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Autore: Nyss    21/05/2012    0 recensioni
Ellen ha una vita difficile: una famiglia assente, assorbita dagli impegni, lunghe permanenze in collegio, da settembre a giugno, e gli studi e i duri allenamenti per diventre cacciatrice come tutti i suoi parenti le rendono la vita un inferno. La scuola è orami diventata la sua casa ed è il suo porto sicuro, ne è sicura. Ma le sue convinzioni vengono stravolte quando inizia a cadere una strana neve che in breve forma muri tanto alti da isolare la scuola. Contemporaneamente comincia una lunga serie di misteriose sparizioni ed Ellen è costretta a prendere in mano la situzione per far tornare tutto nella norma.
Una brevissima storia di soli tre capitoli per nulla impegnativa. Leggete e divertitevi!
Genere: Azione, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Terzo Capitolo

§
 


Eravamo di nuovo nei tunnel sotterranei.
Non dovevamo più fare attenzione a nasconderci dagli altri Discepoli. Ci eravamo uniformati. Mi ero uniformata.
Indossavo una lunga tunica stretta in vita da una cintura, il capo nascosto sotto una severa maschera bianca che nascondeva i lineamenti e un paio di scarpe non propriamente adatte alla situazione. Quando la segretaria le aveva indossate non pensava di certo ad un’eventuale battaglia. Comunque era stata una vera fortuna aver conservato gli abiti della donna.
Bèh, li stavo indossando proprio ora.
Thomas camminava davanti a me con i pugni stretti in un fasullo nodo di corda. io ne tenevo un capo. Sembravamo un bastardino e il suo padrone. L’occhio nero e il labbro gonfio non erano un inganno, però, glieli avevo fatti io.
Ci stavamo dirigendo alla cripta sperando di incontrare qualcuno e di poterlo seguire. Mai mi sarei immaginata quel fermento. Un sommesso brusio accompagnato dal rumore del mobilio trasportato di qua e di la si sentiva anche da lontano. Più ci avvicinavamo, più ci rendevamo conto della situazione. Quello era il Gran Giorno.
Entrammo nella cripta, schivando un paio di uomini che portavano un baule enorme. La donna che avevo visto officiare la funzione era ritta sul suo piedistallo che osservava attenta il via vai di persone in entrata e in uscita. Un suo gesto della mano bastava da solo a movimentare qualcuno perché correggesse un’imperfezione o una sbavatura nel programma. Tutti sapevano cosa fare, quando farlo e come farlo. E le portavano un gran rispetto: ogni volta che le passavano davanti si fermavano per un piccolo inchino, non importava quanto fosse pesante il carico.
Mi diressi direttamente da lei, spintonando il mio ostaggio per rendere più credibile la messinscena. Gli diedi una botta sulle ginocchia per farlo inginocchiare di fronte alla donna. Anche io flessi leggermente le ginocchia. Sperai di aver chinato il capo abbastanza.
-Oh, oh!- gongolò contenta appena posò gli occhi su di me–Sono contenta che tu abbia portato compagnia! Più siamo meglio è!- disse, osservandomi con sguardo d’intesa. Ricordavo piuttosto bene la non tanto velata minaccia a chi non portava un prigioniero. -Su, su. Porta il tuo amico in insieme agi altri. E ricorda, lode al nostro Signore e Padrone!- trillò infine. Sembrava su di giri, come quando si apre un regalo. Non so se fosse realmente felice, ma di certo lo sembrava. Sapevo perché tutti facevano quello che lei chiedeva. Aveva quell’aura, quel potere che caratterizza tutti i leader.
Uscii di nuovo dalla cripta. Chiesi a qualcuno la strada. Non mi fecero domande in merito, troppo occupati per badare a me.
Seguii le indicazioni. Il cuore palpitava a mille. Ansia, preoccupazione, gioia, apprensione, attenzione, tutto in una testa sola. Fortuna che c’era la maschera a proteggermi, o non sarei riuscita a non far trapelare le emozioni, che si sarebbero disegnate sul viso, smascherandoci. Thomas invece sembrava padrone della situazione, come se lo facesse tutti i giorni. Teneva in capo chino, ogni tanto si lamentava, ma nulla di più.
Finalmente arrivammo a destinazione. La stanza dei prigionieri si celava dietro una porticina minuscola –io per entrarci avrei dovuto chinarmi, e non ero certamente un colosso. Mi guardai intorno furtivamente, cercando di scorgere possibili minacce lungo il corridoio.
Via libera, feci un cenno al mio compagno, che, liberati i polsi, aprì la porta. Ci intrufolammo dentro lesti. Mi levai la maschera.
Era uno stanzino piccolo quello, buio e freddo, riscaldato solo dalla fiamma di quattro o cinque candele affogate nella loro stessa cera. I prigionieri c’erano, ma che visione raccapricciante! Stipati in minuscole gabbie basse e strette, pallidi, emaciati, sporchi di sangue. Corsi con lo sguardo su quei volti dagli occhi enormi, cercando di trovare chi più mi pressava.
Infine la vidi: era rannicchiata nell’angolo della sua gabbia. Mi guardava anche lei con gli occhioni azzurri fuori dalle orbite. Intuivo sorpresa in quel volto quasi irriconoscibile. Credeva che fossi una di loro. L’idea mi faceva rabbrividire, ma come darle torto? Lo sembravo.
Thomas non perse tempo, agguantando le chiavi attaccate ad un chiodo fissato in un posto che io, da sola, non sarei mai stata capace di raggiungere.
I prigionieri li tirammo fuori a forza. Erano talmente pietrificati e impauriti che nemmeno la prospettiva della libertà li animava.
Agguantai Judith per un braccio e la tirai fuori dalla gabbia. Le mollai un sonoro ceffone e poi l’attirai a me per abbracciarla. Dio, quanto mi era mancata! Lei rimase spiazzata qualche istante, ma poi, cautamente rispose all’abbraccio e seppi che, almeno in parte, era tornata la mia cara e vecchia amica Judith.
Purtroppo però non c’era tempo per le smancerie.
-Non c’è nessuno. Andiamo,andiamo. Muoviamoci- Thomas ci faceva segno con la mano. Mi misi in capo a quel cordone umano. Thomas invece stette in coda. Serviva qualcuno che indicasse la strada e qualcun altro che spingesse quei corpi senza un briciolo di volontà propria. Solo Judith sembrava leggermente presente a se stessa, ma non potevamo sprecare tempo per schiaffeggiare tutti gli ostaggi.
Avevamo percorso metà del percorso ed io già pensavo che ce l’avremmo fatta. Insomma, non ci avevano ancora scoperti! Ma poi...
-Eccoli! Sono qui!- una voce non troppo in lontananza fece suonare tutti i campanelli d’allarme. Ci avevano trovati! Ancora poco e ci sarebbero stati troppo vicini.
Senza pensarci agguantai Judith per le spalle e la fissai negli occhi: -Percorri il corridoio, non fare deviazioni, non fermarti. Sempre dritto. Nella camera di Thomas c’è una ricetrasmittente. Usala. Se ti rispondono descrivi la situazione come della massima urgenza. Va’, portali in salvo, ti copriamo noi- poche parole, poche speranze di rivederci. Le diedi un altro bacio sulla guancia. Forse non capiva come avrei potuto fermare quei pazzi. D’altronde per lei non ero che una studentessa. -Fidati di me!- esclamai e le diedi una spinta d’incoraggiamento verso il resto del gruppo.
Li osservai correre via, mentre a mia migliore amica li spingeva come un cane da pastore.
Levai quell’abito ingombrante che avevo addosso, rivelando una tenuta ben più comoda. Ci preparammo. Il piano? Nessuno, solo temporeggiare per dare tempo agli altri di scappare.
Ci furono addosso in un lampo. Erano in due. Gestibili, ma presto sarebbero arrivati anche gli altri. Non sarebbero stati così pochi.
Li stendemmo con qualche pugno ben assestato ma non facemmo in tempo a girarci per guadagnare qualche metro che già altri cinque ci si facevano incontro. Questi si che facevano spavento. Il viso era coperto, ma mi bastava guardare i muscoli guizzanti delle braccia per rabbrividire. Forse pesavano il triplo di me e di certo erano alti il doppio.
Erano ancora lontani quando vidi un baluginio metallico nelle mani di uno di loro. Mi lanciai contro Thomas. Sentii lo spostamento d’aria provocato dal pugnale proprio sopra la mia testa. Mi cadde qualche ciocca.
I nerboruti guerrieri ci si fecero dinnanzi correndo. Non aspettarono una nostra mossa, attaccarono e basta, ci divisero con la loro potenza. Uno cercò di stendermi con un pugno. Parai. L’altro cercò di farmi cadere con uno sgambetto. Saltai, evitandolo. Cadde a terra ed io gli fui sopra infilandogli un dito in un occhio, tanto per essere sicura che non si riprendesse tanto presto. Vidi appena in tempo la mano armata del primo uomo dirigersi verso il mio stomaco. Mi scostai appena in tempo per evitare danni peggiori di una ferita all’avambraccio. Il sangue cominciò a colare disegnando strisce sottili. Ma con quella mossa scoprì il torace, fui veloce e gli affondai la lama tra le costole. L’uomo crollò a terra, vomitando plasma scuro.
Non feci in tempo ad esultare che mi ritrovai a terra. Qualcosa mi aveva colpito alle orecchie. Rimasi stordita, come una mosca agitata tra le mani. Caddi anch’io.
Picchiai forte la testa contro il pavimento e restai li, intontita. Vidi Thomas, lo vidi e basta, mentre si girava verso di me, aprendo la bocca come se volesse urlarmi qualcosa.
Perché non parla?, fu il mio ultimo pensiero. Poi qualcosa mi si abbatté sulla nuca e svenni.
 
Mi svegliai con un calcio nello stomaco. Tossii e mi contorsi.
-Ben svegliata, balla addormentata!-
Nonna? Sei tu? Ci misi qualche momento a ricordare tutto… no, non era la mia defunta nonna sfortunatamente.
Aprii cautamente un occhio.
Fa che sia un sogno, fa che sia un sogno, non sapevo bene a chi mi stessi rivolgendo, ma se poteva ascoltare le mie preghiere, tanto meglio.
L’orecchio ronzava fastidiosamente. Sapevo cosa significava, me l’avevano descritto.
La penombra invadeva l’ambiente. Le poche fonti di luce erano delle torce che creavano mostruosi giochi di luce sulle maschere bianche degli adepti. Non riconoscevo la sala, anzi, non vedevo proprio nulla oltre il cerchio di persone strette attorno a noi. Il buio sembrava inghiottire tutto, anche le loro inquietanti divise, facendoli sembrare facce bianche prive di corpo.
Io e Thomas eravamo con le spalle al muro, io rannicchiata a terra con le mani bloccate dietro la schiena e lui, con i polsi legati sopra la testa, costretti in un paio di manette d’acciaio fissate al muro. Era malmesso, veramente: il labbro spaccato e l’occhio nero che gli avevo procurato io sparivano in quella selva di lividi e ferite sanguinolente.
-Allora, chi abbiamo qui?-  chiese la donna che mi aveva accolta nella cripta, entrando all’interno del cerchio con aria solenne.
-Cacciatori, sorella Costance- riferì una voce piatta alla mia sinistra.
-Cacciatori!- esclamò lei. Si illuminò come una lampadina. Era contenta, ma perché? 
-Cosa ci fate qui?- la sua espressione era cambiata repentinamente, diventando sibillina.
-Siamo venuti ad annientarvi, lurida feccia del mondo- sputai fuori il mio ribrezzo. Non mi faceva più paura. La prospettiva di morire non mi spaventava più, forse per via dell’adrenalina, forse perché il trauma alla testa mi aveva rimbambita, forse perché sapevo che eravamo spacciati…
-Ah ah ah!- squittì Sorella Costance, coprendosi la bocca con le ditina minute –Anche se riusciste ad uccidere tutti i presenti non avreste raggiunto il vostro obbiettivo. Siamo molti di più, sparsi su tutto il globo. Migliaia, centinaia di migliaia!- la fissai con odio –E poi, malridotti come siete non riuscireste nemmeno ad scalfire il più minuto di noi- così dicendo premette la punta dello stivale contro il costato di Thomas. Silenzio. Premette di più, e questa volta un urlo echeggiò per la stanza. La Sorella rise deliziata.
-Migliaia di uomini per cosa? Per rapire una decina di ragazzini? Siete proprio for…- mi si spezzarono le parole in gola, frenate da un accesso di tosse violento. Sputai sangue.
Sorella Costance capì lo stesso le mie parole. Si chinò sull’orecchio sano: -Serviamo il nostro Signore e Padrone. Intendiamo risvegliarlo con il vostro sangue mortale ed insieme a lui sottomettere voi vermi che strisciate sulle vie dell’infedeltà e dell’eresia-
-Hai fatto scappare le nostre offerte, ma non esserne felice. Useremo il sangue ibrido di uno di voi per risvegliare il nostro Signore. Sarà lui ad occuparsi di riacciuffare i tuoi amici. Li torturerà e li farà soffrire e se ne ciberà per fortificarsi- fece un gran sorriso. Aveva instillato il seme del terrore nel mio cuore e ce ne rendevamo conto entrambe. Poi si rivolse alla folla che aveva seguito con interesse il nostro scambio di battute e, indicando un tizio grande e grosso disse: -Faremo scegliere il Dono a quest’uomo, che ha appena perso un fratello dello Spirito e del Sangue. Lo sai che si può morire quando ti viene spappolato un occhio?- mi chiese con innocenza.
Sono spacciata.              
Non ci fu bisogno che scegliesse. Due uomini mi tirarono in piedi.
-No! Prendete me, sono più grande e più forte! Prendete me!- sentì urlare da dietro le mie spalle.
Sorella Constance non si girò, disse solo: -Una promessa è una promessa e io ho promesso alla mia comunità di vendicare il nostro fratello caduto. Non ti preoccupare, verrà anche il tuo turno-
La piccola folla si aprì al mio passaggio. Mormoravano eccitati, e il loro brusio copriva lo sferragliare delle catene di Thomas che si stava agitando.
La sala si illuminò di colpo. Le torce si accesero come per magia, rivelando una stanza enorme, tutto fuorché normale. Al centro del pavimento era stato ricavato un grosso imbuto. Noi ci trovavamo proprio sul suo bordo. Sul lato obliquo erano state ricavate tredici canaline di marmo che si facevano strada dal margine superiore fino all’estremità, dove si gettavano in un pozzo scuro.
Sorella Costance mi pungolò la schiena con un dito per farmi camminare, prendemmo la via di una scalinata anch’essa intagliata nel marmo. Sentivo lo sguardo di decine di persone su di me. Potevo avvertire un fremito di aspettativa serpeggiare tra di loro.
-Fratelli e Sorelle- esordì Costance quando fui in ginocchio davanti al pozzo nero -siamo qui riuniti per celebrare un giorno di gioia. A lungo abbiamo aspettato questo momento abbiamo sofferto e patito, abbiamo dovuto tenere nascosta la nostra fede da questo mondo bigotto incapace di riconoscere la Verità. Le nostre Offerte sono fuggite, ma non tutto il male viene per nuocere. La linfa di questa giovane donna è pari e superiore a quella di tutti gli altri Tributi messi insieme. Donerà forza e vigore al nostro Signore e Padrone, cosicché possa tornare a calcare questa terra e venire a consolare i suoi Discepoli, privati per troppo tempo della sua presenza. Rallegratevi!-
La folla esplose in un fragoroso boato. Grida, strepiti, ruggiti mi bombardavano l’orecchio. Mi sentivo come uno di quei leoni utilizzati nell’antica Roma per dare spettacolo nelle arene.
Poi cominciarono i canti. Orribili, fatti di parole che sapevano d’antichità, di caverne umide, graffiti di gesso, di oscurità. Via via crescevano d’intensità ed anche il suono dei tamburi cresceva sempre più.
Sorella Costance mi afferrò il braccio coperto di sangue secco. Lo alzò, lo espose al pubblico per farlo ammirare meglio, in modo che ognuno potesse vedere bene l’offerta, ilsacrificio. Non vidi il pugnale affilato riaprirmi la ferita, non sentii la stilettata che provoca l’acciaio sulla carne viva. Fu così veloce, così imprevisto che non mi accorsi proprio di nulla.
Il canto continuò a salire, salire e salire ancora. Sembravano una sola anima in corpi diversi. Tutti avevano la stessa espressione, gli occhi vitrei persi in chissà quale estasi religiosa. Anche Costance non aveva più vita negli occhi. Guardava fisso davanti a sé, brandendo il coltello sporco di cremisi davanti a me.
Il sangue prese a sgorgare, scivolando in rivoletti cremisi lungo il mio braccio bianco.
-No, no, no, no…- mi sorpresi a mormorare. Mi sentivo leggera, come se il pulsare impazzito del mio cuore mi avesse dato alla testa.
Sorella Costance, con lentezza esasperante, pose il braccio sopra il pozzo scuro. La sua presa era salda, non un tremito.
Un’altra onda d’emozione scosse la folla, incrinando le voci. La mia aguzzina fissava il rivoletto più audace, quello che si era fatto già strada, con gli occhi di una pazza.
Il rumore del mio stesso sangue mi martellava nelle orecchie. Ero spossata e stanca. Forse sarebbe stato meglio morire. Non avrei dovuto vedere il mondo piegato da…
La porta esplose in mille schegge. Frotte si cacciatori in divisa invasero la sala. Le grida di giubilo si trasformarono immediatamente in urla di terrore.
La mano della Sorella fu scossa da un tremito nervoso. Non so cosa mi fece togliere il braccio dal pozzo.
Tra le fila dell’esercito riconobbi, con un ultimo guizzo di lucidità, volti familiari: mio padre, mio fratello, amici, conoscenti, tutti venuti li apposta per salvarmi
Salvarmi… ero salva! Salva!
 
 
Con questo pensiero Ellen si abbandonò alla stanchezza, scivolando in un sonno senza sogni e, finalmente, silenzioso.
Nessuno si accorse della goccia scarlatta e solitaria che era caduta nel pozzo. Nessuno si accorse del baluginio metallico di un paio d’occhi rossi.
 
 
NdA - Note d'Autrice
:
Salve a tutti! In questo ultimo capitolo il titolo della storia "L'Oscurità nel pozzo" e il suo doppio significato, sia quello materiale (la naturale oscurità di un pozzo profondo) che quello sovrannaturale (il mostro che lo abita), vengono svelati. Io mi sono divertita a scrivere questa breve fic, spero che abbiate passato ore piacevoli anche voi. Se così fosse non esitate a lsciare una recensione, anche piccola ; )!

                                                                                                                                                                Elenoire Tempesta



 

 

  
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