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Autore: LucyFire    20/05/2012    2 recensioni
Prendete Rea, una ragazza introversa, che volontariamente si esclude dal mondo circostante.
Aggiungete la sua migliore e unica amica, Laura, sempre sorridente e allegra.
Aggiungete un ragazzo appena arrivato nella loro cittadina, Eric, che vive per la popolarità.
Contate anche il capo della loro scuola, Ken, che fa una scommessa con Eric.
Cosa verrà fuori da questo gioco? Eric riuscirà a conquistare Rea?
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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PROLOGO

 

 

La sveglia del mio cellulare suonò all'improvviso. La canzone dei Killers, “Somebody told me”, suonò peggio di una bomba nell'aria facendomi svegliare di soprassalto. Dovevo smettere di usarne così forti, altrimenti mi sarei fatta venire un'emicrania degna di quel nome.

Con una smorfia – non volevo abbandonare il caldo del mio piumone – allungai la mano da sotto le coperte per spegnere quel cosino elettronico che mi stava rompendo i timpani.

Mi alzai in piedi – per così dire – ma non avevo neanche fatto un passo verso la porta, che quella sbatté contro la parete della mia stanza.

«Hola bella!» un idiota patentato stava davanti alla mia camera, con una mano sulla mia maniglia della mia porta.

«Mike.» lo salutai cercando di soffocare uno sbadiglio che però stava prendendo il sopravvento. Mi ero appena svegliata, ero una facile preda.

«Cos'è questa freddezza? Non mi dai un bacino del buongiorno?» guardai mio fratello come se fosse un alieno appena asceso fra noi semplici umani dal lontano mondo di idiozia-city.

«Mike, non te lo do da quando avevo quattro anni, ovvero da quando non sono più abbastanza stupida da non capire che te ne vuoi solo approfittare.»

«Sempre fredda vedo. Non sono stupito, non sei cambiata di una virgola da quando sono partito.» e come se non gli avessi detto niente, mi fece un sorriso.

«Dai, vieni qui a salutare il fratellone!» allungò le mani verso di me e tentò di abbracciarmi. Con una mossa rapida mi girai spostandomi dalla sua traiettoria, gli presi un orecchio e tirai.

«Ahi! Ma che fai, sei pazza?» mi gustai bene quel momento in cui urlava come una femminuccia, facendo fare al mio ego un auto-applauso.

«Adesso tu te ne vai dalla mia stanza. Non me ne frega niente che tu sia venuto a salutarmi dopo mesi che eri via. Vattene. Dalla. Mia. Stanza. Ora.» gli sussurrai nell'orecchio che tenevo in mano.

Sentii una mano strizzarmi il sedere. Mollai un ceffone all'idiota che avevo fra le mani e gli urlai «E mi vuoi dire che non sei un pervertito?! Vattene che mi devo cambiare!»

«Mica dicendo una frase del genere mi convinci!»

Soffocai un urlo davanti alla sua prepotenza e cercai di buttarlo fuori dalla mia stanza, ma quello non demordeva. Con falsa modestia si appoggiò allo stipite della porta e mi guardò dall'alto in basso.

«Ah sorellina... mi erano proprio mancati i tuoi strilli mattinieri.»

Prepotente, si riavvicinò a me e mi sollevo la testa mettendomi una mano sotto il mento.

«Che cazzo fai? Adesso ci provi anche con tua sorella più piccola?» gli ringhiai, scostandomi.

«Questo mai.» i suoi occhi erano intrisi di sincerità «Stavo solo pensando al fatto che sei diventata un bel bocconcino sorellina.» mi prese una ciocca dei miei capelli biondi.

«Devi avere davvero tanti ragazzi che ti fanno la corte eh?»

Che pensi a se stesso quell'idiota. Solo a scrivere tutti i suoi difetti sarebbe venuto fuori un libro che come altezza avrebbe fatto invidia a un vocabolario.

«Ma smettila di dire cazzate e vattene.»

Dire che mio fratello era un figo assurdo era un eufemismo perchè non avevo mai visto nella mia vita un altro che lo eguagliasse in bellezza: era la perfezione. Alcune volte – quando era piccola, sia ben chiaro! – mi piaceva pensarlo come il mio principe azzurro. Capelli biondi e occhi azzurri, aveva uno sguardo ipnotizzante, seducente. Se non fosse stato mio fratello – e se non avesse un carattere del genere – forse mi sarebbe anche piaciuto.

Per questo era sempre circondato da ragazzette strillanti e senza cervello, le solite che utilizzavano vestiti troppo corti e tacchi troppo alti, e che lo attorniavano solo per il suo atteggiamento da gran figo.

Ero sempre vissuta con lui. Ok, è tutto normale, in ogni famiglia si vive sempre con il fratello finchè quello non compie diciotto anni, ma dopo l'incidente, non eravamo più certi di nulla.

L'incidente, ovvero il nostro tabù. I nostri genitori erano morti in un incidente d'auto giusto un anno prima, lasciando me e Mike disperati. Sorprendendo tutti i nostri parenti, uno zio ci aveva preso con sé, perchè a mio fratello mancava la responsabilità necessaria a mantere la nostra – ormai – piccola famiglia.

Di nostro zio Charlie non potevamo lamentarci. Era simpatico, sapeva ascoltare e non sembrava affatto dispiaciuto del fatto che gli erano cadute addosso tutte le consapevolezze di avere due adolescenti in casa da un giorno all'altro.

Scossi la testa, ritornando alla realtà. Mio fratello se n'era finalmente andato, molto probabilmente a far cadere un'altra ochetta che si sentiva “miss mondo” ai suoi piedi.

Quelle hanno solo troppo silicone addosso e poca materia grigia nel cervello. E con questo pensiero tanto gentile e zuccheroso, iniziai a prepararmi per il primo giorno di scuola.

 

 

 

La canzone di Adele, “Rolling in the deep”, suonò nella stanza. Afferrai il cellulare e non restai stupita nel riconoscere il numero che stava chiamando.

«Pronto?»

«Rea!» la mia migliore amica mi strillò all'orecchio.

«Abbassa il tono Laura! Ci sento benissimo io.»

«Scusa, non ci vediamo da tanto...»

 

Si, da ieri, quando sei venuta a casa mia a copiarmi gli ultimi compiti delle vacanze.

 

La sua voce sembrò triste al telefono. Feci un sospiro e con la voce più diabetica che avevo risposi.

«Scusa, cosa vuoi dirmi?» non ci mise molto a riprendersi.

«Ieri Valentina mi ha chiamato e ha detto che ci sarà un nuovo iscritto nel nostro anno. Cioè, uno nuovo.» disse quelle parole quasi con venerazione.

«Da fuori?» ero semplicemente scioccata.

Laura fece una pausa, per sottolineare maggiormente la questione. In effetti quello era un bel pettegolezzo, di quelli ghiotti. Nella nostra sperduta cittadina tutti si conoscevano, ogni anno sempre gli stessi amici, sempre gli stessi professori e tutti andavano nello stesso e unico liceo.

L'unica cosa bella era che nel nostro paese c'era il mare, da dove ogni sera andavo a vedere il sole tramontare, da brava romanticona.

Per questo avere uno studente nuovo nelle nostre scuole era una strana notizia. Era qualcosa che cambiava la solita e ripetitiva monotonia che affliggeva i cittadini.

Quella monotonia che io e Laura, quando saremmo state grandi sufficienti da poter prendere una macchina e svignarcela, avremmo eliminato dalle nostre vite. Persino mio fratello aveva cercato di evitarla: era appena stato tutti i tre mesi dell'estate all'estero.

Laura mi staccò dai miei pensieri, riprendendo a parlare.

«Si si. Nessuno l'ha ancora visto, ma oggi sono andata in segreteria e ho scoperto che si chiama Eric e qualcosa... Non vedo l'ora di conoscerlo!»

La sua euforia era tanta che l'avrei potuto toccare.

«Mh, e tu mi hai chiamata solo per dirmi questo. Alle sette di mattina.»

«No, ovviamente. Ho sentito che oggi doveva tornare tuo fratello.» ecco, mi aveva fatto tornare in mente quell'idiota patentato.

«Si, ma poteva restare anche fuori di casa un altro po'. Oggi si è praticamente auto-invitato in camera mia.»

«Bhe... non mi sembra una brutta cosa...»

«Magari per te Lau, ma io» sottolineai il concetto «non voglio che si prendi la libertà di scorrazzare libero per la mia stanza a suo piacimento.»

La sentii arrossire anche dal cellulare.

«Ma che dici, poi io sto con Luca. Tuo fratello è un figo, tutto qui.» dal suo tono capii che non avrei mai potuto cambiare l'idea che si era fatta di Mike: un dio dell'Olimpo.

«Laura, scusa ma mi butto in doccia, altrimenti arrivo in ritardo a scuola proprio oggi. Ci vediamo dopo.»

«Si ciao. Ah, Rea oggi non metterti sempre la solita maglietta da suora con il cappuccio, mettiti quella bella maglia verde scollata che ti ho regalato per il tuo compleanno!»

«Tranquilla Laura, ci vediamo dopo.» chiusi velocemente la chiamata e mi preparai i vestiti da mettermi più tardi.

Aprii l'armadio e guardai quella maglietta che mi aveva consigliato di mettere. La scritta che aveva sopra, “I love NY”, mi attraeva, ma optai per i miei soliti jeans e felpa.

Cosciente che stavo iniziando un nuovo anno scolastico ancora vestita “da suora”, presi un asciugamano e andai in doccia, chiudendo prima a chiave la porta del bagno.

In fondo c'è pur sempre un pervertito che circola libero per casa.

  
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