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Autore: Clovely    21/05/2012    6 recensioni
Questa one-shot contiene SPOILER dell'ultimo libro "Il canto della Rivolta". Dalla storia: «Mi chiamo Katniss Everdeen. Ho diciassette anni. Sono nata nel distretto 12. Il distretto 12 era stato distrutto. Ora sta rinascendo dalle proprie ceneri. Perché Capitol City è crollata. Perché il presidente Snow è morto. Perché io ho acceso la scintilla che ha distrutto la sua dittatura. Perché io ero la ghiandaia imitatrice. Ora sono a casa. La guerra è finita. La paura mi assale ogni volta che chiudo gli occhi. Ma non ce n’è motivo. Gli Hunger Games non esistono più.» Spero che la storia possa interessarvi e piacervi. In tal caso, lasciate una recensione. Il vostro giudizio è sempre gradito ;)
Genere: Malinconico, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Katniss Everdeen, Peeta Mellark
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Dalle ceneri rinasceremo


Mi chiamo Katniss Everdeen. Ho diciassette anni. Sono nata nel distretto 12. Il distretto 12 era stato distrutto. Ora sta rinascendo dalle proprie ceneri. Perché Capitol City è crollata. Perché il presidente Snow è morto. Perché io ho acceso la scintilla che ha distrutto la sua dittatura. Perché io ero la ghiandaia imitatrice. Ora vivo nel distretto 12. La guerra è finita. Mia sorella è morta. Mia madre è lontana. Gale è lontano. La paura mi assale ogni volta che chiudo gli occhi.
Ma non ce n’è motivo. Gli Hunger Games sono finiti.

~

A questo pensavo ogni volta che mi svegliavo di soprassalto, durante la notte. Le braccia di Peeta erano l’unica ancora che mi tratteneva dalla follia. Calde e forti, erano come delle catene che impedivano alla mia mente di volare altrove, in un mondo dove la pace era solo una visione lontana, irrealizzabile. Nel mondo che ci eravamo appena lasciati alle spalle.
Quando mi succedeva, Peeta si svegliava e mi confortava. Ma c’erano delle volte in cui non mi andava di interrompere il suo sonno, che sembrava così pacifico ora che la guerra era solo un terribile ricordo. Allora iniziavo a ripetere quella cantilenante filastrocca, nella mia testa, per ricordarmi chi ero e cosa avevo fatto.
Ma quel mattino, al mio risveglio, Peeta non c’era. Sentii immediatamente il vuoto lasciato da lui. Come se improvvisamente si fosse aperta una finestra e avesse fatto filtrare all’interno della stanza una folata di aria gelida. Mi voltai nel letto, scivolando al posto che doveva essere occupato dal suo corpo caldo. Ma lui non c’era.
Il panico mi assalì. Ecco, era successo: era stato tutto un sogno. Solo un sogno, probabilmente creato dall’abuso di farmaci. O forse ero stata drogata. La pace non esisteva, Capitol City non era crollata e Snow non era morto. Mi aveva catturata e ora mi stava torturando per farmela pagare. Per aver messo a rischio non solo la sua vita, ma il suo regno. Probabilmente non c’era nessun Peeta: lui era già stato ucciso. Mi era già stato portato via. Ancora. Non c’era nessun distretto 12 che risorgeva dalle sue ceneri, come una fenice. Non c’era niente. Era stato tutto inutile. La ghiandaia imitatrice aveva fallito e il suo volo verso la libertà era stato fermato. Gli Hunger Games avrebbero continuato a mietere vittime innocenti.
No. No. No. Mi chiamo Katniss Everdeen. Ho 17 anni. Sto diventando pazza. Sto diventando pazza.Sto diventando pazza.
Improvvisamente l’udito si risvegliò e captò dei rumori provenienti dal piano di sotto. Ecco, probabilmente erano dei pacificatori che stavano preparando il modo migliore per torturarmi e estorcermi informazioni sui ribelli.
Mestamente, scostai le lenzuola bianche e pulite, che un tempo sapevano di fresco ma ora mi ricordavano solo le anonime lenzuola dell’ospedale del 13, dove avevo passato così tanto tempo. Reclusa. Dolorante. Persa.
Infilai le ciabatte e aprii la porta, cercando di non fare rumore. Scesi le scale, pronta ad affrontare qualsiasi nemico mi aspettasse al piano di sotto. Pronta a combattere con la sola forza fisica, se fosse stato necessario.
Ma non fu così.
Non appena arrivai al piano terra un distinto profumo di miele mi invase le narici. Miele e cannella. E forse anche mele. No. Non era reale.
Ma invece lo era.
Entrai in cucina, con passo felpato. E lui era lì. Era vivo.
Mi chiamo Katniss Everdeen. Ho 17 anni. Sono viva. La guerra è finita. Peeta è vivo. E sto diventando pazza. Ma non importa, perché lui sta bene.
Peeta non si era accorto di me, così mi presi qualche istante per osservarlo, come se dovessi avere un’ulteriore conferma che lui fosse li, che fosse vivo e che non fosse tutto solo un sogno.
Erano passati molti giorni da quando era tornato anche lui a vivere nel distretto 12 ma ad ogni modo non riuscivo ancora ad adattarmi. I ricordi della guerra, del dolore e della follia erano ancora li, vivi e brucianti sulla mia pelle, ancora in via di guarigione. Ma non erano le ferite fisiche a preoccuparmi. Erano ferite che i farmaci non potevano curare. Forse solo il tempo ne sarebbe stato in grado. O forse no.
Peeta era davanti ai fornelli. Indossava ancora il pigiama e sopra di esso portava un grembiule bianco. Si muoveva agilmente, spostando rapido più padelle alla volta come se fosse la cosa più facile del mondo. Sembrava più a suo agio li di quanto non lo fosse mai stato. Mi chiesi come avesse fatto a sopravvivere nell’arena, una creatura così buona e pura... trasformata dalle mani distruttrici di un città diabolica e del suo abile burattinaio.
Quando mossi un altro passo nella sua direzione, finalmente lui si accorse della mia presenza. Ebbe un sussulto prima di voltarsi con uno scatto rapido. Allora non ero solo io quella che viveva ancora come se un nemico potesse spuntare fuori da un momento all’altro, armato di fucile.
«Buongiorno.» Disse lui, agitando una padella vuota.
«Cosa stai facendo?»
«Ho preparato dei muffin. Te li avrei portati a letto, non volevo svegliarti. Mi sembrava che stessi dormendo bene.» Disse con un sorriso sincero sulle labbra.
Ed in effetti era così. Da quando Peeta era tornato, da quando ogni sera si coricava nel letto con me, gli incubi se n’erano andati, come se solo la sua presenza fosse abbastanza per scacciarli.
Decisi di non raccontargli nulla del mio momento di cedimento avuto poco prima, quando avevo pensato che la vita dei giorni scorsi fosse stato solo un sogno, un’illusione. Non mi pareva giusto guastare il suo buon umore.
«Va tutto bene, Katniss?» Peeta spense i fornelli e abbandonò le padelle vuote. Sul tavolo apparecchiato c’era un vassoio pieno di muffin dorati e una caraffa di succo. Al centro, in un vasetto di cristallo, c’erano i fiori che Peeta aveva piantato in giardino, il giorno del suo ritorno. Delle bellissime primule appena colte. Prime rose. Prim.
«Katniss?» Ripeté lui, slacciandosi il grembiule e lasciandolo cadere sullo schienale di una sedia. Si era accorto che stavo fissando i fiori, con sguardo distante.
Mi costrinsi a piegare le labbra in un sorriso forzato. «Sto bene.» Dissi con voce poco convincente. E un istante dopo, senza nemmeno avere il bisogno di chiederlo, le sue braccia erano li, attorno a me, e mi proteggevano da tutto il male che voleva attaccarmi e trascinarmi nel suo oblio. Senza rendermene conto una lacrima scappò dalle mie ciglia scivolando giù, veloce, sulla mia guancia fino a posarsi sulla maglietta di lui. Peeta mi accarezzava i capelli, cercando di calmarmi. E funzionava.
«Shhh» sussurrava. «Va tutto bene, Katniss. Va tutto bene. Nessuno può farti del male.»
Mi presi ancora qualche secondo, beandomi di quella sensazione di calore, prima di allontanarmi di poco da lui, per guardarlo dritto nei suoi occhi azzurri. E non riuscii a trattenermi.
«Ho avuto paura, prima. Quando non ti ho trovato al mio fianco.»
«Katniss...»
«Ho avuto paura che fosse tutto un sogno. Che la guerra non fosse mai finita. Che Snow fosse ancora vivo e sulle mie traccie. Che tu te ne fossi andato via, per sempre.»
«Katniss, questo non succederà mai. Lo sai bene.» Disse con voce sicura. Sì, Peeta era il mio scoglio, il mio porto sicuro. Ciò di cui avevo bisogno per sopravvivere, dopo tanto dolore e tante perdite. Ma c’era qualcosa di più. Qualcosa di profondo che mi spingeva a desiderare la sua presenza, sempre e comunque. Non volevo che mi lasciasse. Sentivo il bisogno di averlo accanto.
Mi sporsi verso di lui e lo baciai. Era bello farlo, ora. Ora che nessuna telecamera ci stava spiando. Ora che era tutto reale, e non una recita per far colpo sugli sponsor. Potevamo amarci davvero, come fanno i ragazzi e le ragazze della nostra età. Era un sentimento puro, dettato dal desiderio e non dall’istinto di sopravvivenza. Questo aspetto del presente era forse quello più forte, che riusciva a tenermi legata alla realtà. E io mi ci aggrappavo con tutte le mie forze.
La mano di Peeta si posò leggera come una piuma sulla mia guancia.
«Allora...» dissi io, prendendo fiato. «Li assaggiamo o no questi tuoi dolci?»
Il sorriso tornò sulle labbra di Peeta, rendendolo ancora più bello. Radiante come il sole. «Ma certo.» Da perfetto galantuomo mi scostò la sedia, facendomi accomodare. Ma mente stava per sedersi sulla sua, un sibilo lo costrinse a tirarsi indietro.
«Hey!» Esclamò.
«Ranuncolo!» Guardai con disappunto l’orrido gatto, che dalla sedia di Peeta mi fissava. O forse stava guardando i dolcetti? La sua coda guizzava avanti e indietro, come se si stesse preparando a balzare.
«Ne vuoi uno anche tu?» Gli chiese Peeta.
«No, non fanno bene quelle cose per i gatti.»
Peeta mi rivolse uno sguardo divertito. «E da quando ti preoccupi della sua salute?»
Sorrisi, lanciando per terra un pezzetto di pane. Il gatto balzò giù dalla sedia, seguendolo immediatamente. Io e Ranuncolo non abbiamo mai avuto un buon rapporto. Prima dei giochi un mio pensiero quotidiano era decidere il modo migliore per cucinare un gatto. Ma poi mi bloccavo sempre, perché sapevo che una certa persona non mi avrebbe mai perdonata, se avessi ucciso e cucinato il suo gattino innocente.
Da quando lui è tornato a casa per cercare Prim. Da quando ho capito quanto le volesse bene. Perché lui ha sofferto con me. Un gatto mi ha capita più di chiunque altro. Ecco perché ci tengo a lui, ora.
«Non ha importanza. Solo mi spiacerebbe vederlo morire, dopotutto.»
Peeta sorrise, ma mi accorsi che aveva fatto il collegamento. Mi mise nel piatto un paio di muffin e versò del succo nel mio bicchiere. Così iniziammo a mangiare, lanciandoci qualche fugace occhiata e sorridendoci di tanto in tanto. Non avrei mai pensato ad un futuro simile, solo qualche mese fa. A dire la verità non avrei mai pensato che avrebbe potuto esserci un futuro per me. Avevo sempre creduto di morire in quella guerra, come una buona martire che si rispetti. E invece eccomi qui. Con il sorriso sulle labbra. La paura della guerra ancora vicina. Ma Peeta ancora più vicino. E questo è tutto quello che conta, adesso.

~

Mi chiamo Katniss Everdeen. Ho diciassette anni. Vivo nel distretto 12. Quando chiudo gli occhi, mi sembra di tornare indietro nel tempo, alla guerra. Sento ancora i fucili che sparano. I corpi che cadono. Il cannone che nell’arena annunciava i Tributi morti. Ma quando mi sveglio sono a casa. A casa mia. La pace è tornata ed è stata costruita per durare. Panem si sta lentamente rialzando per rinascere dalle sue ceneri. Sono felice. Ma sono anche triste. Questa è la mia vita. Non potrà mai essere normale. Ma ho Peeta al mio fianco. Io amo lui e lui ama me. E’ tutto quello che importa. E’ l’unica persona in grado di compensare il vuoto nel mio cuore. Un giorno forse ci sposeremo. Forse avremo dei figli. Lui li desidera tanto, lo so già. E loro potranno crescere felici. Vivranno nel distretto 12. Non ci sarà alcuna guerra. E soprattutto, non ci saranno più gli Hunger Games ad aspettarli, come un nero incubo nascosto nell’ombra. La ghiandaia imitatrice ha fatto il suo lavoro. E ora le sue fiamme possono estinguersi, così come si sono accese. Con una scintilla. E potrà di nuovo tornare a librarsi nel cielo, cantando. Libera. E felice.

~



SPAZIO AUTORE


Salve a tutti popolo di efp. Questa è la prima volta che scrivo qualcosa su Hunger Games. Spero di non aver fatto un flop totale! :)
E’ solo che ho finito l’altro giorno di leggere ‘’il canto della rivolta’’ e non ce l’ho fatta a trattenermi, ho dovuto buttare giù qualche riga e alla fine è uscita questa one shot.
Perché è così: ogni volta che finisco una saga che mi ha davvero appassionata, mi sento vuota e malinconica e non ce la faccio proprio a mettere da parte i libri. Così, sconsolata, inizio a scribacchiare qualcosa. Questo è stato il risultato. Un pezzettino della nuova vita di Katniss e Peeta, un semplice momento che mostra quanto ancora il ricordo della guerra sia vivo nelle loro menti, ma quanto il desiderio della pace sia forte dentro di loro.
Niente, spero solo che leggiate e apprezziate questa storiella e in caso, fatemi sapere cosa ne pensate! Di solito non scrivo one shot, quindi qualsiasi critica è bene accetta, purché sia costruttiva ;)
Grazie a tutti quelli che leggeranno e recensiranno e, spero, alla prossima ;)

E... may the odds be ever in your favor

~ C

   
 
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