tutto così spaventosamente
uguale che non seppe frenare le lacrime.
Per Sasuke-kun, ed
egoisticamente, anche per lei.
Perché
voleva essere felice.
- Sakura, che cosa fai qui…? –
- Hai urlato, Sasuke- -
Solo Sasuke.
- Hai urlato, Sasuke.
–
- Non dovevi venire, sciocca. –
La ragazza si ritrasse, come scottata. – Pensavo… ti
potesse servire il mio aiuto… - balbettò.
- Io… - Sasuke cercò di alzarsi,
ma franò irrimediabilmente verso terra, trattenuto dalla forza di gravità. – Dannazione,
non posso permettere che tu venga coinvolta… -
- Ci siamo solo noi, Sasuke. –
- Potrebbero arrivare. E allora si, che
saremo solo noi.
Troppo pochi per difenderci. – disse lui,
appoggiandosi a lei e cercando nuovamente di tirarsi in piedi.
Sakura tirò un sospiro lungo come la sua vita, pensando al
fatto che dannazione!, non era mai stata in grado di
fare nulla.
Forse era l’occasione per rimediare, si
disse.
Si tirò in piedi, abbandonando il ragazzo per terra.
- Sakura…?
–
- Ti difenderò io,
Sasuke. Ci penserò io a impedire che
facciano loro del male. –
- Sakura. – una breve constatazione, lieve come il vento. E le lacrime erano ancora lì. – Sakura, tu non puoi… -
- SI CHE POSSO! – il suo urlò risuonò feroce nella radura, scuotendo gli alberi. Si
voltò verso di lui, gli occhi chiari contratti.
Sasuke si ammutolì sul posto, sgranando
gli occhi. – Perché dovete sempre credere che io… sia… -
Non piangere.
- Dannazione! –
Stai piangendo, sciocca ragazzina.
Tu devi essere forte come loro.
Devi proteggerli.
Sii forte e…
… non piangere.
Si passò una mano sul volto arrossato dallo sforzo e gli
diede le spalle. – Posso farcela. –
- Sakura, io non voglio.
–
- Io voglio proteggervi, invece!!
–
- E se io fossi io, a volerti
proteggere dal mondo? Se fosse semplicemente un
tentativo di salvarti, Sakura? –
Gli uccelli volavano sopra le loro teste,
le nuvole erano chiare ed impalpabili.
Come le sue labbra.
Sakura lo stava baciando.
Il tempo di tirargli uno schiaffo e poi un bacio.
Semplicemente quello.
Le loro bocche erano una, i loro respiri
appannavano la vista dell’altro.
- Io non mi faccio salvare da nessuno, Sasuke.
–
Semplicemente perché sarò io a salvare te, d’ora in poi.
Faceva freddo, quella mattina.
All’interno del suo corpo, Sakura stava bollendo.
On my knees, I'll ask
Last chance for one last dance
'Cause with you, I'd withstand
All of hell to hold your hand
La foresta si apriva davanti ai suoi occhi, un cancello di
semplice ferro battuto a delimitarne la fine.
Come se l’oscurità potesse esser confinata da una labile
barriera umana.
Faceva freddo, ed era come se mille lame di ghiaccio
penetrassero nel suo corpo.
Ma d’altra parte, lei aveva sempre
freddo.
Sakura Haruno alzò gli occhi
chiari su quella massa articolata di alberi e le parve
quasi di comprenderne l’infinita complessità.
L’odio che si dibatteva all’interno del suo corpo, feroce
e selvaggio come la foresta stessa, non conosceva riposo o soluzione; d’altra
parte, non desiderava nemmeno scoprire i segreti di tale informe matassa.
Lei che era come quella selva.
Bisognava solo farsi trasportare e prendere i sentieri
battuti.
Perché se non trovi più la via di casa,
sei perduta.
E sei perduta per sempre.
L’alba era giunta da poco e il sole, di un qualsiasi color
latte, non formava nemmeno un cerchio completo al di sopra
degli alberi.
Le pallide nubi di nebbia andavano rapidamente scemando,
lasciandole sulla pelle mille piccola gocciole di
brina.
Sentiva freddo ma non provava il
bisogno di coprirsi.
Lei sentiva sempre freddo.
Che il sole fosse rovente e rosso, o
freddo e bianco, per lei ormai non faceva differenza.
Uscita dall’ospedale, il poco colore rimasto nella testa
si era perso, diluendosi man mano che camminava nella via in cui l’aveva
abbandonata.
E alla fine, non era rimasto niente.
Nemmeno il rosa dei suoi capelli, o
l’azzurro dei suoi occhi.
Solo il nero che non era un colore, il nero che, tutto sommato, era proprio quello che rappresentava.
- Sakura-chan? – la voce di
Naruto risuonò insolitamente minuta nel grande prato
verde [io vedo nero, nero, nero]
davanti alla foresta. – Sei tu, Sakura-chan? –
- Ciao. – lo salutò blandamente voltandosi verso di lui.
Il ninja spalancò gli occhi. – Sakura-chan, che fine hanno fatto
i… i tuoi vestiti? –
Le pupille di lei, nero dentro
nero, ruotarono pigramente su di lui. – Da come lo dici, sembra che io sia
nuda. –
- No ma… dico sul serio, sembrano davvero ristretti, mh? È freddo, a Konoha. – il suo voltò divenne un poco più rosso.
La gonna sfrangiata e la maglietta a top
senza maniche erano neri.
Neri perché lei vedeva solo nero.
- In ogni caso, io avrei freddo comunque. –
- Cosa…? –
- No, nulla. Hai visto Kakashi-sensei venendo qui? – chiese la ragazza, spostando lo
sguardo sulle ombre sempre nuove della foresta.
- E come avrei potuto vederlo? In
fondo manca ancora un minuto all’ora esatta in cui
avremmo dovuto incontrarci. Al massimo, Kakashi-sensei
si starà svegliando ora. –
L’eco di una pallida risata le mosse le labbra ed evidenziò le piccole
rughe agli angoli degli occhi. Le occhiaie si tesero, prepotenti, mostrando a
Naruto un viso devastato, che il ragazzo parve vedere per la prima volta.
[Da quando Sakura-chan
è così stanca?]
- Che domanda stupida ti ho
fatto. Andiamo,
Naruto? –
Lui
la guardò, inclinando un sopracciglio. Ad ogni secondo, un nuovo dubbio si
creava su quello vecchio, come una piccola piramide di incertezze
ammonticchiate nella sua testa. – Andiamo dove,
di preciso? –
- Dentro la foresta, ad allenarci. Non ho tempo di star
qui ad aspettare Kakashi solo perché –
- E’ Kakashi-sensei, Sakura-chan. – la redarguì Naruto.
-
… lui non ha voglia di dardi una
mossa. Devo imparare nuove cose oggi e di
certo non rimanderò per un ritardo. – mosse un passo verso il cancello e lo
aprì, decisa. – Allora, vieni? –
Il ninja si morse poco
delicatamente le labbra coi canini appuntiti e poi,
con un vigoroso cenno della testa, le negò quel appoggio. – Non mi sembra
giusto, Sakura-chan. In fondo Kakashi-sensei,
anche se beh, arriva in ritardo, non ci ha mai negato
niente, giusto? Possiamo dargli una
possibilità ancora.
Siediti e aspetta con me. –
- Ma io non ho tempo! – gridò
lei.
- Aspetta solo un’ora, Saku –
L’occhiata che lei gli lanciò lo inchiodo al suo posto,
immobile. I suoi occhi erano gelo primordiale, odio
genuino che non trovava valvola di sfogo, se non quello del disprezzo. E fu con disprezzo appunto che lei parlò. – In fondo l’ho
sempre saputo, che eri un codardo come lui. –
Il cancello si richiuse alle sue spalle con uno scatto
secco, che aveva il suono di un’amara sconfitta.
Il tempo di un respiro, e lei era già sparita.
- Yo! –
- Maestro… Kakashi? – Naruto piegò la testa. – Ha
sentito tutto, sensei? –
Era così stupito da quello che non riusciva a stupirsi per
il fatto che lui fosse arrivato quasi
in orario.
Certe cose non potevano cambiare.
Non completamente almeno. Il ragazzo si aggrappò a quel
pensiero.
- A quanto pare. –
L’occhio nero del suo maestro guardò la foresta e vide le
mille ombre degli alberi. L’occhio rosso del suo maestro guardò la foresta e vi
vide un’anima fatta d’ombra.
- Naruto… -
- Si, sensei? –
- Naruto, tu credi che sia giusto riportarla indietro? –
- Sensei…? –
- Riportarla indietro quando sappiamo che non c’è più
luogo che lei chiami casa… forse bisognerebbe lasciarla andare. – disse solo.
- Io l’ho lasciata andare. – mormorò il biondo. - Ho
sbagliato, sensei? –
- Forse, è solo troppo tardi. –
L’amara constatazione che veniva dopo un’amara sconfitta.
E l’amara verità gli rimase in gola,
come un sasso appuntito che non riusciva a deglutire.
Il vento spazzava la radura con ferocia.
Le sue urla seguivano il vento, implacabili.
Sakura stava piegata sulle ginocchia, immobile, lo sguardo
proiettato al suolo, come dovesse scoprire chissà
quali misteri al di sotto di esso.
Tanto poi è solo terra.
E io sono solo Haruno
Sakura.
E lui era solo Uchiha
Sasuke.
E il mio era solo amore.
- Vorrei solo un’ultima possibilità. –
Le sue mani si muovevano velocemente da un segno
all’altro, febbrili come il suo cervello, che disperatamente cercava riposo. –
Un’ultima possibilità per danzare con te. –
Il
vento fischiò.
- E tu, immancabilmente, non ci
sei. –
La sua memoria non recava traccia di aiuti,
di parole gentili, di silenziosi incoraggiamenti.
C’erano solo un grazie e tanto nero.
- Katon!...
–
Il fuoco brucia, il fuoco consuma, il
fuoco scotta, il fuoco asciuga.
L’anima era fuoco, l’odio era fuoco,
il sentimento era fuoco.
I suoi occhi erano fuoco.
- Kaze… -
Perché il fuoco, prima di tutto, è.
- No Jutsu! –
L’intera radura s’illuminò di luce all’improvviso, in
un’esplosione silenziosa che fu testimone dell’inconsueto ritorno della
famiglia Uchiha, e di una loro tecnica.
La sfera di fiamme ribollenti si ingigantì
sempre di più, fino a racchiudere in essa anche gli alberi circostanti.
- Non ci sei e io ti ODIO, per questo! –
Rispose un ruggito e in quel ruggito,
Sakura cominciò a combattere.
Menava fendenti a destra e a manca, descrivendo il profilo
di un’ipotetica persona che subiva i colpi, a volte attutendoli, a volte parandoli.
Davanti a Sakura Haruno c’era
l’aria.
Davanti a quello che Sakura Haruno
stava diventando, c’era Sasuke Uchiha
con gli occhi aperti.
Spalancati, perché la ragazza aveva usato una sua tecnica.
- Sei sorpreso, Sasuke-kun? –
Rise, e quel riso divenne presto un ghigno. – In fondo non
è stato difficile. È bastato pensare al fuoco… danza! -
E
mentre parlava, combatteva. Gli colpì violentemente uno zigomo,
forse rompendolo.
Seguì un pugno nello stomaco.
Sasuke Uchiha finì a terra, e Sakura, l’inutile, rise.
Il rogo bruciava pelle come fosse
carta.
- Stai bruciando, Sasuke-kun… -
un altro calcio. Il ragazzo rantolò. Lei gridò di gioia.
Premette la mano sulla ferita che gli sgorgava dal labbro,
e osservò il suo sangue. – Sanguini, Sasuke-kun… -
- Volevo colpirti e ci sono riuscita. –
- Sakura-chan? –
Lei girò gli occhi e in quella foresta di fiamme vide
Naruto che le correva incontro, una mano premuta sulla bocca.
Il ninja l’osservò e si
trattenne dall’urlare.
- Sakura-chan, stai sanguinando
e… forse hai uno zigomo rotto. –
Lei sorrise e gli si avvicinò.
- Tu credi. – disse sussurrandogli in un orecchio – Ma non sono io, ad essere stata colpita. –
Inclinò la testa di lato e lo sorpassò.
Il fuoco non le fece nulla.
Al suo passaggio, si ritrasse.
Se segui la strada, vivi.
Se ti smarrisci, muori.
Se crei un nuovo sentiero,
impazzisci.
I'd give it all
I'd give for us
Give anything but I won't give up
'Cause you know,
you know, you know
Le campane suonarono i canonici dodici rintocchi proprio
con lo sparire dell’ultima nuvola che oscurava il sole.
La tiepida brezza di primavera spargeva ovunque un vago
odore di fiori.
Il suo profumo, fiori d’arancio in mano, cosmee ad adornare le sedie.
Fiori nell’anima e attimi coi
colori di fiori.
Non le avevano mai parlato di
quella sensazione particolare che ti prende il cuore, quando sei felice.
Le pareva che stesse per scoppiare.
Sei anni di appuntamenti
all’ombra dei ciliegi, giocando a nascondersi dai pensieri altrui.
- Non credo che tu
dovresti accettare, Sakura. –
Quella frase era
saltata fuori nel mezzo del discorso, un’intrusa in quel oasi
di tranquillità che faticosamente erano riusciti a costruire.
- Cosa? –
- Non dovresti
accettare. –
Sakura inclinò un
sopracciglio.
- D’accordo. Ma cosa? –
- Non accettare. –
- Sasuke,
se non mi spieghi cosa non dovrei accettare temo
resteremo su questa discussione in eterno. –
- Non ti fidi di me?
–
La ragazza, ormai
diciottenne, lo aveva osservato a lungo. Sasuke aveva
avuto la decenza di arrossire e chinare lo sguardo arrogante verso terra.
- Dopo che mi hai
tenuto in sospeso per anni, rischiando di abbandonarmi per una stupida
vendetta, dopo che mi hai vietato di parlare a tutti della nostra relazione? –
Il ninja tossicchiò.
- Mi deludi, Sasuke.
Come hai solo potuto pensare che
io non mi fidi di te? –
- Così. –
Lei si lasciò cadere con la schiena sull’erba. L’umidità della notte permeò i
tessuti, bagnandoli.
Ripensò alla notte
appena trascorsa. L’acqua era ovunque, sui suoi capelli, sulla sua pelle. Chiudendo gli occhi poteva ancora sentire il loro
odore, attaccato all’erba come solo un ricordo poteva essere.
Un ricordo
che non voleva sparire.
Così come lei
tenacemente resisteva al passare degli anni e alla monotonia
sempre più vicina, anche quel momento doveva avere la forza di imporsi
sul mondo ignorante.
Sorrise.
- A cosa stai pensando? –
- Al fatto che qui
c’è il nostro odore. –
- Come prego? –
- Non senti il nostro
odore, Sasuke? –
- Se
devo essere sincero, no. Non capisco come possa avere
un odore così. Ma poi, esiste un nostro odore? –
La kunoichi arricciò
il naso.
- La tua è puzza. –
Sasuke rise. – Come no. –
- Dico sul serio. Il nostro odore è quando ci abbracciamo,
quando ci baciamo, quando stiamo qui a guardarci e a parlare sotto quest’albero. – disse piano. – Il nostro odore è quando facciamo l’amore… -
Ovviamente, arrossì.
- Ci credi davvero? –
Sakura annuì
convinta. Si tirò a sedere, appoggiandosi
alla sua spalla. Gli sfiorò la gola con un bacio lieve, quasi fremente. – Io
si. –
- A volte mi
sorprendo di come tu possa essere così… -
La ragazza lo fissò
con occhi poco convinti. – Ma continua, ti prego. Sono
ansiosa di sapere come possa essere. – il tono faceva
intendere una brutta fine qualora avesse detto qualcuno di inopportuno.
Si schiarì la voce.
- …intendevo
dire… innocente. Perché capisci sempre
quello che non devi? –
Lei alzò le spalle. –
Sarà. –
- E
poi sei così ingenua a volte. Come quella volta in cui io ti avevo velatamente
proposto di… -
Lei gridò oltraggiata
tappandogli la bocca con una mano. – Non ricordarlo!!
Chiudi il becco, Sasuke! –
Il ninja della squadra ANBU numero sette
prese quella mano e la baciò con riverenza. – Perdonami, amo vederti in
imbarazzo. –
- Grazie. –
- Proprio per questo…
non dovresti accettare. –
- Di nuovo? –
- Perdonami, è che
sta diventando un’ossessione ormai. –
- Sasuke
io non ti capisco. – Sakura lo fissò. – Siamo nascosti ma
siamo felici… cosa non va, in quello che facciamo ora? –
- Mi angoscia l’idea
che tu accetti. –
Gli occhi chiarissimi
di lei si strinsero. Sasuke sobbalzò. Conosceva quel espressione e sapeva benissimo che nulla l’avrebbe
salvato dalla prossima apocalisse.
- Sasuke
Uchiha, o mi dici immediatamente di cosa stai
parlando, o ti giuro che… -
Non seguirono parole ma era ben chiaro a cosa si stesse riferendo.
- Va
bene, va bene. –
- Dunque…
-
- Stavo pensando che… -
Si umettò
le labbra, indeciso. Sakura aggrottò un sopracciglio: che il suo ragazzo assumesse quella
posizione, non le era mai capitato.
- Sasuke? –
Lui sospirò e la
guardò fisso negli occhi. – Io rimango dell’idea che ti rovineresti
la vita, accettando… -
- Giuro che… ! Parla, dannato!
–
- Sakura, vuoi sposarmi?
–
Improvvisamente sentì
il loro odore farsi più forte, fino a diventare suono, e poi immagine.
Una loro immagine.
Si può essere felici, vero?
- Sa…-
- Ma
non credo che dovresti accettare, insomma… sono un Uchiha,
e poi –
Una mano a tappargli
la bocca, di nuovo.
Il suo odore.
Che poi è anche il nostro.
- Ovvio che si. –
Lo fissò.
- Ti sposerei anche se fossi imperfetto, brutto, qualsiasi… ti
sposerei perché ti amo. –
Il suo odore è un odore di fiori.
Ma non è dolce, e nemmeno amaro.
È il suo odore.
Che poi è anche il nostro.
Così il vestito bianco le fasciava i fianchi, e i nastri
rossi scendevano sul collo.
Perché aveva fatto una scelta.
Sasuke le comparve al fianco, vestito di
nero. E nero e bianco si sorrisero.
- Siamo qui, alla fine. –
Lei annuì, poggiandosi al suo fianco, esausta. – Anche qui. –
- Cosa…? –
- Anche qui c’è il nostro odore.
–
E finalmente Sasuke
capì di cosa stava parlando.
So far away
Been far away for far too long
So far away
Been far away for far too long
But you know, you know, you know
Le campane suonarono i canonici dodici rintocchi proprio
con lo sparire dell’ultima nuvola che oscurava il sole.
La tiepida brezza di primavera spargeva ovunque un vago
odore di fiori.
Non era notte ma la scena le suonava
familiare.
Le persone che l’incrociavano per strada l’osservavano straniti ma non facevano altro, limitandosi a corrucciare le
sopracciglia, lasciandola sfilare via come un pensiero troppo grande per essere
affrontato.
Forse perché l’enorme zaino sulle spalle poteva indurli a
pensare che stesse per intraprendere una nuova missione.
O forse, più semplicemente, perché
il suo viso cinereo non permetteva intromissione alcuna.
Passò di fianco al negozio di fiori della famiglia Yamanaka, ignorando volutamente il richiamo di Ino, l’unica fino ad ora che pareva aver effettivamente
notato il dettaglio.
Stupidi fiori.
C’è
odori di fiori dove sente l’odore della morte.
Ci sono fiori che
significano morte?
- Sakura, dove stai andando? –
Continuò a camminare, incurante dei richiami dell’altra,
fino a che la voce femminile della bionda non si perse fra i vicoli di Konoha.
Ino. Ino che era la migliore del villaggio.
Tempo fa.
Ino che era l’unica ad aver notato il nastro rosso fra i
suoi capelli – le era familiare, ecco cosa – e non aveva saputo trovare il suo coprifronte sulla sua figura.
Sakura aveva deciso di riporlo nello zaino, sul fondo,
sotto ai vestiti e alle provviste di cibo, perché il
suo richiamo non le entrasse nel cervello e cominciasse a minare quello strano
equilibrio che si era creato dentro di lei.
Forse non sono così decisa.
Ma in fondo,
che cosa mi importa?
Il profumo di fiori del negozio di Ino
e della sua familia avrebbe dovuto sparire tempo fa,
perso fra i mille cunicoli del paese. Eppure continuava a persistere dentro alle sue narici.
E non era normale che lei provasse tutto quel attaccamento verso un profumo che non avrebbe dovuto
essere tale, non nella sua testa, almeno.
Perché era l’odore che lei aveva sempre
associato alla sconfitta.
Ma in fondo, era sempre stata consapevole del fatto che
Ino avrebbe cominciato a tramontare, prima o poi. E lei sarebbe emersa con prepotenza.
Era il profumo di una sconfitta. Che
però preannunciava una vittoria.
La bionda prima o poi sarebbe
caduta a terra, sgretolandosi. Non sapeva se avrebbe pianto.
Un urlo la riportò al mondo, in un istante.
Girò l’angolo con calma, senza preoccupazione alcuna, il
passo fermo e cadenzato. Riconobbe immediatamente le mura del palazzo Hyuuga, austere e consone
allo stile di vita estremamente severo del capofamiglia.
L’urlo probabilmente era stato di
Hanabi.
Non c’era nulla di diverso dalla realtà, dunque: il
capofamiglia stava straziando la figlia minore con i suoi dispotici allenamenti
e nel frattempo devastava la mente della maggiore con i sensi di colpa. Il
tutto mentre semplicemente stava seduto sul suo scranno dorato.
Non poté far a meno di provare un moto di
odio istintivo verso quel uomo, che aveva costretto Hinata
a chiudersi sempre di più, fino a diventare la ragazzina fragile che era ora.
Lo odiò con tutta se stessa. Poi si ricordò che aveva una
vendetta da compiere
ma io non sono come lui
e si affrettò lungo la via.
All’ingresso della villa vide la maggiore delle due
sorelle appoggiata al muro, gli occhi bianchi chiusi e la testa china.
- Ciao, Hinata. –
- Oh… - lei si risvegliò dal suo apparente sonno e le
sorrise, arrossendo. – Buongiorno Sakura-chan. –
- Volevo solo salutarti, sto
partendo. –
A volte si chiedeva perché le risultasse
così naturale parlare con lei, che era così timida.
Non aveva mai capito cosa esattamente la legasse ad Hinata.
Solo dopo mesi aveva finalmente compreso: la voglia di
sentirsi amata.
- Parti? – Hinata la fissò per
un istante. – E dov’è il tuo coprifronte,
Sakura-chan? Se è una missione segreta
capisco, certo. –
- No, vedi… - non sapeva bene cosa dire. - … io me ne
vado. –
Gli occhi bianchi della moretta si strinsero con una certa
drammatica preoccupazione. – Il corpifronte… dov’è, Sakura-chan? –
-
Dove deve essere.
Lontano da me. –
Un urlo risuonò di nuovo fra le mura, violento e sorpreso.
Hinata sussultò. – Forse è meglio che vada, Sakura-chan. Sai,
io… -
- Si? –
La ragazza le sorrise dolcemente,
sfiorandole un braccio con la mano sinistra. - … io vorrei avere il tuo stesso
coraggio. –
- Ce l’hai, Hinata.
Credimi,
tu puoi. –
Annuì un’ultima volta e continuò per la sua strada.
Finita casa Hyuuga, incominciava
la casa dei morti.
Il cimitero era dolce, quella mattina, avvolto ancora da
un leggero strato di nebbia che andava velocemente diradandosi.
Scorse l’ombra di Kakashi
avvicinarsi alla lapide dei caduti e sfiorarla ripetutamente, come se quel
gesto avrebbe consentito al tempo di tornare indietro,
e a Obito di tornare a casa.
Ma la mano del suo maestro si muoveva
ossessivamente avanti e indietro, senza alcun risultato apprezzabile.
Il movimento continuava. Le lacrime scendevano.
L’occhio rosso che era simbolo di sconfitta piangeva e piangeva, ancora.
Sakura pensò che nessuno avrebbe mai dovuto subire tutto
quel dolore da solo. Nemmeno lei.
Pregò [chi prego, io?] che l’anima di Obito fosse serena, e che
potesse vegliare sul relitto di uomo che ora piangeva in silenzio, a pochi
metri da lei.
Il pensiero immediatamente successivo fu che avrebbe
preferito trovare Sasuke lì, sotto la terra.
L’assurdo desiderio di stabilità e permanenza.
Ti vorrei morto ma a
casa.
Perché da vivo sei lontano.
Salutò Kakashi col pensiero e
proseguì.
Casa Uchiha, per sentirsi
meglio.
I vetri delle finestre imploravano pietà, contornati dal
colore ormai spento delle persiane, occlusi dalla polvere e dalle ragnatele.
Tutto di quel Clan chiedeva aiuto: lei non si sentiva
pronta a darlo.
Scosse la testa e passò oltre, arrivando infine al termine
del villaggio, pronta [non è vero] ad osservare l’orrore più grande che Konoha avesse mai concepito.
Naruto Uzumaki colpiva
ripetutamente l’albero davanti a lui, i colpi sicuri e la
mente diretta verso due unici obbiettivi, entrambi sacralmente
rivolti al suo villaggio.
Quello stesso villaggio che pareva volerlo vomitare, per
espellerlo.
Sakura vide le occhiate penetranti che, come al solito, gli abitanti riservavano al ragazzo. Pensò che era stata una di loro.
Desiderò morire, e risolvere tutto una
volta per tutte.
Poi volle credere che c’era un
futuro migliore per tutti.
Di nuovo un’occhiata al suo migliore amico.
Non credé più a nulla.
Non c’era limite alla cattiveria che la gente poteva anche
solo concepire, così volle escludersi dal gruppo.
- Naruto! – lo chiamò. – Ehi Naruto! –
Lui si volse immediatamente, perdendo quella strana aria
seria che non gli si addiceva per niente e inventando dal nulla un sorriso
bellissimo. – Ciao, Sakura-chan. –
Il sorriso era bello ma era
finto. Finto e preoccupato.
- Volevo solo dirti, Naruto… -
- Si, Sakura-chan? –
Lei gli afferrò la felpa e lo strattonò, avvicinandolo a sè. Lo baciò piano e con grande
riverenza. – Volevo dirti che sei sempre stato il mio
migliore amico. –
Un colpo al collo, di sorpresa.
Gli occhi del biondo che si appannavano, contratti.
Una frase per salutarlo. – E
perdonami se sono come lui, ora. –
Si allontanò in fretta, senza mai girarsi.
C’era
stato un tempo in cui Ino era stata sua rivale – amica.
C’era
stato un tempo in cui Hinata aveva amato parlare con
lei.
C’era
stato un tempo in cui Kakashi era stato il suo
maestro.
C’era stato
un tempo in cui Naruto Uzumaki era stato il suo
migliore amico.
Questo tempo durò un anno.
Poi
anch’esso finì.
I wanted
I wanted you to stay
La sua lingua era sempre stata un po’ particolare: lunga,
ritorta e guizzante.
Descrizione che alla fine poteva
anche essere facilmente adattata al suo proprietario. Orochimaru non aveva mai pensato
ad una descrizione che lo racchiudesse pienamente: era
fermamente convinto che i fatti parlassero per lui e di certo, in quel senso,
non si sbagliava affatto.
La fama che gli si era velocemente addossata addosso non era il risultato di nessuna esasperazione narratologica. Semplicemente la sua crudeltà
era tale che nessuno scrittore avrebbe mai saputo inventare di meglio.
Il serpente osservò con una certa studiata calma il
villaggio che si stagliava sotto di lui – un’immagine premonitrice, pensò – e
fece emergere un piccolo sorriso sul suo viso.
- A quanto pare, - disse – è
giunto il momento di recuperare ciò che è sempre stato mio di diritto. –
Kabuto gli sorrise
in risposta, chinando il viso verso il centro di Konoha.
– La volpe, maestro. –
- La volpe. – ripeté lui. – La volpe, il mio marchio e non
solo. –
E se uno scrittore fosse passato di
lì per caso, avrebbe sicuramente annotato quella frase.
Sasuke guardò sua moglie per un breve
istante.
Sentì il sangue defluire rapidamente dal suo viso.
Non era pronto per affrontarlo.
Non poteva rischiare di perdere.
- Dillo ancora. – balbettò incredulo.
Sakura Haruno Uchiha sbuffò e per la ventesima volta in dieci minuti si decise
a pronunciare quella frase che pareva atterrirlo alla morte. – Sono incinta. –
- Oh mio… - il ninja deglutì.
Deglutì ancora perché non si ricordava di averlo fatto e deglutì una terza volta giusto così, per essere sicuri.
- Ma quando è successo? –
L’ANBU della squadra medica aspettò un
secondo prima di rispondergli, giusto per essere sicura di non
scoppiargli a ridere in faccia, e quindi alzò le spalle, indecisa. – Beh, al
prato, alla festa di fidanzamento di Naruto, nella foresta… - e mentre elencava
alzava gradualmente la voce.
- Va bene, va bene. – l’Uchiha la fermò, terrorizzato. – Ho fatto una domanda
stupida. –
Le parole della moglie furono come una sconfitta
definitiva. – Già. –
Si fissarono un po’ stupidamente negli occhi per qualche
istante, conditi entrambi con sorrisi zuccherosi e teneramente sinceri: la calma quasi immobile nella sala dava un senso di
tranquillità quasi incredibile.
Sasuke non aveva mai pensato di poter
tornare nella tenuta degli Uchiha e riuscire a
rimanerci senza paure o timori.
E invece era lì, a sorridere come un
bambino.
Il suo sorriso era bello. E
sincero.
Il rumore violento della porta d’ingresso sbattuta contro
lo stipite li fece sussultare: entrambi si voltarono
ansiosi verso l’atrio della tenuta, osservando la figura scomposta di Naruto
avanzare verso di loro col volto stravolto. – Sasuke,
Sakura! –
L’ombra della paura negli occhi azzurri.
- Naruto, cosa…? –
- Sta arrivando, dovete scappare da qui, assolutamente…
lui vuole voi. –
Gli occhi che erano di solito così scioccamente
felici erano macchiati dalla frenesia. – Lui… -
- Cosa? –
- Orochimaru. –
Un nome, una minaccia.
E tanta paura.
- Sakura, stai indietro… -
- Sasuke? –
Il moro fece una smorfia. – Non so come abbia fatto, ma sa che sei incinta. Pensaci, non avrebbe
senso altrimenti: è vero, ho il suo marchio, ma perché cercarmi proprio ora, e
non prima? No, lui sa benissimo cosa vuole ottenere da questa
incursione. –
Naruto sbatté gli occhi. – Incinta? –
Nessuno gli rispose. Sasuke si
voltò verso di lui, velocemente. – Anche tu, Naruto, è
meglio che non ti faccia vedere. Non è certo un mistero che lui voglia la tua volpe a nove code. –
L’esplosione risuonò incredibilmente quieta nel bel mezzo
del cortile pieno di polvere, sorprendente ma non certo inattesa.
Il vento spazzò le tre figure riunite e andò ad
infrangersi contro la facciata della casa, che scricchiolò inquietantemente,
cedendo in alcune parti di legno.
Un pezzo di cornicione precipitò vicino
a Sakura che, per evitarlo, finì addosso a Naruto, facendoli cadere
entrambi a terra.
Sasuke Uchiha
volse velocemente lo sguardo da Orochimaru ai due amici, e poi di nuovo sul sennin.
Occhi gialli che lo fissavano, silenti.
Ghigno
minaccioso impresso sul volto di
marmo.
- Ci si rivede, Sasuke Uchiha. Ti trovo… cambiato. – le sue pupille verticali si
spostarono lentamente dal moro alla kunoichi, mentre quel sorriso gelido e
dannatamente inespressivo si ampliava sempre di più, andando di pari passi con
l’aumentare della paura della ragazza.
Naruto
le si parò davanti.
Orochimaru agitò una mano, apparentemente annoiato. – Volevo dire… vi trovo cambiati. –
- Cosa vuoi da
noi? –
Scintillio pericoloso. – Oh, tu sai benissimo cosa voglio.
–
- Lasciaci in pace, e sparisci. – una
frase di segreta speranza e preghiera, il disprezzo sul viso dell’altro.
- Non avrei alcun profitto da tutto ciò. E sai bene che quando voglio una cosa me la prendo. –
La sua lingua era sempre stata un po’ particolare.
Guizzando rapida con una velocità incredibile poteva colpire avversari con
precisione invidiabile.
E fu appunto così che fece, come
guidata da una mano invisibile.
Sasuke saltò in alto, schivando al pelo
l’attacco del sennin, muovendo freneticamente le mani
passando da un segno all’altro. – Katon! Kage no jutsu!
–
La sfera di fuoco gli incenerì giusto le punte dei
capelli. – Vieni via con me. – gli disse piano. – Io
posso darti il potere che hai sempre desiderato. –
L’Uchiha [il sangue è sempre sangue] lo fissò con astio. Atterrò a terra, prendendo
fiato. – Non desidero più niente se non la pace e la tranquillità. –
Orochimaru rise. – Mi fai solo pena, se le tue sono
davvero parole veritiere. Tu che avevi sempre sognato una
crudele vendetta. –
Non ci fu risposta.
Entrambi sparirono alla vista dei
due rimasti a terra. Solo suoni distanti e soffocati
segnalavano, a volte, la loro continua presenza.
Sakura osservava il vento muovere gli alberi.
Un unico pensiero fisso nella testa, come un chiodo.
Non andare via.
Il sangue macchiava la terra, ed era sangue
rosso misto a sangue nero. Uno spettacolo inquietante.
I due non erano ancora ricomparsi. Sakura osservava le
piccole gocce di liquido rosso comparire improvvisamente in mezzo al cielo e
cadere velocemente verso terra, come pioggia.
Pioggia
di sangue.
Naruto
muoveva gli occhi freneticamente.
A quanto
pare, riusciva
a vederli.
Una voce nel buio – Vieni via con
me. –
E ancora nessuna risposta.
L’inquietante silenzio rimbombava nella mente di Sakura,
simile ad una roccia impietosa nella sua continua caduta.
- Vieni via con me, Sasuke Uchiha. –
Finalmente una risposta. – Non lo farò mai. –
E c’era tutta la loro vita, in
quelle quattro parole.
Sangue che cadeva come acqua. Un corpo inerme e senza vita. Una
lingua senza più padrone.
La ragazza cadde a terra.
Un pensiero divenne preghiera e poi ululato.
Ululato che sapeva di pianto e di vittoria.
'Cause I needed
I need to hear you say
That I love you
I have loved you all along
La sua lingua era sempre stata un po’ particolare: lunga,
ritorta e guizzante.
Descrizione che alla fine poteva
anche essere facilmente adattata al suo proprietario. Orochimaru non aveva mai pensato
ad una descrizione che lo racchiudesse pienamente: era
fermamente convinto che i fatti parlassero per lui e di certo, in quel senso,
non si sbagliava affatto.
I suoi denti erano coltelli impietosi sulla sua guancia, la saliva calda e vischiosa.
Il morso bruciava come l’Inferno. Sakura si trattenne
dall’urlare solo per un istintivo moto di orgoglio.
[E vanità sarà il tuo peccato].
La labbra di lui, roventi, giocavano a
sfiorare la pelle del suo viso, occasionalmente, mentre il fiato stranamente
gelido ne atrofizzava ogni parte
sensibile. Stargli vicino era come essere dilaniata in
due.
Un sussurro sull’orecchio destro la fece rabbrividire. Un
gemito uscì incontrollato dalle sue labbra.
Orochimaru rise silenziosamente addosso a lei, le labbra
di nuovo premute sulla guancia.
- Ancora una volta, voi di Konoha
riuscite a stupirmi. –
Un fruscio e lui le diede le
spalle, entrando nella sua capanna.
Il villaggio del Suono – a dispetto del nome – era un’oasi
di relativa tranquillità, in cui il vento spazzava crudele ogni cosa si trovasse sul suo cammino, e la polvere, sua fedele alleata,
penetrava in ogni fessura. L’architettura del posto, seppur rudimentale,
trasmetteva una sensazione di pace interiore e le case, quadrate e geometriche,
erano nidi accoglienti.
I ninja erano persone e come
tali si innamoravano.
Oto contava venticinque famiglie e diciannove bambini,
tutti iniziati all’arte della guerra.
Che fine faranno, una volta terminata?
Ciononostante, in quei suoi due giorni di permanenza al
villaggio aveva anche sentito delle risate animare le strade e perdersi nel
vento.
Risate.
Lo sguardo di Sakura cadde su una finestra vicino a lei.
Occhi stanchi e appannati, in un certo senso cattivi. Capelli
rosa più corti del solito. Corpo magro, forse troppo. Zigomi arroganti
e pronunciati.
Naruto avrebbe riso di lei. Probabilmente avrebbe detto che quel espressione non le donava.
Viso acuto, viso strano, viso
segnato e monoespressivo.
Viso rosa con nero.
Viso da traditrice.
Il suo riflesso pareva deriderla, deridere lei e quel
segno che, spiccando vistoso sulla sua guancia
sinistra, era un oltraggio a tutti i suoi vecchi ideali.
Sakura.
Il marchio era come un
fiore fiorito prepotentemente sulla sua pelle.
E bruciava come l’Inferno.
Aveva buttato lo
zaino a terra e lo aveva immediatamente raggiunto, sfinita.
Oto era a soli centro
metri da lei, ma non aveva avuto la forza per proseguire: i suoi piedi bruciavano
e le caviglie erano graffiate e tremolanti.
Sospirò.
Non sapeva esattamente quando le fosse venuta in mente quel idea
malsana.
Battere Sasuke Uchiha
nello stesso modo in cui lui aveva “battuto” lei. Tutto nato dall’orgoglio che andava man mano sviluppando, ogni
giorno di più.
Vivere viaggiando acuiva
i sensi e istruiva sulla vita.
Sakura si sentiva
orgogliosa di sé, nonostante avesse deciso di abbandonare il suo villaggio per
una sciocca vendetta.
Proprio come lui.
Il pensiero sfrecciò
nella sua mente: se vi produsse qualche effetto, lei non lo diede a vedere.
Vendetta.
[E vanità sarà il tuo peccato.]
- Guarda guarda chi abbiamo qui, Kidoumaru. –
Dannazione.
Era così stanca che
non li aveva nemmeno sentiti arrivare.
- Un pesciolino
grosso, ne, Tayuya? –
- Un membro della
famosa e ormai dispersa squadra sette. Pensavo che tu,
piccola ragazzina, fossi ancora a casa a piangere. –
- Uh? –
La suonatrice aveva
assunto un’aria estremamente seccata.
- Haruno Sakura, Jiroubo-baka!
È la ragazzina infatuata del nostro Sasuke-kun.
–
- Ah, si. Quella… -
Sakura allungò un
piede e gli colpì la gamba sinistra con violenza.
Tayuya l’afferrò per i corti capelli
rosa, strattonandola verso il basso. Doveva essere
un’abitudine delle ragazze del Suono, pensò la kunoichi.
- Ragazzina non ci
provare mai più. – un sibilo come quello del suo flauto maledetto. – Non ci
metto niente a farti fuori. –
Un movimento veloce,
un colpo al basso ventre e una testata.
Tayuya era caduta al suolo rantolante per
il dolore al viso.
Cinque linee
parallele che erano disprezzo puro.
- Solo IO… - sputò
Sakura – Ho il permesso di chiamarlo Sasuke-kun. Puttana. –
Tayuya ringhiò. Sakon le si parò davanti e con un calcio al petto
colpì Sakura, che cadde all’indietro. Kidoumaru non ci mise nulla,
ad intrappolarla.
Debole.
Poteva essere più
forte di Tayuya ma era debole.
Non aveva una tecnica
sua.
Ed era debole.
- Brutti maiali lasciatemi ora. Devo parlare con Orochimaru. –
[E vanità sara il tuo peccato]
Distolse lo sguardo chiaro dal riflesso e prese a
camminare per la città, la testa alta e le spalle dritte come le era sempre stato insegnato e come lei non aveva mai imparato
a fare.
Fino ad ora.
Il vento era suo perenne compagno.
- Quasi non ci credo. –
- Potresti evitare
l’ironia? –
Occhiata bianca e
furente.
- Non lo farò mai. –
E dentro quelle quattro parole c’era
tutto il suo futuro.
- Posso migliorare. –
Orochimaru aveva
riso.
- Non è per quello,
piccola sciocca. La volpe a nove code tiene a te come una
sorella, sarei un pazzo ad attirarmi la sua ira. – si fermò un secondo. – Più di quanto non abbia già fatto. – aggiunse poi.
- Io voglio vendetta. –
- Chi non la vuole,
dolce Sakura? –
Il pensiero di Sasuke la distrusse.
Due bambini le passarono davanti guardandola straniti.
Era evidente che non avevano mai visto
una persona di Orochimaru con un marchio in quella strana posizione.
Una persona di Orochimaru: le
faceva effetto pensare a quella frase.
Ma era vera, drammaticamente vera. Il
suo corpo apparteneva ad Orochimaru.
In più di un senso.
- E
qualora ti accettassi come mia servitrice? –
- Te ne sarei per
sempre riconoscente. –
Sorriso diabolico. –
Non mi basterebbe. –
- Lo so. – lei aveva
alzato lo sguardo e lo aveva fissato. – Io voglio il tuo marchio, Orochimaru. E tu, cosa vuoi? –
Un altro sorriso.
Naruto
avrebbe riso di lei e della sua avventatezza.
Sasuke
le avrebbe detto che era noiosa e prevedibile.
Ma
nessuno dei due era lì con lei e Sakura si sentiva tremendamente sola.
Lei cosa
avrebbe detto di se stessa?
Sentì il
vento sulla pelle e la sabbia fra i denti.
La vera
lei non rispose.
Forse
perché non c’era più.
Il marchio sulla
guancia l’aveva portata al limite.
Aveva preteso un
potere pressoché infinito ed era stata punita.
Fra i dolori della
lunga agonia, però, c’era sempre stata la sua voce da serpente che le
sussurrava parole violente.
Lui si era
preso il suo corpo.
Il suo coprifronte.
Il suo
orgoglio.
Ma la
vanità era rimasta.
Così come
la rabbia.
And I forgive you
For being away for far too long
Era una sensazione particolare, quella che Sakura sentiva
sulle sue braccia.
Il peso di una responsabilità fortemente
voluta, addirittura desiderata.
Il neonato emise un vagito lungo e tranquillo,
gorgogliante. La donna aveva gli occhi chiari che brillavano quanto delle
stelle cadenti la notte di NovaStella.
C’era tepore sulle braccia di Sakura ed era un tepore che
si espandeva lungo tutto il suo minuto corpo da ANBU. La donna spostò lo
sguardo verso il marito, soffermandosi sulla lunga cicatrice che tagliava
esattamente a metà la sua guancia destra.
L’addio ad Orochimaru aveva preteso un pagamento, ma la
kunoichi non se ne curava affatto. Sasuke
era sempre rimasto il suo Sasuke.
Adesso il moro era come paralizzato dalla felicità, il
labbro inferiore che tremolava leggermente, come Sakura non l’aveva mai visto
fare.
-
Non… può essere
vero. –
L’Haruno piegò un sopracciglio.
– Hai ragione, è troppo bello per essere figlio tuo. –
Il neonato aveva una piccola peluria nera e liscia sulla
testa, occhi scuri e profondi. Quello sinistro, in particolare, aveva una
pagliuzza d’azzurro a segno distintivo.
- Sembra così… fragile. –
- Lo è. Dobbiamo prenderci cura di lui come se fosse un
tesoro. –
Sasuke la guardava e sembrava
stesse guardando l’imperatrice di tutto il mondo conosciuto. Il bagliore
nei suoi occhi scuri era come un’eterna fonte di felicità a cui abbeverarsi
costantemente.
- Lo faremo, non è vero, piccolo Kaoru? –
Il neonato emise un nuovo vagito e fu come rinascere.
Erano lentamente
tornati alla normalità dopo l’attacco di Orochimaru.
Sakura aveva
personalmente guarito la ferita del marito, con la massima attenzione.
Sasuke si era preso cura della moglie
che, con qualche difficoltà, era riuscita a superare l’accaduto.
Spesso la donna si
sorprendeva a chiedersi che razza di famiglia fossero,
loro.
Una ragazzina
insicura diventata ANBU.
Un bambino con un
gigantesco orrore alle spalle.
Eppure resistevano.
E non importava se c’erano stati momenti di abbandono.
Felici, erano colla uno per l’altro.
Uno per volta in una processione infinita, tutti i
conoscenti dei due mettevano la testa nella porta, curiosi.
Naruto spalancò un sorriso gigantesco alla vista del
bambino, correndo immediatamente ad abbracciare Sakura, quasi spazzando via Sasuke nella foga.
- Che diamine… -
- Oh scusa, Sasuke. –
- Stai attento, baka,
potresti fare del male a Sakura e Kaoru! –
Kaoru.
Il suo nome era così dolce quando
era lui a pronunciarlo, pensò la donna.
- Sakura? Sakura, ti sei incantata? –
- Secondo me stava pensando al
fatto che ha sposato un uomo stupido. Ne,
Sakura-chan? –
- Non chiamarla Sakura-chan! È mia moglie! – ululò l’Uchiha.
- Ma sono lo zio di Kaoru-chan e faccio quello che mi pare e piace! –
I due cominciarono a rotolare per la stanza, incuranti
della ragazza che li guardava, un mezzo sorriso aperto sul viso.
Era così bella la quotidianità della loro giornata, senza
sorprese ma non per questo noiosa.
Sakura gettò il viso verso la luce del sole e pensò che
niente poteva essere più bello.
E non si sbagliava.
So keep breathing
'Cause I'm not leaving you anymore
Believe it
Hold on to me and, never let me go
Era una sensazione particolare, quella che Sakura sentiva
sulle sue braccia.
Il peso di una responsabilità fortemente
voluta, addirittura desiderata.
Casa sua era maledettamente piena di spifferi, che non era riuscita a saldare nemmeno con l’utilizzo di alcuni jutsu elementari. Così il freddo penetrava all’interno
della camera da letto, sfiorando con ben poca riverenza le sue braccia,
lasciate scoperte dalla coperta leggera e troppo corta, che non riusciva a
coprirle tutto il corpo.
Maledette notti d’inverno, che erano
impietose nella loro bellezza e trasparenza.
Insonnolita, sbuffò, decidendo di sfruttare quelle ore –
che ben difficilmente avrebbe potuto dedicare al sonno – continuando
l’allenamento a cui si stava sottoponendo sotto la cura di Orochimaru.
Sakura aveva scoperto che la fama di
quel maledetto serpente era tutto fuorché immeritata: la sua potenza non
aveva limiti, la crudeltà nemmeno.
Aprì la porta di casa e si diresse verso l’arena, passando
attraverso viottoli disabitati e inquietantemente silenziosi. Le mancava la
temperatura mite di Konoha, così come le mancavano le
stelle che era solita osservare quando non riusciva a
dormire.
Nuova vita, nuovo villaggio,
nuovo cielo.
Non riusciva a dimenticare Naruto, sebbene fossero ormai
passati sei anni da quando era stata assoldata da
Orochimaru con quel morso violento.
Chissà cosa starà
facendo ora.
Chissà se è diventato
il quinto Hokage.
Ci teneva così tanto che io fossi presente alla cerimonia.
L’arena era enorme e impietosa.
Stendardi neri erano lasciati in balia del vento,
penzolanti dai vari palchi, macchiati di sangue come tutto il terreno sabbioso
che ricopriva la piattaforma di combattimento.
Ci erano voluti mesi, ma alla fine
Sakura Haruno aveva capito da dove veniva tutta
quella sabbia.
Nel bel mezzo della pista una piccola figura ansante si
muoveva lentamente, con movimenti imprecisi e esitanti,
i lunghi capelli sciolti al vento.
Sakura sospirò. Avrebbe dovuto aspettarselo.
- Tsubaki! – la richiamò – Tsubaki smettila
immediatamente! Fa troppo freddo per te, qui –
La figura si volse verso di lei con un sorriso. Una
bambina di otto anni, non di più, lo guardò con
sguardo ammirato.
Gli occhi di un armonioso verde
foresta
l’osservavano, tutti attenti. Corse verso di lei, in un
turbinio di capelli neri leggermente arricciati verso le punte.
- Finalmente sei arrivata! – le urlò – Nee-san,
dove eri finita? –
Era appena uscita dal
dojo privato di Orochimaru
dopo il consueto massacrante allenamento. Non riusciva a guardare niente che
non fosse la strada davanti a lei e i suoi piedi che, affaticati, la portavano
lentamente verso casa.
Improvvisamente un
mugolio soffocato aveva attirato la sua attenzione.
Girato l’angolo aveva
notato un fagotto di stracci sfatti e puzzolenti che tremava violentemente.
- Ehi, tu.
Che cosa fai? –
- … -
- Beh ci vediamo. Ciao ciao.
– e aveva fatto per andarsene.
La voce l’aveva
richiamata. – La mia mamma e il mio papà sono morti. –
Sakura aveva
sospirato. Una minasigo del villaggio dell’Erba, probabilmente. Un posto pacifico,
che di certo non si aspettava di venire attaccato da
Oto con tutta quella crudeltà.
Non aveva partecipato
all’azione, ma Orochimaru le aveva brevemente riferito
che non avevano trovato alcuna resistenza.
Evidentemente quel
fagotto di stracci aveva un chakra interessante, per cui alla fine era stato deciso di portarla al villaggio
per allenarla.
Peccato che se ne
fossero dimenticati.
Era tornata indietro,
incurante dei mugolii del fagotto, e aveva fatto irruzione nella capanna del
suo maestro. – Orochimaru-sensei le devo parlare. –
Il serpente aveva
alzato gli occhi gialli su di lei. Uno schiocco di labbra le annunciò che
poteva. – Una bambina sta fuori all’incrocio della quarta via con la via
principale. Dell’erba, credo. Non l’hanno affidata a nessuna famiglia. A chi posso portarla?
–
Orochimaru aveva
riso. – Nessuno l’ha voluta. –
- E
se posso, come mai? –
- Troppo tenera, mi
hanno detto. –
- Si può imparare. –
- Anche
tu, Sakura, sei sempre stata un po’ troppo emotiva. –
- Mi so controllare ora.
–
Il suo sensei aveva riso diabolicamente. – è l’unica cosa che non sono riuscito ad insegnarti: tant’è
vero che quando ti ordinerò di prenderla in casa tua, non ti opporrai. –
Aveva aggrottato le
sopracciglia. – Stai scherzando. –
- Niente affatto. Puoi andare, Sakura. –
E con un gesto della
mano le aveva fatto capire che il discorso poteva
anche considerarsi chiuso.
La ragazza era uscita
dalla casa furente. Era tornata all’incrocio delle vie e aveva urlato. – Alzati
immediatamente! – gli occhi verdi della bimba si erano contratti dal terrore. –
Forza, a casa. –
- Io non ho… casa. –
- Io si, invece. –
Occhi verdi e
penetranti che avevano sorriso.
Il legame con Tsubaki – questo
il suo nome – si era fatto sempre più intenso mano a
mano che le due crescevano insieme, fino a che la bimba non aveva deciso di
rivolgersi a lei chiamandola “sorellona”.
Sakura si era sentita triste: quando aveva dieci anni
immaginava davvero una bambina dagli occhi verdi e i capelli neri che la chiamasse mamma.
Ma si figurava anche Sasuke Uchiha che le stringeva una mano
con occhi innamorati e Naruto al suo fianco, con un enorme sorriso aperto sul
volto.
Aveva sempre desiderato chiamare sua figlia Akegata, alba, e non Tsubaki,
demone dell’orchidea.
Ma quella bambina, nonostante non
fosse mai riuscita ad ammetterlo, era tutta la sua vita.
- Avanti, dimmi come
ti chiami. –
- … -
- Forza, dovremo
vivere insieme per un sacco di tempo. Non posso chiamarti se non so il tuo
nome. –
Nessuna risposta, solo occhi verdi adirati nascosti da ciocche nere
come le ali dei corvi.
- Va bene, ti darò un altro nome. Che ne dici di Akegata? –
Occhi furenti. – No. –
Sakura aveva
inclinato un sopracciglio. – No? –
- Tsubaki. Mamma mi ha chiamato Tsubaki. –
La giovane aveva
sospirato. – Vada per Tsubaki. –
- Ragazza… tu sei
simile alla mia mamma. Ma la mia mamma era dolce con me. Perché sei così triste? –
- Non sono affari tuoi. –
- Le persone sorridono quando sono contente. –
- Questo lo so anche
io. –
- Ragazza, perché
non sorridi? –
- Mi chiamo Sakura. Non sorrido perchè non mi va di sorridere. –
- Quindi
sei triste? –
La disarmante logica
dei bambini non lasciava spazio a repliche.
- No. –
- Però
non sorridi. –
Occhi Verdi lucidi
con qualche lacrima di contorno.
- Perché sei triste? –
- Non… -
Tsubaki era scoppiata a piangere. – Non
voglio che qualcuno sia triste. La
mamma è triste, se piango?
–
- No, Tsubaki. –
Sakura era uscita
dalla stanza con la mente confusa, senza che riuscisse a capire l’origine di quel
turbamento.
Non aveva mai più visto Sasuke.
Sapeva benissimo che Orochimaru faceva di tutto perché non si
incontrassero, in modo da non poter creare confusione.
Anche perché il sennin
si era accorto – con un qual certo piacere – che l’allenamento di Sakura aveva
dato i suoi frutti.
Se quei due avessero deciso di
combattersi non sapeva che cosa e chi sarebbe uscito intatto.
- Nee-san, che cosa fai? –
- Sto pensando, Tsubaki.
Che cosa fai qui? –
- Mi stavo allenando per diventare forte come te, mamma. –
- Ti ho già spiegato che la mia forza non dimostra niente,
Tsubaki. È solo un grosso contenitore. –
- Ma Mizu-san mi ha detto che ti devo venerare perché tu sei forte, e la forza è
tutto. Anche Tuti-san lo
dice sempre. –
Sakura portò lo sguardo sulla bambinetta
che, tremante per il freddo, si nascondeva le braccia dietro il corpo. Sospirò.
– Mizu e Tuti sono solo
degli sciocchi, piccolina. Piuttosto, ti hanno picchiato di nuovo, non è vero?
–
Tsubaki chinò improvvisamente gli occhi
verdi e si dedicò al terreno sotto i suoi piedi. – No, - disse – perché? –
- Stai nascondendo le braccia. Passerò da loro domani, e
dirò loro di smetterla. –
Dopo un anno di vita insieme, Tsubaki
era stata affidata ad un'altra famiglia di Oto.
Sakura non aveva tempo per dedicarsi ad una bambina
piccola.
- Sakura-san! –
- Tsubaki,
cosa vuoi ancora? –
Non si era ancora
abituata a trattarla con dolcezza, nonostante avessero condiviso la stessa casa
per quasi un anno.
Ma la bimba ci aveva fatto
l’abitudine, e niente le impediva di adorare lo stesso la kunoichi.
- Volevo sapere come stai, Sakura-san. –
- Va tutto bene. –
- Però non sorridi mai. –
- Non sono affari
tuoi, Tsubaki. –
- Mizu-san
ti saluta, a proposito. E ti chiede per cortesia di
non portarmi più fuori a pranzo senza avvisarla. –
- Tsubaki… -
- Si, Sakura-san? –
- Vuoi che smettiamo
di uscire a mangiare? –
La bambina aveva
scosso la testa, spaventata. – No! –
- Allora temo che Mizu-san dovrà fare a meno di te, ogni tanto. –
Sakura odiava quella
donna. Era quasi sicura che picchiasse Tsubaki ogni
volta che beveva, e da quanto la vedeva frequentare
la piccola osteria di Oto, dovevano essere parecchie
le volte in cui aveva alzato le mani sulla bambina. Suo marito era un uomo
crudele che credeva solo nella forza, e rispettava chi fosse
in grado di batterlo a duello.
Entrambi detestavano Tsubaki: nell’attacco
al villaggio dell’erba in cui la bimba era stata catturata, il loro unico –
insopportabile – figlio era stato ucciso da uno shuriken
vagante.
Sakura lo aveva
sempre considerato un cretino incapace di qualsiasi cosa, e la sua morte non
aveva fatto altro che confermare la sua impressione.
- Sakura-san? –
- Scusa, mi ero distratta. Cosa vuoi? –
Tsubaki, squadrandola dalla balaustra su
cui giocava a stare in equilibrio, le aveva indicato
una figura che avanzava minacciosa verso di loro. – Credo che Mizu-san stia venendo qui. –
- Stai attenta a non
cadere, piuttosto. Della tua matrigna me ne occupo io.
–
L’altra aveva annuito
tranquilla.
Infine la terribile
donna era giunta davanti a loro, facendo un inchino ossequioso. – Stimata Sakura-san… -
- Mizu-san.
–
Quella doveva aver
preso il saluto – più che altro, una constatazione – come una sorta di permesso
di rivolgersi alla bambina. – Dove sei stata? –
Tsubaki aveva alzatp
gli occhi spaventati su di lei. – Qui. –
- Non essere sciocca.
–
- Io non sono sciocca.
–
Evidentemente aveva bevuto. Aveva preso un
braccio di Tsubaki e lo aveva scosso violentemente,
facendole perdere l’equilibrio. Sakura aveva visto, come al rallentatore, il
corpo della bimba piegarsi innaturalmente all’indietro, per poi oltrepassare la
balaustra verso lo strapiombo.
- Tsubaki! –
L’aveva fortunatamente presa al volo.
Poi si era voltata verso Mizu-san
con un odio talmente vivo negli occhi che l’altra aveva immediatamente fatto un
passo indietro.
- Sparisca. –
Quella era sparita in
un attimo.
Sakura aveva fissato
la bambina. – Come stai? Tutto bene?
–
Tsubaki aveva annuito. Poi era scoppiata a
piangere con una tale disperazione che l’altra aveva sentito il suo cuore
stringersi con forza. – Nee-san… ho avuto paura! –
- Va tutto bene, Tsubaki. –
- Nee-san! –
- Nee-san, ti sei incantata di
nuovo. –
- Vai a casa, Tsubaki. – disse
con un piccolo sorriso. La bimba le sorrise a sua
volta e sparì correndo fra la polvere.
Non capiva come fosse potuto succede.
Prima del suo arrivo la ragazza aveva un unico obbiettivo da perseguire: usciva
dagli allenamenti senza un pensiero in testa, desiderosa solo di mettersi a
letto e poter chiudere gli occhi.
Poi, piano piano, aveva scoperto
che c’erano volte in cui voleva sentire quella piccola voce lamentosa scaldarle
la notte.
Sospirò volgendo gli occhi alle nuove stelle.
Il freddo era tornato con l’assenza di Tsubaki.
Pensò di nuovo a Naruto e al figlio che forse avrebbe
avuto da lui, se fosse rimasta a Konoha.
Forse stava sbagliando tutto: aveva perso di vista
l’obbiettivo principale della sua vita.
Odiava Sasuke ma a volte, la notte, si sorprendeva a pensare anche a Tsubaki.
E questo non andava bene.
Si sentiva dannatamente incompleta, quasi vulnerabile. E non riusciva a capire se fosse una sensazione bella o
brutta.
Scosse la testa, caricando un colpo. Non doveva pensarci.
Ma perché non posso sorridere, io?
Il letto era diventato ghiacciato. Sakura sbuffò,
alzandosi di nuovo. Altra notte, altri spifferi: il
vento purtroppo, era sempre lo stesso.
Aprì la porta di casa per dirigersi all’arena, come ogni
notte.
Un mugolio attirò la sua attenzione, facendole chinare il
capo verso il basso, alla sua sinistra: appoggiata allo stipite della sua porta stava Tsubaki, costretta
in una posizione che le ricordava tanto il fagotto di cinque anni prima.
- Cosa fai qui, si può sapere? –
Un singhiozzo interruppe il silenzio. – Tsubaki? –
- Nee-san… -
Sakura si accucciò vicino a lei cercando di capire che
cosa non andasse. – Tsubaki…
-
- Nee-san, sono stati cattivi. –
la voce della bimba era un sussurro spaventato. Qualcosa bagnò la mano della
ragazza che si era protratta per sfiorarle il viso.
Sangue.
- Tsubaki! –
La prese in braccio e la portò dentro casa.
Si stupì di quanto fosse caldo
l’ambiente, quando prima sembrava freddo.
La ragazzina aveva contusioni ovunque, probabilmente anche
qualcosa di rotto. Respirava a fatica e non riusciva praticamente
a parlare senza emettere gemiti di dolore.
C’era una vocina fastidiosa nella mente della kunoichi che
le sussurrava quello che lei non avrebbe mai voluto sentire.
Voleva che Tsubaki rimanesse lì
con lei. Non voleva che se ne andasse.
- Tsubaki… -
- Nee… -
Gli occhi erano verdi e grandi e lacrimavano copiosamente,
ma Sakura vedeva solo quel verde appannarsi e scomparire piano piano, per andare lontano da lei.
- Non lasciarmi, ti prego…
Tsubaki.
–
La bimba aveva aperto la bocca rossa. – Mamma… dov’è la
mia… mamma? –
Un attimo per rispondere. – Qui vicino. –
- Tu… uguale… alla
mamma. –
-
Va bene,
Tsubaki, posso essere la tua mamma. Ma non andare via, Tsubaki… -
Lei aveva scosso la testa.
Poi, piano ed in silenzio, se ne era
andata.
Nella stanza faceva di nuovo freddo.
Era quando c’era lei, che era calda.
Sakura
chinò la testa sul corpo della bimba.
Di nuovo
quel dolore straziante.
Perché tutti coloro a cui chiedono di non
partire, poi se ne vanno?
Dieci
minuti dopo, Mizu-san e Tuti-san
erano solo cenere.
Forse
l’amore era più forte del desiderio di uccidere.
Ma
almeno quello non spariva.
La ragazza
gettò il viso verso la luce della luna e pensò che niente poteva
essere più bello della vendetta.
Ed anche
se si fosse sbagliata, non c’era nessuno a chiederle
di essere felice.
Keep
breathing
'Cause I'm not leaving you anymore
La luce del sole li aveva colti impreparati,
quel pomeriggio, così forte e vigorosa come non si vedeva da una
settimana.
Pensò che era un bel giorno per
essere felici.
-
… vero? –
Sakura distolse gli occhi dal giardino di casa Uchiha e dal bambino di tre anni che correva felice fra il
laghetto e gli alberi.
- Come scusa? –
Il quinto Hokage Naruto Uzumaki le rivolse un sorriso tenerissimo, pieno di aspettative. – Il piccolo Kaoru
è cresciuto, non è vero? –
La capofamiglia annuì con semplicità, togliendosi il
giubbotto da ANBU che minacciava di farla soccombere per il troppo caldo. – Lo
credo anche io. Non mi pare nemmeno vero. –
Il suo sguardo verde chiaro tornò a posarsi sul piccolo
dai capelli scuri che girava come un pazzo, mostrando
una felicità che sicuramente non aveva preso dal padre, senza contare la
notevole disinvoltura che certamente non era tipica della madre.
- Prima o poi lo consumerai, Sakura-chan. –
Lei rise. – Se ti sentisse Sasuke credo che ti ucciderebbe. Lo sai che non ti regge quando mi chiami così. Devi
capirlo, è semplicemente geloso. –
- Ah. – Naruto scosse la testa. – Quel baka
ha ben poco da lamentarsi, con tutto quello che ti ha fatto passare. Voglio
dire, anche prima ti chiamavo così, quando eravamo la squadra sette, ma non si
è mai lamentato per la situazione. Ti pare che adesso abbia il diritto di fare
qualcosa? Nossignore. –
Sakura continuò a ridere e lasciò che la sua risata si
espandesse nell’aria di aprile.
- E poi, per essere precisi, io
sono l’Hokage e lui è un pidocchiosissimo
ANBU. – tacque, per voi voltarsi verso la donna. – Senza offesa. –
Sakura Haruno Uchiha tirò un lieve sorrisino sulle labbra lucide. – Quando il famosissimo Hokage
Naruto Uzumaki avrà bisogno di guarire una ferita, il
pidocchiosissimo ANBU medico Sakura Haruno si guarderà bene dal farlo. –
Naruto l’osservò terrorizzato. – Ti prego
no, stavo ovviamente scherzando. Hinata è un
bravo ANBU ma quando mi deve curare le tremano sempre le mani. L’altro giorno
mi ha cerettato, per riuscire a fissarmi una benda
con la fascia adesiva.
–
Lei inclinò un sopracciglio. – E dire
che è tua moglie. Voglio dire, avete anche una figlia.
Non capisco di cosa si possa mai vergognare. –
- Mah. –
Un pianto risuonò nel giardino e i due smisero
immediatamente di parlare per volgere lo sguardo verso il laghetto.
- Bambini?
–
Il pianto era tipicamente femminile. – Per tutta Konoha… quella bimba è un danno. – Naruto si alzò dal
portico e si affrettò a raggiungere le sponde verdeggianti del piccolo lago.
Sakura lo seguì, quieta. Giunta anche lei sul luogo vide
subito qual era il problema.
La piccola Hotaru si era di nuovo fatta male.
Adesso Naruto cercava di consolare la figlia, che doveva
aver inciampato sui piedi di Kaoru ed essere successivamente franata a terra battendo un gomito.
Hotaru era assolutamente deliziosa, capelli biondi e occhi bianchi, portatori del Byakugan.
Ma era quanto di più timido si fosse mai
visto su quella terra.
Dal canto suo, invece, il piccolo Uchiha
l’osserva attento, fermo in un atteggiamento supponente che Sakura riconobbe
immediatamente essere quello del padre. Braccia conserte, mento alto, labbra
dritte.
Ma gli occhi osservavano febbrili il
braccio arrossato della sua amichetta.
Una lieve pressione fece sollevare gli angoli della bocca
di Sakura all’insù.
- Oy, Sakura-chan,
mi serve una mano per guarirla… potresti fare tu, per
cortesia? Ti giuro che gli ANBU non sono tutti pidocchiosi. Solo Sasuke.
–
La donna finalmente rise divertita. – Certo Naruto. Faccio
subito. –
Si chinò su Hotaru e poi levò lo
sguardo su Kaoru. – Tranquillo pulce, non è nulla. –
Il bimbo sbuffò e guardò altrove.
- Ritiro tutto. – Naruto osservò la
scena disgustato. – Anche tuo figlio è
pidocchioso, Sakura-chan: sta cercando di traviare la
mia adorata Hotaru. –
Sakura continuava a ridere come una pazza, una mano sul
ventre. Naruto la guardava accigliato. – Ma faccio così tanto
ridere? –
Una voce gli rispose, tagliente come al
solito, dal tono basso e profondo. – No, è la tua faccia che ispira risate. –
La donna lo vide e fu come respirare di nuovo, o tornare
alla vita.
- Baka Sasuke!
–
- Ti ho già detto di non chiamarmi così, baka. E non ti devi permettere di
usare quel suffisso con mia moglie. –
Sakura sbuffò. Gli occhi scuri di Sasuke
si spostarono su di lei, sorriso nascosto. – Com’è che ridi
così tanto solo con lui? –
L’ANBU medico alzò le spalle. – Sarà che lui è più
divertente di te. –
L’Uchiha levò gli occhi al
cielo. – Per carità. –
La voce di Naruto si levò lamentosa al cielo.
Il sole stava tramontando.
- Sai, stavo pensando… -
Sakura spostò gli occhi su di lui con un piccolo sorriso,
e strinse maggiormente la sua mano. Il piccolo Kaoru
dormiva tranquillo poggiato al suo fianco, il corpo coperto da un lenzuolo.
- Si? –
- Se me ne fossi andato non avrei
mai potuto star qui a stringerti la mano. –
- Non l’avresti mai fatto, Sasuke.
–
Lui sorrise. – Ti avrei portato via tutto questo. –
Lei scrollò la testa e i lunghi capelli rosa. – Sappiamo
benissimo entrambi che una cosa del genere non sarebbe mai
potuta succedere. –
Per fortuna quel pensiero funesto scivolò via dalla sua
mente con semplicità, e lei fu ben grata di poterlo dimenticare.
- Sakura, ti amo. –
Sorrise. – Dici poche cose ma a
volte azzecchi la frase giusta. Ti amo anche io.–
- Ti ringrazio. – le loro labbra si toccarono unendosi con
estrema dolcezza.
Lei si alzò prendendo il bimbo in braccio. – Vado a
mettere Kaoru a letto. –
Lui annuì.
Fu un attimo, e il piede su cui aveva poggiato tutto il
peso dei suoi corpi scivolò dal gradino del portico. Sakura si sbilanciò
indietro, perdendo l’equilibrio.
Sentì la testa sbattere con violenza sul terreno, la base
del collo urtata da qualcosa.
Poi fu tutto buio.
Il risvegliarsi [uccellini che
cantano] …
Believe it
Hold on to me and, never let me go
La luce del sole li aveva colti impreparati,
quel pomeriggio, così forte e vigorosa come non si vedeva da una
settimana.
Pensò che era un bel giorno per
essere…
… per essere.
Orochimaru cercava disperatamente un’ombra sotto alla
quale ripararsi. Ma l’Arena, a dispetto di tutto, non
aveva ombre.
Lei rimaneva ferma, sotto il sole, incurante del sudore e
del caldo. Era ferma in quella posizione da quando
l’aveva chiamata. – E quindi, Orochimaru-sensei?
–
- Sasuke si è ribellato a me. È
giunta la notizia che suo fratello sia tornato a Konoha
e che sia stato risparmiato dal terzo Hokage; in effetti Itachi Uchiha potrebbe rivelarsi utile in un eventuale scontro. Ma evidentemente il nostro Sasuke
non deve averla presa bene. Si sta dirigendo a Konoha
per raderla al suolo. –
Lei l’aveva finalmente guardato dritto negli occhi. – E dunque? Non mi pare sia un nostro problema. –
Anche se era quella
che un tempo chiamavo casa.
- Konoha mi serve intera. Mi
serve la volpe viva. –
Sakura Haruno aveva chiuso gli
occhi stanchi e segnati e poi gli aveva dato le spalle, allontanandosi. – Non è
vero e tu lo sai. Vuoi semplicemente che io e lui ci scontriamo
fino ad annientarci a vicenda. Ma sta pur sicuro di una cosa, Orochimaru… -
Si voltò. – Non esiterò ad ucciderlo, anche se possiede lo
sharingan che tanto desideri. Questa è la mia
vendetta. –
Il suo marchio si era illuminato e il viso era diventato
tela per quelle piume disegnate che erano segno di
sconfitta.
Il vento amico ormai era sua
costante scenografia, spettatore ed attore insieme.
La sabbia dell’Arena pareva avere vita propria. I suoi
capelli corti erano in balia delle correnti.
Eppure lei resisteva. – Schiaccerò quel
pidocchioso Sasuke Uchiha una volta per tutte. Non importa a che prezzo. –
Prese e si allontanò in silenzio, orme sulla sabbia a
testimoniare la sua passata presenza.
- Non importa. –
E lei resisteva.
Sotto al sole, scortata dal
vento, amica della pioggia, confidente della terra.
Involucro di elementi e anima
vuota.
Lei resisteva.
Il sole stava tramontando.
Erano sette anni che non rivedeva Konoha
e mai il suo villaggio le era parso così grande ed impietoso. Case arrampicate
sulle colline dove un tempo aveva rincorso Sasuke e
Naruto, sotto gli occhi vigili del maestro Kakashi,
strade a ferire il verde di quel panorama.
Fumo dai comignoli.
Konoha era cresciuto e Sakura con lui,
seppur lontana.
Sentiva l’ormai sconosciuto peso del corpifronte
sul capo, eppure sapeva che non avrebbe potuto far a meno di indossarlo. Dopo
così tanti anni cercava ancora un legame che le ricordasse
chi era veramente, oltre che un essere atto alla vendetta.
Anche se quel legame era stato
irrimediabilmente reciso da una lunga riga orizzontale.
Il sennin traditore non aveva
esitato in quella mossa.
E nemmeno lei avrebbe mai dovuto
esitare.
Un gesto, un messaggio.
- Sa… Sakura-chan? –
Lei pensò che di tutte le cose che avrebbero
potuto capitarle adesso – rivedere Sasuke, Kakashi, magari venir colpita da un dejà-vu – questa era
sicuramente la peggiore.
C’era solo una persona che non aveva mai potuto
dimenticare, a dispetto dei messaggi del suo sensei.
E quella persona era dietro di lei. E lei sapeva che, nonostante tutto, nonostante il suo
aspetto, la prima cosa che lui avrebbe fatto sarebbe stato spalancarle uno dei
suoi sorrisi.
E lei non poteva permetterselo.
Sakura Haruno, dopo la morte di Tsubaki, non vedeva nulla se non vendetta.
Perciò, quando Naruto Uzumaki
la chiamò di nuovo, con maggior impiego di volume, continuò a rimaner voltata
verso il villaggio. Non lo guardò,
non cercò la sua comprensione.
- Sakura-chan…? –
Non farlo, non
chiamarmi.
Non ho il diritto di
aver la mia vendetta, io?
Voglio solo la mia
vendetta.
Non voglio la tua
pietà o il tuo sorriso.
Voglio solo la mia
vendetta.
Quando la mano le si posò sulla
spalla destra, Sakura chiuse gli occhi chiari, digrignando i denti. – Naruto… -
Non farlo.
Si voltò
con calma, cercando di non guardare.
Il tuo sorriso mi
uccide.
- Sakura-chan sei tu! – i suoi
occhi azzurri la fissarono intensamente, gioiosi. – Sei
proprio tu, sei… torna… - lo sguardo si spostò sulla guancia sinistra.
Scusami.
- Sakura-chan? –
- Naruto,
non guardarmi. Va via e non guardarmi, non pensare a me, convinciti del fatto
che tu non mi hai MAI visto da quando ti ho lasciato. – disse solo. Dentro di
sé si sentì lentamente lacerare, strappare ogni pezzettino di
anima che era per sbaglio rimasto attaccato all’involucro che era
diventata.
I suoi occhi azzurri tristi erano una sconfitta così
clamorosa da essere schiacciante.
Ciononostante, dopo un secondo, tutto passò come niente.
Come se Naruto fosse stato un estraneo.
- Sakura-chan, la tua guancia
sinistra è… - vide il corprifronte. – Cosa hai fatto, Sakura-chan? –
Lei lo osservò, tranquilla, alzando il mento come a voler
simboleggiare una sfida. – Ho cercato un modo per ottenere la mia vendetta. E lui era l’unico che aveva il potere di conferirmi la
potenza di cui avevo bisogno. Perdonami. – il tono piatto.
Gli occhi di Naruto perdevano acqua.
I suoi occhi non
stanno piangendo, Sakura.
Convinciti del fatto
che stanno solo perdendo acqua.
- Non è possibile… tu… sei
diventata come lui. –
Monotonia che era la sua salvezza. – Lo so. Io lo odio
e sono diventata come lui. Ma in fondo il fine
giustifica i mezzi, ricordi…? –
Sospiro. – Era quello che pensava sempre lui. Non è vero…
-
La sua ombra ai piedi di quella di Naruto, il suo viso
piegato in un ghigno di scommessa.
- …Sasuke-kun? –
Lui era comparso dietro al biondo.
Ed in un secondo le lacrime di
Naruto, i suoi occhi tristi, la sua voce, Konoha…
Tutto spazzato via da
quel tuo ghigno.
È questa la mia
missione.
- Sakura. –
- Sasuke-kun. –
- Come ti sei ridotta: pari cadere a pezzi. Tutto per
seguire un sogno. –
- A quanto sembra ormai è diventato un incubo, non credi?
– occhi bianchi fissi su di lui, spettrali e vuoti.
Il moro rise. – Cosa sei venuta a
fare, sciocca ragazzina? –
Lei estrasse le due katane dai
rispettivi foderi e osservò il tramonto riflettersi su quelle lame lucenti. –
Orochimaru mi manda a fermarti. Io sono qui per ucciderti. –
- Credi di spaventarmi con queste stupidissime minacce? –
- Affatto. – i suoi occhi stavano perdendo acqua e lei non
sapeva perché. – Io… non vorrei, ucciderti, ecco. Vorrei solo vederti soffrire,
tanto, piangere magari. Ma non morire. Eppure sento di doverlo fare. –
L’altro pensò che era pazza. Di
certo non si sbagliava.
- Quanto sei noiosa. –
Sakura scosse il capo e strinse la presa sulle lame. – A
noi due. –
- Come vuoi. – anche la sua katana scintillò al sole morente. – Vediamo quale dei due
allievi è il più forte. –
La guardò. – Anche se la riposta è
scontata. –
Sorriso inquietante fatto di piume
nere che si espandevano sul suo volto come una tempesta. – Questo è tutto da vedere. –
Naruto li osservava, immobile, incapace di proferire
parola.
E sentiva il
suo mondo sgretolarsi pian piano.
[E vanità sara il tuo peccato]
Il sole era sparito al di là delle
colline, Naruto era fermo in quella posizione da più di due ore. E non sentiva più niente. I due continuavano a combattere.
La luce era il fuoco che Sasuke
aveva creato con i suoi jutsu.
Sakura mosse le mani componendo segni – Kurokage no jutsu!
–
Il ninja traditore non riuscì a
schivare completamente il colpo, che andò ad infrangersi sulla roccia dietro di
lui, frantumandola in mille piccoli pezzettini. Sasuke
si voltò un attimo indietro, sconvolto e non si accorse della ragazza che gli
si era come materializzata davanti.
- Sopresa. – lo colpì
violentemente all’addome, facendolo ribaltare sulla schiena. Gli schiacciò il
petto sotto al piede sinistro e così rimase, il volto
sporto sul suo, tesa ad osservarlo.
I suoi occhi scuri erano sempre stati bellissimi.
I capelli neri scivolavano scomposti sulla fronte, dove un
tempo aveva trovato sede un pezzo di metallo e stoffa che – per lei – era tutta
una vita.
Chissà dov’era, il corpifronte di Sasuke-kun.
Lo odiò perché era riuscito a scindere quei legami che lei
invece cercava ancora disperatamente di riprendere, la notte, in sogno.
- Alla fine pare che la migliore sia io, Sasuke-kun. Come vedi, scappare
dal tuo villaggio non è servito a niente. –
- Era il mio destino. Avevo tutto il diritto di poterlo
inseguire da solo. –
Sakura socchiuse gli occhi, strizzando le palpebre. – Ma non avevi il diritto, - urlò – di distruggere il MIO!
Guarda cosa sono diventata! Guarda cosa TU mi hai
fatto diventare. –
Quel urlo parve riscuotere Naruto, che
si mosse dopo ore di attesa e cominciò a camminare verso di loro. La ninja lo notò e subito tutto il suo corpo si contrasse. –
Vai via, non ti avvicinare!! – gridò
– STAMMI LONTANO! –
Non voglio vedere il
tuo sorriso.
Il tuo sorriso mi
distrugge.
- Sakura-chan, ora basta, non
vedo… -
- Vai via. –
Perché
i suoi occhi
piangevano? Detestava sentirsi debole, detestava sentire la mancanza delle persone che aveva deciso
di abbandonare…
… e che l’avevano abbandonata.
Sasuke capì di dover approfittare della
situazione e, con un poderoso colpo di reni, respinse il piede della ragazza,
che perse l’equilibrio sbilanciandosi all’indietro.
Con una ruota si riportò lontana da lui.
- Adesso basta. – il moro artigliò le katane
e così fece la ragazza, ancora scossa.
- Sasuke-kun… - la riposta che
tanto cercava non le uscì dalla bocca.
- Basta, chiudiamo qui l’incontro. -
Basta perché voglio
ucciderti.
Basta perché non ne
posso più, di vedere il tuo viso.
Entrambi si slanciarono
all’attacco l’uno dell’altro.
Qualcosa dentro Naruto urlava e
urlava come un pazzo e le sue gambe non si muovevano e le sue gambe finalmente,
dopo secoli di attesa, si mossero…
[adesso basta]
L’eco di quel urlo colpì Sakura
rimbalzando dentro la sua mente come un vortice.
Riuscì a fermarsi un secondo prima
che la punta della lama incontrasse la tenera carne dell’amico, postosi in
mezzo ai due. Altrettanto fece Sasuke.
- Smettetela immediatamente, voi due! – il biondo stava
piangendo come un disperato.
- Non ne posso più dei vostri giochi da bambini gelosi,
non ne posso più di essere solo! Basta! Volevo soltanto degli amici, io, c’era qualcosa di così
sbagliato? Io vi ODIO. –
E anche lui se n’era andato.
Il suo vecchio amico, a cui un tempo aveva sorriso con trasporto quando ancora l’ombra del fratello non gli aveva
roso il cervello e la mente, lo aveva fissato negli occhi azzurri, usando il
potere dello sharingan.
Naruto era crollato a terra e con lui ogni sua parola.
Sakura
si ritrovò a ringraziarlo.
- La realtà è questa, Sakura. Se
non mi uccidi ora, io ti porterò via tutto ciò che ti è caro. –
Suonava come una minaccia, o forse,
pensò l’altra,
più come una promessa di salvezza.
Portarle via tutto così che lei non potesse soffrire più
di quanto non avesse già fatto.
Sorrise amaramente, chinando gli
occhi prima su Naruto, poi di nuovo su Sasuke.
Lo guardò nelle orbite vuote e fu come dirgli addio. - Il problema, Sasuke-kun… è che tu lo hai già fatto. –
- Squadra sette, Kakashi Hatake: Naruto Uzumaki, Sakura Haruno… –
- Yeah! –
- Oh, no… -
- … e Sasuke
Uchiha. –
- No! –
- Evvai! –
- Nikusimi no
jutsu! –
Curioso come inizio e fine di quella storia le fossero sfrecciati insieme nella testa.
Il corpo di Sasuke-kun era
riverso sul quello di lei, che ancora teneva una mano
dentro di esso, all’altezza dello stomaco.
Improvvisamente si sentì vuota.
Se era quello il senso della vendetta, sentirsi vuota dove
prima c’era stato un tale insieme di emozioni da far
svenire, allora Sakura aveva raggiunto il suo obbiettivo.
Aveva perso tutto. Ma non poteva
vedersi così.
Non posso essere
così, io.
Non gli aveva nemmeno risposto.
Non poteva più farlo…
… o forse si.
Guardò Naruto per un’ultima volta: l’espressione sul viso
era quella di un bambino dal sonno inquieto, le palpebre serrate con forza.
Avrebbe voluto dirgli grazie.
Riportò lo sguardo su Sasuke-kun.
In un modo o nell’altro era caduto nelle sue braccia.
Non importa come.
Afferrò
una katana. Piangeva e rideva: era
semplicemente contenta. Improvvisamente era diventata ebbra di felicità.
Un modo c’era, per rispondergli.
La lama le passò lo stomaco, dritta come un chiodo,
tagliando carne come carta.
Emise un lento sospiro. – Grazie, Sakura. – disse la sua
mente.
Lei sorrise piano, cadendo verso il suolo. – Prego, Sasuke-kun. –
Poi fu tutto buio.
Il risvegliarsi [uccellini che
cantano] …
Keep breathing
Hold on to me and, never let me go
Keep breathing
Hold on to me and, never let me go
Il risvegliarsi [uccellini
che cantano] con addosso la consapevolezza di aver
fallito non era nemmeno definibile come una vera e propria sensazione.
Sakura sollevò la testa dal cuscino e poi, con esasperante
lentezza, la lasciò ricadere verso il basso.
[And so it begins…]
Owari.
È finita e
devo dire che quasi non ci credo. Assolutamente, mai
pensavo di poter scrivere qualcosa di così… gigantesco.
Tengo
moltissimo a questa storia e a tutti i suoi difetti.
Ci ho
messo quasi un mese per scriverla.
Nota: Kurokage vuol
dire vento nero. Nikusimi,
odio.
Altro…?
Ah, si. Minasigo:
si può tradurre come orfano.
Alla fine,
cosa ho voluto rappresentare? Questa è una storia fatta di momenti volutamente
banali, scritta così in modo che questi accentrassero
su di loro il bianco della felicità e il nero della tristezza, in un divario
sempre più grande.
Una
visione ben diversa dalla mia personale, piena di sfumature.
Mi ci sono
affezionata T.T
Un bacio,
L.A.D.L.