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Autore: Lady Antares Degona Lienan    04/12/2006    10 recensioni
Thank you.

Lei buttò il viso verso il sole e pensò che era un giorno meraviglioso.
Si voltò verso di lui sorridendo. I suoi occhi gioiosi erano lucidi – Quanto ti amo, Sasuke. –
Lei buttò il viso verso la luna e pensò che era una notte qualunque.
Si voltò verso di lui ringhiando. I suoi occhi stanchi erano opachi. – Quanto ti odio, Sasuke-kun. –
[Saku/Sasu]
Genere: Romantico, Triste, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Sakura Haruno, Sasuke Uchiha
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Una fanfic semplice

Una fanfic semplice. Era una vita che volevo scriverne una!

La prima cosa che mi è saltata all’occhio, nella scena del “Thank you”, è stata che non ci sono stati flash back.

Poi, il fatto che Sakura, nei momenti a seguire, non abbia mai immaginato un futuro diverso. Forse perché troppo attratta da un più probabile semi catatonico presente.

Non lo so, è una cosa che mi sfugge. Fortunatamente le fanfiction servono a quello, e pertanto eccomi qui.

Una delle mille idee che mi sono venute recentemente. Vorrei avere otto mani, sisi.

Preciso che non ho mai fatto una song fic in tutta la mia vita. È che ormai YouTube regola la mia vita. Che cosa drammatica, u.u

Ci ho messo più di un mese per scriverla e poi ricontrollarla.

In questo caso il mio ringraziamento va alla mia amata Kodamy e alla sua infinità bonta. Ergo, amore, grazie per le mille correzioni *.*

Questa è una fanfiction di clicé; ad ogni modo, spero che essa non risulti banale.

Colgo l’occasione per ringraziare Miyu92, Solarial, Kodamy, Mao chan, Sasusaku, Kagura_san, Sihaya10, gryffindor_ery, Suzako [sia per la drabble sia per la fic su Tokyo Mew Mew del concorso], Hikary, Dark Feder, Scintilla.

La canzone principale è Far Away, Nickelback. Per il resto, ci ho messo così tanto a scriverla che di canzoni ne sono passate, sul pc.

Enjoy it!!


 

 

* Non andare via! *

 

Perchè se tu te ne vai, io rimarrò sola. Sola.

La luna galleggiava in cielo e le nuvole giocavano a nasconderla.

 

This time, This place

 

Il buio non era scacciato dalla luce e giocava ad ingrigire le loro figure, spegnendo i colori, opacizzato le iridi dei loro occhi. Le sue iridi erano già spente.

La verità è che io non potrò mai sperare di accenderle.

Sasuke Uchiha la fissava con uno sguardo strano, traboccante [ma di cosa?], e lei non poteva certo dire di sentirsi tranquilla, in quel momento.

Tuttavia Sakura Haruno non agognava l’alba, perché la presenza della luce avrebbe portato con sé la sua assenza.

- Io ti amo e tu lo sai. –

- Forse. –

- Eppure te ne stai andando da Konoha. E calpesti senza ritegno questi miei sentimenti.

- Forse. –

- Maledizione! – urlò, facendo sobbalzare il ragazzo, che colpito da tale veemenza, indietreggiò di un passo. – Smettila di giocare con me, come se io fossi una bambola da prendere e buttar via. –

- Dopotutto… sei ancora noiosa. -

 

Misused, Mistakes

 

La fissò intensamente, come a volersi imprimere la sua immagine nella testa.

Sakura lo guardava a sua volta, gli occhi fissi, la bocca spalancata, incapace di dire qualsiasi cosa.

E pensare che prima, pareva volermi sommergere.

Lei pensò che era tornato tutto come un tempo.

“Sei noiosa”, ecco cosa l’aveva spinta a cambiare.

Ma poi, era cambiata davvero? Lui era stato crudele, si, le aveva parlato, permettendole di avvicinarsi sempre più vicino, fino a quasi sfiorarlo.

L’aveva illusa, ma era ovvio che non voleva niente.

Sakura si chiese se non avesse sbagliato tutto, nel credere di aver potuto anche solo convincere Sasuke-kun a fidarsi di lei, in un prossimo futuro. Era stato un sogno.

Un errore, ecco.

Tutta la sua vita, basata su un errore.

Tornare a casa contenta perché lui le aveva dato un consiglio, addormentarsi tranquilla perché lui dormiva nella stanza accanto, sentirsi protetta perché c’era Sasuke-kun, davanti a lei.

T  u  t  t  o     u  n     e  r  r  o  r  e.

- Tu mi hai illuso, Sasuke-kun. Ti sei preso gioco di me. –

Il vento si portò via parte della sua risposta –vertimento per me, vederti così assorta nelle tue fantasticherie da non accorgerti nemmeno di cosa succedeva davvero, nella realtà. –

Sakura scosse la testa, prendendosi ciocche di capelli fra le dita e strattonandole con violenza.

Non è vero, non è vero, non è vero, non è vero, non è vero.

Stai mentendo.

Non può essere stato tutto un errore.

 

Too long, Too late

 

- Smettila di essere così… crudele! Sto solo cercando di farti capire che io ti amo! –

Sasuke Uchiha – che voleva disperatamente essere un Uchiha per poter avere una motivazione vera, qualcosa che lo spingesse avanti – inclinò la testa di lato e sorrise.

La smorfia che aveva sul volto si ingigantì sempre di più, fino ad esplodere in una risata gorgogliante, ironica.

Derisoria.

La sua risata fu come un colpo al cuore, una scossa violenta.

“Eppure lui vorrebbe essere normale, normale, normale come lo sono io.

Poi un sussurro. – Ho aspettato troppo, Sakura, perché adesso tu pretenda di privarmi della possibilità che è sempre stata davanti ai miei occhi.

Tu capisci, ho sempre vissuto per quello. –

- Ma… -

- Il mio posto è nel passato, dove sono i miei sogni. – tacque un attimo. – I miei incubi. –

Il vento spazzava via la polvere dalle loro figure, dai loro ricordi.

Ricordi che non erano ricordi, semplicemente abbeveratoi da cui trarre vita.

- Non… non potresti cercare di lasciarti tutto alle spalle? In fondo ci siamo noi, qui, e siamo come una piccola famiglia. – sussurrò lei, come vergognandosi di quel pensiero.  – Certo, a volte litighiamo, e Naruto spesso dice cose senza senso, cercando di essere come te ma… ma ci vogliamo bene, in fondo. –

Perché ci vogliamo bene, non è vero?

 

Who was I to make you wait

 

- Non avrei mai il coraggio di illuderti così, Sakura. –

Il respiro di lei si bloccò. Trattenne il fiato, per non piangere.

Un fallimento anche questo.

Le lacrime cadevano copiose rotolando sulle sue guance pallide, rese magre dall’ansia che in quelle settimane l’aveva pian piano consumata da dentro.

- Siete stati solo un mezzo per raggiungere il mio obbiettivo. – disse – E anche se lui non fosse venuto a mordermi, io me ne sarei andato lo stesso. –

- Sasuke-kun… -

- Non ti mentirò, Sakura. Non ne ho alcun diritto: puoi aspettarmi, fino alla fine dei tuoi giorni. Probabilmente, io non tornerò. –

Il fiato le uscì tutto improvvisamente dai polmoni [dove sono, i miei polmoni?], e lei cadde a terra; pregò solo che il suolo avesse la forza di accoglierla, in quel abbraccio di pietra.

Come il suo cuore.

- Non ti chiederò di aspettarmi. Chi sono io, per farlo? –

Infine si volse, e riprese a camminare.

 

Just one chance

 

- Sasuke-kun, aspetta! – si rialzò improvvisamente, aiutata dalla forza della disperazione, e gli si slanciò contro, abbracciandolo per lo zaino, strattonandolo indietro, verso Konoha.

- Lasciami almeno provare. Lascia che io ti ami, per un po’. –

I suoi occhi chiari erano specchio di disperazione.

- Lasciami vivere, Sasuke-kun. –

 

Just one breath

 

Il respiro di lui premette la sua schiena contro il petto di Sakura.

La ninja sobbalzò.

- Perché dovrei lasciarti vivere mentre io muoio, Sakura? Sei così egoista? –

Lei chinò gli occhi, prendendo fiato. – Ti prego… ti giuro che sarai felice, qui con noi. Qui con me. –

Sasuke scosse il capo, e, lasciandosela alle spalle, riprese a camminare.

La piccola cassa toracica di Sakura si gonfiò prepotentemente un’ultima volta, spazzando via gemiti e singhiozzi. – Non andare!! Se farai un altro passo, mi metterò a gridare e… -

Sparito.

Un sussurro alle sue spalle, un respiro alla base della nuca, caldo come era sempre stata la presenza di Sasuke-kun.

Il suo ultimo respiro.

Il mio ultimo respiro, perché poi…

… poi non sarà più vita.

- Sakura… - l’incertezza di un attimo, tempo che un’altra folata di vento passasse fra di loro, a dividerli. – Grazie. –

 

Un colpo alla base del collo.

Un ultimo piccolo respiro che, ovviamente, non fece alcun rumore.

Silenzioso come il vento.

 

Just in case there's just one left

 

Il risvegliarsi [uccellini che cantano] con addosso la consapevolezza di aver fallito non era nemmeno definibile come una vera e propria sensazione.

Sakura sollevò la testa dal cuscino e poi, con esasperante lentezza, la lasciò ricadere verso il basso.

Il fatto che fosse una bella giornata non la rallegrò affatto, anzi, il cielo terso non fece altro che peggiorare il suo umore.

Lei si sentiva sprofondare e nessuno aveva il diritto di essere felice.

Punto.

Egoisticamente parlando, non c’era nulla che le andasse bene, quella mattina: il mal di testa era alle stelle – almeno lui -, probabilmente tutta Konoha si stava mobilitando per cercarlo – ma non l’avrebbero di certo aspettata -, e poi…

… poi lui non c’era.

Avrebbe dovuto abituarsi a questa orripilante consapevolezza, alla sensazione che Uchiha Sasuke sarebbe stato, d’ora in poi, solo il Traditore. All’amara verità che le si agitava nel petto: un cuore sperduto da qualche parte a quel mondo.

Più precisamente, il suo.

Se aveva anche solo sperato di farsi un favore, liberandosene, aveva miseramente sbagliato i calcoli.

Sospirò, aprendo gli occhi che aveva lasciati socchiusi.

Non era rimasto nessuno, non nella sua mente, almeno: la camera d’ospedale era spoglia e priva di fiori, priva di una qualsiasi presenza umana. Naruto-kun? Kakashi-sensei?

Non era rimasto nessuno.

E alla fine, sono davvero sola.

- Sakura-chan? –

La voce di Naruto irruppe nella camera, riempiendola di improvvise note di colore.

- Sakura-chan, sei sveglia? –

Lei saltò in piedi, barcollando per l’infausto mal di testa che le aveva preso l’intera spina dorsale, e subito gli si slanciò addosso. Lo scosse per il bavero della giacca, spiegazzandola.

- Sakura-chan, cosa…? –

- Perchè sei qui? Perchè non lo state cercando? –

 L’assurda speranza di poterlo rivedere ancora una volta, magari stretto fra catene, era così forte da farle dimenticare tutto, persino la forza che continuava a ordinare alle sue ginocchia di cedere una volta per tutte, facendola cadere per terra.

Sasuke-kun non può essere andato lontano.

Si sarà fermato a pensare da qualche parte.

Perché lui non può abbandonarci così, in fondo.

Non può avermi abbandonato.

Vero, Sasuke-kun?

Naruto si riprese dalla sua stretta e la scosse a sua volta, solo molto più delicatamente di quanto la ragazza si fosse anche solo lontanamente sognata di fare con lui.

- Si può sapere di cosa stai parlando, Sakura-chan? Sei sicura di sentirti bene? –

Grosse lacrime le tinsero le guance di rosso. – No che non mi sento bene, ho un tale mal di testa dove lui mi ha colpita che… - s’interruppe.

- Non importa. Naruto, perché non lo state cercando? Perchè sei qui nella mia camera d’ospedale? –

- Ma… - il biondino rimase in silenzio.

Sakura s’inalberò, traballando davanti a lui come uno spaventapasseri in balia del vento. – Perché non lo state cercando!!

- Ma chi dovremmo cercare, Sakura-chan? –

Lei si fermò, perdendo di colpo tutta la sua vitalità. Traballò nuovamente, rischiando di cadere a terra.

Fortunatamente Naruto fu rapido nel riprenderla al volo. – E’ assolutamente chiaro che non stai bene, tesoro. Stai assolutamente delirando. Devi essere proprio caduta male, per aver preso una tale botta. –

Sakura boccheggiò tra le sue braccia. – Io non sono caduta, Naruto… lui mi ha… -

La porta della stanza si spalancò di nuovo e Ino irruppe con la sua solita fragorosa energia.

- Ve la state spassando, eh? –

Naruto lasciò immediatamente la presa su di lei, facendola franare a terra, dove la povera rimediò una dolorosa botta al sedere. – Baka teme! –

- Oh, scusami, Sakura-chan! –

- E io che pensavo che non avresti mai avuto il coraggio di tradire Sasuke-kun. – Ino ridacchiò appoggiando dei fiori sul tavolino a fianco del letto, facendo per uscire. – Ma d’altra parte, tanto di guadagnato. Hai già perso in partenza. –

Ridendo se ne andò.

Sakura Haruno si sedette a letto e si prese la testa fra le mani, grugnendo poco finemente.

Aveva una tale voglia di piangere che nemmeno le lacrime sarebbero stato uno sfogo sufficiente. Scaricò un paio di pugni sul materasso, fiacca.

- Perché tutti vi comportate come se… non fosse successo nulla? È così assurdo! –

Sasuke-kun se n’era andato eppure tutti si affannavano attorno a lei.

Invece che cercarlo, farlo ragionare, mettevano lei al centro dell’attenzione.

E lei… non se lo meritava. Perché non era stata capace neanche di convincerlo a fermarsi nel suo villaggio.

Ma in fondo… cos’è il mio amore se paragonato all’odio e al desiderio di vendetta?

Naruto incrociò le braccia al petto, impaziente - Cosa sarebbe successo, sentiamo!! –

- Lui… se n’è andato! –

- Ma chi, Sakura-chan? –

- Già: ma chi? –

- Ma è ovvio, Sa –

suke-kun…?

Era normale vedere tutto nero, si disse, perché in fondo l’amore della sua vita l’aveva appena abbandonata.

Era normale prendere a pugni Naruto, perché rientrava nella solita routine quotidiana.

Ed era normale che avesse sentito la sua voce.

Ma era normale che lo vedesse lì, davanti al letto?


'Cause you know

- Credi di stare bene, Sakura? –

Era ovvio che qualcosa non andava.

Come poteva essere lì, come se nulla fosse accaduto la sera precedente, e appoggiarsi al suo letto chiedendole se stava bene?

Non stava bene, no!

Il suo cuore rischiava l’infarto, ne era cosciente, i suoi occhi scorrevano da Sasuke-kun a Naruto, e di nuovo su Sasuke-kun, completamente impazziti.

- Si… credo di si. – balbettò. Il moro incrociò le braccia al petto.

- Puoi provare ad alzarti? –

- Si. –

- Allora io posso provare a vivere, giusto? –

Sakura alzò la testa di scatto, fissandolo. Naruto gli lanciò un’occhiata estremamente miope. – Mh? –

- C-cosa? –

Sasuke Uchiha si voltò, dandole le spalle – un’altra volta -, e poi si girò di nuovo verso di lei, la linea della labbra leggermente tirata verso l’alto.

- Ad ogni modo, Sakura… -

- Si? –

- Dovresti saperlo, no? Grazie. -

 

you know, you know

 

Il risvegliarsi [uccellini che cantano] con addosso la consapevolezza di aver fallito non era nemmeno definibile come una vera e propria sensazione.

Sakura sollevò la testa dal cuscino e poi, con esasperante lentezza, la lasciò ricadere verso il basso.

Un totale, completo fallimento.

Aveva creduto che opporre la forza del suo amore a quelle motivazioni così bieche, così assurdamente razionali sarebbe bastato a convincere il suo Sasuke-kun [lui non è mai stato tuo] a desistere da quella folle avventura, che l’avrebbe inghiottito in un vortice dal quale non sarebbe mai più uscito.

Era stata sciocca.

E la consapevolezza di tutto ciò faceva male.

Dannatamente male.

Lui non l’amava.

La porta della camera si spalancò, lasciando intravedere a Sakura la testa di Naruto, che, con un piccolo e silenzioso cenno del capo, le chiese come stava.

La ragazza non rispose, limitandosi a chinare ostinatamente lo sguardo verso le lenzuola del letto.

- Non l’abbiamo trovato, Sakura-chan. – disse solamente la volpe, scuotendo il capo. – Si deve essere allontanato molto in fretta, questa notte. Neppure gli ANBU hanno percepito qualcosa. –

Gli fece eco solo il silenzio, che risuonò cupo all’interno della stanza.

- Sakura-chan… - Naruto chinò gli occhi, timidamente. – Hai provato a fermarlo, vero? Per questo lui ti ha colpito. –

E mi ha lasciata con un grazie.

Se l’era sentito sulla pelle, il freddo settembrino di quella notte, quando lui ancora non era comparso sulla strada dove lei pazientemente aspettava.

Era stato un gesto irrazionale, quello di alzarsi dal suo letto a quel ora.

Ma di certo, non si era sbagliata.

- Ad ogni modo, Sakura-chan, vedrai che lo ritroveremo. – lui tacque. – Prima o poi. –

Le labbra della ragazza si tesero in una smorfia.

Ma non mi amerà mai.

Avrei voluto che lui restasse solo per il mio amore.

- Ma è una promessa, la mia. Ti giuro, lo riporterò indietro, a costo della mia vita. –

Silenzio, un grido fuori dalla finestra.

Naruto desistette. – Sakura-chan… se non vuoi che rimanga… -

Lei batté una mano sul copriletto, invitandolo a sedersi.

Rimani, almeno tu.

Ino si affacciò alla porta, nella fotocopia di Naruto di qualche istante prima, stiracchiando un debole sorrisino di conforto che Sakura trovò alquanto irritante.

La bionda posò dei fiori sul comodino – cosmee -, le carezzò la testa delicatamente, e quindi uscì.

Una presenza silenziosa e breve, ma quanto mai necessaria.

Ino che forse soffriva, non quanto lei, ma soffriva. Anch’essa, silenziosamente.

Sakura sapeva che se solo avesse tentato di parlare, sarebbero usciti solo singhiozzi misti ad urli. Pertanto, rimaneva zitta.

E il dolore aumentava, prendendo consistenza con sempre maggiore velocità.

- Devi capire, Sakura-chan, era suo fratello. Lui non si è mai dimenticato di quello che gli aveva fatto e… d’altra parte, come non giustificarlo? –

Ma io lo amavo!!

Avrebbe dovuto essere abbastanza.

La ragazza non lo guardò nemmeno. Voleva piangere e non poteva.

Naruto le poggiò una mano sul braccio, comprensivo.

Sakura Haruno poteva piangere, adesso, ma non voleva.

- Forse, parlarne ti farebbe bene. Ehi, hai pure qui il più forte ninja di tutta Konoha pronto a consolarti, cosa vuoi di più? –

La sua battuta rotolò silenziosamente a terra, e poi scomparve. Il biondo alzò gli occhi al cielo, spazientito.

- Se non mi tiri neanche una sberla, vuol dire che stai davvero male. –

L’amara verità: soffrire anche se non si aveva più un cuore da far battere.

Che cosa stupida.

Il ragazzo si alzò dal letto, carezzandole la testa. – Torno subito, Sakura-chan. –

Lei annuì, e aspettò che se ne fosse andato. Quando la porta si chiuse alle sue spalle, fissò il muro bianco.

La sua immagine era lì, stampata come una macchia indelebile.

Un cancro.

Che minacciava di consumarla dall’interno, se lei non avesse deciso di opporre resistenza, opponendo la ragione a tali e futili sentimentalismi.

Prese fiato – un altro respiro.

- Ad ogni modo, - disse – prego, Sasuke-kun. –

 

Non mi ringrazierai più, dopo che avrò ripreso il mio cuore.

E strappato il tuo.

 

That I love you

 

La luna giocava a nascondersi dietro le nubi, oscurando la via che la ragazza stava faticosamente percorrendo.

Non c’era un muscolo che non le dolesse, a dir la verità.

Ma c’era una certa volontà a cui lei si ostinava ad aggrapparsi, e che le suggeriva di continuare a mettere un piede dietro l’altro, conquistando metri e metri di selciato.

Quella sera la luna era piena e sferica come solo in una fiaba poteva essere, pensò lei.

Levò il naso verso l’alto, con l’unico immediato risultato di perdere l’equilibrio e franare a terra con ben poca delicatezza.

Lo sguardo continuamente fisso al cielo.

Niente che riuscisse a distrarla, né la dura pavimentazione in pietra, né il totale silenzio che serpeggiava per le strade.

Tranne una voce, che risuonò sibillina nella notte.

- Ti piace la notte, non è vero? È per quello che ti ho incontrato, una settimana fa. –

La ragazza chinò lo sguardo, rialzandosi.

Ne aveva percepito la presenza da parecchio tempo, sensibile com’era al suo flusso d’energia.

Prevedibile che l’avesse sentito arrivare.

- Mi piace solo la luna piena, Sasuke-kun. Quando ci siamo… incontrati, la scorsa settimana… sapevo che saresti stato lì.

Lui sorrise, come un ghigno, una ferita su quel viso. – Come io sapevo che mi avresti aspettato. –

Sakura gli sorrise gentilmente in risposta, annuendo.

Mi stai solo illudendo ancora, Sasuke-kun.

- freddo? –

Si risvegliò dal suo torpore. – Come, Sasuke-kun? –

- Non hai freddo? –

- Non ho mai freddo la notte: è di giorno che non so come ripararmi da esso. –

Sasuke Uchiha aveva perso il filo del discorso da tempo, e cercava disperatamente di non farlo notare. Corrucciò un sopracciglio, criptico, aspettando che lei riprendesse a parlare.

- Non è di notte… - spiegò Sakura, voltandosi verso di lui, e fissandolo con quegli occhi così chiari e sibbilini che il ragazzo ne fu quasi spaventato. Occhi come bianchi, vuoti. - … che sono sola, Sasuke-kun. –

È quando dovresti avere caldo e invece senti freddo, che sei perduta.

- Come…? –

- Credi che non lo sappia? Naruto mi consola solo perchè gli piaccio, Kakashi-sensei mi dice che sono brava, ma è ovvio che siete voi, i suoi obbiettivi.

E tu… tu, Sasuke-kun, sei quello che mi fa soffrire di più. Perché ti comporti come se io fossi qualcosa, per te. E poi mi abbandoni, per tornare a riprendermi quando ti fa comodo.

Gli occhi bianchi lacrimavano.

- Come sei… noiosa. –

 

Noiosa.

Sono noiosa e tu non mi vuoi.

Perché sono noiosa.

Posso cambiare, Sasuke-kun, posso cambiare, posso…

Noiosa.

 

- Cosa? –

- Credi che alla fine non me ne sia andato solo perché improvvisamente ho cambiato idea? –

- Non… -

- Dopo che tu ti era messa a piangere, e avevi urlato come una bambina? –

- Sasuke-kun… -

- Apri gli occhi, Sakura-chan. –

[Apri quegli occhi bianchi, fammi vedere che c’è colore, ti prego…]

- Non ho rinunciato alla mia vendetta solo perché a Konoha c’è un bel sole. –

Sakura rimase a fissarlo, immobile come una statua di cera [la cera è bianca, sono bianchi gli occhi], singhiozzando sporadicamente.

La luna rimase lì, a fissarli, pallida anch’essa.

Lei aspettava solo che lui dicesse quelle stupide parole che le erano costante così tanto, drammaticamente tanto, e che lui pareva aver rifiutato senza aver nemmeno cura di considerarle un secondo.

Prendi, giochi, e poi butti via.

Dillo, avanti.

Sasuke-kun, dillo.

- ‘lo.

- Sakura? –

La ragazza lo fissò, orbite nelle orbite, e non vi fu nulla di più stravolgente di quello sguardo.

- Avanti, Sasuke-kun, dillo. Fammi vedere che non sei un bambino. –

L’Uchiha prese fiato, guardò il cielo, guardò lei, di nuovo il cielo.

- E fissami, mentre lo dici. –

Perché a me, è costato molto di più.

Bastarda.

- Sono rimasto perché tu… io… credo di provare qualcosa per te, Sakura-chan. –

 

La luna guardava, camminando.

La luna non è poi così tanto immobile, in fondo.

 

Poi fu solo luce e calore.

 

 

I have loved you all alone
And I miss you
Been far away for far too long
I keep dreaming you'll be with me
and you'll never go

La luna giocava a nascondersi dietro le nubi, oscurando la via che la ragazza stava faticosamente percorrendo.

Non c’era un muscolo che non le dolesse, a dir la verità.

Lei si trascinava per la strada con l’unica consapevolezza di essere sola, disillusa, ed incredibilmente stanca.

Tutto il suo mondo dorato sparito improvvisamente nel nulla, una bolla di sapone esplosa.

Perché era quello, non è vero?

Una piccola bolla di sapone che, come tale, era destinata a sparire.

Per un soffio di vento.

La notte non aveva fine, semplicemente perché non era giusto che l’avesse.

E pertanto, non l’aveva.

Perché col giungere del giorno la luce del sole l’avrebbe portata ad essere se stessa: non c’era ombra in cui nascondersi, in quel domani.

D’altra parte era universalmente dato che Sakura Haruno, la ninja abbandonata, non voleva abbandonarsi a stessa, piangendo o disperandosi.

Salì sulla cima della piccola collina che sovrastava Konoha.

Urlare però era concesso.

Perché urlare era rabbia, e non debolezza.

Perché io non sono triste.

Io non sono triste.

No.

- Io te la farò pagare. –

Semplicemente. I suoi occhi chiari mandavano lampi d’ira, soffocati dalle palpebre che ultimamente erano sempre troppo pensanti.

Da quanto è che non dormi, Sakura?

- Sakura, vecchia scimmia, non pensavo tu fossi così prevedibile. –

- Ino, maledetta scrofa. Ma tu non dormi mai?

Le due si fronteggiarono per un breve attimo, poi la bionda si fece cadere su una panchina di pietra, seduta. – Ah, sapevo di trovarti qui. Ti piace la luna piena, senza contare che ti piace anche compatirti. Quindi, quale posto migliore di questo? –

Sakura inclinò lievemente un sopracciglio. – Come, prego? – Ino annuì.

- Non pretenderai mica di nascondermi qualcosa, Sakura. In fondo siamo state amiche per anni, e poi… poi si vede benissimo che fai finta dalla mattina alla sera, per poi trascinarti come un cane bastonato quando si fa notte. Credi che comincerai anche a ululare alla luna? Sarebbe estremamente pittoresco. –

L’altra non disse nulla, fortemente divisa tra la voglia di scoppiare a ridere, oppure di mettersi a piangere. Senza contare il fatto che c’era la sua sanità mentale, in gioco.

- D’altra parte, è così palese. –

- Che vuoi dire, Ino? –

- Semplicemente… - la ragazza lo fissò con fare accusatorio, - … che ti stai comportando esattamente come farebbe lui, Sakura. –

Fu come se la notte avesse improvvisamente deciso di diventare più fitta e densa.

Una farfalla dai colori grigi le passò a fianco. Lei, come ovvio, nemmeno la notò.

- Cosa stai dicendo?! – si arrabbiò, scuotendo la testa.

- Eppure è così ovvio, Sakura. Non ti rendi nemmeno conto che anche tu hai sempre vissuto con un chiodo fisso dentro la testa, incapace di liberartene? –

- Non… -

Ino si alzò e le passò avanti, prendendo la strada per Konoha. – Sei uguale a lui. –

Io non sarò mai come lui.

Io non sarò mai come lui..

Io non sarò mai come lui…

Non l’avrebbe permesso. Quel azzardato paragone le fece salire il sangue alla testa.

- Fermati subito, Ino! – l’altra non diede cenno di aver sentito. – INO, FERMATI, ORA!!

Un kunai passò così vicino alla testa della bionda che quasi le tagliò alcune ciocche di capelli. Ino si volse, sconvolta. – Sakura…? –

- Io non sarò mai come lui. –

Semplicemente perché io lo odio.

- Io non posso odiarmi, Ino. – disse – Se riferirai di questa conversazione a qualcun altro, te la farò pagare, cosmea. –

L’altra annuì immediatamente.

Sakura le diede le spalle e si inoltrò dentro la foresta della Morte, per sentirsi vicina ai suoi spettrali ricordi.

Ino Yamanaka rabbrividì.

Per la prima volta nella sua vita, Sakura appariva come una rosa piena di spine.

Una rosa nera.

 

Stop breathing if
I don't see you anymore

 

 

La foresta si apriva davanti ai suoi occhi, un cancello di semplice ferro battuto a delimitarne la fine.

Come se l’oscurità potesse esser confinata da una labile barriera umana.

Faceva freddo, ed era come se mille lame di ghiaccio penetrassero nel suo corpo.

Ma d’altra parte, lei aveva sempre freddo.

Sakura Haruno alzò gli occhi chiari su quella massa articolata di alberi e le parve quasi di comprenderne l’infinita complessità.

Curiosamente le venne immediato un paragone tra quello che aveva davanti e i suoi sentimenti.

Si sentiva incredibilmente fragile ed emotiva, dopo quella notte.

Era trascorsa quasi una settimana.

- Sakura-chan! –

Si volse al richiamo quasi urlato di Naruto, sorridendogli. – Naruto. –

- Kakashi-sensei non è ancora arrivato, suppongo. –

La giovane alzò le spalle con noncuranza, tornando a guardare gli alberi. – E come potrebbe? In fondo manca ancora un minuto all’ora esatta in cui avremmo dovuto incontrarci. Al massimo, Kakashi-sensei si starà svegliando ora. –

- O forse questa mattina ci degnerà della sua presenza, avendo la gentilezza di arrivare in orario. –

I due si guardarono per un secondo, poi scoppiarono a ridere, con irruenza, quasi.

- Uhh, ti prego Naruto, siamo seri… - piagnucolò la ragazza, tenendosi lo stomaco con le mani per il troppo ridere. Il biondo si fermò un attimo a guardarla.

Sapeva bene cos’era successo una settimana prima, Sasuke non aveva esitato nel dispensare particolari nella narrazione, tanto che poteva quasi vedere le lacrime di Sakura davanti al suo viso.

E la sua faccia sorpresa quando l’Uchiha si era deciso a dire… quella cosa.

Naruto Uzumaki si sentì stupidamente spaccato in due.

Contento perché lei era contenta.

Infelice perché lei era allegra. Ma non per merito suo.

- Naruto, ohi, Naruto! –

La mano bianca di Sakura sventolò davanti al naso dell’altro per almeno dieci secondo, prima che quello si riprendesse.

- Uh? –

- Ti eri incantato! Sembravi proprio il maestro Kakashi quando ci lamentiamo dei suoi ritardi: immobile come uno stoccafisso. –

Un rumore di passi estremamente familiare.

Anche se i suoi passi non facevano rumore.

- E a proposito di arrivare in ritardo… - proferì Naruto - … sei in ritardo, maledetto! –

Maledetto perché gliela stava portando via.

E lui era contento e infelice.

Che stupido, dattebayo!

Il viso di Sakura, la sua espressione, dicevano mille cose insieme.

- Stai zitta, stupida scimmia. – l’ammonì Sasuke. Poi si voltò verso di lei e le sorrise.

È bello, il suo sorriso.

- Buongiorno, Sakura. –

Lei impiegò almeno dieci minuti per capire che si stava rivolgendo a lei, e infine, realizzato ciò, rispose al suo sorriso.

- Buongiorno Sasuke-kun! – disse, un po’ militarmente.

- Sasuke. –

- Cosa? –

- Potrebbe bastare Sasuke, non credi? –

La ragazza si sentì quasi svenire, tanto che le sue guance divennero di un increscioso color rosso genziana. – Oh, forse si, credo. –

Da lontano, Naruto li osservava. Un po’ triste, un po’ contento.

La foresta nascondeva gli odori degli esseri umani, mascherandoli con quelli dei fiori e degli animali.

Ma i suoni, era come se fossero amplificati: per questo Sakura sentì immediatamente l’urlo del ragazzo, che le giunse alle orecchie come un eco stridulo.

- Sasuke-kun…! –

Saltò rapidamente da un ramo all’altro, spinta da una sorta di disperazione che le animava le gambe, come fuoco.

Le pareva le mancasse il respiro. La paura di poter rimanere senza di lui era soffocante.

La radura era piccola e nascosta. Sakura, in ogni caso, non faticò nel trovarla.

Come se l’eco di quel grido avesse intessuto un filo fino a lui.

Le lacrime sul suo viso erano trasparenti e limpide, e fu la prima cosa che lei notò.

Poi giunsero le lacrime nere, che camminando alacremente coprirono tutto il suo corpo. Lui urlava come se la pelle gli si stesse staccando dal viso, bruciando senza posa.

Il sigillo sul marchio, rotto, da cui si riversavano lacrime, implacabili come il loro padrone.

Ed era come se quello stesso marchio stesse piangendo per il suo Sasuke-kun.

Solo Sasuke, Sakura.

Gli si precipitò accanto, nella fotocopia di quello che aveva fatto durante l’esame dei chunin.

Ed era tutto così spaventosamente uguale che non seppe frenare le lacrime.

Per Sasuke-kun, ed egoisticamente, anche per lei.

Perché voleva essere felice.

- Sakura, che cosa fai qui…? –

- Hai urlato, Sasuke- -

Solo Sasuke.

- Hai urlato, Sasuke. –

- Non dovevi venire, sciocca. –

La ragazza si ritrasse, come scottata. – Pensavo… ti potesse servire il mio aiuto… - balbettò.

- Io… - Sasuke cercò di alzarsi, ma franò irrimediabilmente verso terra, trattenuto dalla forza di gravità. – Dannazione, non posso permettere che tu venga coinvolta… -

- Ci siamo solo noi, Sasuke. –

- Potrebbero arrivare. E allora si, che saremo solo noi. Troppo pochi per difenderci. – disse lui, appoggiandosi a lei e cercando nuovamente di tirarsi in piedi.

Sakura tirò un sospiro lungo come la sua vita, pensando al fatto che dannazione!, non era mai stata in grado di fare nulla.

Forse era l’occasione per rimediare, si disse.

Si tirò in piedi, abbandonando il ragazzo per terra.

- Sakura…? –

- Ti difenderò io, Sasuke. Ci penserò io a impedire che facciano loro del male. –

- Sakura. – una breve constatazione, lieve come il vento. E le lacrime erano ancora lì. – Sakura, tu non puoi… -

- SI CHE POSSO! – il suo urlò risuonò feroce nella radura, scuotendo gli alberi. Si voltò verso di lui, gli occhi chiari contratti.

Sasuke si ammutolì sul posto, sgranando gli occhi. – Perché dovete sempre credere che io… sia… -

Non piangere.

- Dannazione! –

Stai piangendo, sciocca ragazzina.

Tu devi essere forte come loro.

Devi proteggerli.

Sii forte e…

… non piangere.

Si passò una mano sul volto arrossato dallo sforzo e gli diede le spalle. – Posso farcela. –

- Sakura, io non voglio. –

- Io voglio proteggervi, invece!!

- E se io fossi io, a volerti proteggere dal mondo? Se fosse semplicemente un tentativo di salvarti, Sakura?

Gli uccelli volavano sopra le loro teste, le nuvole erano chiare ed impalpabili.

Come le sue labbra.

Sakura lo stava baciando.

Il tempo di tirargli uno schiaffo e poi un bacio. Semplicemente quello.

Le loro bocche erano una, i loro respiri appannavano la vista dell’altro.

- Io non mi faccio salvare da nessuno, Sasuke. –

Semplicemente perché sarò io a salvare te, d’ora in poi.

 

Faceva freddo, quella mattina.

All’interno del suo corpo, Sakura stava bollendo.

 

On my knees, I'll ask
Last chance for one last dance
'Cause with you, I'd withstand
All of hell to hold your hand

 

La foresta si apriva davanti ai suoi occhi, un cancello di semplice ferro battuto a delimitarne la fine.

Come se l’oscurità potesse esser confinata da una labile barriera umana.

Faceva freddo, ed era come se mille lame di ghiaccio penetrassero nel suo corpo.

Ma d’altra parte, lei aveva sempre freddo.

Sakura Haruno alzò gli occhi chiari su quella massa articolata di alberi e le parve quasi di comprenderne l’infinita complessità.

L’odio che si dibatteva all’interno del suo corpo, feroce e selvaggio come la foresta stessa, non conosceva riposo o soluzione; d’altra parte, non desiderava nemmeno scoprire i segreti di tale informe matassa.

Lei che era come quella selva.

Bisognava solo farsi trasportare e prendere i sentieri battuti.

Perché se non trovi più la via di casa, sei perduta.

E sei perduta per sempre.

L’alba era giunta da poco e il sole, di un qualsiasi color latte, non formava nemmeno un cerchio completo al di sopra degli alberi.

Le pallide nubi di nebbia andavano rapidamente scemando, lasciandole sulla pelle mille piccola gocciole di brina.

Sentiva freddo ma non provava il bisogno di coprirsi.

Lei sentiva sempre freddo.
Che il sole fosse rovente e rosso, o freddo e bianco, per lei ormai non faceva differenza.

Uscita dall’ospedale, il poco colore rimasto nella testa si era perso, diluendosi man mano che camminava nella via in cui l’aveva abbandonata.

E alla fine, non era rimasto niente.

Nemmeno il rosa dei suoi capelli, o l’azzurro dei suoi occhi.

Solo il nero che non era un colore, il nero che, tutto sommato, era proprio quello che rappresentava.

- Sakura-chan? – la voce di Naruto risuonò insolitamente minuta nel grande prato verde [io vedo nero, nero, nero] davanti alla foresta. – Sei tu, Sakura-chan? –

- Ciao. – lo salutò blandamente voltandosi verso di lui.

Il ninja spalancò gli occhi. – Sakura-chan, che fine hanno fatto i… i tuoi vestiti? –

Le pupille di lei, nero dentro nero, ruotarono pigramente su di lui. – Da come lo dici, sembra che io sia nuda. –

- No ma… dico sul serio, sembrano davvero ristretti, mh? È freddo, a Konoha. – il suo voltò divenne un poco più rosso.

La gonna sfrangiata e la maglietta a top senza maniche erano neri.

Neri perché lei vedeva solo nero.
- In ogni caso, io avrei freddo comunque. –

- Cosa…? –

- No, nulla. Hai visto Kakashi-sensei venendo qui? – chiese la ragazza, spostando lo sguardo sulle ombre sempre nuove della foresta.

- E come avrei potuto vederlo? In fondo manca ancora un minuto all’ora esatta in cui avremmo dovuto incontrarci. Al massimo, Kakashi-sensei si starà svegliando ora. –
L’eco di una pallida risata le mosse le labbra ed evidenziò le piccole rughe agli angoli degli occhi. Le occhiaie si tesero, prepotenti, mostrando a Naruto un viso devastato, che il ragazzo parve vedere per la prima volta.

[Da quando Sakura-chan è così stanca?]

- Che domanda stupida ti ho fatto. Andiamo, Naruto? –

Lui la guardò, inclinando un sopracciglio. Ad ogni secondo, un nuovo dubbio si creava su quello vecchio, come una piccola piramide di incertezze ammonticchiate nella sua testa. – Andiamo dove, di preciso? –

- Dentro la foresta, ad allenarci. Non ho tempo di star qui ad aspettare Kakashi solo perché –

- E’ Kakashi-sensei, Sakura-chan. – la redarguì Naruto.

- … lui non ha voglia di dardi una mossa. Devo imparare nuove cose oggi e di certo non rimanderò per un ritardo. – mosse un passo verso il cancello e lo aprì, decisa. – Allora, vieni? –

Il ninja si morse poco delicatamente le labbra coi canini appuntiti e poi, con un vigoroso cenno della testa, le negò quel appoggio. – Non mi sembra giusto, Sakura-chan. In fondo Kakashi-sensei, anche se beh, arriva in ritardo, non ci ha mai negato niente, giusto? Possiamo dargli una possibilità ancora. Siediti e aspetta con me. –

- Ma io non ho tempo! – gridò lei.

- Aspetta solo un’ora, Saku

L’occhiata che lei gli lanciò lo inchiodo al suo posto, immobile. I suoi occhi erano gelo primordiale, odio genuino che non trovava valvola di sfogo, se non quello del disprezzo. E fu con disprezzo appunto che lei parlò. – In fondo l’ho sempre saputo, che eri un codardo come lui. –

Il cancello si richiuse alle sue spalle con uno scatto secco, che aveva il suono di un’amara sconfitta.

Il tempo di un respiro, e lei era già sparita.

- Yo! –

- Maestro… Kakashi? – Naruto piegò la testa. – Ha sentito tutto, sensei? –

Era così stupito da quello che non riusciva a stupirsi per il fatto che lui fosse arrivato quasi in orario.

Certe cose non potevano cambiare.

Non completamente almeno. Il ragazzo si aggrappò a quel pensiero.

- A quanto pare. –

L’occhio nero del suo maestro guardò la foresta e vide le mille ombre degli alberi. L’occhio rosso del suo maestro guardò la foresta e vi vide un’anima fatta d’ombra.

- Naruto… -

- Si, sensei? –

- Naruto, tu credi che sia giusto riportarla indietro? –

- Sensei…? –

- Riportarla indietro quando sappiamo che non c’è più luogo che lei chiami casa… forse bisognerebbe lasciarla andare. – disse solo.

- Io l’ho lasciata andare. – mormorò il biondo. - Ho sbagliato, sensei? –

- Forse, è solo troppo tardi. –

L’amara constatazione che veniva dopo un’amara sconfitta.

E l’amara verità gli rimase in gola, come un sasso appuntito che non riusciva a deglutire.

 

Il vento spazzava la radura con ferocia.

Le sue urla seguivano il vento, implacabili.

Sakura stava piegata sulle ginocchia, immobile, lo sguardo proiettato al suolo, come dovesse scoprire chissà quali misteri al di sotto di esso.

Tanto poi è solo terra.

E io sono solo Haruno Sakura.

E lui era solo Uchiha Sasuke.

E il mio era solo amore.

- Vorrei solo un’ultima possibilità. –

Le sue mani si muovevano velocemente da un segno all’altro, febbrili come il suo cervello, che disperatamente cercava riposo. – Un’ultima possibilità per danzare con te. –

Il vento fischiò.

- E tu, immancabilmente, non ci sei. –

La sua memoria non recava traccia di aiuti, di parole gentili, di silenziosi incoraggiamenti.

C’erano solo un grazie e tanto nero.

- Katon!... –

Il fuoco brucia, il fuoco consuma, il fuoco scotta, il fuoco asciuga.

L’anima era fuoco, l’odio era fuoco, il sentimento era fuoco.

I suoi occhi erano fuoco.

- Kaze… -

Perché il fuoco, prima di tutto, è.

- No Jutsu! –

L’intera radura s’illuminò di luce all’improvviso, in un’esplosione silenziosa che fu testimone dell’inconsueto ritorno della famiglia Uchiha, e di una loro tecnica.

La sfera di fiamme ribollenti si ingigantì sempre di più, fino a racchiudere in essa anche gli alberi circostanti.

- Non ci sei e io ti ODIO, per questo! –

Rispose un ruggito e in quel ruggito, Sakura cominciò a combattere.

Menava fendenti a destra e a manca, descrivendo il profilo di un’ipotetica persona che subiva i colpi, a volte attutendoli, a volte parandoli.

Davanti a Sakura Haruno c’era l’aria.

Davanti a quello che Sakura Haruno stava diventando, c’era Sasuke Uchiha con gli occhi aperti.

Spalancati, perché la ragazza aveva usato una sua tecnica.

- Sei sorpreso, Sasuke-kun? –

Rise, e quel riso divenne presto un ghigno. – In fondo non è stato difficile. È bastato pensare al fuocodanza! -

E mentre parlava, combatteva. Gli colpì violentemente uno zigomo, forse rompendolo.

Seguì un pugno nello stomaco.

Sasuke Uchiha finì a terra, e Sakura, l’inutile, rise.

Il rogo bruciava pelle come fosse carta.

- Stai bruciando, Sasuke-kun… - un altro calcio. Il ragazzo rantolò. Lei gridò di gioia.

Premette la mano sulla ferita che gli sgorgava dal labbro, e osservò il suo sangue. – Sanguini, Sasuke-kun… -

- Volevo colpirti e ci sono riuscita. –

- Sakura-chan? –

Lei girò gli occhi e in quella foresta di fiamme vide Naruto che le correva incontro, una mano premuta sulla bocca.

Il ninja l’osservò e si trattenne dall’urlare.

- Sakura-chan, stai sanguinando e… forse hai uno zigomo rotto. –

Lei sorrise e gli si avvicinò.

- Tu credi. – disse sussurrandogli in un orecchio – Ma non sono io, ad essere stata colpita. –

Inclinò la testa di lato e lo sorpassò.

Il fuoco non le fece nulla.

Al suo passaggio, si ritrasse.

 

Se segui la strada, vivi.

Se ti smarrisci, muori.

Se crei un nuovo sentiero, impazzisci.

 

I'd give it all
I'd give for us
Give anything but I won't give up
'Cause you know,
you know, you know

Le campane suonarono i canonici dodici rintocchi proprio con lo sparire dell’ultima nuvola che oscurava il sole.

La tiepida brezza di primavera spargeva ovunque un vago odore di fiori.

Il suo profumo, fiori d’arancio in mano, cosmee ad adornare le sedie.

Fiori nell’anima e attimi coi colori di fiori.

Non le avevano mai parlato di quella sensazione particolare che ti prende il cuore, quando sei felice.

Le pareva che stesse per scoppiare.

Sei anni di appuntamenti all’ombra dei ciliegi, giocando a nascondersi dai pensieri altrui.

 

- Non credo che tu dovresti accettare, Sakura. –

Quella frase era saltata fuori nel mezzo del discorso, un’intrusa in quel oasi di tranquillità che faticosamente erano riusciti a costruire.

- Cosa? –

- Non dovresti accettare. –

Sakura inclinò un sopracciglio.

- D’accordo. Ma cosa?

- Non accettare. –

- Sasuke, se non mi spieghi cosa non dovrei accettare temo resteremo su questa discussione in eterno. –

- Non ti fidi di me? –

La ragazza, ormai diciottenne, lo aveva osservato a lungo. Sasuke aveva avuto la decenza di arrossire e chinare lo sguardo arrogante verso terra.

- Dopo che mi hai tenuto in sospeso per anni, rischiando di abbandonarmi per una stupida vendetta, dopo che mi hai vietato di parlare a tutti della nostra relazione? –

Il ninja tossicchiò.

- Mi deludi, Sasuke. Come hai solo potuto pensare che io non mi fidi di te? –

- Così. –

Lei si lasciò cadere con la schiena sull’erba. L’umidità della notte permeò i tessuti, bagnandoli.

Ripensò alla notte appena trascorsa. L’acqua era ovunque, sui suoi capelli, sulla sua pelle. Chiudendo gli occhi poteva ancora sentire il loro odore, attaccato all’erba come solo un ricordo poteva essere.

Un ricordo che non voleva sparire.

Così come lei tenacemente resisteva al passare degli anni e alla monotonia sempre più vicina, anche quel momento doveva avere la forza di imporsi sul mondo ignorante.

Sorrise.

- A cosa stai pensando? –

- Al fatto che qui c’è il nostro odore. –

- Come prego? –

- Non senti il nostro odore, Sasuke? –

- Se devo essere sincero, no. Non capisco come possa avere un odore così. Ma poi, esiste un nostro odore?

La kunoichi arricciò il naso.

- La tua è puzza. –

Sasuke rise. – Come no. –

 - Dico sul serio. Il nostro odore è quando ci abbracciamo, quando ci baciamo, quando stiamo qui a guardarci e a parlare sotto quest’albero. – disse piano. – Il nostro odore è quando facciamo l’amore… -

Ovviamente, arrossì.

- Ci credi davvero? –

Sakura annuì convinta. Si tirò a sedere, appoggiandosi alla sua spalla. Gli sfiorò la gola con un bacio lieve, quasi fremente. – Io si. –

- A volte mi sorprendo di come tu possa essere così… -

La ragazza lo fissò con occhi poco convinti. – Ma continua, ti prego. Sono ansiosa di sapere come possa essere. – il tono faceva intendere una brutta fine qualora avesse detto qualcuno di inopportuno.

Si schiarì la voce.

- …intendevo dire… innocente. Perché capisci sempre quello che non devi?

Lei alzò le spalle. – Sarà. –

- E poi sei così ingenua a volte. Come quella volta in cui io ti avevo velatamente proposto di… -

Lei gridò oltraggiata tappandogli la bocca con una mano. – Non ricordarlo!! Chiudi il becco, Sasuke! –

Il ninja della squadra ANBU numero sette prese quella mano e la baciò con riverenza. – Perdonami, amo vederti in imbarazzo. –

- Grazie. –

- Proprio per questo… non dovresti accettare. –

- Di nuovo? –

- Perdonami, è che sta diventando un’ossessione ormai. –

- Sasuke io non ti capisco. – Sakura lo fissò. – Siamo nascosti ma siamo felici… cosa non va, in quello che facciamo ora? –

- Mi angoscia l’idea che tu accetti. –

Gli occhi chiarissimi di lei si strinsero. Sasuke sobbalzò. Conosceva quel espressione e sapeva benissimo che nulla l’avrebbe salvato dalla prossima apocalisse.

- Sasuke Uchiha, o mi dici immediatamente di cosa stai parlando, o ti giuro che… -

Non seguirono parole ma era ben chiaro a cosa si stesse riferendo.

- Va bene, va bene. –

- Dunque… -

- Stavo pensando che… -

Si umettò le labbra, indeciso. Sakura aggrottò un sopracciglio: che il suo ragazzo assumesse quella posizione, non le era mai capitato.

- Sasuke? –

Lui sospirò e la guardò fisso negli occhi. – Io rimango dell’idea che ti rovineresti la vita, accettando… -

- Giuro che… ! Parla, dannato! –

- Sakura, vuoi sposarmi? –

Improvvisamente sentì il loro odore farsi più forte, fino a diventare suono, e poi immagine.

Una loro immagine.

 Si può essere felici, vero?

- Sa…-

- Ma non credo che dovresti accettare, insomma… sono un Uchiha, e poi –

Una mano a tappargli la bocca, di nuovo.

Il suo odore.

Che poi è anche il nostro.

- Ovvio che si. –

Lo fissò.

- Ti sposerei anche se fossi imperfetto, brutto, qualsiasi… ti sposerei perché ti amo. –

Il suo odore è un odore di fiori.

Ma non è dolce, e nemmeno amaro.

È il suo odore.

Che poi è anche il nostro.

 

Così il vestito bianco le fasciava i fianchi, e i nastri rossi scendevano sul collo.

Perché aveva fatto una scelta.

Sasuke le comparve al fianco, vestito di nero. E nero e bianco si sorrisero.

- Siamo qui, alla fine. –

Lei annuì, poggiandosi al suo fianco, esausta. – Anche qui. –

- Cosa…? –

- Anche qui c’è il nostro odore. –

E finalmente Sasuke capì di cosa stava parlando.

 

So far away
Been far away for far too long
So far away
Been far away for far too long
But you know, you know, you know

Le campane suonarono i canonici dodici rintocchi proprio con lo sparire dell’ultima nuvola che oscurava il sole.

La tiepida brezza di primavera spargeva ovunque un vago odore di fiori.

Non era notte ma la scena le suonava familiare.

Le persone che l’incrociavano per strada l’osservavano straniti ma non facevano altro, limitandosi a corrucciare le sopracciglia, lasciandola sfilare via come un pensiero troppo grande per essere affrontato.

Forse perché l’enorme zaino sulle spalle poteva indurli a pensare che stesse per intraprendere una nuova missione.

O forse, più semplicemente, perché il suo viso cinereo non permetteva intromissione alcuna.

Passò di fianco al negozio di fiori della famiglia Yamanaka, ignorando volutamente il richiamo di Ino, l’unica fino ad ora che pareva aver effettivamente notato il dettaglio.

Stupidi fiori.

C’è odori di fiori dove sente l’odore della morte.

Ci sono fiori che significano morte?

- Sakura, dove stai andando? –

Continuò a camminare, incurante dei richiami dell’altra, fino a che la voce femminile della bionda non si perse fra i vicoli di Konoha.

Ino. Ino che era la migliore del villaggio.

Tempo fa.

Ino che era l’unica ad aver notato il nastro rosso fra i suoi capelli – le era familiare, ecco cosa – e non aveva saputo trovare il suo coprifronte sulla sua figura.

Sakura aveva deciso di riporlo nello zaino, sul fondo, sotto ai vestiti e alle provviste di cibo, perché il suo richiamo non le entrasse nel cervello e cominciasse a minare quello strano equilibrio che si era creato dentro di lei.

Forse non sono così decisa.

Ma in fondo, che cosa mi importa?

Il profumo di fiori del negozio di Ino e della sua familia avrebbe dovuto sparire tempo fa, perso fra i mille cunicoli del paese. Eppure continuava a persistere dentro alle sue narici.

E non era normale che lei provasse tutto quel attaccamento verso un profumo che non avrebbe dovuto essere tale, non nella sua testa, almeno.

Perché era l’odore che lei aveva sempre associato alla sconfitta.

Ma in fondo, era sempre stata consapevole del fatto che Ino avrebbe cominciato a tramontare, prima o poi. E lei sarebbe emersa con prepotenza.

Era il profumo di una sconfitta. Che però preannunciava una vittoria.

La bionda prima o poi sarebbe caduta a terra, sgretolandosi. Non sapeva se avrebbe pianto.

Un urlo la riportò al mondo, in un istante.

Girò l’angolo con calma, senza preoccupazione alcuna, il passo fermo e cadenzato. Riconobbe immediatamente le mura del palazzo Hyuuga, austere e consone allo stile di vita estremamente severo del capofamiglia.

L’urlo probabilmente era stato di Hanabi.

Non c’era nulla di diverso dalla realtà, dunque: il capofamiglia stava straziando la figlia minore con i suoi dispotici allenamenti e nel frattempo devastava la mente della maggiore con i sensi di colpa. Il tutto mentre semplicemente stava seduto sul suo scranno dorato.

Non poté far a meno di provare un moto di odio istintivo verso quel uomo, che aveva costretto Hinata a chiudersi sempre di più, fino a diventare la ragazzina fragile che era ora.

Lo odiò con tutta se stessa. Poi si ricordò che aveva una vendetta da compiere

ma io non sono come lui

e si affrettò lungo la via.

All’ingresso della villa vide la maggiore delle due sorelle appoggiata al muro, gli occhi bianchi chiusi e la testa china.

- Ciao, Hinata. –

- Oh… - lei si risvegliò dal suo apparente sonno e le sorrise, arrossendo. – Buongiorno Sakura-chan. –

- Volevo solo salutarti, sto partendo. –

A volte si chiedeva perché le risultasse così naturale parlare con lei, che era così timida.

Non aveva mai capito cosa esattamente la legasse ad Hinata.

Solo dopo mesi aveva finalmente compreso: la voglia di sentirsi amata.

- Parti? – Hinata la fissò per un istante. – E dov’è il tuo coprifronte, Sakura-chan? Se è una missione segreta capisco, certo.

- No, vedi… - non sapeva bene cosa dire. - … io me ne vado. –

Gli occhi bianchi della moretta si strinsero con una certa drammatica preoccupazione. – Il corpifronte… dov’è, Sakura-chan? –

- Dove deve essere. Lontano da me. –

Un urlo risuonò di nuovo fra le mura, violento e sorpreso. Hinata sussultò. – Forse è meglio che vada, Sakura-chan. Sai, io… -

- Si? –

La ragazza le sorrise dolcemente, sfiorandole un braccio con la mano sinistra. - … io vorrei avere il tuo stesso coraggio. –

- Ce l’hai, Hinata. Credimi, tu puoi. –

Annuì un’ultima volta e continuò per la sua strada.

Finita casa Hyuuga, incominciava la casa dei morti.

Il cimitero era dolce, quella mattina, avvolto ancora da un leggero strato di nebbia che andava velocemente diradandosi.

Scorse l’ombra di Kakashi avvicinarsi alla lapide dei caduti e sfiorarla ripetutamente, come se quel gesto avrebbe consentito al tempo di tornare indietro, e a Obito di tornare a casa.

Ma la mano del suo maestro si muoveva ossessivamente avanti e indietro, senza alcun risultato apprezzabile.

Il movimento continuava. Le lacrime scendevano.

L’occhio rosso che era simbolo di sconfitta piangeva e piangeva, ancora.

Sakura pensò che nessuno avrebbe mai dovuto subire tutto quel dolore da solo. Nemmeno lei.

Pregò [chi prego, io?] che l’anima di Obito fosse serena, e che potesse vegliare sul relitto di uomo che ora piangeva in silenzio, a pochi metri da lei.

Il pensiero immediatamente successivo fu che avrebbe preferito trovare Sasuke lì, sotto la terra.

L’assurdo desiderio di stabilità e permanenza.

Ti vorrei morto ma a casa.

Perché da vivo sei lontano.

Salutò Kakashi col pensiero e proseguì.

Casa Uchiha, per sentirsi meglio.

I vetri delle finestre imploravano pietà, contornati dal colore ormai spento delle persiane, occlusi dalla polvere e dalle ragnatele.

Tutto di quel Clan chiedeva aiuto: lei non si sentiva pronta a darlo.

Scosse la testa e passò oltre, arrivando infine al termine del villaggio, pronta [non è vero] ad osservare l’orrore più grande che Konoha avesse mai concepito.

Naruto Uzumaki colpiva ripetutamente l’albero davanti a lui, i colpi sicuri e la mente diretta verso due unici obbiettivi, entrambi sacralmente rivolti al suo villaggio.

Quello stesso villaggio che pareva volerlo vomitare, per espellerlo.

Sakura vide le occhiate penetranti che, come al solito, gli abitanti riservavano al ragazzo. Pensò che era stata una di loro.

Desiderò morire, e risolvere tutto una volta per tutte.

Poi volle credere che c’era un futuro migliore per tutti.

Di nuovo un’occhiata al suo migliore amico.

Non credé più a nulla.

Non c’era limite alla cattiveria che la gente poteva anche solo concepire, così volle escludersi dal gruppo.

- Naruto! – lo chiamò. – Ehi Naruto! –

Lui si volse immediatamente, perdendo quella strana aria seria che non gli si addiceva per niente e inventando dal nulla un sorriso bellissimo. – Ciao, Sakura-chan. –

Il sorriso era bello ma era finto. Finto e preoccupato.

- Volevo solo dirti, Naruto… -

- Si, Sakura-chan? –

Lei gli afferrò la felpa e lo strattonò, avvicinandolo a . Lo baciò piano e con grande riverenza. – Volevo dirti che sei sempre stato il mio migliore amico. –

Un colpo al collo, di sorpresa.

Gli occhi del biondo che si appannavano, contratti.

Una frase per salutarlo. – E perdonami se sono come lui, ora. –

Si allontanò in fretta, senza mai girarsi.

 

C’era stato un tempo in cui Ino era stata sua rivale – amica.

C’era stato un tempo in cui Hinata aveva amato parlare con lei.

C’era stato un tempo in cui Kakashi era stato il suo maestro.

C’era stato un tempo in cui Naruto Uzumaki era stato il suo migliore amico.

Questo tempo durò un anno.

Poi anch’esso finì.

 


I wanted
I wanted you to stay

 

La sua lingua era sempre stata un po’ particolare: lunga, ritorta e guizzante.

Descrizione che alla fine poteva anche essere facilmente adattata al suo proprietario. Orochimaru non aveva mai pensato ad una descrizione che lo racchiudesse pienamente: era fermamente convinto che i fatti parlassero per lui e di certo, in quel senso, non si sbagliava affatto.

La fama che gli si era velocemente addossata addosso non era il risultato di nessuna esasperazione narratologica. Semplicemente la sua crudeltà era tale che nessuno scrittore avrebbe mai saputo inventare di meglio.

Il serpente osservò con una certa studiata calma il villaggio che si stagliava sotto di lui – un’immagine premonitrice, pensò – e fece emergere un piccolo sorriso sul suo viso.

- A quanto pare, - disse – è giunto il momento di recuperare ciò che è sempre stato mio di diritto. –

Kabuto gli sorrise in risposta, chinando il viso verso il centro di Konoha. – La volpe, maestro. –

- La volpe. – ripeté lui. – La volpe, il mio marchio e non solo. –

E se uno scrittore fosse passato di lì per caso, avrebbe sicuramente annotato quella frase.

 

Sasuke guardò sua moglie per un breve istante.

Sentì il sangue defluire rapidamente dal suo viso.

Non era pronto per affrontarlo.

Non poteva rischiare di perdere.

- Dillo ancora. – balbettò incredulo.

Sakura Haruno Uchiha sbuffò e per la ventesima volta in dieci minuti si decise a pronunciare quella frase che pareva atterrirlo alla morte. – Sono incinta. –

- Oh mio… - il ninja deglutì. Deglutì ancora perché non si ricordava di averlo fatto e deglutì una terza volta giusto così, per essere sicuri.

- Ma quando è successo? –

L’ANBU della squadra medica aspettò un secondo prima di rispondergli, giusto per essere sicura di non scoppiargli a ridere in faccia, e quindi alzò le spalle, indecisa. – Beh, al prato, alla festa di fidanzamento di Naruto, nella foresta… - e mentre elencava alzava gradualmente la voce.

- Va bene, va bene. – l’Uchiha la fermò, terrorizzato. – Ho fatto una domanda stupida. –

Le parole della moglie furono come una sconfitta definitiva. – Già. –

Si fissarono un po’ stupidamente negli occhi per qualche istante, conditi entrambi con sorrisi zuccherosi e teneramente sinceri: la calma quasi immobile nella sala dava un senso di tranquillità quasi incredibile.

Sasuke non aveva mai pensato di poter tornare nella tenuta degli Uchiha e riuscire a rimanerci senza paure o timori.

E invece era lì, a sorridere come un bambino.

Il suo sorriso era bello. E sincero.

Il rumore violento della porta d’ingresso sbattuta contro lo stipite li fece sussultare: entrambi si voltarono ansiosi verso l’atrio della tenuta, osservando la figura scomposta di Naruto avanzare verso di loro col volto stravolto. – Sasuke, Sakura! –

L’ombra della paura negli occhi azzurri.

- Naruto, cosa…? –

- Sta arrivando, dovete scappare da qui, assolutamente… lui vuole voi. –

Gli occhi che erano di solito così scioccamente felici erano macchiati dalla frenesia. – Lui… -

- Cosa? –

- Orochimaru. –

Un nome, una minaccia.

E tanta paura.

- Sakura, stai indietro… -

- Sasuke? –

Il moro fece una smorfia. – Non so come abbia fatto, ma sa che sei incinta. Pensaci, non avrebbe senso altrimenti: è vero, ho il suo marchio, ma perché cercarmi proprio ora, e non prima? No, lui sa benissimo cosa vuole ottenere da questa incursione. –

Naruto sbatté gli occhi. – Incinta? –

Nessuno gli rispose. Sasuke si voltò verso di lui, velocemente. – Anche tu, Naruto, è meglio che non ti faccia vedere. Non è certo un mistero che lui voglia la tua volpe a nove code. –

L’esplosione risuonò incredibilmente quieta nel bel mezzo del cortile pieno di polvere, sorprendente ma non certo inattesa.

Il vento spazzò le tre figure riunite e andò ad infrangersi contro la facciata della casa, che scricchiolò inquietantemente, cedendo in alcune parti di legno.

Un pezzo di cornicione precipitò vicino a Sakura che, per evitarlo, finì addosso a Naruto, facendoli cadere entrambi a terra.

Sasuke Uchiha volse velocemente lo sguardo da Orochimaru ai due amici, e poi di nuovo sul sennin.

Occhi gialli che lo fissavano, silenti.

Ghigno minaccioso impresso sul volto di marmo.

- Ci si rivede, Sasuke Uchiha. Ti trovo… cambiato. – le sue pupille verticali si spostarono lentamente dal moro alla kunoichi, mentre quel sorriso gelido e dannatamente inespressivo si ampliava sempre di più, andando di pari passi con l’aumentare della paura della ragazza.

Naruto le si parò davanti.

Orochimaru agitò una mano, apparentemente annoiato. – Volevo dire… vi trovo cambiati. –

- Cosa vuoi da noi? –

Scintillio pericoloso. – Oh, tu sai benissimo cosa voglio. –

- Lasciaci in pace, e sparisci. – una frase di segreta speranza e preghiera, il disprezzo sul viso dell’altro.

- Non avrei alcun profitto da tutto ciò. E sai bene che quando voglio una cosa me la prendo.

La sua lingua era sempre stata un po’ particolare. Guizzando rapida con una velocità incredibile poteva colpire avversari con precisione invidiabile.

E fu appunto così che fece, come guidata da una mano invisibile. 

Sasuke saltò in alto, schivando al pelo l’attacco del sennin, muovendo freneticamente le mani passando da un segno all’altro. – Katon! Kage no jutsu! –

La sfera di fuoco gli incenerì giusto le punte dei capelli. – Vieni via con me. – gli disse piano. – Io posso darti il potere che hai sempre desiderato. –

L’Uchiha [il sangue è sempre sangue] lo fissò con astio. Atterrò a terra, prendendo fiato. – Non desidero più niente se non la pace e la tranquillità. –

Orochimaru rise. – Mi fai solo pena, se le tue sono davvero parole veritiere. Tu che avevi sempre sognato una crudele vendetta. –

Non ci fu risposta.

Entrambi sparirono alla vista dei due rimasti a terra. Solo suoni distanti e soffocati segnalavano, a volte, la loro continua presenza.

Sakura osservava il vento muovere gli alberi.

Un unico pensiero fisso nella testa, come un chiodo.

Non andare via.

 

Il sangue macchiava la terra, ed era sangue rosso misto a sangue nero. Uno spettacolo inquietante.

I due non erano ancora ricomparsi. Sakura osservava le piccole gocce di liquido rosso comparire improvvisamente in mezzo al cielo e cadere velocemente verso terra, come pioggia.

Pioggia di sangue.

Naruto muoveva gli occhi freneticamente. A quanto pare, riusciva a vederli.

Una voce nel buio – Vieni via con me. –

E ancora nessuna risposta.

L’inquietante silenzio rimbombava nella mente di Sakura, simile ad una roccia impietosa nella sua continua caduta.

- Vieni via con me, Sasuke Uchiha. –

Finalmente una risposta. – Non lo farò mai. –

E c’era tutta la loro vita, in quelle quattro parole.

Sangue che cadeva come acqua. Un corpo inerme e senza vita. Una lingua senza più padrone.

La ragazza cadde a terra.

Un pensiero divenne preghiera e poi ululato.

Ululato che sapeva di pianto e di vittoria.

 

'Cause I needed
I need to hear you say
That I love you
I have loved you all along

 

La sua lingua era sempre stata un po’ particolare: lunga, ritorta e guizzante.

Descrizione che alla fine poteva anche essere facilmente adattata al suo proprietario. Orochimaru non aveva mai pensato ad una descrizione che lo racchiudesse pienamente: era fermamente convinto che i fatti parlassero per lui e di certo, in quel senso, non si sbagliava affatto.

I suoi denti erano coltelli impietosi sulla sua guancia, la saliva calda e vischiosa.

Il morso bruciava come l’Inferno. Sakura si trattenne dall’urlare solo per un istintivo moto di orgoglio.

[E vanità sarà il tuo peccato].

La labbra di lui, roventi, giocavano a sfiorare la pelle del suo viso, occasionalmente, mentre il fiato stranamente gelido  ne atrofizzava ogni parte sensibile. Stargli vicino era come essere dilaniata in due.

Un sussurro sull’orecchio destro la fece rabbrividire. Un gemito uscì incontrollato dalle sue labbra.

Orochimaru rise silenziosamente addosso a lei, le labbra di nuovo premute sulla guancia.

- Ancora una volta, voi di Konoha riuscite a stupirmi. –

Un fruscio e lui le diede le spalle, entrando nella sua capanna.

Il villaggio del Suono – a dispetto del nome – era un’oasi di relativa tranquillità, in cui il vento spazzava crudele ogni cosa si trovasse sul suo cammino, e la polvere, sua fedele alleata, penetrava in ogni fessura. L’architettura del posto, seppur rudimentale, trasmetteva una sensazione di pace interiore e le case, quadrate e geometriche, erano nidi accoglienti.

I ninja erano persone e come tali si innamoravano.

Oto contava venticinque famiglie e diciannove bambini, tutti iniziati all’arte della guerra.

Che fine faranno, una volta terminata?

Ciononostante, in quei suoi due giorni di permanenza al villaggio aveva anche sentito delle risate animare le strade e perdersi nel vento.

Risate.

Lo sguardo di Sakura cadde su una finestra vicino a lei.

Occhi stanchi e appannati, in un certo senso cattivi. Capelli rosa più corti del solito. Corpo magro, forse troppo. Zigomi arroganti e pronunciati.

Naruto avrebbe riso di lei. Probabilmente avrebbe detto che quel espressione non le donava.

Viso acuto, viso strano, viso segnato e monoespressivo.

Viso rosa con nero.

Viso da traditrice.

Il suo riflesso pareva deriderla, deridere lei e quel segno che, spiccando vistoso sulla sua guancia sinistra, era un oltraggio a tutti i suoi vecchi ideali.

Sakura. Il marchio era come un fiore fiorito prepotentemente sulla sua pelle.

E bruciava come l’Inferno.

  

Aveva buttato lo zaino a terra e lo aveva immediatamente raggiunto, sfinita.

Oto era a soli centro metri da lei, ma non aveva avuto la forza per proseguire: i suoi piedi bruciavano e le caviglie erano graffiate e tremolanti.

Sospirò.

Non sapeva esattamente quando le fosse venuta in mente quel idea malsana.

Battere Sasuke Uchiha nello stesso modo in cui lui aveva “battuto” lei. Tutto nato dall’orgoglio che andava man mano sviluppando, ogni giorno di più.

Vivere viaggiando acuiva i sensi e istruiva sulla vita.

Sakura si sentiva orgogliosa di sé, nonostante avesse deciso di abbandonare il suo villaggio per una sciocca vendetta.

Proprio come lui.

Il pensiero sfrecciò nella sua mente: se vi produsse qualche effetto, lei non lo diede a vedere.

Vendetta.

[E vanità sarà il tuo peccato.]

- Guarda guarda chi abbiamo qui, Kidoumaru. –

Dannazione.

Era così stanca che non li aveva nemmeno sentiti arrivare.

- Un pesciolino grosso, ne, Tayuya? –

- Un membro della famosa e ormai dispersa squadra sette. Pensavo che tu, piccola ragazzina, fossi ancora a casa a piangere. –

- Uh? –

La suonatrice aveva assunto un’aria estremamente seccata.

- Haruno Sakura, Jiroubo-baka! È la ragazzina infatuata del nostro Sasuke-kun. –

- Ah, si. Quella… -

Sakura allungò un piede e gli colpì la gamba sinistra con violenza.

Tayuya l’afferrò per i corti capelli rosa, strattonandola verso il basso. Doveva essere un’abitudine delle ragazze del Suono, pensò la kunoichi.

- Ragazzina non ci provare mai più. – un sibilo come quello del suo flauto maledetto. – Non ci metto niente a farti fuori. –

Un movimento veloce, un colpo al basso ventre e una testata.

Tayuya era caduta al suolo rantolante per il dolore al viso.

Cinque linee parallele che erano disprezzo puro.

- Solo IO… - sputò Sakura – Ho il permesso di chiamarlo Sasuke-kun. Puttana.

Tayuya ringhiò. Sakon le si parò davanti e con un calcio al petto colpì Sakura, che cadde all’indietro. Kidoumaru non ci mise nulla, ad intrappolarla.

Debole.

Poteva essere più forte di Tayuya ma era debole.

Non aveva una tecnica sua.

Ed era debole.

- Brutti maiali lasciatemi ora. Devo parlare con Orochimaru. –

[E vanità sara il tuo peccato]

 

Distolse lo sguardo chiaro dal riflesso e prese a camminare per la città, la testa alta e le spalle dritte come le era sempre stato insegnato e come lei non aveva mai imparato a fare.

Fino ad ora.

Il vento era suo perenne compagno.

- Quasi non ci credo. –

- Potresti evitare l’ironia? –

Occhiata bianca e furente.

- Non lo farò mai. –

E dentro quelle quattro parole c’era tutto il suo futuro.

- Posso migliorare. –

Orochimaru aveva riso.

- Non è per quello, piccola sciocca. La volpe a nove code tiene a te come una sorella, sarei un pazzo ad attirarmi la sua ira. – si fermò un secondo. – Più di quanto non abbia già fatto. – aggiunse poi.

- Io voglio vendetta. –

- Chi non la vuole, dolce Sakura? –

Il pensiero di Sasuke la distrusse.

 

Due bambini le passarono davanti guardandola straniti.

Era evidente che non avevano mai visto una persona di Orochimaru con un marchio in quella strana posizione.

Una persona di Orochimaru: le faceva effetto pensare a quella frase.

Ma era vera, drammaticamente vera. Il suo corpo apparteneva ad Orochimaru.

In più di un senso.

- E qualora ti accettassi come mia servitrice? –

- Te ne sarei per sempre riconoscente. –

Sorriso diabolico. – Non mi basterebbe. –

- Lo so. – lei aveva alzato lo sguardo e lo aveva fissato. – Io voglio il tuo marchio, Orochimaru. E tu, cosa vuoi? –

Un altro sorriso.

 

Naruto avrebbe riso di lei e della sua avventatezza.

Sasuke le avrebbe detto che era noiosa e prevedibile.

Ma nessuno dei due era lì con lei e Sakura si sentiva tremendamente sola.

Lei cosa avrebbe detto di se stessa?

Sentì il vento sulla pelle e la sabbia fra i denti.

La vera lei non rispose.

Forse perché non c’era più.

Il marchio sulla guancia l’aveva portata al limite.

Aveva preteso un potere pressoché infinito ed era stata punita.

Fra i dolori della lunga agonia, però, c’era sempre stata la sua voce da serpente che le sussurrava parole violente.

 

Lui si era preso il suo corpo.

Il suo coprifronte.

Il suo orgoglio.

 

Ma la vanità era rimasta.

Così come la rabbia.

 

And I forgive you
For being away for far too long

 

Era una sensazione particolare, quella che Sakura sentiva sulle sue braccia.

Il peso di una responsabilità fortemente voluta, addirittura desiderata.

Il neonato emise un vagito lungo e tranquillo, gorgogliante. La donna aveva gli occhi chiari che brillavano quanto delle stelle cadenti la notte di NovaStella.

C’era tepore sulle braccia di Sakura ed era un tepore che si espandeva lungo tutto il suo minuto corpo da ANBU. La donna spostò lo sguardo verso il marito, soffermandosi sulla lunga cicatrice che tagliava esattamente a metà la sua guancia destra.

L’addio ad Orochimaru aveva preteso un pagamento, ma la kunoichi non se ne curava affatto. Sasuke era sempre rimasto il suo Sasuke.

Adesso il moro era come paralizzato dalla felicità, il labbro inferiore che tremolava leggermente, come Sakura non l’aveva mai visto fare.

- Nonpuò essere vero. –

L’Haruno piegò un sopracciglio. – Hai ragione, è troppo bello per essere figlio tuo. –

Il neonato aveva una piccola peluria nera e liscia sulla testa, occhi scuri e profondi. Quello sinistro, in particolare, aveva una pagliuzza d’azzurro a segno distintivo.

- Sembra così… fragile. –

- Lo è. Dobbiamo prenderci cura di lui come se fosse un tesoro. –

Sasuke la guardava e sembrava stesse guardando l’imperatrice di tutto il mondo conosciuto. Il bagliore nei suoi occhi scuri era come un’eterna fonte di felicità a cui abbeverarsi costantemente.

- Lo faremo, non è vero, piccolo Kaoru? –

Il neonato emise un nuovo vagito e fu come rinascere.

 

Erano lentamente tornati alla normalità dopo l’attacco di Orochimaru.

Sakura aveva personalmente guarito la ferita del marito, con la massima attenzione.

Sasuke si era preso cura della moglie che, con qualche difficoltà, era riuscita a superare l’accaduto.

Spesso la donna si sorprendeva a chiedersi che razza di famiglia fossero, loro.

Una ragazzina insicura diventata ANBU.

Un bambino con un gigantesco orrore alle spalle.

Eppure resistevano.

E non importava se c’erano stati momenti di abbandono.

Felici, erano colla uno per l’altro.

 

Uno per volta in una processione infinita, tutti i conoscenti dei due mettevano la testa nella porta, curiosi.

Naruto spalancò un sorriso gigantesco alla vista del bambino, correndo immediatamente ad abbracciare Sakura, quasi spazzando via Sasuke nella foga.

- Che diamine… -

- Oh scusa, Sasuke. –

- Stai attento, baka, potresti fare del male a Sakura e Kaoru! –

Kaoru.

Il suo nome era così dolce quando era lui a pronunciarlo, pensò la donna.

- Sakura? Sakura, ti sei incantata?

- Secondo me stava pensando al fatto che ha sposato un uomo stupido. Ne, Sakura-chan?

- Non chiamarla Sakura-chan! È mia moglie! – ululò l’Uchiha.

- Ma sono lo zio di Kaoru-chan e faccio quello che mi pare e piace! –

I due cominciarono a rotolare per la stanza, incuranti della ragazza che li guardava, un mezzo sorriso aperto sul viso.

Era così bella la quotidianità della loro giornata, senza sorprese ma non per questo noiosa.

Sakura gettò il viso verso la luce del sole e pensò che niente poteva essere più bello.

E non si sbagliava.

 

So keep breathing
'Cause I'm not leaving you anymore
Believe it
Hold on to me and, never let me go

 

Era una sensazione particolare, quella che Sakura sentiva sulle sue braccia.

Il peso di una responsabilità fortemente voluta, addirittura desiderata.

Casa sua era maledettamente piena di spifferi, che non era riuscita a saldare nemmeno con l’utilizzo di alcuni jutsu elementari. Così il freddo penetrava all’interno della camera da letto, sfiorando con ben poca riverenza le sue braccia, lasciate scoperte dalla coperta leggera e troppo corta, che non riusciva a coprirle tutto il corpo.

Maledette notti d’inverno, che erano impietose nella loro bellezza e trasparenza.

Insonnolita, sbuffò, decidendo di sfruttare quelle ore – che ben difficilmente avrebbe potuto dedicare al sonno – continuando l’allenamento a cui si stava sottoponendo sotto la cura di Orochimaru.

Sakura aveva scoperto che la fama di quel maledetto serpente era tutto fuorché immeritata: la sua potenza non aveva limiti, la crudeltà nemmeno.

Aprì la porta di casa e si diresse verso l’arena, passando attraverso viottoli disabitati e inquietantemente silenziosi. Le mancava la temperatura mite di Konoha, così come le mancavano le stelle che era solita osservare quando non riusciva a dormire.

Nuova vita, nuovo villaggio, nuovo cielo.

Non riusciva a dimenticare Naruto, sebbene fossero ormai passati sei anni da quando era stata assoldata da Orochimaru con quel morso violento.

Chissà cosa starà facendo ora.

Chissà se è diventato il quinto Hokage.

Ci teneva così tanto che io fossi presente alla cerimonia.

L’arena era enorme e impietosa.

Stendardi neri erano lasciati in balia del vento, penzolanti dai vari palchi, macchiati di sangue come tutto il terreno sabbioso che ricopriva la piattaforma di combattimento.

Ci erano voluti mesi, ma alla fine Sakura Haruno aveva capito da dove veniva tutta quella sabbia.

Nel bel mezzo della pista una piccola figura ansante si muoveva lentamente, con movimenti imprecisi e esitanti, i lunghi capelli sciolti al vento.

Sakura sospirò. Avrebbe dovuto aspettarselo.

- Tsubaki! – la richiamò – Tsubaki smettila immediatamente! Fa troppo freddo per te, qui –

La figura si volse verso di lei con un sorriso. Una bambina di otto anni, non di più, lo guardò con sguardo ammirato.

Gli occhi di un armonioso verde foresta l’osservavano, tutti attenti. Corse verso di lei, in un turbinio di capelli neri leggermente arricciati verso le punte.

- Finalmente sei arrivata! – le urlò – Nee-san, dove eri finita? –

 

Era appena uscita dal dojo privato di Orochimaru dopo il consueto massacrante allenamento. Non riusciva a guardare niente che non fosse la strada davanti a lei e i suoi piedi che, affaticati, la portavano lentamente verso casa.

Improvvisamente un mugolio soffocato aveva attirato la sua attenzione.

Girato l’angolo aveva notato un fagotto di stracci sfatti e puzzolenti che tremava violentemente.

- Ehi, tu. Che cosa fai? –

- … -

- Beh ci vediamo. Ciao ciao. – e aveva fatto per andarsene.

La voce l’aveva richiamata. – La mia mamma e il mio papà sono morti. –

Sakura aveva sospirato. Una minasigo del villaggio dell’Erba, probabilmente. Un posto pacifico, che di certo non si aspettava di venire attaccato da Oto con tutta quella crudeltà.

Non aveva partecipato all’azione, ma Orochimaru le aveva brevemente riferito che non avevano trovato alcuna resistenza.

Evidentemente quel fagotto di stracci aveva un chakra interessante, per cui alla fine era stato deciso di portarla al villaggio per allenarla.

Peccato che se ne fossero dimenticati.

Era tornata indietro, incurante dei mugolii del fagotto, e aveva fatto irruzione nella capanna del suo maestro. – Orochimaru-sensei le devo parlare. –

Il serpente aveva alzato gli occhi gialli su di lei. Uno schiocco di labbra le annunciò che poteva. – Una bambina sta fuori all’incrocio della quarta via con la via principale. Dell’erba, credo. Non l’hanno affidata a nessuna famiglia. A chi posso portarla?

Orochimaru aveva riso. – Nessuno l’ha voluta. –

- E se posso, come mai? –

- Troppo tenera, mi hanno detto. –

- Si può imparare. –

- Anche tu, Sakura, sei sempre stata un po’ troppo emotiva. –

- Mi so controllare ora. –

Il suo sensei aveva riso diabolicamente. – è l’unica cosa che non sono riuscito ad insegnarti: tant’è vero che quando ti ordinerò di prenderla in casa tua, non ti opporrai. –

Aveva aggrottato le sopracciglia. – Stai scherzando. –

- Niente affatto. Puoi andare, Sakura. –

E con un gesto della mano le aveva fatto capire che il discorso poteva anche considerarsi chiuso.

La ragazza era uscita dalla casa furente. Era tornata all’incrocio delle vie e aveva urlato. – Alzati immediatamente! – gli occhi verdi della bimba si erano contratti dal terrore. – Forza, a casa. –

- Io non ho… casa. –

- Io si, invece. –

Occhi verdi e penetranti che avevano sorriso.

 

Il legame con Tsubaki – questo il suo nome – si era fatto sempre più intenso mano a mano che le due crescevano insieme, fino a che la bimba non aveva deciso di rivolgersi a lei chiamandola “sorellona”.

Sakura si era sentita triste: quando aveva dieci anni immaginava davvero una bambina dagli occhi verdi e i capelli neri che la chiamasse mamma.

Ma si figurava anche Sasuke Uchiha che le stringeva una mano con occhi innamorati e Naruto al suo fianco, con un enorme sorriso aperto sul volto.

Aveva sempre desiderato chiamare sua figlia Akegata, alba, e non Tsubaki, demone dell’orchidea.

Ma quella bambina, nonostante non fosse mai riuscita ad ammetterlo, era tutta la sua vita.

 

- Avanti, dimmi come ti chiami. –

- … -

- Forza, dovremo vivere insieme per un sacco di tempo. Non posso chiamarti se non so il tuo nome. –

Nessuna risposta, solo occhi verdi adirati nascosti da ciocche nere come le ali dei corvi.

- Va bene, ti darò un altro nome. Che ne dici di Akegata?

Occhi furenti. – No. –

Sakura aveva inclinato un sopracciglio. – No? –

- Tsubaki. Mamma mi ha chiamato Tsubaki. –

La giovane aveva sospirato. – Vada per Tsubaki. –

- Ragazza… tu sei simile alla mia mamma. Ma la mia mamma era dolce con me. Perché sei così triste? –

- Non sono affari tuoi. –

- Le persone sorridono quando sono contente. –

- Questo lo so anche io. –

- Ragazza, perché non sorridi? –

- Mi chiamo Sakura. Non sorrido perchè non mi va di sorridere. –

- Quindi sei triste? –

La disarmante logica dei bambini non lasciava spazio a repliche.

- No. –

- Però non sorridi. –

Occhi Verdi lucidi con qualche lacrima di contorno.

- Perché sei triste? –

- Non… -

Tsubaki era scoppiata a piangere. – Non voglio che qualcuno sia triste. La mamma è triste, se piango? –

- No, Tsubaki. –

Sakura era uscita dalla stanza con la mente confusa, senza che riuscisse a capire l’origine di quel turbamento.

 

Non aveva mai più visto Sasuke. Sapeva benissimo che Orochimaru faceva di tutto perché non si incontrassero, in modo da non poter creare confusione.

Anche perché il sennin si era accorto – con un qual certo piacere – che l’allenamento di Sakura aveva dato i suoi frutti.

Se quei due avessero deciso di combattersi non sapeva che cosa e chi sarebbe uscito intatto.

- Nee-san, che cosa fai? –

- Sto pensando, Tsubaki. Che cosa fai qui? –

- Mi stavo allenando per diventare forte come te, mamma. –

- Ti ho già spiegato che la mia forza non dimostra niente, Tsubaki. È solo un grosso contenitore. –

- Ma Mizu-san mi ha detto che ti devo venerare perché tu sei forte, e la forza è tutto. Anche Tuti-san lo dice sempre.

Sakura portò lo sguardo sulla bambinetta che, tremante per il freddo, si nascondeva le braccia dietro il corpo. Sospirò. – Mizu e Tuti sono solo degli sciocchi, piccolina. Piuttosto, ti hanno picchiato di nuovo, non è vero? –

Tsubaki chinò improvvisamente gli occhi verdi e si dedicò al terreno sotto i suoi piedi. – No, - disse – perché? –

- Stai nascondendo le braccia. Passerò da loro domani, e dirò loro di smetterla. –

Dopo un anno di vita insieme, Tsubaki era stata affidata ad un'altra famiglia di Oto.

Sakura non aveva tempo per dedicarsi ad una bambina piccola.

 

- Sakura-san! –

- Tsubaki, cosa vuoi ancora? –

Non si era ancora abituata a trattarla con dolcezza, nonostante avessero condiviso la stessa casa per quasi un anno.

Ma la bimba ci aveva fatto l’abitudine, e niente le impediva di adorare lo stesso la kunoichi.

- Volevo sapere come stai, Sakura-san. –

- Va tutto bene. –

- Però non sorridi mai. –

- Non sono affari tuoi, Tsubaki. –

- Mizu-san ti saluta, a proposito. E ti chiede per cortesia di non portarmi più fuori a pranzo senza avvisarla.

- Tsubaki… -

- Si, Sakura-san? –

- Vuoi che smettiamo di uscire a mangiare? –

La bambina aveva scosso la testa, spaventata. – No! –

- Allora temo che Mizu-san dovrà fare a meno di te, ogni tanto. –

Sakura odiava quella donna. Era quasi sicura che picchiasse Tsubaki ogni volta che beveva, e da quanto la vedeva frequentare la piccola osteria di Oto, dovevano essere parecchie le volte in cui aveva alzato le mani sulla bambina. Suo marito era un uomo crudele che credeva solo nella forza, e rispettava chi fosse in grado di batterlo a duello.

Entrambi detestavano Tsubaki: nell’attacco al villaggio dell’erba in cui la bimba era stata catturata, il loro unico – insopportabile – figlio era stato ucciso da uno shuriken vagante.

Sakura lo aveva sempre considerato un cretino incapace di qualsiasi cosa, e la sua morte non aveva fatto altro che confermare la sua impressione.

- Sakura-san? –

- Scusa, mi ero distratta. Cosa vuoi?

Tsubaki, squadrandola dalla balaustra su cui giocava a stare in equilibrio, le aveva indicato una figura che avanzava minacciosa verso di loro. – Credo che Mizu-san stia venendo qui. –

- Stai attenta a non cadere, piuttosto. Della tua matrigna me ne occupo io. –

L’altra aveva annuito tranquilla.

Infine la terribile donna era giunta davanti a loro, facendo un inchino ossequioso. – Stimata Sakura-san… -

- Mizu-san. –

Quella doveva aver preso il saluto – più che altro, una constatazione – come una sorta di permesso di rivolgersi alla bambina. – Dove sei stata? –

Tsubaki aveva alzatp gli occhi spaventati su di lei. – Qui. –

- Non essere sciocca. –

- Io non sono sciocca. –

Evidentemente aveva bevuto. Aveva preso un braccio di Tsubaki e lo aveva scosso violentemente, facendole perdere l’equilibrio. Sakura aveva visto, come al rallentatore, il corpo della bimba piegarsi innaturalmente all’indietro, per poi oltrepassare la balaustra verso lo strapiombo.

- Tsubaki! –

L’aveva fortunatamente presa al volo. Poi si era voltata verso Mizu-san con un odio talmente vivo negli occhi che l’altra aveva immediatamente fatto un passo indietro.

- Sparisca. –

Quella era sparita in un attimo.

Sakura aveva fissato la bambina. – Come stai? Tutto bene?

Tsubaki aveva annuito. Poi era scoppiata a piangere con una tale disperazione che l’altra aveva sentito il suo cuore stringersi con forza. – Nee-san… ho avuto paura! –

- Va tutto bene, Tsubaki. –

- Nee-san! –

 

- Nee-san, ti sei incantata di nuovo. –

- Vai a casa, Tsubaki. – disse con un piccolo sorriso. La bimba le sorrise a sua volta e sparì correndo fra la polvere.

Non capiva come fosse potuto succede. Prima del suo arrivo la ragazza aveva un unico obbiettivo da perseguire: usciva dagli allenamenti senza un pensiero in testa, desiderosa solo di mettersi a letto e poter chiudere gli occhi.

Poi, piano piano, aveva scoperto che c’erano volte in cui voleva sentire quella piccola voce lamentosa scaldarle la notte.

Sospirò volgendo gli occhi alle nuove stelle.

Il freddo era tornato con l’assenza di Tsubaki.

Pensò di nuovo a Naruto e al figlio che forse avrebbe avuto da lui, se fosse rimasta a Konoha.

Forse stava sbagliando tutto: aveva perso di vista l’obbiettivo principale della sua vita.

Odiava Sasuke ma a volte, la notte, si sorprendeva a pensare anche a Tsubaki.

E questo non andava bene.

Si sentiva dannatamente incompleta, quasi vulnerabile. E non riusciva a capire se fosse una sensazione bella o brutta.

Scosse la testa, caricando un colpo. Non doveva pensarci.

Ma perché non posso sorridere, io?

 

Il letto era diventato ghiacciato. Sakura sbuffò, alzandosi di nuovo. Altra notte, altri spifferi: il vento purtroppo, era sempre lo stesso.

Aprì la porta di casa per dirigersi all’arena, come ogni notte.

Un mugolio attirò la sua attenzione, facendole chinare il capo verso il basso, alla sua sinistra: appoggiata allo stipite della sua porta stava Tsubaki, costretta in una posizione che le ricordava tanto il fagotto di cinque anni prima.

- Cosa fai qui, si può sapere? –

Un singhiozzo interruppe il silenzio. – Tsubaki? –

- Nee-san… -

Sakura si accucciò vicino a lei cercando di capire che cosa non andasse. – Tsubaki… -

- Nee-san, sono stati cattivi. – la voce della bimba era un sussurro spaventato. Qualcosa bagnò la mano della ragazza che si era protratta per sfiorarle il viso.

Sangue.

- Tsubaki! –

La prese in braccio e la portò dentro casa.

Si stupì di quanto fosse caldo l’ambiente, quando prima sembrava freddo.

La ragazzina aveva contusioni ovunque, probabilmente anche qualcosa di rotto. Respirava a fatica e non riusciva praticamente a parlare senza emettere gemiti di dolore.

C’era una vocina fastidiosa nella mente della kunoichi che le sussurrava quello che lei non avrebbe mai voluto sentire.

Voleva che Tsubaki rimanesse lì con lei. Non voleva che se ne andasse.

- Tsubaki… -

- Nee… -

Gli occhi erano verdi e grandi e lacrimavano copiosamente, ma Sakura vedeva solo quel verde appannarsi e scomparire piano piano, per andare lontano da lei.

- Non lasciarmi, ti pregoTsubaki.

La bimba aveva aperto la bocca rossa. – Mamma… dov’è la mia… mamma? –

Un attimo per rispondere. – Qui vicino. –

- Tuugualealla mamma. –

- Va bene, Tsubaki, posso essere la tua mamma. Ma non andare via, Tsubaki… -

Lei aveva scosso la testa.

Poi, piano ed in silenzio, se ne era andata.

Nella stanza faceva di nuovo freddo.

Era quando c’era lei, che era calda.

Sakura chinò la testa sul corpo della bimba.

Di nuovo quel dolore straziante.

Perché tutti coloro a cui chiedono di non partire, poi se ne vanno?

 

Dieci minuti dopo, Mizu-san e Tuti-san erano solo cenere.

Forse l’amore era più forte del desiderio di uccidere.

Ma almeno quello non spariva.

La ragazza gettò il viso verso la luce della luna e pensò che niente poteva essere più bello della vendetta.

Ed anche se si fosse sbagliata, non c’era nessuno a chiederle di essere felice.



Keep breathing
'Cause I'm not leaving you anymore


La luce del sole li aveva colti impreparati, quel pomeriggio, così forte e vigorosa come non si vedeva da una settimana.

Pensò che era un bel giorno per essere felici.

- … vero?

Sakura distolse gli occhi dal giardino di casa Uchiha e dal bambino di tre anni che correva felice fra il laghetto e gli alberi.

- Come scusa? –

Il quinto Hokage Naruto Uzumaki le rivolse un sorriso tenerissimo, pieno di aspettative. – Il piccolo Kaoru è cresciuto, non è vero? –

La capofamiglia annuì con semplicità, togliendosi il giubbotto da ANBU che minacciava di farla soccombere per il troppo caldo. – Lo credo anche io. Non mi pare nemmeno vero. –

Il suo sguardo verde chiaro tornò a posarsi sul piccolo dai capelli scuri che girava come un pazzo, mostrando una felicità che sicuramente non aveva preso dal padre, senza contare la notevole disinvoltura che certamente non era tipica della madre.

- Prima o poi lo consumerai, Sakura-chan. –

Lei rise. – Se ti sentisse Sasuke credo che ti ucciderebbe. Lo sai che non ti regge quando mi chiami così. Devi capirlo, è semplicemente geloso.

- Ah. – Naruto scosse la testa. – Quel baka ha ben poco da lamentarsi, con tutto quello che ti ha fatto passare. Voglio dire, anche prima ti chiamavo così, quando eravamo la squadra sette, ma non si è mai lamentato per la situazione. Ti pare che adesso abbia il diritto di fare qualcosa? Nossignore. –

Sakura continuò a ridere e lasciò che la sua risata si espandesse nell’aria di aprile.

- E poi, per essere precisi, io sono l’Hokage e lui è un pidocchiosissimo ANBU. – tacque, per voi voltarsi verso la donna. – Senza offesa. –

Sakura Haruno Uchiha tirò un lieve sorrisino sulle labbra lucide. – Quando il famosissimo Hokage Naruto Uzumaki avrà bisogno di guarire una ferita, il pidocchiosissimo ANBU medico Sakura Haruno si guarderà bene dal farlo. –

Naruto l’osservò terrorizzato. – Ti prego no, stavo ovviamente scherzando. Hinata è un bravo ANBU ma quando mi deve curare le tremano sempre le mani. L’altro giorno mi ha cerettato, per riuscire a fissarmi una benda con la fascia  adesiva. –

Lei inclinò un sopracciglio. – E dire che è tua moglie. Voglio dire, avete anche una figlia. Non capisco di cosa si possa mai vergognare. –

- Mah. –

Un pianto risuonò nel giardino e i due smisero immediatamente di parlare per volgere lo sguardo verso il laghetto.

- Bambini? –

Il pianto era tipicamente femminile. – Per tutta Konoha… quella bimba è un danno. – Naruto si alzò dal portico e si affrettò a raggiungere le sponde verdeggianti del piccolo lago.

Sakura lo seguì, quieta. Giunta anche lei sul luogo vide subito qual era il problema.

La piccola Hotaru si era di nuovo fatta male.

Adesso Naruto cercava di consolare la figlia, che doveva aver inciampato sui piedi di Kaoru ed essere successivamente franata a terra battendo un gomito.

Hotaru era assolutamente deliziosa, capelli biondi e occhi bianchi, portatori del Byakugan.

Ma era quanto di più timido si fosse mai visto su quella terra.

Dal canto suo, invece, il piccolo Uchiha l’osserva attento, fermo in un atteggiamento supponente che Sakura riconobbe immediatamente essere quello del padre. Braccia conserte, mento alto, labbra dritte.

Ma gli occhi osservavano febbrili il braccio arrossato della sua amichetta.

Una lieve pressione fece sollevare gli angoli della bocca di Sakura all’insù.

- Oy, Sakura-chan, mi serve una mano per guarirla… potresti fare tu, per cortesia? Ti giuro che gli ANBU non sono tutti pidocchiosi. Solo Sasuke.

La donna finalmente rise divertita. – Certo Naruto. Faccio subito. –

Si chinò su Hotaru e poi levò lo sguardo su Kaoru. – Tranquillo pulce, non è nulla. –

Il bimbo sbuffò e guardò altrove.

- Ritiro tutto. – Naruto osservò la scena disgustato. – Anche tuo figlio è pidocchioso, Sakura-chan: sta cercando di traviare la mia adorata Hotaru. –

Sakura continuava a ridere come una pazza, una mano sul ventre. Naruto la guardava accigliato. – Ma faccio così tanto ridere? –

Una voce gli rispose, tagliente come al solito, dal tono basso e profondo. – No, è la tua faccia che ispira risate. –

La donna lo vide e fu come respirare di nuovo, o tornare alla vita.

- Baka Sasuke! –

- Ti ho già detto di non chiamarmi così, baka. E non ti devi permettere di usare quel suffisso con mia moglie.

Sakura sbuffò. Gli occhi scuri di Sasuke si spostarono su di lei, sorriso nascosto. – Com’è che ridi così tanto solo con lui? –

L’ANBU medico alzò le spalle. – Sarà che lui è più divertente di te. –

L’Uchiha levò gli occhi al cielo. – Per carità. –

La voce di Naruto si levò lamentosa al cielo.

Il sole stava tramontando.

 

- Sai, stavo pensando… -

Sakura spostò gli occhi su di lui con un piccolo sorriso, e strinse maggiormente la sua mano. Il piccolo Kaoru dormiva tranquillo poggiato al suo fianco, il corpo coperto da un lenzuolo.

- Si? –

- Se me ne fossi andato non avrei mai potuto star qui a stringerti la mano. –

- Non l’avresti mai fatto, Sasuke. –

Lui sorrise. – Ti avrei portato via tutto questo. –

Lei scrollò la testa e i lunghi capelli rosa. – Sappiamo benissimo entrambi che una cosa del genere non sarebbe mai potuta succedere. –

Per fortuna quel pensiero funesto scivolò via dalla sua mente con semplicità, e lei fu ben grata di poterlo dimenticare.

- Sakura, ti amo. –

Sorrise. – Dici poche cose ma a volte azzecchi la frase giusta. Ti amo anche io.–

- Ti ringrazio. – le loro labbra si toccarono unendosi con estrema dolcezza.

Lei si alzò prendendo il bimbo in braccio. – Vado a mettere Kaoru a letto. –

Lui annuì.

Fu un attimo, e il piede su cui aveva poggiato tutto il peso dei suoi corpi scivolò dal gradino del portico. Sakura si sbilanciò indietro, perdendo l’equilibrio.

Sentì la testa sbattere con violenza sul terreno, la base del collo urtata da qualcosa.

Poi fu tutto buio.

 

 

Il risvegliarsi [uccellini che cantano]

 

Believe it
Hold on to me and, never let me go
 

 

La luce del sole li aveva colti impreparati, quel pomeriggio, così forte e vigorosa come non si vedeva da una settimana.

Pensò che era un bel giorno per essere…

… per essere.

Orochimaru cercava disperatamente un’ombra sotto alla quale ripararsi. Ma l’Arena, a dispetto di tutto, non aveva ombre.

Lei rimaneva ferma, sotto il sole, incurante del sudore e del caldo. Era ferma in quella posizione da quando l’aveva chiamata. – E quindi, Orochimaru-sensei? –

- Sasuke si è ribellato a me. È giunta la notizia che suo fratello sia tornato a Konoha e che sia stato risparmiato dal terzo Hokage; in effetti Itachi Uchiha potrebbe rivelarsi utile in un eventuale scontro. Ma evidentemente il nostro Sasuke non deve averla presa bene. Si sta dirigendo a Konoha per raderla al suolo. –

Lei l’aveva finalmente guardato dritto negli occhi. – E dunque? Non mi pare sia un nostro problema. –

Anche se era quella che un tempo chiamavo casa.

- Konoha mi serve intera. Mi serve la volpe viva. –

Sakura Haruno aveva chiuso gli occhi stanchi e segnati e poi gli aveva dato le spalle, allontanandosi. – Non è vero e tu lo sai. Vuoi semplicemente che io e lui ci scontriamo fino ad annientarci a vicenda. Ma sta pur sicuro di una cosa, Orochimaru… -

Si voltò. – Non esiterò ad ucciderlo, anche se possiede lo sharingan che tanto desideri. Questa è la mia vendetta. –

Il suo marchio si era illuminato e il viso era diventato tela per quelle piume disegnate che erano segno di sconfitta.

Il vento amico ormai era sua costante scenografia, spettatore ed attore insieme.

La sabbia dell’Arena pareva avere vita propria. I suoi capelli corti erano in balia delle correnti.

Eppure lei resisteva. – Schiaccerò quel pidocchioso Sasuke Uchiha una volta per tutte. Non importa a che prezzo. –

Prese e si allontanò in silenzio, orme sulla sabbia a testimoniare la sua passata presenza.

- Non importa. –

 

E lei resisteva.

Sotto al sole, scortata dal vento, amica della pioggia, confidente della terra.

Involucro di elementi e anima vuota.

Lei resisteva.

 

Il sole stava tramontando.

Erano sette anni che non rivedeva Konoha e mai il suo villaggio le era parso così grande ed impietoso. Case arrampicate sulle colline dove un tempo aveva rincorso Sasuke e Naruto, sotto gli occhi vigili del maestro Kakashi, strade a ferire il verde di quel panorama.

Fumo dai comignoli.

Konoha era cresciuto e Sakura con lui, seppur lontana.

Sentiva l’ormai sconosciuto peso del corpifronte sul capo, eppure sapeva che non avrebbe potuto far a meno di indossarlo. Dopo così tanti anni cercava ancora un legame che le ricordasse chi era veramente, oltre che un essere atto alla vendetta.

Anche se quel legame era stato irrimediabilmente reciso da una lunga riga orizzontale.

Il sennin traditore non aveva esitato in quella mossa.

E nemmeno lei avrebbe mai dovuto esitare.

Un gesto, un messaggio.

- Sa… Sakura-chan? –

Lei pensò che di tutte le cose che avrebbero potuto capitarle adesso – rivedere Sasuke, Kakashi, magari venir colpita da un dejà-vu – questa era sicuramente la peggiore.

C’era solo una persona che non aveva mai potuto dimenticare, a dispetto dei messaggi del suo sensei.

E quella persona era dietro di lei. E lei sapeva che, nonostante tutto, nonostante il suo aspetto, la prima cosa che lui avrebbe fatto sarebbe stato spalancarle uno dei suoi sorrisi.

E lei non poteva permetterselo.

Sakura Haruno, dopo la morte di Tsubaki, non vedeva nulla se non vendetta.

Perciò, quando Naruto Uzumaki la chiamò di nuovo, con maggior impiego di volume, continuò a rimaner voltata verso il villaggio. Non lo guardò, non cercò la sua comprensione.

- Sakura-chan…? –

Non farlo, non chiamarmi.

Non ho il diritto di aver la mia vendetta, io?

Voglio solo la mia vendetta.

Non voglio la tua pietà o il tuo sorriso.

Voglio solo la mia vendetta.

Quando la mano le si posò sulla spalla destra, Sakura chiuse gli occhi chiari, digrignando i denti. – Naruto… -

Non farlo.

Si voltò con calma, cercando di non guardare.

Il tuo sorriso mi uccide.

- Sakura-chan sei tu! – i suoi occhi azzurri la fissarono intensamente, gioiosi. – Sei proprio tu, sei… torna… - lo sguardo si spostò sulla guancia sinistra.

Scusami.

- Sakura-chan? –

- Naruto, non guardarmi. Va via e non guardarmi,  non pensare a me, convinciti del fatto che tu non mi hai MAI visto da quando ti ho lasciato. – disse solo. Dentro di sé si sentì lentamente lacerare, strappare ogni pezzettino di anima che era per sbaglio rimasto attaccato all’involucro che era diventata.

I suoi occhi azzurri tristi erano una sconfitta così clamorosa da essere schiacciante.

Ciononostante, dopo un secondo, tutto passò come niente.

Come se Naruto fosse stato un estraneo.

- Sakura-chan, la tua guancia sinistra è… - vide il corprifronte. – Cosa hai fatto, Sakura-chan? –

Lei lo osservò, tranquilla, alzando il mento come a voler simboleggiare una sfida. – Ho cercato un modo per ottenere la mia vendetta. E lui era l’unico che aveva il potere di conferirmi la potenza di cui avevo bisogno. Perdonami. – il tono piatto.

Gli occhi di Naruto perdevano acqua.

I suoi occhi non stanno piangendo, Sakura.

Convinciti del fatto che stanno solo perdendo acqua.

- Non è possibile… tu… sei diventata come lui. –

Monotonia che era la sua salvezza. – Lo so. Io lo odio e sono diventata come lui. Ma in fondo il fine giustifica i mezzi, ricordi…?

Sospiro. – Era quello che pensava sempre lui. Non è vero… -

La sua ombra ai piedi di quella di Naruto, il suo viso piegato in un ghigno di scommessa.

- …Sasuke-kun? –

Lui era comparso dietro al biondo.

Ed in un secondo le lacrime di Naruto, i suoi occhi tristi, la sua voce, Konoha

Tutto spazzato via da quel tuo ghigno.

È questa la mia missione.

- Sakura. –

- Sasuke-kun. –

- Come ti sei ridotta: pari cadere a pezzi. Tutto per seguire un sogno. –

- A quanto sembra ormai è diventato un incubo, non credi? – occhi bianchi fissi su di lui, spettrali e vuoti.

Il moro rise. – Cosa sei venuta a fare, sciocca ragazzina? –

Lei estrasse le due katane dai rispettivi foderi e osservò il tramonto riflettersi su quelle lame lucenti. – Orochimaru mi manda a fermarti. Io sono qui per ucciderti. –

- Credi di spaventarmi con queste stupidissime minacce? –

- Affatto. – i suoi occhi stavano perdendo acqua e lei non sapeva perché. – Io… non vorrei, ucciderti, ecco. Vorrei solo vederti soffrire, tanto, piangere magari. Ma non morire. Eppure sento di doverlo fare.

L’altro pensò che era pazza. Di certo non si sbagliava.

- Quanto sei noiosa. –

Sakura scosse il capo e strinse la presa sulle lame. – A noi due. –

- Come vuoi. – anche la sua katana scintillò al sole morente. – Vediamo quale dei due allievi è il più forte. –

La guardò. – Anche se la riposta è scontata. –

Sorriso inquietante fatto di piume nere che si espandevano sul suo volto come una tempesta. – Questo è tutto da vedere. –

Naruto li osservava, immobile, incapace di proferire parola.

E sentiva il suo mondo sgretolarsi pian piano.

[E vanità sara il tuo peccato]

 

Il sole era sparito al di là delle colline, Naruto era fermo in quella posizione da più di due ore. E non sentiva più niente. I due continuavano a combattere.

La luce era il fuoco che Sasuke aveva creato con i suoi jutsu.

Sakura mosse le mani componendo segni – Kurokage no jutsu! –

Il ninja traditore non riuscì a schivare completamente il colpo, che andò ad infrangersi sulla roccia dietro di lui, frantumandola in mille piccoli pezzettini. Sasuke si voltò un attimo indietro, sconvolto e non si accorse della ragazza che gli si era come materializzata davanti.

- Sopresa. – lo colpì violentemente all’addome, facendolo ribaltare sulla schiena. Gli schiacciò il petto sotto al piede sinistro e così rimase, il volto sporto sul suo, tesa ad osservarlo.

I suoi occhi scuri erano sempre stati bellissimi.

I capelli neri scivolavano scomposti sulla fronte, dove un tempo aveva trovato sede un pezzo di metallo e stoffa che – per lei – era tutta una vita.

Chissà dov’era, il corpifronte di Sasuke-kun.

Lo odiò perché era riuscito a scindere quei legami che lei invece cercava ancora disperatamente di riprendere, la notte, in sogno.

- Alla fine pare che la migliore sia io, Sasuke-kun. Come vedi, scappare dal tuo villaggio non è servito a niente. –

- Era il mio destino. Avevo tutto il diritto di poterlo inseguire da solo. –

Sakura socchiuse gli occhi, strizzando le palpebre. – Ma non avevi il diritto, - urlò – di distruggere il MIO! Guarda cosa sono diventata! Guarda cosa TU mi hai fatto diventare. –

Quel urlo parve riscuotere Naruto, che si mosse dopo ore di attesa e cominciò a camminare verso di loro. La ninja lo notò e subito tutto il suo corpo si contrasse. – Vai via, non ti avvicinare!!gridò – STAMMI LONTANO! –

Non voglio vedere il tuo sorriso.

Il tuo sorriso mi distrugge.

- Sakura-chan, ora basta, non vedo… -

- Vai via. –

Perché i suoi occhi piangevano? Detestava sentirsi debole, detestava sentire la mancanza delle persone che aveva deciso di abbandonare…

e che l’avevano abbandonata.

Sasuke capì di dover approfittare della situazione e, con un poderoso colpo di reni, respinse il piede della ragazza, che perse l’equilibrio sbilanciandosi all’indietro.

Con una ruota si riportò lontana da lui.

- Adesso basta. – il moro artigliò le katane e così fece la ragazza, ancora scossa.

- Sasuke-kun… - la riposta che tanto cercava non le uscì dalla bocca.

- Basta, chiudiamo qui l’incontro. -

Basta perché voglio ucciderti.

Basta perché non ne posso più, di vedere il tuo viso.

Entrambi si slanciarono all’attacco l’uno dell’altro.

Qualcosa dentro Naruto urlava e urlava come un pazzo e le sue gambe non si muovevano e le sue gambe finalmente, dopo secoli di attesa, si mossero…

[adesso basta]

L’eco di quel urlo colpì Sakura rimbalzando dentro la sua mente come un vortice.

Riuscì a fermarsi un secondo prima che la punta della lama incontrasse la tenera carne dell’amico, postosi in mezzo ai due. Altrettanto fece Sasuke.

- Smettetela immediatamente, voi due! – il biondo stava piangendo come un disperato.

- Non ne posso più dei vostri giochi da bambini gelosi, non ne posso più di essere solo! Basta! Volevo soltanto degli amici, io, c’era qualcosa di così sbagliato? Io vi ODIO. –

E anche lui se n’era andato.

Il suo vecchio amico, a cui un tempo aveva sorriso con trasporto quando ancora l’ombra del fratello non gli aveva roso il cervello e la mente, lo aveva fissato negli occhi azzurri, usando il potere dello sharingan.

Naruto era crollato a terra e con lui ogni sua parola.

Sakura si ritrovò a ringraziarlo.

- La realtà è questa, Sakura. Se non mi uccidi ora, io ti porterò via tutto ciò che ti è caro.

Suonava come una minaccia, o forse, pensò l’altra, più come una promessa di salvezza.

Portarle via tutto così che lei non potesse soffrire più di quanto non avesse già fatto.

Sorrise amaramente, chinando gli occhi prima su Naruto, poi di nuovo su Sasuke.

Lo guardò nelle orbite vuote e fu come dirgli addio. -  Il problema, Sasuke-kun… è che tu lo hai già fatto. –

 

- Squadra sette, Kakashi Hatake: Naruto Uzumaki, Sakura Haruno… –

- Yeah! –

- Oh, no… -

- … e Sasuke Uchiha.

- No! –

- Evvai! –

 

- Nikusimi no jutsu! –

Curioso come inizio e fine di quella storia le fossero sfrecciati insieme nella testa.

Il corpo di Sasuke-kun era riverso sul quello di lei, che ancora teneva una mano dentro di esso, all’altezza dello stomaco.

Improvvisamente si sentì vuota.

Se era quello il senso della vendetta, sentirsi vuota dove prima c’era stato un tale insieme di emozioni da far svenire, allora Sakura aveva raggiunto il suo obbiettivo.

Aveva perso tutto. Ma non poteva vedersi così.

Non posso essere così, io.

Non gli aveva nemmeno risposto.

Non poteva più farlo…

o forse si.

Guardò Naruto per un’ultima volta: l’espressione sul viso era quella di un bambino dal sonno inquieto, le palpebre serrate con forza.

Avrebbe voluto dirgli grazie.

Riportò lo sguardo su Sasuke-kun. In un modo o nell’altro era caduto nelle sue braccia.

Non importa come.

Afferrò una katana. Piangeva e rideva: era semplicemente contenta. Improvvisamente era diventata ebbra di felicità.

Un modo c’era, per rispondergli.

La lama le passò lo stomaco, dritta come un chiodo, tagliando carne come carta.

Emise un lento sospiro. – Grazie, Sakura. – disse la sua mente.

Lei sorrise piano, cadendo verso il suolo. – Prego, Sasuke-kun. –

Poi fu tutto buio.

 

 

Il risvegliarsi [uccellini che cantano]

 

 

Keep breathing
Hold on to me and, never let me go

Keep breathing
Hold on to me and, never let me go

 

Il risvegliarsi [uccellini che cantano] con addosso la consapevolezza di aver fallito non era nemmeno definibile come una vera e propria sensazione.

Sakura sollevò la testa dal cuscino e poi, con esasperante lentezza, la lasciò ricadere verso il basso.

 

 

 

[And so it begins…]

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Owari.

 


È finita e devo dire che quasi non ci credo. Assolutamente, mai pensavo di poter scrivere qualcosa di così… gigantesco.

Tengo moltissimo a questa storia e a tutti i suoi difetti.

Ci ho messo quasi un mese per scriverla.

Nota: Kurokage vuol dire vento nero. Nikusimi, odio.

Altro…? Ah, si. Minasigo: si può tradurre come orfano.

Alla fine, cosa ho voluto rappresentare? Questa è una storia fatta di momenti volutamente banali, scritta così in modo che questi accentrassero su di loro il bianco della felicità e il nero della tristezza, in un divario sempre più grande.

Una visione ben diversa dalla mia personale, piena di sfumature.

Mi ci sono affezionata T.T

Un bacio,

L.A.D.L.

 

 

 

 

 

 

 

   
 
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