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Autore: FuoriTarget    21/05/2012    14 recensioni
[Andre con un sorriso malefico si fece ambasciatore per tutti: -Non siamo mica idioti: Manu è cotto come una bistecca alla griglia- ...
-Non gli abbiamo detto nulla perchè lo conosciamo, sappiamo che manderebbe tutti al diavolo- ...
-La sera della tua festa, quando lei è salita sul tavolo a ballare, credevo che gli sarebbe esplosa la testa- tutti risero in coro con lui.
-Sei mesi... e non hanno mai detto nulla!?- ... ]
Manuel e Alice, due universi che si scontrano in una Verona ricca e piena di pregiudizi. Un rapporto clandestino nascosto a tutto il resto del mondo che si consuma lentamente, una passione ardente che diventerà dipendenza vera e propria.
E forse, se il Fato lo permetterà...Amore.
Ebbene si postato il capitolo 18!! Gelosia portami via...
In corso revisione "formale" dei primi capitoli.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Epilogo RC






EPILOGO






Quando rientrò dall’ufficio per pranzo, la casa era immersa in un silenzio irreale, sebbene si aspettasse di trovarvi Kate, visto che il suo turno iniziava solo alle 5.
Lasciò giacca, scarpe e tracolla all’ingresso e s'infilò in cucina per controllare se gli avesse lasciato qualcosa di pronto. Aveva una fame indescrivibile. Accanto ai fornelli trovò quattro confezioni ancora sigillate del take away vegetariano, nessun biglietto, né la tavola apparecchiata. Doveva essere uscita di fretta per qualche commissione.
Stava lasciando la cucina diretto in bagno, quando un rumore alla fine del corridoio lo bloccò sulla porta. Forse non l’aveva sentito entrare, ma che ci faceva in camera sua? Sperò con tutto il cuore che non fosse entrata di nuovo in psicosi da pulizia, l’ultima volta l’aveva costretto a imbiancare tutta la casa.
- Katie? -
Al suono della sua voce seguì un piccolo trambusto, doveva averla spaventata.
In due passi raggiunse la porta e si affacciò nella stanza. Kate era seduta a terra davanti all’armadio, attorniata da pile di vestiti e lo guardava con un'espressione ambigua. Sembrava imbarazzata e terrorizzata, come se avesse fatto qualcosa di particolarmente disdicevole.
- Welcome back clean-psyco! -
- Oh I’m not... I won't mess anything up. I was looking for your jerkin... the black leather one, for the 80s party... -
Di nuovo sembrava fin troppo colpevole: non era certo una novità che frugasse tra i suoi vestiti.
- That box fell down, I didn’t know it was here! -
Finalmente l’attenzione di Manuel cadde sull’oggetto incriminato, gelandogli il sangue nelle vene.
Era da tempo che non vedeva quella scatola, l’aveva nascosta bene sotto strati di roba vecchia, ma Kate riusciva sempre a trovarla, e ogni tanto la tirava fuori per esplorarne il contenuto con perizia. Era sempre stata troppo sentimentale Kate, non capiva però che quello non era un romanzo d’amore da rileggere per commuoversi, quella era vita reale, e faceva male ogni volta di più.
- You need to stop this, torturing me like that - si lasciò cadere sul letto subito dietro le spalle di lei, cercando di ignorare gli oggetti sparsi attorno a loro.
Ogni volta che vedeva quella scatola era un supplizio, una ferita infetta riaperta, che brucia e pulsa e sanguina. Ogni volta Kate guardava quella roba con devozione, neanche fossero state le reliquie di un santo. C’erano pacchetti di sigarette bianche e sottili, una tazza blu con il manico, uno slip di pizzo rosa, delle forcine per capelli, una spazzola, un paio di collant di lycra nera, dei libri, degli occhiali da sole e un vasetto di crema della Collistar. Tutti oggetti banali, d’uso comune, senza nessun nome, nessun valore.
Manuel si era sdraiato dietro di lei, un braccio sugli occhi e l’espressione afflitta.
- Do you like to rack my brain? Put it back please -
Kate sapeva tutto, aveva sempre saputo tutto. Era stata l’unica persona della sua vita con cui era stato sempre sincero dall’inizio alla fine. Forse perché l’aveva raccolto quand’era disperato e solo in un angolo oscuro del suo cuore.
Non gli rispose, non ce n'era bisogno. Tra loro da anni si era instaurata una sorta di comunicazione fatti di silenzi invece che di parole. In realtà la gran parte delle parole appartenevano a lei. Non era mai stato bravo a parlare, ma lei pareva l'unica persona che avesse mai incontrato capace di leggere i suoi silenzi.
No.
Non l'unica.
La parte preferita di Kate era la busta gialla con le foto, invece Manuel non era proprio in vena di rimpianti. Era stanco morto, aveva due transizioni con dei clienti importanti da concludere e sperava di riuscire a ritagliarsi un'oretta per andare a correre. Gli era pure passata la fame.
Quella scatola avrebbe mai smesso di tormentarlo?
Pranzarono in silenzio e, sempre in silenzio, tornò al lavoro.
Non aveva più la Honda, ora aveva una Kawasaki. Costosa, rossa e cromata e per cambiare il carburatore non doveva più elemosinare da suo padre, non aveva nemmeno più due caschi: era il suo giocattolo privato. Quella stessa sera andò a correre, ma rimase fuori ben più della sua oretta canonica. Corse fino a perdere il fiato, senza trattenersi, finchè non sentì il cuore esplodere nel petto. A casa trovò un vaso di gerbere rosse sul tavolo, un biglietto pieno di scuse e cuoricini e la cena coperta da un piatto. Cotoletta e zucchine fritte. Fece un doccia eterna, caricò la lavatrice e cenò in camera davanti al pc, aveva almeno una decina di mail a cui rispondere e nient’altro d’interessante da fare.
Finì per non dormire affatto, Kate non aveva nascosto abbastanza bene la scatola, quindi non fu difficile ritrovarla sulla mensola più alta dell’armadio.
La svuotò sul letto con poca premura e si sedette tra tutta quella roba. Era quasi un rito, ogni volta che ne apriva il coperchio doveva toccarne ogni oggetto, rigirarselo tra le mani, e ricordarlo tra le mani di lei.
I suoi gesti, le sue mani.
Si passò i palmi sulla faccia, frustrato da tutta quella roba che avrebbe voluto aver il coraggio di distruggere, e invece continuava a venerare.
Dio.
Non se n’era mai andata. Mai.
L’ultimo ricordo di lei che aveva era legato ad un vestito blu di cotone. Una mattina di maggio, faceva caldo, erano seduti a far colazione in un bar. Il vento, l’odore del sole sulla pelle, lei che sfogliava quell’agenda che ora lui teneva stretta tra le mani, parlava di un regalo che avrebbero dovuto comprare non ricordava per chi. Ricordava chiaramente soprattutto quel vestito che si gonfiava ad ogni folata di vento, mostrava a tratti i bordi della sua biancheria e si divertiva a farla arrabbiare.
A volte quel vestito lo tormentava ancora la notte.
Era consapevole di essere colpevole, colpevole con l’aggravante della premeditazione.
Non per questo, però, aveva perso il diritto di crogiolarsi nel ricordo.
Era stato lui a lasciarla, ad abbandonarla da un momento all’altro senza darle il tempo di replicare. Aveva deciso per tutti e due, perché sapeva di dover essere lui a prendere il coraggio a due mani e scappare da una situazione che li avrebbe incastrati tutti e due in un rapporto senza futuro. Si amavano, ma l’amore non bastava più. La gelosia era un virus che lavorava nell'ombra e li divorava dall'interno. C'era sempre un velo di vigliaccheria che impediva ad entrambi di dar voce ai loro dubbi. Manuel non aveva mai neanche pensato di tradirla, eppure lei pareva certa che prima o poi sarebbe accaduto, sebbene non ne avesse mai avuto alcun sentore. Era la lontananza che li stava logorando. Col passare del tempo stavano annegando nei loro stessi silenzi. Ci fu una pazzesca litigata poco prima di Capodanno: lo accusò di non amarla abbastanza, di non saper comunicare, che non sarebbe mai stato pronto per costruire una vita insieme. Come ogni volta risolsero tutto sotto le coperte. Eppure l'aveva capito proprio lì che qualcosa si era incrinato, fare l’amore era diventato lo specchio del modo in cui comunicavano. Era una sorta di scontro violento tra due sconosciuti, più di una volta aveva sperato e temuto di farle del male. Passarono i mesi e nulla sembrava più lo stesso: il sospetto di lei aveva insinuato il tarlo della gelosia in lui, e ne fu divorato. Viveva di fantasie e supposizioni tutte sue, non riusciva più a guardarla nello stesso modo. Anche se continuava ad amarla con tutto se stesso, sentiva il loro rapporto naufragare in un bicchier d’acqua. Non parlavano più, se non per rinfacciarsi qualcosa. Sapeva che in quel modo non sarebbero andati da nessuna parte, aveva provato dei palliativi ma non riusciva mai ad arrivare alla radice del problema. Ci aveva messo mesi prima di trovare la forza per reagire, perché la sola idea dell’abbandono gli era inconcepibile. Così, all’inizio dell’estate, Manuel decise di scomparire senza dirle nulla. Senza dir nulla a nessuno che non fosse Sonia. Fece di tutto per eclissarsi. Nuova scheda nel cellulare, nuovo indirizzo e-mail, cancellò tutti gli account dai social network. Non tornò più a Verona, se non per prendere le ultime cose, ma sempre senza farsi vedere da altri che non fossero la sua famiglia. Si chiuse nella sua stanza a studiare e scrivere la tesi, tanto che persino Kurtis usciva più di lui. Gli unici con cui mantenne qualche rapporto furono i fratelli Zonin. Ovviamente per loro stessa imposizione. Si presentarono a Milano un mese dopo la sua fuga. Subito pensò che li avesse mandati lei, invece scoprì che era stata tutta una loro iniziativa. Lei non ne sapeva nulla, non voleva più sentir nessuno parlare di lui. Nemmeno lui voleva più sentir parlare di lei.
Filo andò a trovarlo parecchie volte, mentre Jack lo sentiva quasi solo via mail. A settembre arrivò la laurea, qualche mese prima di quella di lei. Gli unici a presenziare furono suo padre, Sonia (che pianse dall'inizio alla fine) accompagnata da suo marito, infine Jack e Filo che gli portarono un nuovo portatile, regalo di tutti, e un biglietto di due righe chiuso in una piccola busta color crema accuratamente sigillata.
Diceva solo: "Congratulazioni, ho sempre saputo che ce l’avresti fatta."
Nessuna firma, ma il mittente era chiaro come un'insegna luminosa rossa e intermittente. Quella notte fece una doccia lunga più di un'ora per non far vedere a suo padre le lacrime e il dolore. Non ebbe il coraggio di buttarlo, come tutto il resto delle cose che lei aveva lasciato nella sua casa milanese finì tutto in uno dei quindici scatoloni che spedì a Londra prima di Natale.
Inizialmente quella di suo padre gli era parsa un'idea assurda; da quando anche lui aveva abbandonato Verona, suo padre aveva scelto un incarico permanente a Manchester, ma lasciare la sua casa natale definitivamente non fu una scelta facile. A quella casa erano legati i soli ricordi che ancora possedeva di sua madre, e allo stesso tempo ogni volta che vi tornava due occhi azzurri e una massa di capelli rossi gli toglievano il sonno per giorni. Alla fine si convinse che un cambiamento radicale l'avrebbe aiutato, oltremanica c'era molto più lavoro per lui, sopratutto a Londra, in fondo il suo inglese era molto buono e la sua laurea valida in tutta Europa. Non ebbe il coraggio di dirlo personalmente agli Zonin, non dopo la scenata che aveva fatto Sonia quando le aveva detto della sua partenza. Così mandò loro una lunga mail in cui spiegava le ragioni di quel trasferimento. Era stato talmente sincero che si rifiutò persino di rileggerla prima d'inviarla perchè si sarebbe vergognato.
Dal suo primo Capodanno a Londra non mise più piede a Verona per molto tempo. Là trovò nuovi stimoli e intraprese strade di cui non si sarebbe mai creduto capace. All’inizio era stato davvero difficile, non passava giorno che non rimpiangesse ciò che si era lasciato alle spalle, che non rimpiangesse lei. Spronato da suo padre, si iscrisse all’Università di Manchester per prendere la specializzazione e riuscì ad accedere ad un master del Sotheby’s Institute of Art. Aveva lavorato un po’ in giro, da commesso in un libreria a barista in un pub dove lo chiamavano the Italian toy e infine in un galleria del centro; per puro caso era pure finito ad insegnare storia dell’arte nelle middle-school e non gli era nemmeno dispiaciuto. Poi era arrivata la chiamata di Sotheby’s e il sogno aveva preso corpo dietro una porta con su scritto il suo nome.
Infine, dopo cinque anni a Londra, aveva una casa, aveva quell’incarico per cui aveva sputato il sangue, e aveva Kate.
Sua confidente, coinquilina, personal shopper, produttrice di cibo spazzatura, e soprattutto amica; Katie l’aveva ripescato mentre stava annegando nel suo dolore qualche mese dopo l’arrivo a Londra, l’aveva rimesso in piedi a suon di vodka e schiaffi e riportato alla vita con i suoi modi da scaricatrice di porto.
E finalmente ora era appagato.
Non aveva motivi per avere rimpianti, stava bene; per quanto in certi momenti ancora cercasse gli occhi di lei in altre donne, dopo anni di ripensamenti stava bene. Era certo che lei fosse felice, che fosse riuscita a realizzarsi e a diventare uno splendido e geniale ingegnere. Non aveva mai davvero voluto sapere nulla, anche se volte gli era salita l’idea di indagare, l’aveva abbandonata prima che prendesse corpo. Altre volte aveva provato a fantasticare su come avrebbe potuto essere la loro vita se fosse rimasto in Italia con lei: al tempo progettavano di andare a vivere insieme dopo la specialistica, lui voleva dei figli e forse a quel punto ne avrebbero già avuti, o magari quel labrador che sognava. Non aveva nessuna voglia di rivederla, per confermare ciò che già sapeva, che era ancora in grado di fargli ribollire il sangue con i ricordi. Aveva provato ad immaginare come potesse essere diventata, di sicuro era rimasta meravigliosa; sperava che con la maturità avesse messo su anche qualche chilo su quei fianchi tutti pelle e ossa, o che avesse perso l’abitudine di mangiarsi o grattarsi il gomito quando era nervosa. E in cuor suo era certo che avesse trovato qualcun altro da amare, qualcuno che sapesse darle tutto ciò di cui aveva bisogno, che sapesse darle certezze e stabilità, che sapesse prendersi cura di lei, e sapesse farla ridere e renderla serena. Tutto ciò che non aveva saputo darle lui. Ci sperava davvero, perchè lei meritava davvero di essere amata.




FINE











Traduzione del dialogo in inglese:

M: Ti è tornata la psicosi della pulizia?
K: No io.. cioè non volevo far casino. Cercavo il tuo giubbotto.. quello di pelle nero, per la festa anni ’80..
Mi è caduta questa scatola addosso. Non credevo l’avessi ancora.
M: Devi smetterla di torturarmi così. 
Ci godi a fracassarmi il cervello? Metti via tutto per favore.





Spazio Autrice:


Siamo giunti alla fine e so che questa fine non vi soddisferà.
Purtroppo non posso fare altrimenti, il finale è sempre stato questo.
Io sono fatta così, mi piace scrivere storie vere, non ficcine che siano solo piacevoli: la vita è anche questo e a volte l’amore non basta davvero.


Sapevo che sarebbe stato difficile separarmi da questa storia e da questi personaggi che mi hanno accompagnata per un sacco di anni, non sto piangendo.. ma quasi.
Ed è anche per questo che vi prometto un seguito.
Quando ho iniziato questa storia ero appena uscita dal liceo quindi potevo immedesimarmi in questo mondo molto facilmente. Ora invece mi riesce davvero difficile scrivere qualcosa che riguardi un diciottenne, non che io sia molto più vecchia, però la mia vita è cambiata talmente tanto che scrivere questi ultimi importanti capitoli è stato molto ostico.
Con i miei soliti tempi, perchè oltre che perfida sono anche conscia dei miei limiti, ma voglio davvero scrivere il seguito. Non posso lasciare Manuel naufragare nella nostalgia, ne posso lasciarvi senza farvi sapere cosa è successo alla nostra cara Alicetta. Quindi ufficializzo le mie intenzioni di scrivere qualcos'altro che li riguardi.
Non aspettatevi però altri 20 capitoli perchè non posso farcela, avevo pensato più ad una cosa da una decina di capitoli.
Se avete domande sull'epilogo scrivetemi una mail o in una recensione e vedrò se posso accontentarvi!

Passiamo a ringraziamenti:
Innanzitutto devo ringraziare Sandra che mi ha dato le conferme di cui avevo bisogno riguardo all'epilogo.
Devo ringraziare anche Ale che mi ha accompagnato per buona parte di questo viaggio.
Anche se non leggeranno mai, ringrazio C. e S. che con le loro sconclusionate e melodrammatiche vicende amorose hanno ispirato questa storia.
Ringrazio i Muse, i Metallica, i Linkin Park, i Blur, un po' anche Ligabue, Mina e Battisti sopratutto, Lenny Kraviz, Adele (<3) e de Andrè.
Ringrazio il mio 'Fida' che se non ci fosse bisognerebbe inventarlo, perchè c'è lui dietro a quel pizzico di stronzaggine di Manuel (e lui lo sa).
Ma sopratutto ringrazio voi lettrici, che mi avete sempre seguita e tormentata... ehm spronata ad aggiornare, senza di voi tutto questo non esisterebbe, non avrei concluso la storia forse, ne avrei mai ricevuto oltre 100 recensioni (cosa che non mi sarei mai aspettata..). Ci tengo molto a voi e spero di non avervi mai deluse.

Con tutto l'affetto del mondo vi saluto.
A presto.
1bacio. Vale.



 

PS: nel caso la vostra ira necessiti di sfogo verbale, su FB mi trovate come FuoriTarget Efp. 


   
 
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