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Autore: Demolition Prison_    21/05/2012    6 recensioni
Fra i rumori della folla ce ne stiamo noi due.
Felici di essere insieme, parlando poco, forse nemmeno una parola.
(W.Whitman)
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Frank Iero, Gerard Way, Mikey Way | Coppie: Frank/Gerard
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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  *Angolo scrittrici* DLIN DLON.
Saaalve gentaglia! Come butta?
Allooora, questa fan fiction è nata da due menti completamente traviate LOL: quella di 
Rory Gilmore e quella di Hey_Ashes.
Da come avrete ben capito, quindi, questa fan fiction è scritta a quattro mani e due cervelli :) 
Non abbiamo intenzione di dirvi nulla, nè sulla trama nè su ciò che riguarderà il continuo. Vi possiamo solo dire che abbiamo in mente delle cose askdjhfwrhjqwh, e che non potete assolutamente perderle. 
Quindi, leggete e basta. Siamo sicure che con questo capitolo non capirete nulla. Meglio così. Vi verrà la voglia di leggere il seguito *^*
ENJOY YOURSELF!

 
 
 

                                                              Amoressia
 



                                                                                                                                                                          Prologue.


Una delle poche cose che sapevo, anzi forse l'unica, era questa:  che mi chiamavo Frank Iero. 
La mia vita era sempre stata un gigantesco punto interrogativo per me: vivevo da sempre con mia madre a Belleville, i miei genitori si erano separati quando io avevo poco più di otto anni e a mio padre non interessava poi così tanto di me.
A dire il vero, nemmeno a me interessava di lui.
L'unica nota positiva che mi aveva trasmesso era la sua passione per la musica.
Lui era un batterista. Uno di quei musicisti falliti, che hanno bisogno di due lavori per vivere. 
Ma a me piaceva la sua musica. Ricordo ancora l'odore di alcool nei pub in cui mi portava per farmi assistere ai suoi concerti. Le sue braccia forti che mi posavano sul bancone di legno, colmo di bicchieri mezzi vuoti. I sorrisi che mi regalava mentre suonava la maestosa batteria.
Quei tempi erano belli. 
Poi, però, tutto ad un tratto la magia familiare svanì, ed insieme anche il rapporto tra me e mio padre.
Inizialmente lo vedevo nei week end, ma quando mi accorsi che lui si stava creando una nuova famiglia, decisi semplicemente di togliermi di mezzo. E lui non si lamentò, nè mi chiese mai di rivederci. 
Mi chiamava solo il giorno del mio compleanno e, quando si ricordava, a Natale.
Quindi, crebbi con mia madre, con il suo amore, con le sue mille preoccupazioni, con le sue manie, le sue abitudini.  Tutto in me ricordava lei.
Avevamo un rapporto morboso, quasi maniacale, a volte.
Forse era proprio per questo che non fui mai capace di legarmi a nessun'altra persona che non fosse lei.
Finchè, non incontrai lui
Lui e le sue mani. Lui ed i suoi occhi. Lui e i suoi difetti dannatamente perfetti. Lui così debole, ma allo stesso tempo così forte da dare un senso alla mia monotona vita. Lui che mi ha reso quello che sono oggi.
Lui, semplicemente lui.
 
                                                                                      ***
 
Una delle poche cose che sapevo della mia vita è che probabilmente non sapevo niente.
L'unica cosa di cui ero e sono certo era la mia arte. L'arte che fin da bambino mi aveva portato a sognare di vedere i miei dipinti esposti in una qualche galleria dal nome all'avanguardia di una qualche famosa città europea.
Ho sempre percepito i colori, i pennelli, l'odore pungente del solvente per vernici, come l'unico modo per esprirmermi, l'unica via che mi avrebbe portato alla possibilità di essere qualcuno agli occhi del mondo.
Mia madre non è mai stata troppo contenta. Voleva che facessi l'imprenditore come mio padre, che diventassi uno di quegli ometti piccoli piccoli, fasciati in giacca e cravatta che si affannavano per arrivare in tempo in unfficio il Lunedì mattina. Non era decisamente la vita che faceva per me.
Smise di rivolgermi la parola quando, finito il liceo, mi iscrissi alla scuola d'Arte di New York, e con lei anche mio padre. L'unico che continuò a credere in me fu mio fratello, persona che ancora oggi mi sostiene e mi incoraggia quando il lavoro non va bene, e la creatività va giù.
Ma apparte lui, in quegli anni fui sempre solo. Vivevo da solo, dormivo da solo, mangiavo da solo. A volte parlavo anche, da solo.
Vissi nel rifiuto di me stesso e di ciò che ero diventato per inseguire il mio sogno, scaricando la rabbia e la frustrazione sulle tele.
Non ho mai avuto un bel rapporto con me e la mia persona, e ciò in cui mi ero trasformato col passare del tempo e la solitudine lo confermava.
Non avevo amici, non socializzavo coi colleghi, non sentivo più le vecchie compagnie che avevano camminato con me fino a quegli anni di silenzio, avvolti dalla gelida pioggia di Londra, lontano da tutti.
Le giornate scivolavano lente e tutte uguali, finchè anche io non ebbi la mia botta di fortuna, e da brutto anatroccolo mi trasformai nello stereotipo del pittore bello e dannato, di fama internazionale.
“Il nuovo Van Gogh”, dicevano. Il nuovo principe della disperazione su tela. Quanti bei complimenti.
Ma infondo era ciò che volevo. E nonostante i falsi amici, le nuove compagnie, eravamo sempre io e la mia arte.
La mia arte che mi ha portato ad incrocare i suoi occhi e la sua innocenza, le sue labbra estranee alla condizione di peccato in cui io invece mi trovavo, i suoi sorrisi timidi ed il suo essere così bambino ma allo stesso tempo estremamente uomo.
Lui, Frank. Quello che forse dovrei chiamare il mio primo, vero amore.
  
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