ATTENZIONE: tutti i personaggi appartengono a Mika
Kawamura.
MY YEARS
-
Cosa?!
America? –
-
Sì, Miyu.
Ti avremmo lasciata qui in Giappone, se solo fossi riuscita a contattare un
amico che poteva ospitarti. Purtroppo, devono aver cambiato il loro numero e ho
perso il loro indirizzo. Perciò, verrai con noi. –
Miyu Kozuki sorrise tra sé,
con aria sognante. L’America… qualcosa di completamente sconosciuto! Aveva
sempre desiderato visitarla e ora poteva addirittura viverci! Tuttavia le
dispiaceva lasciare il Giappone, dopo averci vissuto per 13 anni… Miki, sua
madre, la guardò con aria speranzosa.
-
Allora,
Miyu, è tutto okay? –
Dopo un attimo di
esitazione, la ragazza annuì.
-
Sì. –
disse, prendendo fiato. – vengo con voi. - //
Sei anni dopo, un aereo da
New York atterrò all’aeroporto di Tokyo. Tra la folla, una ragazza bionda
riuscì a farai strada con le sue valige e a uscire dall’edificio. Guardò il
cielo terso con un sorriso, mentre teneva premuto un cappello di paglia sulla
testa, in modo che il vento non glielo portasse via.
-
Sono
tornata. – sussurrò, prima di chiamare un taxi. //
Miyu Kozuki, 19 anni, arrivò
alla sua vecchia casa, che non era stata venduta, stremata dalla fatica. Aveva
vissuto più tempo del previsto a New York e la cosa non le era dispiaciuta:
aveva frequentato delle buone scuole, frequentato amiche moderne e bei ragazzi.
Tuttavia era tornata: ancora non si spiegava il perché. Sentiva che c’era
ancora qualcosa da sistemare lì, ma non capiva cosa. I suoi genitori avevano
accettato riluttanti la sua partenza, ma ad ogni modo sarebbe dovuta rientrare
negli Stati Uniti entro una settimana. Si buttò sul letto e sbadigliò,
guardando il soffitto. Non conosceva quasi nessuno in Giappone, non aveva
amiche particolari da salutare, allora perché era tornata? Si voltò su un
fianco e spense la luce: il giorno dopo, voleva visitare Tokyo. Non aveva avuto
tempo per farlo. In quella settimana l’avrebbe visitata da cima a fondo, senza
dimenticare nulla.
La mattina dopo, il telefono
squillo presto. Assonnata, Miyu alzò la cornetta.
-
Pronto…?
–
-
Miyu!
Sono io! –
La ragazza scattò in piedi,
arrossendo.
-
Mark… -
-
Ciao,
piccola! Sei arrivata sana e salva? Com’è la tua terra natia, dopo sei anni? –
Miyu guardò fuori dalla
finestra: il sole splendeva alto nel cielo e le strade erano piene di gente.
Sorrise.
-
Proprio
come la ricordavo. Vuoi un souvenir? –
-
Niente di
speciale. Il mio souvenir sarai tu quando tornerai. Sai cosa mi hai promesso… -
Miyu avvampò, stringendo la
cornetta.
-
Me lo
ricordo… -
-
Bene,
allora mantieni ciò che hai detto. Ci sentiamo, ora vado. Bye!
–
-
Goodbye!
–
Miyu riattaccò e facendosi
la doccia diventò pensierosa. Il suo ragazzo, Mark,
era un biondino niente male, americano. Era simpatico, divertente e dolce,
sapeva farla contenta, ma c’era qualcosa che non andava in lui. Voleva tutto,
troppo in fretta. Il giorno prima, quando era all’aeroporto di New York le
aveva fatto promettere che al suo ritorno… avrebbero… scosse la testa, cercando
di non pensarci. Non sapeva se si sentiva pronta, ma ci avrebbe pensato una settimana
dopo. Indossò un vestito turchese con la gonna lunga fin sopra al ginocchio, e
le maniche a sbuffo. Vide che il sole non accennava ad andarsene e visto il
caldo, mise il cappello di paglia e uscì. Camminando, si guardò intorno: che
bello essere di nuovo nella sua città! Aveva dimenticato tanti particolari… non
sentiva nemmeno più la fatica, dopo qualche ora di cammino, mentre si fermava
nei negozi, comprava qualcosa e si guardava intorno. Svoltò l’angolo e
all’improvviso si fermò: assorta nei suoi pensieri era arrivata in una strada
che non conosceva. Fece qualche passo. Era un viale pieno di alberi, e c’erano
poche persone sui marciapiedi. Sembrava particolarmente tranquillo e lei non
riusciva a ricordare di esserci mai stata e a capire come ci fosse arrivata.
Camminò ancora per qualche minuto poi spalancò gli occhi, fermandosi. Si
trovava ai piedi di una lunghissima scalinata di pietra. Guardò in alto, ma non
riusciva a scorgere cosa ci fosse sulla collina. Incuriosita, fece qualche
gradino: che ci fosse un tempio, o una villa? Doveva esserci la casa di qualche
prestigiosa famiglia, molto ricca e…
-
Oh, no! –
una folata di vento caldo, senza preavviso, le fece chiudere gli occhi e volare
via il cappello. Si guardò intorno, sperando che fosse caduto lì vicino. Poi,
alzando lo sguardo vide che stava ancora fluttuando dell’aria, molti gradini
più in là, quasi in cima alla collina.
-
Stupido
cappello, torna qui! – dopo aver corso per qualche gradino, si accorse che in
cima alla scalinata c’era l’entrata di un tempio. Non ci pensò e avvicinandosi,
si accorse che qualcuno, con un abile gesto della mano, aveva preso il suo
cappello. Contro luce, non riusciva a vedere il volto di quella persona.
-
Scusi… -
disse impacciata, socchiudendo gli occhi per il sole. - … quello è mio… -
Salì alcuni gradini e
finalmente fu in ombra. Si strofinò gli occhi e poi guardò. Di fronte a lei,
c’era un ragazzo dai folti capelli castani, dei profondi occhi scuri, alto e
con delle larghe spalle. Lui alzò le sopracciglia, facendo roteare il cappello
su un dito.
-
Ha detto
che questo è suo? –
Miyu, inebetita, riprese
lucidità e arrossì lievemente.
-
Già. Mi è
sfuggito per il vento… -
Lo sguardo del ragazzo era
di sfida.
-
Come
faccio a crederle? Non sembra di queste parti. E’ sicura che non stia cercando
di rubarlo? –
Il tono del ragazzo la
infastidì e si mise sulla difensiva.
-
Ehi, per
quale ragione dovrei rubare uno stupido cappello di paglia? Le ripeto che è mio
e ho anche abbastanza fretta, se permette! –
Il ragazzo fece un mezzo
sorriso e si diresse verso il grande tempio. Miyu, seccata, lo seguì.
-
Insomma,
me lo vuole restituire? –
-
Visto che
non deve perdere tempo, vada. –
-
Ma voglio
indietro il mio cappello! Chi si crede di essere? –
-
Visto che
è uno stupido cappello, me lo tengo io. –
-
Ma cosa
se ne fa? –
-
Mi
proteggo dal sole. –
-
Ma se è
per donne! Mi sta prendendo in giro? –
Il ragazzo si bloccò e si
voltò verso di lei con un sorriso.
-
Forse. –
disse, alzando le sopracciglia. – lei che dice? –
Miyu, scocciata, scosse la
testa e con un salto riuscì a togliergli di mano il prezioso accessorio.
-
Oh, che
brava! –
-
Senta, mi
ha fatto perdere ben cinque minuti! Come pensa di scusarsi? –
-
Scusarmi?
Non ne vedo il motivo. –
Miyu lo guardò con un
broncio e all’improvviso il ragazzo scoppiò a ridere.
-
Ehi, che
c’è di divertente? –
-
Lei ha
una faccia molto buffa! –
-
Ah,
grazie mille! –
Quando riuscì a frenare la
risata, il ragazzo le porse la mano.
-
Kanata
Saionji – si presentò – proprietario del tempio. Lei invece è…? –
Miyu non riuscì a trattenere
un piccolo sorriso. Anche se sembrava tremendamente irritante, quel ragazzo non
era poi tanto male.
-
Miyu
Kozuki. –
-
B’è, dopo
questa sfuriata, che ne dice di pregare per farsi perdonare? –
-
Non ho
niente da farmi perdonare, lei non è un monaco, no? –
-
No, ha
ragione, non lo sono. Ma pregare non fa mai male, vero? –
Miyu sorrise e annuì. In
fondo, che c’era di male se rimaneva ancora un po’? Si mise a pregare e quando
ebbe finito, si guardò intorno. Di quel Saionji non c’era l’ombra. Avrebbe
voluto ringraziarlo, anche se non ne aveva motivo. E poi, non aveva la minima
idea di che strada prendere per tornare a casa.
-
Vuole un
amuleto? – Kanata comparve poco più lontano, mentre ripuliva il pavimento del
tempio. Aveva visto l’espressione preoccupata e interrogativa di Miyu.
-
Ah! Volevo…
in realtà… -
-
Non c’è
bisogno di ringraziarmi. Dovere e… -
Miyu scosse la testa,
arrossendo.
-
Ehi, non
sono venuta per ringraziarla. Volevo chiedere delle indicazioni, non sono mai
stata in questo quartiere. –
Kanata guardò il suo
orologio, poi sospirò.
-
Dove
abita? –
-
Vicino
alla stazione. –
-
Va bene,
la accompagno. Sarebbe troppo complicato da spiegare. –
Si incamminarono verso casa
di Miyu. Così, lei ebbe modo di scoprire che Kanata aveva la sua stessa età,
viveva nel tempio con suo padre, anche se quasi tutto il tempo era in
pellegrinaggio.
-
E non
soffre di solitudine? –
-
No. Esco
spesso. –
-
Ah…
probabilmente, avrà una ragazza… - Miyu si pentì subito di quelle parole e
arrossì. Così poteva crearsi un equivoco. Tuttavia, Kanata rispose in tutta
tranquillità.
-
Già. –
Da quella risposta, Miyu
provò un senso di delusione, ma non capiva il perché. Arrivarono di fronte a
casa sua.
-
Ah, è qui
che abito. Grazie mille per avermi accompagnata. –
-
Fa
niente. Vengo spesso da queste parti. –
Rimasero qualche istante in
silenzio. Miyu voleva in qualche modo trattenerlo, e non riusciva a comprendere
la sua agitazione. Ma Kanata fece un passo indietro.
-
Allora,
arrivederci… -
Miyu si stava scervellando
per trovare un modo. Poi le venne un’idea.
-
Aspetti!
–
Kanata si voltò, sorpreso.
-
Sì? –
Miyu esitò, ma poi si fece
coraggio.
-
Dato che
sono tornata da New York dopo tanto tempo, non mi ricordo molte strade e non
conosco nessuno. Non è che lei… potrebbe… farmi da guida? Ovviamente, se ci
sono dei problemi, è lo stesso… cioè… -
-
Non c’è
problema. Non lavoro durante l’estate. – la interruppe Kanata e per un attimo
sembrò stupito delle sue stesse parole. Miyu era raggiante.
-
Allora,
che ne dice se vengo da lei domani mattina e poi facciamo un giro? –
Kanata ci pensò un attimo.
-
Forse è
meglio se vengo io da lei. Alle undici, okay? –
Miyu annuì e poi si
salutarono. Chiudendosi la porta alle spalle, si morse il labbro inferiore con
un sorriso. Ma perché l’aveva fatto? Eppure era incredibilmente contenta. Non
c’era mica niente di male. Era solo una “guida”. Così, si sarebbe divertita di
più. Posò le chiavi di casa sulla tavola, pensando che il giorno dopo sarebbe
stato molto interessante. E, non se ne rendeva ancora conto, non sarebbe stato
solo quello ad esserlo…CONTINUA…