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Autore: LauFleur    14/05/2012    14 recensioni
Cercò le mani di suo fratello, che ancora gli stringevano il collo, e ci posò le sue.
Gli sembrò di aver trattenuto il fiato per vent’anni. Soltanto adesso poteva respirare.
Chiuse gli occhi.
“Questo.” sussurrò Sam. “Solo questo è vero.”
Genere: Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Dean Winchester, Sam Winchester
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Terza stagione
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Eccoci all’ultimo capitolo, l’ultima tappa di questo piccolo viaggio.

Vi voglio ringraziare tutte, dalla prima all’ultima. Perché scrivere è sempre bello, ma permettere agli altri di leggerti e ricevere sostegno ed entusiasmo è indescrivibile. Sono partita piena di dubbi, e adesso sono qui con un sorriso stampato sulla faccia. Ed è merito vostro. Mi avete resa felice con ogni commento e ogni visita che ho ricevuto. È la prima fan fiction che scrivo su Supernatural, la prima volta che mi “affaccio” su questo fandom con la scrittura, ed è stato bellissimo grazie a voi.

(Quando dico che vi ringrazio dalla prima all’ultima, con prima intendo Marghe… gliel’ho già detto, ve l’ho già detto, ma lo ridico… perché sì.)

(Un’altra parentesi: se vi interessa tenervi aggiornate su eventuali nuove storie seguitemi su Twitter!)

Spero che vi godiate questo capitolo, che vi piaccia quanto vi è piaciuto il resto.

Buona lettura e ancora grazie. 

______________________________________

 

 

La fine.

 

Ancora prima di aprire gli occhi, sentì i capelli di Sam che gli pizzicavano il collo. D’istinto alzò una mano e gli accarezzò la testa, muovendo i polpastrelli lentamente e sentendo i capelli scivolargli tra le dita. Non voleva svegliarsi, non voleva aprire gli occhi, ma quando lo fece scoprì che niente era cambiato. Erano ancora lì, nudi sotto le coperte. Insieme, abbracciati. Il sole era sorto, lui era sveglio, eppure stava ancora vivendo nel sogno.

“Buongiorno.” mormorò Sam, con quella poca forza che il sonno gli concedeva.

“Buongiorno.” rispose, sentendo spuntare un sorriso sulle labbra. Era tutto vero, era tutto vivo. “Vado a farmi una doccia. Dormi ancora un po’, ok?”

Sam annuì senza aprire bocca, e quando suo fratello scivolò fuori dal letto afferrò il suo cuscino e lo strinse tra le braccia.

Raggiunse il bagno quasi correndo, spinto da una forza finora sconosciuta. Era in pace, stava bene, poteva assaporare tra le dita e sulle labbra tutto quello che fino a quel momento aveva soltanto sognato. Solo quando fu sotto il getto caldo della doccia, nudo e solo in una stanza praticamente buia, iniziò a tremare. Cominciò a sentire la notte trascorsa sempre più lontana, sempre meno sua. La cosa più bella, appena scoperta, a cui doveva rinunciare.

Il giorno più bello della mia vita è anche l’ultimo.

Annaspò in cerca d’aria, si guardò intorno e, senza fiato, provò invano a chiedere aiuto. Intrappolato tra le pareti della doccia, si lasciò cadere sul pavimento. Con la testa tra le mani, con l’acqua che gli batteva sulla schiena e gli scivolava sul corpo, per la prima volta da quando aveva venduto l’anima, pianse.

Si asciugò lentamente, indugiando con l’asciugamano in ogni parte del suo corpo, come se volesse cancellare tutto ciò che la pelle poteva sentire. Si vestì e afferrò dal borsone verde militare tutto quello che gli serviva. Uscì dalla camera da letto senza guardare Sam che dormiva ancora e scese nello scantinato.

 

Ruby era ancora seduta al centro del cerchio, legata mani e piedi alla sedia di metallo, quando sentì passi pesanti che scendevano le scale. Sperò di trovarsi davanti Sam, ma appena intravide gli scarponi lo riconobbe e si lasciò sfuggire un lamento.

Dean camminava lentamente, con la testa bassa, senza dire una parola. Afferrò un tavolo traballante nascosto nell’angolo più buio e lo trascinò per la stanza, fino a trovarsi esattamente davanti al demone. Quando la debole luce che scendeva dalle scale colpì il tavolo, Ruby vide ciò il cacciatore ci aveva rovesciato sopra.

Sale, una boccia d’acqua, una siringa, un coltello.

D’istinto, senza bisogno di ricevere nessun comando dal cervello, le mani e i piedi della ragazza iniziarono a dimenarsi. Ringhiando, cercava di liberare polsi e caviglie.

Dean si piazzò accanto al tavolo e, arrotolandosi lentamente le maniche della camicia fino a scoprire i gomiti, parlò.

“Ricordi quando ti dicevo che mio fratello è molto più paziente di me?”

Il suono pacato di quella voce – la voce di uomo che sta per sfogare le ingiustizie di una vita intera sulla pelle e sulle ossa che ha davanti – scosse Ruby. Si impose di stringere i denti, ignorare la paura che lentamente le stava rovesciando lo stomaco, e tentò l’unica cosa che la sera prima aveva funzionato: pungerlo sul vivo.

“Lo sai che i demoni hanno un buon udito, vero cacciatore?” Inclinò leggermente la testa, gli rivolse un sorriso storto. “Te la sei goduta la tua ultima notte, eh? Com’è stata?”

Il volto di Dean rimase immobile, il respiro si mantenne regolare. La guardò fissa negli occhi ancora per qualche secondo, godendosi la paura cieca che le leggeva in faccia e che tentava disperatamente di nascondere, poi abbassò lo sguardo sul tavolo. Stappò la bottiglia piena di acqua benedetta, afferrò il pugnale e, lentamente, bagnò la lama.

“La migliore.” disse.

Quando rialzò lo sguardo, la ferocia che gli illuminava gli occhi si rifletté sul coltello, e Ruby capì, soltanto guardandolo in faccia, che nessuno, nemmeno lei, avrebbe potuto combattere e sopravvivere alla furia di un Winchester che stava per perdere suo fratello.

 

Rientrò in camera con quella carica che solo una vittoria sa darti. E, spinto proprio da quella forza, era pronto a partire, prepararsi, combattere. Ma si fermò, immobilizzato al centro della stanza, quando vide Sam. In boxer e maglietta, camminava avanti e indietro ai piedi del letto, aveva le mani nei capelli, la faccia così stravolta che faticò a riconoscerlo. Quando sentì Dean aprire la porta, alzò lo sguardo e una valanga di emozioni lo travolsero: sollievo, confusione, timore, terrore.

“Dov’eri?” chiese, con la voce in frantumi.

Dean lo raggiunse con pochi passi, gli afferrò le spalle, lo costrinse a fermarsi. “Sammy…”

“Dov’eri?” ripeté.

Le mani di Dean, che ancora gli stringevano le spalle, scivolarono sulla maglietta fino a circondargli il collo. Lo abbracciò, lo strinse più forte che poteva.

“Qui.” sussurrò.

“Cristo, Dean.” Inspirò, parlò con le labbra premute sulla sua camicia. “Pensavo fossi andato via, che mi avessi lasciato qui. Pensavo avessimo rovinato tutto.” Si allontanò di qualche centimetro, afferrò la testa di suo fratello. Con i pollici gli accarezzò le guance e, per qualche secondo, si perse nel verde dei suoi occhi. “Dimmi che non ti sei pentito. Dimmi che non ti senti in colpa.”

Al suono di quelle parole, Dean socchiuse gli occhi: era proprio quella la cosa che lo aveva terrorizzato di più. Si era svegliato con Sam addosso, aveva sentito ogni momento di quella notte ancora fresco sulla pelle, ogni immagine vivida davanti agli occhi, e aveva aspettato l’ondata di schifo, vergogna, rimorso. Un’ondata che non era arrivata. Era arrivata soltanto la voglia di rifarlo. Ancora e ancora.

“Come faccio a sentirmi in colpa se lo rifarei subito, in questo preciso istante?”

Sam sorrise – un sorriso pieno di sollievo, eccitazione, autocontrollo – e Dean si allontanò. Si schiarì la voce, cercò la concentrazione che gli serviva, e parlò di nuovo. “Ero da Ruby.”

“Ha parlato?” La voce gli uscì dalle labbra più veloce del pensiero.

“Ho un nome: Lilith. E un indirizzo.”

Sam liberò un respiro che gli scosse il petto, un sorriso incerto gli spuntò sulle labbra. “Perfetto,” esclamò, e si voltò subito, in cerca di qualcosa da mettersi addosso. “Andiamo.”

“No, Sam.” Il tono di voce cambiò, con quelle due parole tornò il fratello autoritario che troppe volte l’aveva fatto incazzare. “Vado da solo.”

Sam lo guardò, cercando di capire se stava scherzando. Lo stava prendendo in giro, non era possibile che parlasse sul serio. Scosse la testa, rise. “Cosa?”

“È un suicidio, Sammy. Andrò da solo.”

“Non se ne parla, Dean. Non prenderlo nemmeno in considerazione, capito?

“Non abbiamo niente… niente! Solo un fottutissimo nome accompagnato da un indirizzo, e molto probabilmente l’ha inventati quella stronza che non sapeva più cosa inventarsi per farmi smettere!”

Per un attimo, gli passò davanti agli occhi l’immagine di suo fratello con gli strumenti in mano, l’espressione dura, la voce che sembrava provenire dall’inferno. Rabbrividì, scosso da non seppe quale emozione. “Vengo con te, Dean.”

“Non sappiamo nemmeno come ucciderla! Abbiamo soltanto la Colt, con un fottutissimo proiettile dentro. Un solo colpo quasi sicuramente inutile, non abbiamo nient’altro! Saremo morti prima di riuscire a guardarla negli occhi.

“Vengo con te!” ripeté, quasi urlandoglielo in faccia.

Dean scosse la testa, si passò una mano sulla faccia, strinse i denti. Poi, improvvisamente stanco, si lasciò cadere sul letto.

“Forse è così che deve finire.” disse, lo sguardo fisso sul pavimento.

“E ora questo che vorrebbe dire?”

Dean alzò la testa, gli puntò gli occhi addosso. Notò che si era già vestito.

“Uno dei due che se ne va, le nostre strade che vengono divise a forza. E’ l’unico modo per tenerci separati. L’unico modo per dimostrarci quanto sia sbagliato tutto quello che stiamo facendo.

“Dean…”

“Andiamo, Sammyio e te, per sempre felici e contenti nella nostra casa delle meraviglie? Davvero ti sembra possibile?”

“Mio fratello sprofondato all’inferno, io che vago in un mondo che non è più mio. Questo invece ti sembra possibile?” ruggì. Poi, calmandosi, finì di abbottonarsi la camicia, recuperò le sue cose dal comodino, e gli dette le spalle. “Ti aspetto giù.”

 

 

L’impala ruggiva sull’asfalto, il rumore delle ruote accompagnava i loro respiri. Non si guardavano, non si parlavano. Sapevano entrambi che le voci avrebbero tremato.

Sam liberò un respiro più profondo degli altri, socchiuse gli occhi, guardò fuori dal finestrino. Una cosa da dire ce l’aveva, gli ronzava in testa da ore ormai.

Cosa sogni?” chiese. Sentiva una stretta alla bocca dello stomaco, temeva che non rispondesse, che lo tagliasse fuori ancora una volta. Infatti Dean non rispose, continuava a tenere lo sguardo fermo davanti a sé, sulla strada. “Perché non me ne hai parlato? Perché non mi hai detto degli incub-

“Non sono incubi.” lo interrupe bruscamente. “Niente cerberi, niente torture, niente di niente.”

“Allora cosa sogni, Dean?”

“Noi due.” La voce bassa risuonò nell’auto, s’infiltrò in ogni centimetro che li divideva, riempì l’aria quasi fosse un profumo. “Io e te, insieme.”

Indugiò su quell’ultima parola e Sam lo guardò, aggrottando le sopracciglia. Gli scappò una mezza risata amara.

“Ti fa più paura dell’inferno?” chiese, rivolgendosi di nuovo al vetro. “Io… noi due, insieme. E’ la cosa che più ti terrorizza in assoluto?

“Sam…” sussurrò.

“Siamo peggio della morte?”

“Sam.” ripeté, la voce più ferma. Spostò una mano dal volante alla faccia e se la passò sugli occhi. “Dio… sono così abituato a… sono così rassegnato. Come faccio a non avere paura dell’unica cosa bella che abbia mai avuto? Come faccio a non essere terrorizzato dalla felicità? Perché è questo, Sammy, c’è soltanto questo in quella casa: felicità.

Sam sentì gli occhi bruciare, le mani iniziarono a tremare. Aveva voglia di piangere, aveva voglia di urlare fino a finire la voce. E, se ne accorse provando pena e vergogna per se stesso, era geloso. Geloso dei sogni che la morte mostrava a suo fratello. Lo voleva anche lui, qualsiasi cosa avesse visto, qualsiasi cosa potesse avvicinarsi anche solo lontanamente a tutto ciò che aveva sognato da sempre. Tutta quella felicità, non riusciva neanche ad immaginarsela. “Com’è?” chiese sottovoce, controllando la voce affinché non tremasse.

Dean si voltò lentamente, lo guardò come si guarda il proprio riflesso nello specchio: sapendo cosa avrebbe trovato, sicuro dell’espressione che avrebbe avuto sul volto. Gli occhi piccoli ma profondi, la bocca tesa, i capelli spettinati intorno al viso. Lo sapeva a memoria. E sapeva come far sparire, almeno per un po’, l’angoscia che gli leggeva addosso.

“Bello.” E dirlo ad alta voce fu come spogliarsi. La libertà in una parola. Era un sollievo così grande, aprire la bocca e parlare, che continuò a farlo. “È una casa semplice: sala da pranzo, cucina, camera da letto, un bagno con un tappeto rosso. Il divano… il divano è il mio posto preferito. Il nostro, credo.” Parlò al presente: pensare che non avrebbe potuto dormire o sognare mai più riusciva a portargli via il respiro. “Non ci sono demoni, né fantasmi... niente di tutto questo.” Fece un gesto con la mano, indicò l’aria che lo circondava, la vita che li tormentava da sempre. “Io lavoro in un’officina, tu sei un avvocato, e quando la sera torniamo a casa facciamo quasi sempre la doccia insieme. Di solito tu cucini, e io lavo i piatti. La tua parte di letto è la sinistra, e ti addormenti all’istante se ti accarezzo i capelli… ma questo già lo sai. Sorrise, si voltò verso Sam per vedere se stava facendo lo stesso: si specchiò in un sorriso più grande del suo. “Siamo noi due… soltanto noi due, come sempre. Ma siamo incredibilmente felici. E tutto è così naturale… sembra proprio la vita fatta per noi.

“Grazie, Dean.” disse suo fratello, il groppo in gola che lasciava andare a fatica la voce.

Non sapeva per cosa, ma non importava, non lo chiese.

Continuò a guidare, tenendo un occhio sempre fisso su Sam: si stava tormentando le mani, appoggiate sulle cosce. Si schioccava le dita, si torturava i palmi. Pensò a tutto quello che gli stava cascando addosso, tutto quello che lui stesso stava rovesciando sulle spalle di suo fratello. Pensò al suo sguardo la prima volta che l’aveva baciato, alle sue mani che cercavano i bottoni della sua camicia. Quella sicurezza nascosta in ogni movimento.

Non ho mai voluto nient’altro.

A Sam non era mai servito sognare, essere sul punto di morire per capire. Tutto quello che Dean aveva vissuto negli ultimi mesi, lui l’aveva vissuto in anni interi. Da solo. Completamente solo.

“Quando l’hai capito?” chiese.

Sam sembrò svegliarsi da un sogno. “Cosa?”

“Che eri… insomma… che c’era qualcosa di più.”

A Sam si strinse il cuore di fronte all’imbarazzo di suo fratello. Avrebbe voluto che fosse più tranquillo, avrebbe voluto tempo per renderlo più tranquillo. Fargli capire che poteva dirgli tutto, chiedergli tutto, che per lui non c’erano problemi nel sentirsi dire Da quanto sei innamorato di me?.

“L’ho sempre saputo, credo.” Si schiarì la voce. Lo guardò prima di continuare a parlare e ne fu ancora più sicuro: l’aveva sempre saputo. “Ho sempre sentito che c’era qualcosa di strano, di diverso. Le ragazze mi sono sempre piaciute, il… il sesso, anche. Ma mi sentivo, non so come spiegarlo… non ero sincero. Tutto qui: sapevo che non stavo vivendo nella verità. La mia verità.” Continuava a guardarlo, a studiare il suo volto, cercando di capire quanto poteva dire. “Lentamente ho preso coscienza di quello che provavo, di come ti guardavo, di quello che volevo. All’inizio pensavo fosse un modo tutto mio per realizzare che le ragazze, in fondo, non mi piacevano così tanto. Mi sono chiesto come sarebbe stato con altri ragazzi, con altri uomini… se fosse quello ad attrarmi… ma non è così che funziona, non per me. Non volevo nessuno. Solo te.”

Dean socchiuse gli occhi, le dita strinsero ancora più forte il volante. Sam se ne accorse perché non distoglieva lo sguardo nemmeno per un secondo. Il silenzio iniziò a farsi pesante, Sam si chiese se avesse esagerato. Era già pronto a maledirsi quando sentì la voce, debole ma allo stesso tempo mai stata più forte, di suo fratello.

“Continua.” disse.

 Sam non era mai stato più felice di ubbidire ad un suo ordine.

“All’inizio è stato difficile accettarlo, conviverci, fingere… ma è solo questione di abitudine. Mi sono promesso che non ti avrei mai detto niente, che non ti avrei fatto capire la verità, che non ti avrei messo in difficoltà. E con il tempo sono diventato bravo, anche il disgusto che inizialmente provavo per me stesso è diventato meno opprimente. Rievocava ricordi, silenzi e vergogna, momenti in cui aveva creduto di impazzire, ma allo stesso tempo parlava a suo fratello: sapeva, con assoluta certezza, che lui stava provando le stesse cose. “Ma quando sono tornato, quando mi hai riportato indietro… è successo qualcosa. Era come se mi fossi stancato di fingere, non ne avevo più la forza. Era come se avessi visto di peggio e mi aspettassero cose ancora peggiori… di gran lunga peggiori rispetto a tutto l’amore che provo per mio fratello.” Rise, scuotendo la testa. “E non mi piace quella parola perché, anche quella, non mi sembra sincera. Non possiamo essere ridotti a questo. Siamo molto di più, Dean. Siamo quel pensiero, quella costante, che mi fa andare avanti sempre. Sempre, Dean.” Fece una piccola pausa. “Due persone normali avrebbero mollato anni fa, ma noi siamo ancora qui. Ancora insieme. Non sei solo mio fratello, sei la mia famiglia. È tutto quello che so… tutto quello che ho.

Dean era rimasto immobile. Le mani sul voltante, gli occhi sulla strada. Ma dentro era un terremoto. Avrebbe voluto accostare, abbracciarlo, baciarlo, scappare, cercare per tutto il Paese quella che sapeva essere la loro casa e non lasciarla mai più.

Quel terremoto che nessuno poteva vedere si lasciò tradire solo da un respiro: debole, tremante, più veloce degli altri.

Non accostò, non scappò. Non poteva.

Si limitò a sorridere, perché sapeva che suo fratello lo stava guardando, poi allungò una mano e fece quello che non aveva fatto per mesi: accese la radio.

 

***

 

“Sei pronto?” Sam ansimò, il petto che si alzava e si abbassava sotto il cappotto e la camicia. Si stiracchiò la spalle, schioccò il collo muovendo la testa a destra e a sinistra.

Dean, di risposta, si guardò indietro.

Cinque demoni. Ecco quanti ne avevano trovati di guardia alla casa. Li avevano neutralizzati con l’acqua santa e poi esorcizzati, uno ad uno. Ora il giardino era vuoto, silenzioso, tutto sembrava in attesa. Guardò la porta e la consapevolezza di quello che stavano per fare lo travolse come un treno.

“È un suicidio, cazzo.” ripeté per l’ennesima volta. 

Sam si limitò ad alzare le sopracciglia. Non voleva parlare, non voleva riflettere su quanto erano fottuti, voleva soltanto entrare, trovarla, sparare. E gli venne quasi da sorridere perché di solito era lui quello che aveva bisogno di fermarsi, pensare, analizzare.

“Sam…” mormorò, e si fermò perché non sapeva come continuare. Sapeva che non avrebbe funzionato, se lo sentiva nelle ossa, e avrebbe voluto chiedergli di uscire da quella casa vivo e libero. Tutto intero, corpo e anima. Avrebbe voluto stringerlo, scuoterlo e implorarlo di lasciarlo andare, supplicarlo di non provare a riportarlo indietro, di pensare soltanto ad andare avanti. Avrebbe voluto farsi promettere che si sarebbe scordato di tutto quello schifo e che avrebbe vissuto quella vita che entrambi avevano sempre voluto vivere. Ma non lo disse, non chiese promesse impossibili: sapeva che la vita che Sam voleva era quella che lui vedeva ogni volta che chiudeva gli occhi. “Abbiamo fatto una stronzata, Sammy? Starai bene?”

Con quelle parole nelle orecchie, Sam ripensò a quella mattina, alla voce di Dean che gli dava il buongiorno, al suo profumo che ancora aveva addosso, che non aveva avuto il coraggio di lavare via. Poi quell’immagine venne spazzata via da ciò che più temeva: si vide solo e perso, su un letto vuoto e freddo, senza la voglia di alzarsi, aprire gli occhi, parlare. No, non sarebbe stato bene. Lo sapevano entrambi.

Ma ora non dovevano pensare al peggio, era il momento di lottare.

Fece un passo avanti, si specchiò in quegli occhi verdi pieni di tormento. Allungò una mano e gli accarezzò la guancia, sfiorando le lentiggini con i polpastrelli.

“Dio, quanto sei bello.” sussurrò.

Le labbra di Dean iniziarono a tremare, Sam lo tirò verso di sé e ci posò le sue.

Si allontanarono lentamente, costringendo gli occhi a riaprirsi. Si guardarono un’ultima volta poi bastò un gesto, un movimento della testa, e tornarono cacciatori. Dean annuì, pronto a sfondare la porta, mentre Sam impugnò la Colt e tese le braccia di fronte a sé.

La casa era buia e silenziosa. Schiena contro schiena, proteggendosi a vicenda, passarono al setaccio l’ingresso, la cucina e la sala da pranzo. Stavano quasi per avvicinarsi alle scale e raggiungere il piano di sopra, quando un rumore proveniente dallo sgabuzzino li immobilizzò. Sam non smise di impugnare la Colt mentre Dean si avvicinava lentamente alla porta chiusa. Quando la spalancò trovò un uomo rannicchiato sul pavimento, con gli occhi sbarrati dal terrore. Dean si accovacciò e gli mise subito una mano sulla bocca, impedendogli di urlare.

Shhhh,” Parlò a voce bassa. “Siamo qui per aiutarla.”

“Mia figlia…” disse appena Dean spostò la mano. La voce era quasi impercettibile, deformata dalla paura e dall’angoscia. “La mia bambina…”

“Cosa, signore? È in pericolo?” chiese. “Non si preoccupi, la aiuteremo.”

“No,” L’uomo scosse la testa, le lacrime iniziarono a rigargli le guance. “non è più lei.”

Con un cenno della testa indicò davanti a sé. Dean spostò lo sguardo sul pavimento e, nel buio che iniziava a schiarirsi, riconobbe la figura di un uomo anziano, con la testa piegata in una posizione innaturale.

“E’ di sopra con mia moglie…” singhiozzò il padre. “Fermatela.”

Dean si alzò con le gambe che tremavano, si passò le mani sulla faccia e poi si voltò verso Sam. “Cosa?” chiese il fratello minore. La sua espressione non era cambiata, gli occhi erano sempre freddi e duri, le mani ancora strette sull’impugnatura della Colt.

“È una bambina.” bisbigliò, cercando di non farsi sentire dall’uomo distrutto ai suoi piedi. “Quella puttana ha posseduto una bambina.”

“Muoviamoci,” indicò con la pistola la rampa di scale. “Dobbiamo controllare tutto il piano. Io a destra e tu a sinistra, ok?”

“Sam!”

“Non è più lei!” Dovette mettere insieme tutta la sua forza di volontà per non gridare e mantenere la voce ad un sussurro. “Va fermata, hai sentito no?” Si avvicinò, gli parlò a pochi centimetri dalla faccia. “Non è più la figlia innocente di quell’uomo. È Lilith.”

Mentre lo guardava voltarsi e salire le scale, aprendogli la strada per dare la caccia a colei che teneva in pugno la sua anima, Dean si chiese se sarebbe stato così d’ora in poi, se quello era ciò che suo fratello sarebbe diventato: uno dei tanti cacciatori senza scrupoli e rimorsi.

Si divisero dopo l’ultimo gradino. Sam disse a suo fratello di chiamarlo appena avesse visto o sentito qualcosa, e poi s’incamminò lungo la parte destra del corridoio. Aprì lentamente una porta e si ritrovò in un bagno, completamente vuoto. Raggiunse la seconda porta e notò che era socchiusa. Avvicinò l’orecchio e sentì un leggero mormorio. In un attimo, l’adrenalina gli riempì le vene. Cercò Dean con lo sguardo, ma non lo chiamò: era più al sicuro lontano da lei.

Entrò spingendo lentamente la porta con la spalla e, nonostante la sua stazza, camminò sul parquet senza fare il minimo rumore. Le vide, sul letto di fronte a lui, proprio davanti alla canna della pistola. La donna era seduta con la schiena appoggiata alla testiera del letto, sulle cosce aveva un libro di favole e, appoggiata al suo fianco, ad occhi chiusi e con un’espressione beata, c’era una bambina bionda che sembrava un angelo. Ad un tratto capì l’espressione sconvolta di suo fratello al piano di sotto. Le mani iniziarono a tremare, gli sembrava di trattenere il fiato da una vita. La madre si accorse del suo cambiamento e, piangendo senza far rumore, lo implorò con lo sguardo. Annuì e Sam le lesse il labiale: “Fallo.”

Strinse la Colt, avvicinò il dito al grilletto, si impose di non pensare.

Quella era Lilith, un demone, il più pericoloso di tutti. E possedeva l’anima di suo fratello. Era ciò che lo divideva da tutto quello che voleva, era colei che gli stava portando via la vita.

Prese un respiro profondo, distolse gli occhi dalla madre e li puntò sulla bambina.

Poi, come uno squarcio nella notte, un rintocco scosse la casa, e successero due cose nello stesso momento: la bambina si svegliò e Sam sentì un ululato.

Non si lasciò deconcentrare, rimase fisso su quei capelli biondi, ma appena fu pronto a premere il grilletto la bambina lo vide e gridò. La guardò negli occhi, terrorizzati e confusi, e capì che l’aveva persa. La bambina si lasciò cadere singhiozzando tra le braccia di sua madre, e quelle di Sam caddero senza forza lungo i fianchi. L’impotenza e la sconfitta lo schiacciarono, sentì ogni parte del suo corpo improvvisamente pesante. Poi il secondo ululato fece tremare il pavimento e un brivido di freddo gli percorse la schiena.

“Dean…” sussurrò tra le labbra.

 

Corse. Più forte che poteva, senza sapere di preciso dove andare. Sbatteva contro le pareti e i mobili, chiamava il suo nome, gli urlava che stava arrivando, che sarebbe andato tutto bene. Non sentiva Dean. Non lo sentiva parlare, gridare, imprecare. Ma sentiva un ringhio, feroce e continuo, e seguì quello. Si ritrovò in un’altra camera da letto, più piccola e più buia. Per qualche secondo rimase congelato sulla porta spalancata, incapace di muoversi o pensare.

Suo fratello era lì, scaraventato sul letto. I suoi vestiti e le coperte erano completamente zuppi di sangue. Sangue che continuava a sgorgare dalle ferite sulla pancia, sulle braccia, sulle gambe. Lottava, ormai senza forze, contro quella che per Sam era nient’altro che aria. A denti stretti, senza lasciarsi sfuggire nemmeno un gemito.

“Dean…” ripeté, e la voce si ruppe.

Quando Dean vide avvicinarsi suo fratello, la figura di Sam prese il posto dei cerberi che gli stavano squarciando la pelle. Scomparvero continuando a ringhiare, soddisfatti di aver svolto il loro lavoro. Respirando a fatica alzò gli occhi su suo fratello, che lo aveva raggiunto e, inginocchiato accanto a lui, cercava di farlo alzare.

Avrebbe voluto parlare, avrebbe voluto dirgli non guardare, chiudi gli occhi, vattene da qui ma la bocca non si apriva e non lasciava andare le parole. Con le braccia di Sam strette intorno alle sue, mentre lo sorreggeva, piangeva e lo chiamava, ripensò a suo padre. A quella notte. A quando gli mise il suo fratellino di pochi mesi tra le braccia esili e gli ordinò di uscire di corsa  dalla loro casa in fiamme. Le ultime parole che sentì prima di voltarsi e scappare furono “Tienilo, tienilo stretto”.

E in quel momento, con la vista che iniziava ad appannarsi e il freddo che gli scuoteva le ossa, con le ultime briciole di forza, gli venne naturale fare la stessa cosa: allungò le braccia, cercò suo fratello e lo strinse a sé. Lo tenne forte. Per non farlo cadere, per tenerlo in vita. Come aveva sempre fatto.

“Sam.” sussurrò. Lo chiamò e basta. Solo il suo nome, come se tutto quello che fosse rimasto da dire fossero quelle tre lettere. E con l’ultimo lampo di lucidità capì che quella sarebbe stata la sua ultima parola. L’ultimo suono che la sua voce avrebbe pronunciato.

Poi tutto il resto ebbe la meglio, chiuse gli occhi e le braccia caddero sul letto. Senza forze, senza vita.

Sam sentì le orecchie fischiare, il corpo tremare. Tra i singhiozzi e le lacrime, continuò a chiamarlo. Lo guardò negli occhi e dentro non ci vide la vita. Lo trafisse, come una spada che lo passava da parte a parte, la convinzione che era finita. Quel che restava era il niente. Un niente infinito, buio e senza senso.

Si accasciò accanto a lui. Lo abbracciò, gli accarezzò i capelli. Desiderava con tutto se stesso che aprisse gli occhi, lo guardasse, ripetesse il suo nome un’altra volta. E lo voleva così tanto che gli sembrò quasi di sentirla, la voce disperata di suo fratello che lo chiamava.

Sam.

 

  
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