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Autore: Phenex    20/05/2012    0 recensioni
Anya è una ragazza di diciotto anni con una madre ed una sorella estremamente religiose. Vive a Sea Paradise una città marittima invasa dai turisti e, negli ultimi periodi, anche da qualche male intenzionato.
La vita di Anya comincerà a trasformarsi in un incubo di stupri e violenze quando scoprirà che i demoni, al contrario del suo credo ateista, esistono e che sono il mezzo di alcune delle peggiori persone che vivono nella sua calma cittadina. La giovane adolescente dovrà presto armarsi di un credo religioso per proteggere chi ama, ma quale sarà il prezzo?
Genere: Azione, Horror, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti
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Cap: 10

Sentimenti nascosti.

 

 

 

14 ottobre 2006

Ore 11:30

 

 

Brutus era finalmente tornato in se. Ci era voluto quasi un mese purché il suo cervello malconcio accettasse completamente la perdita del potere che lo aveva accompagnato per così tanto tempo.

Ricordava ancora come gli era stato proposto. Quel ragazzino così felice da sembrare quasi tetro gli aveva consegnato il monopolio su di una creatura sovrannaturale e lo aveva fatto con totale disinvoltura!

Tuttavia, ricordare di come era riuscito ad ottenere una cosa che adesso non possedeva più serviva solo a peggiorare il suo stato emotivo già per niente solare. Da quando aveva ripreso a fare discorsi e ragionamenti sensati i dottori e soprattutto la polizia lo stavano tempestando di domande. Ovviamente lui evitava di esporsi troppo, fingendo alle volte di avere alcune ricadute sul suo disordine mentale e parlando in modo contorto e totalmente privo di senso. Cominciava però a considerare l'idea di finire in carcere, lì almeno avrebbe potuto dormire in un letto privo di cinghie che gli immobilizzavano tutti gli arti. Magari una volta uscito, se mai sarebbe accaduto, avrebbe potuto cercare nuovamente quel ragazzino, anche se non sapeva ne come si chiamasse ne che faccia avesse. Di lui ricordava solo un'immagine scura che continuava a ridere in mezzo ad una rissa da bar e niente altro. Se non fosse stato che l'intera Sea Paradise aveva risentito delle sue ultime azioni, Brutus, avrebbe potuto anche pensare che fosse stato tutto uno scherzo della sua mente e che si trovava in quell'ospedale da molto più di un mese, afflitto da sogni malvagi con ragazze più fortunate di lui e mostri dalla forma disgustosa.

< Ci sono visite per te Brutus. >

Lo informò l'infermiera di turno, spalancando la porta della stanza.

Brutus sbuffò. Si trattava sicuramente di poliziotti, o magari addirittura di Elay, che lo odiava ogni giorno di più e che non vedeva l'ora di sbatterlo nel peggiore carcere esistente. Le sue aspettative furono però totalmente infrante, quando l'ospite venuto a fargli visita varcò la porta facendolo rimanere paralizzato dalla sorpresa.

< Ciao ragazzone. Come stai? >

Chiese Angela, varcando la soglia e salutandolo con una mano.

 

 

 

 

Ore 11:45

 

Elay sembrava in procinto di saltare in aria dalla rabbia. Senza rendersene conto lanciò un pugno direttamente contro la fiancata della macchia della polizia, ammaccandola e facendosi un male terribile alle nocche.

< Elay sta calma! >

Le ordinò Justin, prendendole la mano e controllando che non si fosse rotta niente. Questa volta la giustizia verso la quale era così devota gli aveva seriamente lanciato un colpo talmente basso da risultare scorretto anche per il più sleale degli uomini.

I due si trovavano davanti al tribunale dove, a causa di un inchiesta, era stata affidata a Brutus la libertà vigilata una volta che si fosse confermata la sua riabilitazione dall'ospedale. Quella notizia aveva ovviamente sostituito il sangue di Elay con lava bollente, facendola lottare contro se stessa per non pestare giudice e giuria quando era ancora all'interno della sala.

< Non dirmi di stare calma! Cazzo! >

Ringhiò, liberando la mano dalla presa del collega e lanciando un calcio alla gomma anteriore. In quell'esatto momento, il responsabile della liberazione ora mai prossima di Brutus stava uscendo dal tribunale. Si trattava di un uomo piuttosto anziano, vestito con una divisa color rosso scuro di nome Jhonatan. Prima che l'uomo potesse entrare nella propria limousine fu ostacolato da Elay, che si parò tra lui e la vettura senza che Justin potesse fare nulla per fermarla.

< Adesso lei mi spiega per quale motivo volete lasciare quel criminale libero di fare tutto quello che vuole. >

< Quello che doveva essere detto lo è stato in aula signora Elay Stans. >

Ribatté Jhonatan, mantenendo un tono composto ed intriso di superiorità.

< Adesso, se mi fa il favore di farmi entrare nella mia macchina, sono molto impegnato. Le assicuro che il Signor Brutus Allen resterà sotto la nostra custodia e che non le recherà più alcun disturbo. >

Aggiunse, senza battere ciglio.

< Sinceramente: Vaffanculo. >

Lo insultò Elay, senza però ottenere neanche uno sguardo irritato o altro.

< Brutus Allen ha ucciso delle persone, ha attentato alla vita di una mia amica e delle sue figlie! Deve scontare la pena che merita! >

< Signora Stans, il compito dei poliziotti è quello di consegnare i malviventi alla legge, non di decidere il loro destino. Adesso, se posso, avrei molte altre faccende da sbrigare. >

Concluse Jhonatan, superando la fin troppo adirata Elay incapace di smentire la teoria appena esposta sul dovere di un tutore della legge.

La limousine si mise in moto ed una volta chiuse le portiere prese il via, abbandonando i due poliziotti impotenti di fronte a quello che doveva essere il luogo dove sarebbe dovuta essere scelta la pena per Brutus.

Elay non riusciva a fare altro se non stringere i pugni e fissare il vuoto, mentre Justin cercava in qualche modo di trovare le parole per mettere a posto quella situazione che sembrava troppo anche per lui.

< Lo voglio ammazzare... >

Sussurrò lei, facendo quasi sobbalzare il collega per la freddezza di quella frase.

< … Li voglio ammazzare tutti, la giustizia non funziona... >

< Elay? >

< Ho una pistola, potrei farlo. Magari quando ce li assegnano per scortarli, ci inventiamo che hanno tentato di scappare e che abbiamo dovuto agire drasticamente. >

Continuò, quasi in preda ad un delirio psicotico degno del peggiore dei tiranni.

< Un colpo alla testa, non parlo di farli soffrire, solo di farli sparire per sempre... >

Quell'ultima frase intrisa di paranoia fece saltare i nervi al povero Justin, ora mai fin troppo frustrato dagli ultimi avvenimenti, che la afferrò per le spalle scuotendola. Quella era la prima volta che si azzardava a toccarla in quel mondo, ma pensò che in fin dei conti si era anche trattenuto un po, avrebbe preferito mollarle uno schiaffo ben piazzato per svegliarla da quella trance omicida.

< Ma ti rendi conto di quello che stai dicendo? Non eri tu quella che detestava gli assassini? Quella che non riusciva a comprendere come si potesse far del male al prossimo tanto da porre fine alla sua esistenza? Elay svegliati! Questa storia di Brutus... Devi lasciartela alle spalle, io non ne posso più di vederti corrodere l'anima per quel bisonte furioso pieno di problemi mentali mi hai capito?!

Che soddisfazione vuoi dargli? Quella di fargli capire che ti ha sfinita a tal punto da farti rinunciare ai tuoi ideali? Non voglio più sentire niente a riguardo mi hai capito bene? O giuro che ti prendo a pugni anche se sei una donna! >

La rimproverò, ottenendo da lei uno sguardo incredulo e leggermente velato dalle lacrime, uno sguardo nuovo all'interno del loro rapporto.

< … Non riusciresti mai a prendermi a pugni. E poi sei tu la donna del duo lo hai dimenticato? >

Ironizzò poi lei, che sembrava essere appena tornata in se. I due rimasero in silenzio, poi, quasi contemporaneamente, si strinsero in un abbraccio.

Justin avrebbe voluto dire altro, anche se forse Elay aveva letto i suoi sentimenti già da molto tempo, ma non voleva rischiare di rovinare quel momento. Trovava incredibile come dire un “ti amo” potesse risultare così difficile, specie se lo tieni nascosto da anni. Mentre abbassava lo sguardo però la sua attenzione cadde su qualcosa che gli rovinò la piacevole sensazione che stava provando nell'abbracciare Elay. Un giornale era stato lasciato a terra ed il vento lo aveva sfogliato in modo quasi sinistro, mettendo in evidenza il ritrovamento di due cadaveri, un uomo ed una donna, freddati con due colpi di pistola la notte precedente, e la sparizione della figlia di questi ultimi: la piccola Jennifer. Fu così che il poter stringere la persona che amava lo fece sentire quasi egoista. Era troppo tempo che sparivano bambine e non se ne trovava il colpevole, se poi adesso questi si prendeva la libertà di ammazzare anche i genitori la cosa prendeva una piega ancora più devastante.

Infine, con l'aggiunta di un tipo come Brutus, che presto sarebbe tornato di nuovo in circolazione, Justin capì che quello sarebbe stato l'inverno più caldo della sua vita.

 

 

Ore 12:00

 

Era passata mezzora da quando Angela era entrata nella stanza dove Brutus era ricoverato e si era limitata a parlare solo ed esclusivamente di cosa stavano facendo le sue amate bambine. Dal tono di voce Brutus aveva capito che lo diceva per fargli capire che, nonostante il danno che aveva loro recato, stavano bene ed in salute. Tuttavia non gli era chiaro quale fosse lo scopo di quelle parole, voleva semplicemente vendicarsi facendogli notare quanto erano felici mentre lui aveva perso tutto?

Oppure semplicemente cercava di tranquillizzarlo facendogli capire che non aveva nessun risentimento verso di lui? Qualunque fosse stata la risposta non gli interessa, perché la presenza di quella donna gli aveva ancora una volta illuminato la giornata.

< Dunque. >

Si interruppe Angela, portando lo sguardo verso il corridoio visibile da una finestra su di una parete.

< Adesso che non c'è più nessuno, posso dirti il vero motivo per cui sono venuta qui. >

Spiegò poi, attirando ovviamente l'attenzione di Brutus, che la scrutò incuriosito.

< Se dimostrerai che il tuo stato mentale è nella norma sarai libero. Niente prigione, niente di niente. >

Lo informò con totale naturalezza. Sentendo quella frase lui ebbe un sussulto. Era un uomo libero quindi? Sarebbe bastato chiamare lo psicologo e fargli capire che stava più che bene mentalmente parlando.

< Però, ragazzone... c'è un motivo per cui Anton Vernon ha lottato per farti ottenere la libertà vigilata. Tu potresti risultare un prezioso alleato per noi Saviour. >

Aggiunse Angela.

< Ascolti... >

< Dammi pure del tu, hai cercato di uccidermi in fin dei conti, abbiamo più che superato la fase del “lei” non credi? >

Lo rassicurò in tono scherzoso. Quella cinica battuta lo costrinse a sfoggiare un debole sorriso sincero, il primo dopo tanto tempo.

< Io non so chi mi ha dato quei poteri, non so chi siate voi Saviour e non mi interessa. Io sono soltanto un grosso ragazzo che ama le risse, non vedo come potrei... >

< Anche io ho avuto un Sinner dentro di me Brutus. >

Lo interruppe Angela.

< Sai cosa succede ad una persona normale come me e te quando si salva dalla possessione di un Sinner? Diventiamo degli Esorcisti... certo non possiamo combattere come i discendenti di sangue Saviour, ma possiamo effettuare i rituali per scacciarli, come io ho fatto con te del resto, ma soprattutto possiamo sopportare la loro visione senza svenire o cadere in paranoia. >

Brutus non disse una parola. Egli ricordava alla perfezione come venivano ridotte le persone che vedevano l'aspetto macabro e malato del suo Sinner e non gli servivano di certo ulteriori spiegazioni a riguardo.

< Sono stata io stessa a fare pressione per lasciarti andare, perché credo che in fin dei conti tu non sia affatto malvagio, ti serve solo l'occasione per dimostrarlo. >

Lo rassicurò raggiante e liberandolo dalle cinghie che gli bloccavano le mani. Se i medici la avessero vista sarebbe sicuramente scattato l'allarme, ma per fortuna non ce ne erano in giro in quel momento.

< Allora? Vuoi aiutarmi a proteggere le mie bambine? >

Chiese Angela, porgendogli la mano che Brutus strinse senza pensarci due volte, ma creando delle piccole postille riguardo il contratto che aveva, metaforicamente parlando, appena firmato.

 

 

 

 

Ore 2: 00

 

 

Kane era appena uscito di casa. Doveva ammettere di essersela presa comoda quel giorno, forse anche fin troppo. L'essere riuscito ad ottenere quello che più bramava durante quelle ore di follia notturna lo aveva letteralmente mandato su di giri. Persino lui il più delle volte si sorprendeva di quanto fosse diverso nelle interazioni sociali rispetto a ciò che faceva a quelle bambine che gli capitavano sotto mano. Senza dubbio avrebbe potuto crearsi un oscar fatto a mano ed auto-premiarsi per le sua abilità recitative, ma non lo faceva per il semplice fatto che non fingeva affatto.

Ogni volta che parlava con un cliente, ogni volta che sorrideva, ogni volta che aiutava qualcuno, egli non era mai altri se non se stesso.

Kane attribuiva quell'innaturale equilibrio tra le sue due “fasi della vita” al fatto che approfittare di quella carne giovane ed innocente gli facesse scaricare qualsiasi altro problema. Gli faceva pensare che se tutte le persone avessero potuto scatenarsi nell'ombra grazie ad un Sinners allora nessuno sarebbe stato infelice nel mondo, certo fatta eccezione per le vittime, ma non c'è vittoria senza perdite.

< Kane? Non avevi detto di sentirti poco bene? >

Chiese una voce femminile che gli costrinse a sollevare lo sguardo dalla sua stessa ombra. Di fronte a lui c'era Karen, probabilmente appena uscita da scuola. Era insolito vederla tornare a casa a piedi, per quanto ricordasse Kane, lei era una di quelle tipe che se avessero potuto usare un passaggio, come l'autobus o la macchina dei genitori, per andare nel bagno di casa lo avrebbero fatto con tutta l'allegria che avevano in corpo, il tutto pur di non muovere le gambe.

< Mi sembra di averlo detto al mio capo, non a te. >

Rispose Kane, con un tono che vacillava tra la nevrosi e l'odio più puro. Per lui Karen era come una zecca. Una zecca che voleva solo il suo sangue per vivere, nulla di più. Non negava però che se ci fosse stato un premio per il secondo migliore attore allora sarebbe andato sicuramente a Karen. Quella ragazza riusciva a nascondere molto su chi fosse veramente ed era anche estremamente egoista, una combinazione di cose che potevano solo generare un essere insopportabile quale era lei.

< Capisco... >

Mugugnò, con il solito sguardo da cerbiatto ferito rivolto verso il basso.

< Sei pregata di non venire a cercarmi a casa Karen, visto che era sicuramente ciò che stavi per fare. Tu non torni mai a casa a piedi ed oggi non c'era nessuno sciopero dei bus. >

La rimproverò poi, notando con una certa soddisfazione di aver colto nel segno, visto che non aveva neppure tentato di ribattere. Notando poi che non otteneva nessuna risposta e si era creata una situazione di stallo pensò di superarla e raggiungere il posto di lavoro. Il pasticciere doveva essere davvero infuriato con lui e l'ultima cosa che gli serviva sarebbe stata perdere il lavoro. Avrebbe fatto un turno pomeridiano in più quella settimana e la cosa si sarebbe risolta. Tuttavia, proprio mentre passava accanto alla ragazza, assorto nei suoi pensieri su come mantenere il posto di lavoro, questa le se attaccò improvvisamente al braccio, stringendolo con tutta la forza che aveva in corpo.

< Mi spieghi perché ti comporti così? Kane? Cosa ti ho fatto? >

Singhiozzò, schiacciando il proprio viso con la spalla del sorpreso ragazzo che mai sarebbe aspettato di vedere quella matasse di orgoglio ed egoismo piangere di fronte a qualcun altro.

Persino Karen era sorpresa di fronte a ciò che aveva appena fatto. Mai si era ridotta a supplicare qualcuno piangendo, lei affrontava gli altri e si ostinava ad avere ragione su qualsiasi cosa. Per tutto il tempo aveva sempre pensato che fosse Kane in errore, ma dopo il dialogo avvenuto con Zack quella stessa mattina gli erano sorti dei dubbi spaventosi e voleva finalmente capire il perché della tanta riservatezza personale del ragazzo che le piaceva.

< Karen, sei una ragazza marcia dentro ecco cosa. >

Ringhiò Kane, liberando il braccio dalla presa.

< Perché?! Cazzo mi spieghi perché mi odi? Io ti ho solo detto che ti amavo! Ti amo ancora! Ti costerebbe tanto darmi una motivazione? >

Kane fece qualche passo in avanti, si fermò, lasciò trascorrere qualche secondo e diede fiato alle corde vocali.

< Tu non mi ami. Non sai niente di me, non sai cosa mi piace bere, non sai cosa mi piace mangiare, non sai quale sia il mio colore preferito. Inutile continuare questa discussione, tu ami l'immagine di qualcuno che ti vizi e niente altro. Addestra un cane e fatti viziare da lui. >

Con quella ultima frase le poche barriere che dividevano il pianto dall'ira nell'anima di Karen andarono in pezzi.

< Sei solo un bastardo! Cosa ne sai tu di me allora?! Rispondimi! >

Kane non rispose, si voltò e si avvicinò a lei con una freddezza che le fece accapponare la pelle. Le afferrò il polso strattonandolo tanto da farle male e le sollevò la manica dalla pelle che si rivelò essere piena di piccole cicatrici dovute a tagli.

< Ti basta? O vuoi che ti dica quale è il tuo piatto preferito? Adesso vattene a casa ad aggiungere nuovi tagli, visto che penserai ancora una volta di avere tu la ragione assoluta e che sono il l'infame che ti sta trattando male. >

Aggiunse, mollando la presa ed allontanandosi il più veloce possibile per non continuare quella fastidiosa discussione.

Karen si portò la mano al polso, massaggiandolo, poi alzò lo sguardo verso Kane e lasciò che tutta la sua collera cadesse sull'unico punto su cui avrebbe potuto sfogarsi in quel momento.

< Ma certo... Adesso parli di amore tu? Forse lo so io il perché! Vi ho visti! Tu e quello scheletro di Frozen! Vi sorridete sempre! Forse prendete in giro proprio me vero?! >

< Che stai insinuando adesso? >

< Ma per favore Kane! E' ovvio che ti sei innamorato di quello spaventapasseri dai capelli tinti! E' tutta colpa sua! Lei mi odia e lo ha fatto apposta! >

< Piantala di vaneggiare Karen. Vattene a casa. >

Finalmente, tutte le speranze di Kane si realizzarono. Karen strinse i pugni e se ne andò via, lasciandoselo alle spalle. Sapeva benissimo che non era finita lì, ma in quel momento gli interessava solo andare sul posto di lavoro e non pensare a quella fastidiosa macchia di petrolio appiccicoso sulle sue stupende ali bianche da gabbiano.

Quando finalmente giunse in pasticceria, dove vi era l'orario continuato, trovò sorprendente il fatto che il proprietario non lo attendesse con un fucile tra le mani di fronte alla porta. Le cose andarono addirittura meglio quando, oltre ad aver avuto un dialogo pieno di comprensione con il datore di lavoro, seppe che c'era un pacchetto per lui portato quella stessa mattina.

Senza neppure indossare il grembiule, prese in mano la piccola busta sigillata e la aprì, tirando fuori il contenuto che si rivelò essere una sciarpa di lana color rosso accesso e con un paio di gabbiani cuciti in nero, dall'aspetto a doppia onda identico a quello usato nei fumetti, che attraversavano quel cielo scarlatto dove vi era anche qualche nuvoletta del loro stesso colore.

< Chi lo ha portato? >

Chiese.

< Quella ragazza per cui mi hai fatto preparare le Sea Pie alla marmellata. >

Rispose il pasticcere, contento di poter lasciare tutto nelle mani del suo aiutante per qualche ora.

Kane sorrise, stringendo la sciarpa tra le mani, cercando di scacciare dalla sua mente le insinuazioni che Karen gli aveva lanciato contro poco prima. Le parole di quell'egoistica fanciulla si erano trasformate in una sorta di profezia, nel momento in cui lui sentì una sorta di piacevole fastidio allo stomaco, molto differente da quello che lo invadeva quando finalmente poteva lanciarsi su una piccola preda. Dovette ammetterlo entro pochi secondi, Frozen Saviour gli piaceva, gli piaceva molto.

   
 
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