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Autore: Sacchan    15/05/2012    8 recensioni
"Chiedete in giro di Sebastian Moran e se siete fortunati scoprirete che mi hanno cacciato dall'esercito -nessun congedo per merito o per motivi medici, no signore, proprio cacciato- e se siete bravi, e ovviamente avete in tasca un bel po 'di soldi, vi diranno che sono il miglior cecchino in circolazione." La storia di Sebastian Moran, la sua convivenza con la mente criminale più pericolosa d'Inghilterra, il suo ruolo nel gioco tra Moriarty e Holmes. Tutto rigorosamente narrato dal diretto interessato.
Genere: Angst, Azione, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altro personaggio, Jim Moriarty
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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VII. THE REICHENBACH FALL




Ultimo capitolo di questa storia.
E l’unica cosa a cui riesco a pensare è come finisce.
Vorrei finire qui, sprecare un paio di righe per insultare Jim e dimenticarmi per sempre di questa storia.
Come se poi potessi farlo veramente.
Ho un dovere verso Jim, l’ultimo dannatissimo dovere. Sono l’unico che sa la verità e non posso starmene zitto. Lui non vorrebbe che il mondo lo ricordasse come Richard Brook.
Ci si rivoltò tutto contro. Tutto.
Ah, ma non dovrei essere così drammatico. Dovrei portare la narrazione al sui(o) climax gradualmente, senza commenti ridicolamente tristi.
Ma non sono un bravo narratore, non di storie almeno.
Dovrei concentrarmi sullo stato di euforia in cui passammo quelle settimane. Sembravamo ubriachi, ma eravamo comunque abbastanza concentrati da non perdere d’occhio la serietà della faccenda. Solo che ci sembrava tutto così semplice, tutto così ben predisposto, ed eravamo così vanitosamente fieri di noi.
Alternavamo ore di lavoro cervellotico e organizzazione, per finire a fare l’amore dove capitava e poi tornare a lavoro.
Siamo onesti, era la migliore vita che potessi chiedere.
La prima parte del piano comprendeva entrare nella Torre di Londra e rubare i gioielli della corona.
L’avrete sicuramente letto sui giornali: non capita tutti i giorni che qualcuno riesca nell’impresa.
Ma i giornali non vi hanno raccontano di come il piano è stato preparato, mentre io posso farlo.
Jim mi aveva mandato ad assicurarmi che l’accordo con la famiglia Brook fosse ancora sicuro e quando tornai a casa lo trovai intento a studiare un grosso progetto su carta blu aperto sul pavimento del soggiorno.
“Cos’è?”
“I progetti della Torre di Londra.” rispose Jim rimanendo sdraiato sul pavimento, o meglio, su metà del progetto studiando l’altra metà. “Se tu dovessi rubare i gioielli della corona da dove entreresti?”
Mi sedetti sul pavimento, dando un occhiata al progetto a mia volta. I sistemi di sicurezza erano impressionanti, ma questo dovreste saperlo da voi. “Onestamente? Ucciderei tutti e poi entrerei.”
“Non è una scelta di classe.” Si lamentò Jim. “Ho chiesto anche a Debbie cosa avrebbe fatto lei.”
“Fammi indovinare gliel’hai chiesto quando ti ha portato i progetti.”
“Naturalmente, ma rimango della mia opinione: il modo migliore per entrare nella Torre di Londra è dalla porta principale.”
“Sei serio?” scrutai Jim per un istante. “Si, sei serio…” era assolutamente ridicolo. “E come fai a rubare i gioielli della corona se entri dalla porta principale?”
“Oh, ma rubare i gioielli della corona è solo un diversivo.” Commentò Jim. “Visto che ti lamenti sempre di come non ti dica i miei piani questa volta ti dirò come stanno realmente le cose.”
“Grazie, vostra maestà.” Commentai ironico.
“Ho intenzione di farmi arrestare questa volta.”
Fissai Jim, lui fissò me. Sospirai pesantemente mentre mi stendevo accanto a Jim. “Questo è il piano più folle che abbia mai sentito.”
“Solo perché sei stupido.” Replicò Jim freddamente. “Sai già che ho intenzione di distruggere la fama di Sherlock e più in alto salirà più dolorosa sarà la caduta. Immagina quanto famoso diventerà se porterà all’arresto una grandiosa mente criminale.”
Fu in quel momento che iniziai ad avere una bruttissima sensazione riguardo al quadro generale della situazione.
“Sei appena stato trattenuto da Myrcoft e già vuoi farti arrestare? Non ha senso.” Protestai confuso. “E tutta la faccenda di Richard Brook?”
“Ah, qui arriva il bello.” Jim ridacchiò “Quando il mondo sarà convinto che ad essere stato arrestato è stato James Moriarty, ecco che si scopre che James Moriarty non esiste! In realtà è Richard Brook, attore pagato da Sherlock Holmes il quale –ed è ancora più bello- non è il grande genio che tutti pensano, ma un bella fregatura!”
Rimasi in silenzio ad ascoltare, indeciso su cosa fare: farlo ricoverare in un istituto psichiatrico o dargli retta.
“Versione che sarà resa pubblica da una intervista che ho intenzione di rilasciare appena tornato in libertà. Le informazioni che mi ha dato Mycroft saranno il fondo di verità che farà reggere in piedi tutta la storia. Più qualche tocco di classe, che terrò per me.”
“Per caso Richard era nella scuola di Sherlock o roba simile?”
“Sono felice che tu faccia certe domande, ma avresti dovute farle prima Sebastian, ora non hanno importanza.” Mi rimproverò come se avessi preso un brutto voto in un compito in classe.
“Altra domanda.” Ci provai di nuovo. “Come pensi di uscire di prigione? Insomma per essere colpevole sei colpevole.”
“L’unica pecca del sistema  giuridico…” iniziò a giocherellare con le mie dita in un gesto annoiato “ è che la giuria è composta da elementi umani e, come tali, ricattabili.”
“Ah.” Valutai quell’affermazione per un momento. “Ma nessuno sa i nomi dei giurati prima del processo, no?”
“Fidati di me, Sebastian. Andrà tutto bene.”
“Io mi fido di te.” Ed era in parte verso e in parte era la più grande bugia che avessi detto in vita mia. Avrei dato la mia vita per Jim, ma pentendomene fino all’ultimo istante.
Due giorni di lavoro dopo, Jim era pronto per il suo soggiorno dietro le sbarre e mi diede le ultime istruzioni.
“Dovresti richiamare un paio di tuoi colleghi.” Fu la prima cosa che mi disse quel giorno; eravamo seduti per la colazione e non aveva aperto bocca prima di quel momento.
“Dopo l’ultima avventura non credo saranno ben disposti a lavorare di nuovo per te.” Lo avvertì passandogli lo zucchero.
“Questa volta è meno pericoloso.” Commentò atono. “Sarò convincente, tu limitati a chiamarli.”
“Se ti ritrovi con una pallottola in mezzo agli occhi non dire che non ti avevo avvertito però.”
Essendo lui quello che da lì a poche ore sarebbe stato arrestato sarebbe stato logico che fosse lui quello agitato, invece ero io quello nervoso, e lo ero abbastanza per entrambi, ma non lo diedi a vedere. Beati i miei nervi di ferro.
“Non succederà perché non è mai successo.” Replicò con assoluta calma e tornò di nuovo in silenzio.
Normalmente non mi avrebbe dato fastidio, ma sapendo cosa stava per succedere mi venne voglia di  dargli un pugno in faccia. La verità è che avevo bisogno di essere rassicurato che il piano sarebbe funzionato al cento per cento.
Credo che passò almeno una buona ora prima che Jim fosse pronto con la sua tenuta da turista e qualcosa di molto simile ad una faccia da bravo ragazzo.
“Su Sebastian, accompagnami alla Torre di Londra. E’ tempo di attirare l’attenzione di Sherlock.”
“Io non ci entro nella Torre di Londra.” Annunciai. “Soprattutto con te che vuoi farti arrestare.” A quel punto mi resi conto di quanto fosse ironico quel momento: il più grande criminale del XXI secolo stava per farsi arrestare nel luogo che aveva ospitato i più grandi criminali dei secoli d’oro di questo paese.
“Come vuoi.” Acconsentì Jim. “Infondo mi servi qui per gestire gli affari al posto mio; meglio non rischiare.”
Lo seguì fuori dall’appartamento abbastanza controvoglia.
“Ammettilo, sei masochista.” Gli borbottai dietro perché quella era l’unica spiegazione possibile. Una persona normale non si farebbe arrestare, figuriamoci una con centinaia di scheletri nell’armadio.
“No, sono solo consapevole che bisogna rischiare qualcosa per avere tutto il premio.”
Giocammo ai turisti girando per Londra immischiati nella folla internazionale, prendendoci tutto il tempo per sembrare assolutamente banali. E beh ci riuscimmo parecchio bene, soprattutto perché presi in giro Jim tutto il tempo per quel suo stupido cappellino.
“E’ ora di andare in scena.” Annunciò quando fummo nei pressi della Torre; io ero ancora deciso a non entrare.
Iniziavo a chiedermi se sarei riuscito a farlo desistere da quella cretinata –perché per me lo era-, ma Jim era troppo sicuro di sé.
“Mi sembra un suicidio.” Ribattei poco convinto, ma dovevo provare. Ah, se solo avessi saputo che un suicidio avrebbe avuto ben altro aspetto…
Jim mi prese per mano, un gesto così poco da lui che i miei sensi mi misero in allarme. “Dimmi quando mai un mio piano è fallito.”
“Elenco cronologico?” chiesi ironico. “C’è il caso Saffork, il caso del vello d’oro, la rapina a casa Statehouse…”
Non credete che Jim fosse infallibile: sulla carta il piano poteva esserlo, ma molte volte la componente umana aveva mandato all’aria mesi di lavoro. Nessuna sorpresa se Jim odiava la gente.
“Taci, Sebastian.” Mi tappò la bocca con la mano libera e se non fossi stato zitto probabilmente mi avrebbe soffocato, o roba del genere. Fargli notare i suoi fallimenti non è mai una bella idea. “Sono incidenti non dipendenti da me.”
“Sarai in galera, nulla dipenderà da te!” gli feci notare poco gentilmente.
“Per questo affido tutto a te, oramai sai cavartela.”
“In realtà mi vuoi morto e mi metti in queste situazioni per farmi uscire di testa e ammazzarmi.” Mi lamentai e lui mi circondò il collo con le braccia. Non ero assolutamente abituato a quella vicinanza in pubblico, fu quasi imbarazzante.
“Io non ti voglio morto, Sebastian.” Affermò quasi stupito dalle mie parole. “Ma se non mi tiri fuori di galera sarai molto, molto morto, stanne certo.”
Mi baciò un’ultima volta prima di entrare nella Torre. Credetemi, credo che oramai non stesse più nella pelle.
Restai nei paraggi, aspettando l’arrivo della polizia perché ammetto che non mi sarei perso la scena per nulla al mondo. Ci fu una gran confusione, tra forze dell’ordine e curiosi che si erano avvicinati.
Io ero preoccupato, ma almeno ero pronto alla lontananza. Per quanto l’idea di Jim in una cella non mi piacesse per niente.
Avvertì Chop del piano di Jim e concordammo entrambi che oramai aveva perso il lume della ragione.
Iniziai a pensare che Chop fosse il mio unico vero amico. Che cosa triste.
 
 
 

Non andai al processo e non ci sarei andato nemmeno se mi avesse pagato per farlo. Seguì la vicenda sui giornali, come qualsiasi altra persona. Il mio unico coinvolgimento fu quello di chiamare un avvocato, scegliere un vestito per Jim –categoricamente chiaro sempre per la metafora degli scacchi- e fare in modo che il sistema telematico dell’albergo dei giurati fosse accessibile.
Fu un coinvolgimento minimo e fu meglio così.
Quando Jim tornò un uomo libero procedemmo con la nuova fase del piano. Vi risparmio la riunione con i miei colleghi, diciamo che facendomi due rapidi conti arrivai alla conclusione che eravamo sull’orlo della bancarotta, ma se il risultato era diffamare Sherlock, il prezzo non era un problema.
Più divertente fu il giorno successivo quando mi ritrovai tutta la mia roba inscatolata e catalogata nel soggiorno.
“Che diamine vuol dire?” chiesi entrando nello studio di Jim senza bussare, più arrabbiato che sorpreso –oramai sorprendermi mi riusciva difficile.
“Vuol dire che ti trasferisci. Ho bisogno che tu ti unisca agli altri nel tenere sotto controllo Sherlock e il dottore. Ti ho trovato un appartamento a Baker Street di fronte al 221b.”
Scrollai le spalle e a accettai quel lavoro come avevo accettato tutti gli altri: annuendo da bravo soldatino.
“Ci saranno telecamere nell’appartamento di Sherlock, tu dovrai controllare e farmi rapporto.”
“Un Grande Fratello con Sherlock Holmes e John Watson come unici concorrenti. Questa è una cattiveria nei miei confronti.”
“Non gira tutto intorno a te, Sebastian.” Sbuffò Jim porgendomi alcuni fogli. “Sono i documenti per l’affitto. La padrona di casa sa già del tuo arrivo, ovviamente non le ho detto il tuo vero nome.”
Diedi una rapida occhiata ai documenti . “Che nome hai scelto?”
“Alexander Picks. Tienilo a mente, ti servirà ancora.” Mi avvertì Jim, ma la sua attenzione era di nuovo rivolta ad un elenco di nomi scritti a mano –sempre per quel gusto dell’antico tutto suo-
“Immagino che non saprò perché.” Commentai atono. “Tu che farai?”
“Anche io lascerò Conduit Street.”
Fu allora che capii che tutto sarebbe andato storto. Non si abbandona il quartier generale in un momento delicato: lo si difende. E il capitano non lascia la nave prima che affondi.
“E dove andrai?”
“Ti pare che Richard Brook possa abitare in una casa simile?” mi domandò retorico. “Ho una giornalista a cui vendere la mia storia, ci vuole tempo.”
“Quindi…” circondai Jim con le braccia e posai il mento sulla sua spalla. “Entrambi lasciamo l’appartamento….” Gli morsi l’orecchio. “Io proporrei un’ultima visita alla camera da letto.”
Jim sbuffò .”Sebastian, devo lavorare.” Protestò piuttosto deciso.
“Dai.” Insistetti posandogli una serie di baci sul collo.
“Come fai a pensare al sesso quando c’è un lavoro importante in ballo?”
“Perché sono un essere umano di sesso maschile e perché adoro fare sesso con te.”
Jim scosse la testa, ma non disse nulla. Vinsi io e la mia partenza fu ritardata di qualche ora.
 
 

 
L’appartamento assomigliava paurosamente a quello che avevo prima di conoscere Jim; il deja-vu non fu gradito.
Di sicuro non aveva l’aspetto di una sistemazione temporanea per un criminale.
Ametto che tenere sotto controllo Sherlock e John non fu più noioso che stare appostato per ore all’aperto: almeno potevo mangiare, bere, leggere. Fare qualsiasi cosa.
Fatemi dire che il rapporto tra Sherlock e John non assomigliava per niente a quello tra me e Jim.
La vita di Sherlock e John era tranquilla, lineare, logica, priva di qualsiasi serata passata a decidere chi far fuori. Notai tra di loro, però, lo stesso rapporto di simbiosi, lo stesso che Irene mi aveva fatto notare, e notai anche che John riusciva a mantenere più indipendenza di me. Buon per lui.
Sherlock invece era la fotocopia di Jim: nelle piccole cose, come si rapportavano alla gente, come consideravano gli altri. Anche alcuni processi logici erano uguali, ma mi vidi bene dal dirlo a Jim.
Per un paio di giorni non ebbi notizie da Jim, poi si prese la briga di venire a trovarmi.
Andai ad aprire con la pistola a portata di mano –insomma nessuno sapevo che ero lì e gli altri cecchini stavano buoni nelle loro postazioni- e questo mi valse una bella strigliata.
“Alexander Picks non usa la pistola.”  Jim si rinchiuse la porta dietro di sé. “Vedi di non dare nell’occhio.”
“Presumo che si limiti a spiare la coppietta della casa di fronte.” Ironizzai poco divertito. “Sono di una noia mortale quei due.”
“Che ti aspettavi.” Jim si lasciò cadere sul piccolo divano in soggiorno. “Un altro paio di giorni e movimenterò le cose.”
“Come sta andando con la giornalista?”
“Mi crede.”
Ed era tutto ciò di cui avevamo bisogno.
Restò anche la notte, ma non dormimmo affatto.
“Che hai raccontato alla giornalista? Qual è la storia di Richard?” gli chiesi prima che si potesse addormentare con la testa poggiata sul mio petto.
“Non ti interessa realmente,” borbottò poco gentilmente.
“Si, invece.” Protestai scostandogli un ciuffo di capelli dalla fronte. “Per esempio: che lavoro fa?”
“Dovrebbe essere un attore, ma non avendo avuto grande fortuna si limita a narrare storie per bambini per una rete televisiva. C’è una collezione di DVD che lo conferma.”
“Aspetta, ti sei messo a narrare storie per bambini?” gli chiesi confuso. “Facendoti riprendere?”
“Si, Sebastian.” Sospirò pesantemente.  “Ho dovuto farlo, così da non lasciare dubbi.”
Decisi che eravamo rimasti senza un soldo.
“E per il resto? Com’è la sua vita?”
“Ha una vita semplice, molto basilare, non volevo certo che fosse troppo appariscente.” Sospirò. “Tutto famiglia e lavoro.”
“E a che punto arriva Sherlock Holmes?”
“Oh, arriva perché le favole non pagano in questo mondo, e tutti hanno bisogno di soldi.”
Le motivazioni umane sono poche e basilari: amore, vendetta, soldi.
In realtà l’esistenza è un libro giallo, altro che romanzetti alla Nicholas Sparks. Leggetevi Agatha Christie o Conan Doyle e avrete il succo della vita.
“E pensare che Sherlock non ha nemmeno i soldi per pagare l’affitto da solo.” Ridacchiai mentre Jim si sdraiava sopra di me.
“Sei pregato di tenere quella boccaccia chiusa, Sebastian.”
“Obbligami.”
Si okay, l’orgasmo successivo mi lasciò senza fiato e mi fece passare qualsiasi voglia di spifferare il piano di Jim al mondo.
Nelle serate giuste, Jim era il migliore amante del mondo; peccato che fossero davvero poche.
Continuammo la discussione non appena ripresi fiato.
“E dimmi un po’, Richard e Alexander si conoscono?”
Jim mi sorrise sornione. “Ovvio, hanno una relazione stabile da poco più di un anno. Una felice, equilibrata e classica storia d’amore.”
Invece di farmi sentire bene, quell’affermazione mi mandò su tutte le furie. Mi faceva male perché quello che io stavo vivendo e provando per lui era solo una ottima copertura. Perché io quello stronzo lo amavo sul serio.
Non risposi subito, smaltendo la prima ondata di rabbia che comunque svanì quasi subito, visto che oramai ci avevo fatto il callo.
“Potremmo farlo.” Commentai. Lui voltò la testa verso di me e io la mia verso di lui. “Mollare tutto e avere una felice, equilibrata e classica storia d’amore.”
“Non essere ridicolo.” Jim ridacchiò e allungò una mano per accarezzarmi il viso. “Sarebbe una vita patetica. Io e te siamo fatti per uccidere, per essere criminali, non per giocare alle colombelle. Smettila di essere così romantico, Sebastian.”
Era vero. “E allora perché da più di un anno andiamo a letto insieme?”
“Perché, amore mio, tu mi appartieni.” Mi sfottè Jim facendo scivolare la mano sul mio petto, graffiandomi con le unghie. “Tutti gli uomini hanno un prezzo: c’è chi vuole soldi, chi vuole fama, chi vuole potere. Dagli ciò che vogliono e ti saranno fedeli. Ma tu…” si sporse per baciarmi. “Tu avevi già tutto questo, o avresti potuto ottenerlo, non saresti mai restato. Capire quel’era il tuo punto debole per far leva su di esso non è stato così difficile visto che ci hai messo davvero poco ad infilarmi la lingua in bocca.”
“Ehi, tu hai ricambiato, non sei stato proprio un santo.” Protestai.
“L’ho fatto, verissimo.” Ridacchiò divertito dalla mia reazione indispettita. “E se non l’avessi fatto, non ti avrei potuto controllare momento per momento perché saresti scappato chissà dove. Ti ho dato così tanto potere… se non ti controllassi perennemente potresti diventare una mina vagante pronta ad esplodermi in faccia.”
“Non mi controlli con il sesso.”
“Oh si invece!” cantilenò lui. “E la cosa divertente è che sei stato tu a darmene la possibilità.”
“Questo ti rende parecchio patetico, Jim.” Sbottai. “Perché ti sei messo ad usare il tuo corpo come qualsiasi puttana.”
Lo schiaffo me lo meritai tutto, lo ammetto.
Restammo in silenzio per un po’, guardandoci in cagnesco. Probabilmente l’ultima cosa di cui avevo bisogno in quel momento era insultare un compagno rompipalle.
“Ogni volta che ti lasci baciare e toccare è come se mi dicessi che sì, resterai con me. Ma ammetto che se tu non fossi stato un ottimo amante non sarebbe stato tutto così piacevole .”
“Ah beh, grazie.” Commentai mentre Jim si accoccolava a  me e poggiava di nuovo la testa sul mio petto. “Mi spieghi per quale ragione dovrei continuare a darti retta dopo questa scoperta?”
“Perché non sei solo dipendente dal pericolo, ma hai anche problemi relazionali. Cerchi sempre relazioni distruttive e degradanti. Ma non è colpa tua Sebastian, i padri sono sempre determinanti nella formazione del carattere di un individuo.”
“No Jim, non ti azzardare. Non mio padre. Mi hai umiliato abbastanza.”
“Mi hai paragonato ad una puttana.” Mi ricordò. “Un padre assente è già un problema, ma uno che torna e non ti reputa all’altezza delle sue aspettative è un grosso problema. Non sei mai stato abbastanza per lui, vero? Mai abbastanza intelligente, mai abbastanza coraggioso, mai abbastanza sicuro di te, mai abbastanza fiero, mai abbastanza abile. Nemmeno entrare nell’esercito gli ha fatto cambiare idea.”
“Jim basta.” Invece di essere minaccioso, sembrai un bambino che implorava pietà. “Puoi spezzarmi qualche altro osso, se vuoi.” Proposi ironico. Avrebbe fatto meno male.
“Aggiungiamo una madre concentrata solo sulla figlia e cosa abbiamo? Un ragazzo che si crogiola nella guerra e in relazioni effimere. E che si fa umiliare dal suo attuale amante dopo che hanno fatto sesso. Che storia tragicomica.” Jim sembrò fare le fusa mentre finiva di parlare. Si addormentò più soddisfatto per quell’ultimo discorso che per tutto il sesso che avevamo fatto.
Non che Jim avesse torto, sia chiaro. Mio padre era stato un bastardo. Ma io ero diventato migliore di quanto lui avesse mai potuto sperare. Ero stato debole, è vero, ma poi avevo scoperto quanto fosse gratificante uccidere.
Ma Jim aveva ragione anche sul controllo che aveva su di me. Ero stato ad ascoltarlo senza battere ciglio.
Oramai era comunque troppo tardi per cambiare le carte in tavola.
All’alba capii che non mi sarei addormentato, quindi lasciai riposare Jim e mi collegai con la nostra personale casa del Grande Fratello.
Sherlock si era appena svegliato e aveva preso il violino: fui contento perché anche il caro dottore avrebbe passato una pessima giornata per via del sui coinquilino. Eravamo così dannatamente speculari anche in quelle piccole cose che avrei voluto vomitare.
In realtà scoprì che le parole di Jim non mi avevano fatto così male come avevo inizialmente pensato; era come essere stato ferito in guerra e scoprire che la ferita non era mortale, ma che sarebbe stata solo un’altra grande cicatrice. Nel mio caso si trattò di buttare via un altro po’ di umanità.
Jim si svegliò per ora di pranzo dopo le sue ore di sonno da principessina reclamando a gran voce del cibo e io mi offrii volontario come cuoco del castello. Come sempre.
“Non sei arrabbiato con me, vero Sebastian?” mi chiese una volta uscito dalla doccia e vestito. Vestito alla Richard.
“No, non lo sono.” Ed era stranamente vero.
“Magnifico!” esclamò Jim con un grandissimo e altrettanto inquietante sorriso. “Voglio che tu capisca che affrontare i problemi rende più forti e io voglio che tu lo sia. Voglio sfruttare tutte le tue potenzialità.”
“Certo.” Concordai. “Tu vuoi solo il mio bene, James.”
“Sempre, Sebastian. Più di quanto voglia il mio.”
Pensai che stesse scherzando, ma diamine se mi sbagliavo: era assolutamente serio.
 
 

 
Jim lavorò sulla sua identità e come distruggere la fama di Sherlock. Io vidi tutto grande l’occhio del Grande Fratello.
Vidi il mondo di Sherlock Holmes sgretolarsi, inconsapevole che anche il mio mondo si stava sgretolando.
In realtà l’unica cosa che sapevo era che eliminare Sherlock Holmes avrebbe avuto delle conseguenze anche su Jim. Era come tagliare un arto ad una persona quando era estremamente necessario per salvargli la vita: la persona vive, ma perde pur sempre un arto.
Jim mi fece altre visite, evidentemente parte della copertura –riuscivo ad immaginarmi come lasciasse la giornalista da cui si era trasferito per sicurezza dicendogli che doveva vedersi con il suo Alexander-, ma soprattutto mi telefonò.
Non passò giorno in cui non mi tenne al telefono per parlare di assolutamente nulla. Parlava soprattutto lui, ad essere sincero. A me importava più ascoltare. A me importava di sentire la sua voce. E forse perché potevo avere tutte le reazioni del mondo senza che lui me le leggesse in faccia.
A me importava che lui avesse avuto il pensiero di chiamarmi, che aveva rubato tempo alla sua monotona giornata per me.
Ogni piccolo privilegio che ottenevo per me valeva oro.
Il giorno della fine dei giochi mi venne a prendere personalmente.
Ah, non mi scorderò mai quel momento, quando finalmente alla porta non trovai Richard, ma il Jim di sempre.
Il mio Jim, vestito di tutto punto per l’occasione, i capelli pettinati all’indietro, una luce di cruda determinazione negli occhi.
“Chop sta aspettando in strada. Prendi il fucile, Sebastian.”
Feci come mi era stato ordinato e ci avviammo. La tensione rese la macchina claustrofobica e Chop fu più silenzioso del solito. Non che prima di un lavoro fossimo dei simpaticoni, ma c’era qualcosa di differente, e sapevo benissimo che era Jim. Era così raro che lui fosse coinvolto in prima persona che cambiava tutte le carte in tavola.
Stranamente Jim scelse con me la postazione, cosa che di solito mi lasciava fare senza problemi, e scartò anche tre delle mie proposte.
“Il dottore ha lasciato l’edificio, ma tornerà.” Mi avvertì sfilando davanti ad una serie di finestra e affacciandosi ad ognuna per controllare la visuale.
“Devo tenerlo sotto tiro anche questa volta?” commentai annoiato. Potevo solo seguirlo trascinandomi dietro la custodia del fucile. “Ho un deja-vu.”
“Non sei spiritoso, Sebastian.” Mi rimproverò non totalmente attento a me, la testa di Jim era già altrove. “Questa volta sarà più divertente.”
“Ah e come mai?” solo all’ennesima finestra la visuale cambiò abbastanza da permettermi di riconoscere la struttura dall’altro lato della strada. “Ma non è l’ospedale di Saint Bart’s?”
“Lo è.” Confermò Jim. “Sherlock si è nascosto lì.”
“Scelta di un uomo senza grandi opzioni.” Fu il mio commento, ma me ne pentì immediatamente.
“No, è la scelta di un uomo di scienza che ha bisogno di un laboratorio. L’avrei fatto anche io, assolutamente prevedibile.”
Non aggiunsi altro e salimmo al piano superiore dell’edificio, per quanto a mio avviso fosse inutile per un colpo a livello stradale. Jim non volle sentire storie.
“Qui.” Mi disse semplicemente indicando la finestra scelta, e io ubbidì iniziando a montare il fucile, bloccandomi quasi subito.
“Jim.” Lo chiamai.
“Si?”
“Devi proprio rimanere qui?” gli chiesi sgarbatamente.
“Non vedo quale sia il problema.” Replicò lui con tutta calma.
“Non ho bisogno della baby sitter.” Gli feci notare.
“Che c’è, non riesci a lavorare se qualcuno ti guarda?”
Alzai gli occhi al soffitto e non risposi, né finì di montare il fucile. Eravamo di nuovo in quella ridicola situazione di stallo. Avrei dovuto esserci abituato, ma non lo ero affatto.
Rimanemmo in silenzio e alla fine io mi accesi una sigaretta e mi misi comodamente seduto sulle scale, ignorando il cartello di divieto di fumo. Non era di certo il mio peggior crimine, quello.
Poco dopo Jim si unì a me, avendo evidentemente deciso che non c’era motivo di fare i bambinetti, sedendosi sul mio stesso scalino. Non aprì bocca per un altro minuto buono, si limitò a guardare fisso di fronte a sé, mentre io guardavo lui. Nulla di nuovo direi.
“Questa volta il gioco è un po’ diverso.” Mi annunciò finalmente. “Non voglio che tu uccida subito il dottore, devi aspettare.”
Spensi la sigaretta sul marmo del gradino. “Cosa devo aspettare questa volta?”
Jim mosse le labbra in una specie di sorriso. “Che Sherlock Holmes si butti dal tetto dell’ospedale. Se non lo fa, uccidi il dottore.”
“Aspetta, aspetta.” Lo bloccai. “Perché Sherlock dovrebbe buttarsi dal tetto?”
“Perché io lo costringerò a farlo.” Fu l’atona risposta di Jim.
“L’hai fatto di nuovo!” urlai furioso alzandomi e tornando alle finestre. “Mi hai tenuto all’oscuro del tuo strafottutissimo piano!” era l’unica cosa in grado di mandarmi fuori di testa, essere così tagliato fuori dalla sua vita, dalle cose davvero importanti. “Sta volta avevi detto che mi avresti messo al corrente di tutto.” Sperai che l’edificio fosse vuoto, perché altrimenti avevo appena fottuto tutta l’operazione.
“Ho mentito.” Rispose lui impassibile. La cosa divertente era che sapevo che avevo informazioni che gli altri cecchini si sognavano di avere.
I nostri litigi erano sempre in quel modo: io esplodevo come una bomba e lui rimaneva impassibile come una lastra di granito.
“Io non ti capisco!” continuai. “Non hai problemi a venire a letto con me, ma ti strapperesti la lingua prima di dirmi che ti passa per la testa!”
“Sai benissimo perché vengo a letto con te.” Jim si alzò con un sospiro teatrale aggiustandosi le pieghe del vestito. “Ti dico solo ciò che è necessario, non devi sapere tutto il resto.”
“Ma io voglio sapere tutto il resto! Voglio sapere tutto!” era la prima volta che lo ammettevo, almeno con tutta la rabbia e il disagio che ne conseguiva. “Sono il tuo braccio destro, non il tuo cagnolino.”
“Su questo potrei ribattere.” Puntualizzò con leggerezza.
Fu a quel punto che lo afferrai per il bavero del cappotto e lo spintonai contro il muro, tra due delle finestre del corridoio. Non batté nemmeno ciglio.
“Non sono il tuo cagnolino, se sono restato è perché l’ho voluto io. Io.” Sibilai così vicino al suo viso che potevo vedere ogni sfumatura dei suoi occhi.
“Qual è il problema, Sebastian?” cercò di liberarsi, ma non mollai la presa sul suo cappotto. “Hai paura mi succeda qualcosa? Non ho bisogno di una mamma apprensiva che deve sapere ogni mia mossa. Pensi non sia in grado di cavarmela?” stava urlando anche lui, cosa che mi fece stare meglio, per quanto nei suoi occhi era visibilissimo tutto il disappunto per la mia scenata. “Pensi che sia un incapace?”
“No!” gli risposi io con veemenza spingendolo un’altra volta contro il muro. “E’ perché io…” mi dovetti letteralmente mordere la lingua per zittirmi in tempo, prima di dire qualcosa che era meglio non dire. Finché Jim si limitava a dedurre ciò che provavo, andata tutto bene, ma dirlo ad alta voce era tutto un altro problema.
“Vai avanti, finisci la frase, Sebastian.” Mi spronò tornando calmo come sempre. Sapeva cosa volevo dire. O meglio cosa non volevo dire.
Scossi con vigore la testa, rifiutandomi.
“Dopo ti sentirai meglio.” Insistette lui.
“Perché ti amo.”
Tre parole. La prima volta che le dissi. E anche l’ultima.
Mi allontanai da Jim, improvvisamente svuotato non solo della rabbia, ma anche di qualsiasi forza.
“Bene, ora che la questione è risolta.” Annuì soddisfatto sistemandosi il cappotto che avevo sgualcito. “Ho bisogno che tu mi dia la tua pistola.”
“La mia pistola?” non fraintendete, Jim aveva un paio di pistole di sua proprietà e io l’avevo indottrinato molto bene sulle tipologie possibili, ma non mi aveva mai chiesto la mia. “A che ti serve?”
“Ma come! Non sei tu a dire che una pistola è sempre molto persuasiva?”
“Si.” Ammisi passandogli la pistola come richiesto e sentendomi totalmente indifeso. E avevo un fucile mezzo montato a pochi passi.. “Quindi il tuo geniale piano è così geniale che hai paura ti serva una pistola?”
“Ah.” Jim alzò un dito bloccando la mia ironica osservazione. “Non aggiungere una parola, Sebastian. Hai detto abbastanza per oggi, non ti pare?”
Mi ero solo dichiarato, infondo, quindi annuì.
“Perfetto, è ora dello spettacolo finale.” Annunciò controllando l’orologio. “Peccato tu non possa assistere, un po’ di pubblico mi avrebbe fatto piacere.”
“Mi è  bastata la piscina.” Risposi con una scrollata di spalle.
Non lo lasciai andare prima di averlo baciato, anche se sapevo che quel gesto l’avrebbe fatto infuriare data la situazione. Al diavolo, non poteva essere peggio di essermi dichiarato in maniera ridicola neanche fossi stato una ragazzina alla prima cotta.
“Mi raccomando, Sebastian, questo è l’unico lavoro della tua vita che non puoi fallire.”
“Lo so, fidati di me.”
“Io mi fido dite. Mi fido solo di te.”
Furono le ultime parole che Jim mi disse.
 
 

 
Sherlock si buttò, non devo essere io a dirvelo, e il dottore fu salvo.
Eppure qualcosa non andava.
Rimisi il fucile nella custodia e aspettai qualche altro minuto, ma Jim non si fece sentire e io mi ero aspettato una reazione eclatante. Quindi decisi di andare a vedere cosa diavolo stesse combinando.
Con la custodia del fucile dietro ammetto che passare inosservato per l’ospedale non fu proprio semplicissimo, ma arrivai sul tetto, totalmente impreparato per ciò che avrei visto.
Prima notai la striscia rossa sul pavimento, poi il cadavere di Jim.
Fu in quel momento che il mondo smise di girare nella direzione giusta e io smisi di usare il mio buon senso. Sarei dovuto scappare perché la polizia sarebbe potuta arrivare da un momento all’altro, invece mi avvicinai a Jim e lo fissai. Lo fissa per quella che mi sembrò un eternità senza pensare a nulla. Cercai di forzarmi di provare qualsiasi cosa, ma non ero né triste né felice, non ero né amareggiato né soddisfatto. Nulla di nulla.
“Figlio di puttana.” Gli dissi tranquillamente sedendomi accanto a lui.
Non riuscivo a smettere di guardarlo. Non che non avessi mai visto un cadavere da così vicino. “Vedo che la pistola è stata persuasiva. La mia pistola, stronzo.” Avrei dovuto prenderla per evitare qualsiasi guaio, ma un cadavere con un buco nella testa e senza pistola avrebbe suscitato più sospetti del necessario.
Rigirai una sigaretta spenta tra l’indice e il pollice: avrei voluto fumare, ma l’ultima cosa di cui avevo bisogno era lasciare tracce di cenere sul pavimento. Per quanto chiunque le avrebbe potute lasciare prima di me, era meglio non rischiare.
“Sei stato un bastardo fino alla fine, i miei complimenti.” Stavo parlando con un morto e mi sembrava assolutamente normale. Forse perché ancora non credevo che fosse davvero morto.
Uscì in fretta dall’edificio, così in fretta che imboccai i corridoi sbagliati.
O quelli giusti, a seconda dei punti di vista.
Riconobbi la voce di Molly provenire da una delle stanze dell’ennesimo corridoio vuoto, giusto in tempo per nascondermi. Non avevo bisogno che mi trovasse lì a gironzolare. In quel momento non sarei riuscito a recitare la parte che mi ero costruito con tanta cura.
Con lei c’era qualcun altro e riconobbi anche quella voce e lo stomaco mi si attorcigliò. Non poteva essere possibile, non razionalmente almeno, ma sapevo che lo era.
Sherlock Holmes era vivo e vegeto, a dispetto di quello che avevi visto.
“Tuo fratello sarà qui tra poco.” Sentii dire da Molly.
“Non lui, qualcuno per lui.” Ribatté Sherlock con calma.
“Potresti almeno avvertire John…”
“Non posso.”
Avrei dovuto ucciderli entrambi, ma ammetto che volevo sapere perché Sherlock avesse messo in scena la sua morte. Visto che Jim era morto (e sul serio. Il suo cuore non batteva e me ne ero accertato.) perché lui doveva ancora fingere?
A che gioco stava giocando?
Quando andò a chiudere la porta sono sicuro che mi vide e mi riconobbe. Un test per sapere come avrei reagito?
Io onestamente uscì dall’ospedale, lasciandomi alle spalle quella storia. Che Sherlock vivesse un giorno in più.
Salì in macchina di Chop il più velocemente possibile, consapevole che avevo sprecato già un po’ di tempo.
“Sebastian?” mi chiese Chop vedendomi gettare il fucile sul sedile posteriore senza le mie solite cerimonie.
“Parti, Chop.” Gli ordinai. “E schiaccia sull’acceleratore.”
“Ma Moriarty…?” mi guardò confuso.
“Parti!” gli ringhiai contro e lui finalmente mi obbedì.
“Sebastian che diavolo sta succedendo?” mi chiese dopo un paio di minuti.
“E’ morto.” E dirlo a voce alta fu uno schiaffo in piena faccia.
Non c’era bisogno di specificare chi, era chiaro dalla mia faccia che non stavo parlando di Sherlock. Chop mollò il volante per la sorpresa e per poco non finimmo fuori strada.
“Cosa?” deglutì a fatica dopo lo spavento.
“Sono morti entrambi. Uno si è buttato e l’altro si è sparato.” Mi tornarono in mente i pezzi di cervello rosa sullo sfondo rosso del suo sangue. “Portami a Conduit Street, poi corri a casa, prendi tua moglie e i bambini e scappa da Londra. Vai da qualche parente in Cina se ci riesci, va via. Con Jim morto verremo braccati come prede.” Lo dissi in automatico, realizzando solo in quel momento la gravità della situazione.
Chop annuì e la tutta la sua giovinezza sparì in quel momento.
“Chiamo Debbie.” Lo avvertì e lo feci. Chiamai lei e un altro paio di persone, quelle più fidate, quelle che avevano più da rischiare. Jim le avrebbe lasciate al loro destino al posto mio.
Arrivammo all’appartamento prima che potessi riconoscere la strada, forse Chop aveva usato strade differenti per distanziare la polizia, chi può dirlo, infondo era il suo lavoro in quanto autista, non il mio.
“Tu cosa farai ora?”
Avevo solo due scelte: prendere in mano l’impero criminale di Jim Moriarty e tentare di tirare avanti, o lasciare sgretolare il tutto.
Io però non ero Jim Moriarty.
“Addio Chop.” Lo congedai. “Grazie di tutto, amico.”
No, non sarei mai stato in grado di riuscire nell’impresa come Jim. L’aveva detto anche lui dopotutto.
Richiusi la porta dell’appartamento alle mie spalle e finalmente permisi ai miei nervi di cedere.
Quando mi cacciarono dall’esercito passai una settimana in cerca di risse, e ogni sera avevo avuto modo di spaccare qualche costola o fare qualche occhio nero. Anche in quel caso era colpa dei miei nervi a pezzi.
Quando arrivai in soggiorno, invece, gettai uno stupido vaso a terra e il rumore mi fece sobbalzare. Un semplice rumore di cocci a terra mi fece sobbalzare. Ero ridotto parecchio male.
Fu il silenzio successivo ad essere insopportabile perché nella testa mi sentì chiaramente chiamare Jim in un gesto automatico e abitudinario.
Mi lasciai cadere sul divano visto che le mie gambe avevano smesso definitivamente di funzionare.
Accesi la sigaretta che volevo accendermi sul tetto, accorgendomi che stavo tremando come una foglia dalla testa ai piedi. Capita quando i tuoi nervi vanno a farsi fottere.
Fumai fino alla nausea, ma non servì a calmarmi o farmi pensare in maniera lucida. Non pensai affatto.
Avevo detto a tutti di scappare e avrei dovuto fare lo stesso, ma non me la sentì.
All’ennesima sigaretta, spenta a metà perché oramai il sapore mi disgustava, decisi che era il caso di fare qualcosa. Qualsiasi cosa.
Barcollai fino stanza di Jim; era il luogo della casa che in realtà gli apparteneva di meno: già dormiva poco e se poi quando dormiva lo faceva in camera mia, la sua stanza finiva per essere quasi asettica.
Aveva bisogno di smettere di pensare a ciò che era successo e decidere cosa fare.
Avrei dovuto seppellirlo e pensare al funerale. Il pensiero successivo fu che a morire era stato Richard Brook.
Una seconda volta, ah che sfortuna!
Fu la rabbia di non poter nemmeno seppellire Jim Moriarty a convincermi a muovermi. Fortunatamente le mie cose erano tutte a Baker Street e quel poco che rimaneva potevo portarcelo senza problemi. Forse Jim aveva pensato anche a quella evenienza, ammetto che lo pensai.
Mi alzai dal letto dove mi ero raggomitolato come un bambino e aprì il grande armadio con tutti i suoi vestiti. Fu peggio che aprire un album di fotografie: odiavo quei vestiti, ma ad ognuno di essi era legato un maledetto ricordo. Ne presi uno. Quello che aveva addosso quando lo conobbi. Chiamatemi sentimentale, non potrebbe importarmene di meno.
Lasciai Conduit Street sapendo che non ci sarei mai più tornato.
 

 
 
Restai a Londra fino al giorno del funerale, consapevole che ero l’unico che si sarebbe preso la briga di sbrigare quella rognosa faccenda.
Tutti i partecipanti –e si potevano contare sulla punta delle dita di due mani visto che eravamo: io, la signora Brook e la sua adorabile figlia, due o tre persone che non avevo idea chi fossero e la giornalista assoldata da Jim- erano vestiti di rigoroso nero tranne me. Io avevo messo il vestito grigio che Jim aveva tanto decantato. Tanto mi sarei dovuto vestire comunque elegante, tanto valeva mettere addosso qualcosa che mi ispirasse un minimo di sicurezza.
La signora Brook fu ovviamente l’essere più scortese che avessi mai visto, era il secondo funerale del figlio a cui assisteva ed era assolutamente stufa.
“Spero che questa storia finisca qui.” Mi sibilò prima di andare via. Io mi limitai ad annuire . Era già tanto che avessero retto il gioco fino a quel momento.
Non dissi una parola per tutta la cerimonia, perché dannazione ero l’unico in lutto in quel cimitero.
“Lei deve essere Alexander Picks.” La giornalista mi offrì la mano e io la strinsi. “Condoglianze per la sua perdita.”
“La ringrazio.” Per qualche ragione tutti avevano deciso che ero io il più distrutto dall’evento –cosa che era vera-, ma la questione mi irritava oltre ogni immaginazione. Nessuno si era rivolto a quelle che, tecnicamente, erano la madre e la sorella del defunto.
“So che non è il momento migliore.” Esordì. “Ma vorrei farle delle domande.”
No, non era il momento migliore, non sapevo se sarei riuscito a recitare la parte di Alexander Picks. Il dolore che provavo –no, la rabbia- era decisamente del vostro affezionatissimo Sebastian Moran.
“Basta che siate veloce. Vorrei rimanere un po’ qui, dopo.”
“Oh,certo.” Lei annuì e, ignorando beatamente l’ambientazione, tirò fuori carta e penna. Credo che una brava giornalista sia sempre pronta all’evenienza. Non era poi tanto differente da me che mi portavo dietro la pistola ovunque. “E’ stato un gesto così estremo e disperato. Sa che le autorità hanno ipotizzato che Richard si sia ucciso perché Sherlock si è buttato?”
Aggrottai la fronte prima di realizzare che non potevano sapere, come sapevo io, che Jim si era sparato prima che il detective spiccasse il volo.
“Ma lei lo conosceva meglio, cosa crede abbia spinto Richard?”
“Richard era una persona onesta, semplice. In realtà era stufo di aiutare Sherlock con il suo inganno, era arrivato al limite. Solo…non immaginavo fosse così disperato.”
“Oh, quindi è così che andata, capisco.” Scribacchiò qualcosa sul blocchetto di appunti. “Conoscevo Richard, certo non quanto lei,ma non mi era sembrata una persona con manie di suicidio.”
“No, infatti.” Aggiunsi un sorriso amaro per la scenata. “Ma questa situazione lo stava tormentando, i sensi di colpa lo hanno divorato, glielo potevo leggere in faccia, si è consumato dentro, giorno per giorno. Avrei dovuto fermarlo.” Il singhiozzo che sfuggì dalle mie labbra era del tutto reale. Avrei dovuto davvero fermarlo. Avrei potuto. Perché sapevo che in un modo o nell’altro questo piano l’avrebbe colpito direttamente.
Era compito mio proteggerlo e avevo fallito.
“Nessuno poteva prevedere cosa sarebbe successo.” Mi avvertì con delicatezza.
“Nell’articolo… si assicuri che la colpa ricada su Sherlock Holmes e su come ha forzato un ragazzo innocente a recitare una parte che non voleva più, portandolo a scegliere la morte come via d’uscita.” Le chiesi con freddezza. Ero io a volerlo, mi avrebbe fatto sentire meglio.
“Oh si. Ho intenzione di fare di Richard un martire.”
“Se lo merita.” Risposi con un cenno della testa. “Sherlock ha distrutto la vita di Richard e la mia.” Ed era vero. A patto che a posto di vita si sostituisse la parola organizzazione criminale.
“Una vera tragedia.” Lei mise via gli strumenti del suo lavoro e mi strinse di nuovo l mano, con delicata forza. “Cosa farà ora?”
“Devo rimettere a posto la mia vita, ma non ci riuscirei ora. Viaggerò forse, un qualche posto sperduto per cambiare aria e capire cosa è rimasto di me.” O per non farmi trovare dalla polizia.
“Buona fortuna.” La giornalista si congedò e negli occhi vidi già lo stile giacobino con cui avrebbe scritto quella storia.
Rimasi l’unico davanti alla lapide, in piedi come un idiota, senza sapere cosa fare.
“MI(i) avevi promesso che saremmo stati sulla cima del mondo.” Mi tornò improvvisamente in mente quella mattinata nel suo studio. “Dovevamo esserci insieme. Io sono qui, figlio di puttana, ma tu dove diavolo sei?”
Non potevo che essere infuriato.
“So che non sono mai stato nulla per te.” Avrei voluto prendere a calci la lapide. “Ma lasciarmi così è crudele perfino per te. Sono a pezzi, contento? Non so nemmeno se riuscirò a rimettermi in sesto questa volta. Sono stanco.” e, al diavolo l’etichetta, mi sedetti a terra e fissai le lettere di un nome estraneo incise sulla pietra di fronte a me. “Potevi dirmi che cosa avevi in mente di fare. Non ti avrei fermato.” Ed era la verità. Mi ero chiesto se, sapendo tutto il piano, avrei fatto qualcosa e quella era stata la risposta. “Mi dici che diavolo faccio ora senza di te?”
Era il posto meno sicuro del mondo quello, ma rimasi comunque almeno un ora davanti alla lapide, così grottescamente sbagliata, senza dire altro. Non che avessi molto da dirgli che non fosse una lunga lista di insulti creati appositamente.
Prima di andarmene dissi un ultima cosa con tutta l’ironia che mi era rimasta e non era molta.
“Prenotami un biglietto all’inferno, magari lì saremo più fortunati. Spodestare Lucifero non può essere più difficile che battere Sherlock Holmes.”
 

 
Partì il giorno dopo il funerale, ringraziando la mia buona sorte che Scotland yard non fosse arrivata a me in quel lasso di tempo.
Viaggiai leggero: qualche vestito, qualche pistola e qualche fucile per la caccia. Ciò che avevo lasciato a Londra poteva anche essere sequestrato, sarei comunque sopravvissuto.
Sulla via dell’aeroporto incappai nell’ennesimo murales con la scritta I believe in Sherlock Holmes.
C’era una sorta di movimento autonominatosi Watson’s Warrior che professava l’autenticità di Sherlock e cercava, in quei modi invadenti, di salvare la fama del detective. Non mi aspettavo che ne esistesse un secondo che aveva assunto come motto la frase Richard Brook was Innocent.
Fermai la macchina ed andai ad ammirare il capolavoro da vicino. Mi fece infuriare allo stesso modo della stupidissima lapide.
Notai per terra alcune mezze bombolette, lasciate lì probabilmente perché chiunque avesse fatto il murales era scappato a tutta velocità, e fu lì che mi venne l’idea.
Con una pessima tecnica –devo ammetterlo- feci un’altra scritta con la prima cosa che m venisse in mente.
Moriarty was real.
Quello che non  potevo sapere era che, a mesi di distanza, quando tornai a Londra, avrei trovato quella scritta su molti muri perché il movimento pro-Sherlock Holmes l’aveva adottata insieme alla prima. Il che mi rendeva un Watson’s Warrior onorario. E aveva senso visto che ero il Watson di Jim.
Ebbene sì. Il primo Moriarty was real fu il mio. E me ne vanto.
Dopo la piccola pausa artistica, presi comunque il mio aereo e andai in India, a caccia di Tigri –non dovrei dirlo, presumo. Avevo assolutamente bisogno di tenere la mente occupata.
Mi sentì a casa nella giungla indiana: in qualche modo aveva sempre avuto un effetto terapeutico su di me. Peccato che i miei nervi non volevano saperne di smettere di giocarmi scherzi.
Iniziai a bere per quel preciso motivo, ed è una delle decisioni di cui mi pento. Ma davvero, era(O) troppo stanco per cominciare tutto da capo per l’ennesima volta. E con Scotland yard alle calcagna.
Ero patetico e ancora in me. Avevo perso ogni interesse per il mondo.
Perché davvero, non avevo più un mondo.
Tutto ciò che avevo era perduto, ma a distruggermi era l’idea che, qualsiasi sforzo avessi fatto, non l’avrei mai più avuto.
Così come avevo perduto Jim.
Lasciatemi essere smielatamente romantico per una volta.
Ho amato Jim con tutto me stesso, con ogni fibra del mio essere. Ho lottato contro quel sentimento come una tigre in gabbia, negando l’evidenza. L’ho amato sul serio. Come non ho mai amato nessuno.
Non eravamo anime gemelle, non credo a quelle stronzate e poi non potevamo essere più differenti, ma eravamo due anime che si erano accettate completamente. Che si sono sopportate.
Cristo, è stato l’unica persona che non ha mai avuto da ridire per la pistola sotto al cuscino!
Ma credo che questo discorso valesse più per lui. Nonostante tutte le litigate e le mie scenate, ha sempre saputo la verità.
Sono stato l’unico.
L’unico ad amarlo, a sopportarlo, a rimanergli accanto.
L’unico così cocciuto da tenergli testa.
Non male, eh?
Per quei motivi non mi ha fatto fuori quando gli ho detto di amarlo.
Bene, momento romantico finito, incredibile come una persona possa credere a certe scemenze.
La verità è che è stato un miracolo se non ci siamo uccisi a vicenda.
A Mumbai incontrai Irene. Così tanta gente che doveva essere morta e che non lo era.
Era irriconoscibile: avvolta nello sfarzo dei colori indiani, il volto pulito da qualsiasi trucco, i capelli lasciati ricadere in morbide onde oltre le spalle.
Passammo almeno un mese insieme, girando per la città, sprecando i soldi in cose totalmente inutili.
Ci saremmo divertiti molto di più se lei non fosse stata totalmente attratta dalle donne –e sapevo che era troppo intelligente per cercarsi un uomo come compagnia- e io totalmente disinteressato al genere umano.
Ma nonostante la mancanza di sesso, stavamo bene insieme. Eravamo due persone che si stavano re-inventando lontane da ciò che le aveva distrutte.
Sotto al sole di Mumbai mi prese per mano, ma non pronunciò la solita battutina o la solita scemenza –avevamo in qualche modo sempre ignorato i grandi argomenti e le cose importanti-.
“Ricordi quando ti dissi che iniziavi ad assomigliare a Jim?”
“Si.” E chi se lo sarebbe scordato.
“Ora hai anche lo stesso sguardo negli occhi.”
“Jim aveva gli occhi più spenti che abbia mai visto.” e il solo parlarne me li riportò in mente e anche il ricordo fu spaventoso come il suo vero sguardo.
“Appunto.” Sussurrò lei.
 Ecco cosa succede quando il mondo diventa noioso: perdi qualsiasi interesse.
“Credo che tu sia il suo capolavoro.” Continuò prendendomi il viso tra le mani e sorridendo con amarezza. “E ti ha completato con la sua morte. Sei la sua copia perfetta, intelligenza a parte.”
Comprò una marea di regali per Kate e quella sembrava essere l’unica cosa a renderla felice. Irene Adler felice è una visione che non auguro nemmeno al mio peggior nemico –che essendo Sherlock Holmes temo l’abbia vista-. Si trasformava in una sottospecie di Maria Maddalena, puttana nell’animo, santa all’apparenza. Contrasto bizzarro.
Quando Kate raggiunse Irene a Mumbai, provai solo invidia per come si guardavano ed erano contente.
Tornai a Londra il giorno dopo.
 
 

Una volta a Londra, rimasi a Baker Street. Nascondersi non aveva senso, non con Mycroft Holmes come vecchio amico.
Il dottore era distrutto quanto me, o forse di più. Almeno io e Jim eravamo stati onesti l’uno con l’altro nell’accettarsi a vicenda. Non c’era nulla di lasciato in sospeso.
Capì cosa aveva cercato di dirmi Irene e ammetto che, se non avessi saputo che Sherlock Holmes era vivo, avrei iniziato a incontrare il dottore per farci forza a vicenda. Una sorta di club per poveri colleghi di sociopatici.
Eravamo l’uno lo specchio dell’altro anche nel dolore.
Rimanevo sempre e comunque il suo John Watson.
Per quanto riguarda Sherlock Holmes, lo cercai senza successo. E ammetto che pensai anche di seguire l’ultimo ordine di Jim e uccidere il dottore. Una parte di me voleva davvero farlo, ma ero troppo distrutto.
Perché avrei dovuto alleviate le sue fottute sofferenze quando le mie non lo sarebbero mai state?
Ero geloso di lui perché sapevo che un giorno Sherlock Holmes sarebbe tornato, ridando vita a quel pover’uomo.
Non osai nemmeno sperare che Jim tornasse.
Il mondo non è una grande fiaba.
E anche se lo fosse stata, per i cattivi non c’è mai il lieto fine.
 

 
Quando la polizia irruppe nell’appartamento urlando “Mani in alto!” sorrisi a Mycroft che chiudeva il drappello di forze armate.
“Sebastian Moran, la dichiaro in arresto.” Disse un uomo che riconobbi subito come il detective Lestrade. Anche lui era stato parte del piano.
Lasciai che mi ammanettassero, ma non staccai gli occhi da Mycroft. “Ce ne (ha. messo di tempo.”
“Colonnello.” Mi apostrofò lui.”Ha un aspetto orribile.”
“E lei è ingrassato.” Scrollai le spalle a fatica.
“Non oppone nessuna resistenza?” mi chiese quasi deluso da quella scelta.
“E per quale motivo dovrei farlo?” gli chiesi onestamente.
Esattamente come Jim la notte dell’opera, mi lasciai portare via. Se fosse successo prima di incontrare Jim, probabilmente mi sarei fatto ammazzare prima di permettergli di mettermi le mani addosso.
Sapevo che mi avrebbero dato almeno un ergastolo per tutto quello che avevo combinato. Mycroft non mi avrebbe mai arrestato se non avesse avuto abbastanza prove.
In realtà mi andò relativamente bene. Magari l’avete letto sui giornali, del mio processo pieno di risvolti interessanti. Passarono in rassegna tutti i miei crimini: dal mio barare a poker, alle mie risse, a qualche omicidio con testimoni creati ad hoc. Ovviamente uscì fuori tutta la questione dell’esercito e la condanna fu sicura.
Devo ringraziare il tempo trascorso in prigione, a dirla tutta.
Innanzitutto smisi di bere. Totalmente. Giusto in tempo prima di diventare un alcolizzato. Riavere la mia mente lucida fu meraviglioso. E migliorò anche il mio tremore alle mani.
All’inizio pensai che tutto quel tempo per pensare mi avrebbe fatto uscire di testa definitivamente, invece, ridimensionai le cose. Ebbi il tempo di riappiccicare i pezzi alla meno peggio.
Nessuno mi diede fastidio e sapevo che non era perché avrei potuto farli fuori in mille modi senza bisogno di particolari oggetti, ma perché metà di loro avevano lavorato per Jim e l’altra metà era stata incastrata così magistralmente da Jim da averne paura.
Non vidi Chop e questo mi fece sperare che fosse riuscito a fuggire.
In prigione, poi, ebbi tutto il tempo per scrivere quello che avete letto. Un novello Marco Polo. Solo che invece della Cina, ho scoperto un intero mondo criminale.
Non so nemmeno perché l’ho fatto, forse per passare il tempo, forse per convincermi che è successo tutto realmente.
Forse per lasciare una testimonianza dell’uomo più potente e pericoloso che Londra abbia mai conosciuto.
Forse per permettermi di dimenticare ciò che è successo, visto che ora è nero su bianco.
Credo che la motivazione la decideranno tutte le persone che leggeranno la storia e si faranno una loro idea di come siano andate le cose.
Sappiate solamente che sarà sicuramente sbagliata.
Definire Jim è per me ancora la cosa più complicata. E l’ho conosciuto, venerato, ammirato.
Voi che non ne sapete nulla, non potete sperare di capire.
Ammetto, però, che scrivere tutto questo è stato un ottimo passatempo.
Quando mi buttarono fuori di prigione non seppi quale angelo custode ringraziare per avermi salvato da decenni e decenni e decenni di miseria.
 

 
 
Chiedete in giro di Sebastian Moran e se siete fortunati vi diranno che fu un colonnello dell’esercito di Sua Maestà, che usò la sua abilità di cecchino per fare il mercenario, che fu il braccio destro di Jim Moriarty nel grande gioco contro Sherlock Holmes, che fu arrestato da Scotland yard e rilasciato misteriosamente.
Ma pochi vi sapranno dire la verità.
Sebastian Moran è diventato l’uomo più pericoloso di Londra.
 

The End.

 

Note dell’Autrice
Circa 56.000 dopo il titolo questa storia è finita.
E’ stata una Odissea che mi ha preso 4 mesi della mia vita, ma se tornassi indietro la rifarei.
Ci sono tante cose che devo dire e penso che alla fine di tutto sia arrivato il momento per farlo.
Per prima cosa devo ringraziare la mia beta e consigliera, Nessie. Senza di lei non sarei mai riuscita nell’impresa: mi ha spronata, assillata, aiutata nel decidere cosa e cosa non fare, mi ha dato la forza di non mollare a metà il progetto. E ho iniziato ad assillarla prima di iniziare a scrivere, figuriamoci. Non sapevo nemmeno se farli incontrare prima dell’inizio della serie! E lei è ancora convinta che avrei dovuto farli conoscere prima…ma un parallelo è pur sempre un parallelo.
Tutta la fan fiction si basa su un concetto di parallelo, dopotutto. Ogni mezzo per rafforzarlo.
Ringraziare Moffat e Gatiss per aver scelto Andrew come Moriarty e aver creato un personaggio così meraviglioso…e anche per non averci dato nemmeno un accenno di Sebastian. Sarebbe stato impossibile per me scrivere se Sebastian ci fosse già stato mostrato.
Spero, però, che la 3x01 si rifaccia a The Empty House e ci mostri Sebastian.
Non è stato facile scrivere di questi due, fidatevi. I dubbi si sono accavallati ma fortunatamente mi ha aiutato un libro. The Hounds of d’Ubervilles di Kim Newman, storia delle Novelle del Professor Moriarty.
Scrivevo qualcosa e magari, una trentina di pagine di libro dopo, la scriva anche Newman.
Mi ha dato sicurezza.
Così tanta sicurezza che gli ho fregato Chop.
Chop è solo citato, ma mi ha così colpito che non so come è diventato il best friend di Sebastian. Non so come, ma è successo.
E risolto il dilemma Chop, vorrei parlare della fine e delle decisioni che ho preso. Nella mia testa Jim non sapeva che si sarebbe ucciso (nel fandom MorMor molte teorie invece dicono di si perché vogliono il momentone di Jim e Seb prima della fine.) ma poi mi sono accorta di aver fatto esattamente la stessa cosa. Solo che il mio Sebastian (e nemmeno io) non se ne è accorto. Jim l’ha forzato a dichiararsi perché era l’ultimo momento.
Ma non aspettatevi da me che faccia riciucciare Jim vivo e vegeto. No, nemmeno Richard Brook. Si è sparato, non c’è via di ritorno. (ma una Seb/Richard potrei scriverla, ma fuori da his john waston)
Nel canon Sebastian è a Reichenbach, guarda i due cadere e cerca di tirare sassi a Sherlock per farlo cadere quando capisce che è vivo; per questo il mio Sebastian incrocia Molly (che palesemente ha aiutato Sherlock e fine.) e Sherlock. E sempre nel canon Sebastian viene arrestato tentando di ammazzare Sherlock e io ho preso lo spunto per motivare la realizzazione dell’opera. Ebbene si ho dato anche un senso al perché della storia.
Anche se è triste pensare che dopo tutto quello che è successo Sebastian si considera ancora e solo il John Watson di Jim.
Non so come abbia fatto a riuscire in questa impresa senza impazzire, credetemi.
Sono contenta di averlo fatto, perché la soddisfazione è stata immensa.
Quindi questa è davvero la fine.
Grazie a tutte.
  
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