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Autore: ermete    22/05/2012    12 recensioni
Piccolo omaggio a Sir Arthur Conan Doyle che oggi compirebbe 153 anni, omaggio raccontato tramite una piccola avventura surreale vissuta dai suoi figli Sherlock Holmes e John Watson, in una piccola One-Shot che spero apprezzerete.
Genere: Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: John Watson , Sherlock Holmes
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Happy birthday, Sir Arthur Conan Doyle
Era una calda mattina primaverile quella in cui John, dopo essersi svegliato, si stupì nel trovare Sherlock in piedi, già vestito e pronto per uscire: l’espressione sul volto del Consulente Investigativo era leggiadra, ben lontana dalla noia o dall’irrequietezza che lo contraddistinguevano solitamente.

“Sherlock? Sono le 8, cosa ci fai già in piedi a quest’ora?” John si stropicciava gli occhi ancora insonnoliti mentre si avvicinava al coinquilino “E già vestito. Di tutto punto per di più.”
Sherlock evitò di rispondere alle domande di John, e quello non risultò poi molto strano al medico, finchè non lo vide offrirgli una tazza di caffè fumante. Ecco, questo era un evento che di primo mattino poteva suonare come un campanello d’allarme.
“Grazie...?” la parola usata da John assunse un’inconfondibile cadenza interrogativa: provando a dissimulare il tutto, annusò il contenuto della tazza, ma venne prontamente scoperto da Sherlock.
“Non è avvelenato, John.” si premurò di specificare Sherlock che, dopo aver estratto le due sedie da sotto il tavolino, ne offrì una al coinquilino, andando poi ad occupare l’altra.
John non si sentì molto in colpa a trovare strane quelle premure, tuttavia accettò la seduta offertagli da Sherlock e bevve qualche sorso di caffè, confermandone la buona qualità e l’assenza di qualsivoglia veleno “Dunque... hai per caso combinato qualcosa? Hai fatto esplodere il frigo o il microonde? Hai portato un alligatore in casa? Cose del genere?” domandò John, rimanendo con lo sguardo su Sherlock.
“Devo per forza aver combinato qualcosa per essere gentile col mio coinquilino ed unico amico?” replicò Sherlock, alzando un sopracciglio, sistemandosi una piega sulla giacca di cotone.
“Beh, solitamente funziona così.” John allungò le gambe sotto il tavolo, stendendo al meglio i muscoli ancora intorpiditi.
“Non è così questa volta.” confermò Sherlock che spostò lo sguardo sulla vista fuori dalla finestra: era una bella giornata, fin troppo calda per il periodo dell’anno.
“Ah, bene allora.” finalmente John sorrise, quindi tornò ad osservare la postura di Sherlock che, per quanto potesse apparire del tutto normale, trovò un poco rigida “Allora cosa c’è che non va?”
“Dovrebbe esserci qualcosa?” Sherlock tornò a guardare John con un mezzo sorriso disegnato sul volto: era felice del fatto che, nonostante i continui muri costruiti attorno a sè, almeno lui riuscisse a sbirciare attraverso le piccole crepe e a cogliere anche il più minimo cambiamento in lui. A volte gli serviva per continuare ad avere un contatto con la realtà: se almeno una persona riusciva ad inquadrarlo, allora c’era speranza anche per lui, nel caso in cui un giorno più o meno lontano avesse avuto bisogno di conferme di quel tipo. Il fatto che questa persona fosse il suo unico e fidato amico John Watson era un ulteriore piacere.
John sorrise “Allora, vuoi dirmelo?”
“Hai voglia di accompagnarmi in un posto?” domandò Sherlock.
“Certo. Di che si tratta? Di un caso?” John si alzò, portando la tazza in cucina e aspettando la risposta di Sherlock prima di dirigersi verso il bagno.
“No. Nulla del genere.”
“Devo vestirmi elegante?” domandò inoltre, posando per l’ennesima volta lo sguardo sul bel completo nero indossato da Sherlock.
“Perchè, hai vestiti eleganti?" scherzò Sherlock, per poi scuotere il capo "No, direi di no. Ma magari evita le camicie a quadretti...” continuò in tono di scherno “Mettiti una tinta unita scura, così, tanto per cambiare.” osò consigliargli “Sembra che il tuo armadio sia abitato da tante piccole fatine sbrilluccicose.”
“Ah ecco, sembrava fossi stato gentile per troppo tempo.” borbottò John, per poi sparire nel bagno.

Dopo quasi due ore di macchina passate in religioso silenzio, John e Sherlock si trovavano nell’Hampshire, di fronte all’ingresso del cimitero civico di Minstead.
“Chi è sepolto qui, Sherlock?” domandò John, incuriosito oltremodo all’idea di ‘conoscere’ qualcuno di palesemente importante per l’amico, qualcuno per cui avrebbe potuto perfino provare dei sentimenti, data l’ambiguità del suo umore e l’essersi scomodato per raggiungere quella destinazione.
Sherlock precedette John all’interno del cimitero, mostrandogli la strada camminando appena mezzo passo più avanti rispetto a lui “Una persona importante.”
“Questo l’avevo capito, Sherlock.” si sistemò al meglio la camicia scura che indossava, l’unica che non sembrava essere tessuta dalle 'fatine che gli vivevano nell’armadio' “Ne vuoi parlare? Mi farebbe piacere sentirti parlare di qualcuno che è stato importante per te.”
Sherlock sorrise e, una volta raggiunto il campo di sepoltura, toccò appena il braccio di John, invitandolo a girare in quella direzione: dopo pochi secondi si trovarono di fronte ad una lapide di marmo chiaro a forma di croce posata su una base tondeggiante dello stesso colore e materiale “Eccoci arrivati.”
John si irrigidì inconsciamente in un mezzo saluto militare, in segno di rispetto, quindi si chinò appena, leggendo un nome che non riuscì a collegare al suo amico: quando si rialzò, pochi secondi dopo, stava per domandare nuovamente a Sherlock a chi appartenesse quella tomba, ma si fermò, rapito dal suo sguardo e dalle sue movenze.
Sherlock alzò la mano destra sulla cima della croce, quindi la fece scendere in quella che poteva sembrare una carezza abbozzata: si chinò a sua volta, sfiorando coi polpastrelli le diverse scritte incise sulla lapide, il nome, la data, l’epitaffio. Non c’erano foto, non ce n’era bisogno, il nome bastava a rendere omaggio a chiunque stesse giacendo esanime in quel pezzo di terra.
John rispettò in silenzio le emozioni che si palesavano sul volto dell’amico: ancora non poteva capire chi stesse omaggiando, l’unico indizio era che quel giorno era l’anniversario della nascita della persona che Sherlock riteneva abbastanza importante da decidere di fargliela, in un certo senso, conoscere.
“Mi ha insegnato tutto quello che so, soprattutto in campo investigativo.” Sherlock ruppe il silenzio e John raddrizzò bene le orecchie per ascoltarlo “Beh, effettivamente Lui è responsabile anche delle cose che non conosco. Quindi per la cosa del Sistema Solare dovresti prendertela con Lui.” aggiunse poi, con un tono così gentile e buono che a John parve quasi surreale.
“Era un tuo insegnante?” domandò John, alternando lo sguardo tra la lapide e Sherlock.
“No.” s’affrettò a rispondere Sherlock “Sai, John, è grazie a Lui se sono così. Con tutti quelli che per voi sono difetti, e che invece per me sono dei pregi. Io sono così grazie a Lui.” la voce gli tremò per un brevissimo istante.
“Sherlock è mica... tuo padre?” gli sfiorò il dorso della mano con la propria in un’appena percettibile carezza.
Sherlock rise appena “In un certo senso sì, si potrebbe dire che è come un padre per me.” non allontanò la propria mano nel percepire quel tocco, anzi, la lasciò lì, vicina a quella di John, come se ne avesse bisogno.
John colse la commozione nel tono e nel volto di Sherlock e sorrise intimamente per quella conferma di cui, in fondo, non aveva mai bisogno: provava dei sentimenti.
“Sai, è stato l’unico da cui io abbia mai preso degli ordini. Senza mai contraddirlo, senza mai litigarci. Lui diceva ‘Fai questo’ e io lo facevo, subito. Perchè era così che doveva andare.” continuò Sherlock, deglutendo un piccolo groppo di saliva che gli si era fermato in gola: mosse la mano, cercando quella di John in modo più consistente.
John aiutò Sherlock in quella ricerca, stringendogli la mano non appena trovò il suo palmo a contatto col proprio “Come vi siete conosciuti?”
“Beh, era una cosa predestinata: una volta incontrati siamo rimasti legati per sempre. C’è stato un momento in cui mi ha odiato, perchè mi ha insegnato troppo bene il mestiere e la gente ha smesso di andare da Lui ed è venuta da me.” mentre Sherlock continuava il proprio racconto, intrecciò le dita della sua mano con quelle di John, necessitando di maggiore contatto con lui “Poi mi ha ripreso con sè: ha avuto altri allievi, altri figliocci. Ma nessuno era come me, lo diceva sempre.”
John sorrise, rinvigorendo la stretta della propria mano, carezzando col pollice il dorso di quella di Sherlock.
“Era un dottore anche Lui. Come te.” staccò lo sguardo dalla lapide, abbassandolo sul viso di John “Me lo ricordi un sacco, sai?” si liberò in un sorriso intriso di malinconia mista a dolcezza.
John fu colpito da quel sorriso, poichè non ne aveva mai visto uno così sul volto di Sherlock, o meglio, non ne aveva mai visto uno così sul volto di nessuno “Con la differenza che ora sono io ad imparare qualcosa da te.”
“Sì. Ma anche tu stai insegnando qualcosa a me.” tornò ad osservare la lapide, poi la natura attorno, gli alberi, il cielo sgombro di nuvole “Sembrava che lo sapesse. Anzi, lo sapeva sicuramente.”
“Cosa?”
“Che avrei incontrato qualcuno che mi avrebbe insegnato quello che Lui non è riuscito a farmi comprendere.”
“Ovvero?”
“I sentimenti, John.” ammise senza imbarazzo, come se si trovassero in un non-luogo, in nessun tempo “Lui mi ha messo fisicamente nella condizione di poterli provare, ma non me li ha mai dati. E allora io li ho sempre ignorati, pensando che fosse giusto così.” dopo un lungo sospiro tornò su John con lo sguardo “Tu invece me li stai insegnando.”
John aprì leggermente la bocca, come se volesse dire qualcosa, ma nulla uscì dalle sue labbra, stupito dalle parole di Sherlock, frastornato dall’importanza che dimostrò di dargli.
“Sai che è stato Lui a farci incontrare?” il sorriso che Sherlock rivolgeva a John era sempre più acceso e il suo cuore batteva così forte che ebbe quasi paura che il dottore potesse sentirlo “Se non fosse stato per Lui io non ti avrei mai incontrato.”
“Com’è possibile? Lui mi conosceva?” sentì Sherlock che, senza abbandonargli la mano, si voltava completamente verso di lui, e lui, di riflesso, fece lo stesso.
“Tu guardi ma non osservi, John.” rise Sherlock, irriconoscibile in quella che sembrava autentica gioia: alzò la mano libera sul volto del dottore, carezzandogli delicatamente la guancia “Non capisci, John? Tu mi hai reso completo. Tu hai completato il suo lavoro.”
John era confuso dalla dolcezza che Sherlock gli stava regalando, ubriaco da quegli occhi di ghiaccio che per la prima volta vide sorridere di una luce propria “Il suo capolavoro, Sherlock Holmes.”
Gli occhi di Sherlock erano lucidi per l’emozione: da un lato John, l’uomo che aveva completato l’opera iniziata da colui che poteva essere considerato come un padre e un mentore, era in mezzo a chi teneva in piedi la sua esistenza. Si piegò velocemente verso John e lo baciò rapidamente sulle labbra, spiazzandolo completamente.
“Sherlock?!” John rimase senza dubbio stupito, ma non fece in tempo a fare nessuna domanda che il detective lo stava già trascinando via, tenendolo per mano.
“Andiamo, John!” di tanto in tanto si voltava: aveva ancora stampato sul viso lo stesso sorriso di prima.
“Ma Sherlock!” prima che il consulente investigativo lo allontanasse dalla lapide, si accorse di un dettaglio importante “Aspetta un attimo, mi è venuto un dubbio! Su di Lui!” John provò a tirarlo appena per la mano e alla fine riuscì a fermarlo.
“Che dubbio?”
“Oggi siamo venuti qui perchè era l’anniversario della sua nascita.”
“Sì, sarebbe stato il suo compleanno, e allora?”
“La lapide diceva che era nato nel 1859 e morto nel 1930... come è possibile che tu l’abbia conosciuto?”
Sherlock scoppiò a ridere, quindi alzò la mano libera sui capelli di John, spettinandoglieli “Allora qualche volta osservi.”
John sorrise, ma la domanda rimase “Quindi? Com’è possibile?”
“John, John.” bisbigliò Sherlock avvicinandoglisi al volto, sfiorandolo con le labbra “Tu senti, ma non ascolti.”
E ancor prima che John potesse chiedere ulteriori spiegazioni a riguardo, fu trascinato nuovamente per la mano da Sherlock, quindi abbandonò qualsiasi altra domanda gli passasse per la testa, contagiato dalla surreale allegria che aveva contagiato il proprio amico.
Da lontano, la lapide li guardava silente. L’incisione nera, che contrastava nettamente col colore chiaro del marmo, luccicava sotto i raggi di quel sole primaverile. Recitava queste parole:


“Steel True
Blade Straight
Arthur Conan Doyle
Knight
Patriot, Physician & Man of Letters
22 May 1859 - 7 July 1930”

   
 
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