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Autore: Sacchan    24/05/2012    12 recensioni
La prima volta che Haymitch incontrò Effie, non si stupì della sua parrucca vistosa, o del giallo quasi fosforescente del suo abito o della maschera di trucco che aveva in faccia.
Haymitch si stupì perché Effie aveva una ingenuità che in tutti quelli anni che era stato mentore non aveva mai visto in qualcuno di Capitol City.
SPOILERS per per la fine di Mockingjay. E' un tentativo di scrivere di questi due e del loro strano rapporto durante gli anni in cui hanno lavorato insieme.
Genere: Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Effie Trinket, Haymitch Abernathy
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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La prima volta che Haymitch incontrò Effie, non si stupì della sua parrucca vistosa, o del giallo quasi fosforescente del suo abito o della maschera di trucco che aveva in faccia.
Haymitch si stupì perché Effie aveva una  ingenuità che in tutti quelli anni che era stato mentore non aveva mai visto in qualcuno di Capitol City.
Certo, la maggior parte delle persone a Capitol City non avevano problemi a credere che gli Hunger Games fossero solo giochi ignorando il retroscena sanguinoso in cui ventitre poveri ragazzi ci lasciavano le penne.
Effie credeva davvero che facessero bene alla popolazione, che per i ragazzi fosse una grandissima opportunità, per quanto l’occasione fosse disdicevole. Considerava le vite perse qualcosa di ineluttabile.
Ma non lo faceva con cattiveria, questo era chiarissimo.
Per lei si trattava di ubbidire al suo governo.
E ovviamente non poteva capire il motivo per cui Haymitch si era presentato già ubriaco alla Mietitura. Non poteva capire l’orrore.
Haymitch la odio da subito. Effie e i suoi stupidi colori sgargianti
 
Haymitch cambiò idea con il tempo.
Effie, nella sua frivolezza, era meglio di tutta la feccia di Capitol City. Almeno non c’era cattiveria nelle sue parole, solo un entusiasmo fuori luogo.
Era sicuramente la migliore accompagnatrice che si potesse desiderare.
Anche se Effie aveva cercato da subito di far smettere Haymitch di bere. Le provò tutte nei primi due anni: nascose gli alcolici, chiese che non fossero recapitati né nel vagone del treno né nei loro alloggi.
Effie lo faceva perché non sopportava l’odore dell’alito di Hyamitch dopo che aveva bevuto, o l’odore dopo giorni che non si faceva il bagno troppo occupato a bere o troppo ubriaco per arrivare in bagno.
“Haymitch!” le loro conversazioni iniziavano sempre in quel modo. “Non puoi ridurti così! Hai del lavoro da fare!”
Haymitch si limitava a scacciarla come se fosse stata una mosca fastidiosa, tornando a bere senza tanti scrupoli. Al massimo poteva aggiungere un. “Sto facendo del mio meglio, splendore.”
Effie iniziò a vedere come una vera e propria missione convincere Haymitch a mollare la bottiglia.
Iniziò a svegliarlo ogni mattina, a cercarlo non appena si accorgeva di averlo perso di vista, a forzarlo a fare qualsiasi cosa che non fosse bere. Non che ebbe molti successi, ma almeno imparò qual’erano i nascondigli preferiti di Haymitch o quali erano le situazioni da cui fuggiva per andare a bere.
Prevenì sapendo di non poter curare.
Fu dopo la morte particolarmente violenta del tributo del distretto 12 di quell’anno che le cose cambiarono tra loro.
Effie raggiunse Haymitch al tavolo del soggiorno dove fino ad un paio di giorni prima pranzavano e cenavano con gli stilisti e due tributi ancora vivi. Haymitch ovviamente aveva iniziato a bere da quando aveva capito che il povero ragazzo, tredici anni appena compiuti e con addosso ancora la puzza di latte, avrebbe fatto una brutta fine. Effie era crollata quando le trasmissioni di Capitol City avevano mostrato per la quarta volta come le sue interiora si erano sparpagliate sul prato dell’arena.
“Che c’è?” chiese Haymitch attirando a se la bottiglia di rum con fare protettivo. “Ehi, è una festa privata, splendore.” Avvertì notando che l’altra aveva preso un bicchiere dalla lunga serie disponibile. Ovviamente quell’unica azione le aveva rubato almeno un minuto per scegliere il bicchiere adatto.
Effie si sedette al tavolo con lui, un sospiro plateale le sfuggì dalle labbra. “Per favore Haymitch. Vogliamo dimenticare entrambi quella scena.” La sua voce fu meno stridula del solito.
Haymitch si chiese cosa ne sarebbe stato di Effie se non fosse nata a Capitol City, se fosse stata scelta come tributo e fosse diventata una vincitrice se solo una morte la spingeva a comportarsi esattamente come lui.
“Non dovresti essere  immune alle morti nell’arena o roba del genere?” Haymitch tracannò un altro bicchiere di rum e constatò con soddisfazione che la figura di Effie iniziava ad essere meno nitida.
“Non è assolutamente così. Solitamente non le guardo.” Ribattè Effie cercando di impossessarsi della bottiglia.
“Tu non berrai.” Decise Haymitch allontanando la bottiglia dalle mani di Effie. “Berrò io per tutti e due.” Si offrì poi con un grosso sorriso.
Effie protestò a lungo, la sua voce tornata alle solite note.
“Non sono cose che ti riguardano.” La zittì Haymitch in malo modo. “Era un mio tributo, non tuo.”
Effie si alzò, i bracciali ai suoi polsi tintinnarono pericolosamente. “Che tu sia dannato Haymitch Abernathy! Siamo insieme in questa cosa, che ti piaccia o no!”
Fu allora che Haymitch se ne rese davvero conto.
Erano una squadra, o qualcosa che gli assomigliava pericolosamente.
“Spleondore, qualcuno potrebbe pensare che ti stai affezionando a me.”
Haymitch rovinò il momento, Effie se ne andò stizzita.
E rimase stizzita anche l’anno successivo.
 
Qualcosa in Haymitch era cambiato. Effie aveva catturato la sua attenzione. Era un’ ottima distrazione dall’alcool per cinque minuti.
“Splendore.” Divenne il nomignolo  usato da Haymitch. “Vuoi ancora fare quella bevuta?” tentò di risolvere così la situazione, ad un anno di distanza.
“Haymitch, sii serio.” La risposta di Effie fu categoricamente negativa.
Per farsi perdonare Haymitch le regalò un fiore –in realtà lo rubò dalla gonna di una delle donne di passaggio, ma non avendo visto l’accaduto, Effie accettò il dono con un grande sorriso.
Haymitch si sentì così soddisfatto che la convinse anche a ballare.
Dopo un paio di passi, Haymitch ruzzolò a terra, la testa che gli girava vorticosamente.
“O mio dio, Haymitch!” Effie, preoccupata oltre il necessario, si chinò al suo fianco. “Stai bene?”
“Si, certo.” Haymitch si stese comodamente a terra e iniziò a ridere. “Sai splendore, temo di essere ubriaco.”
“E quando non lo saresti?” lo rimproverò Effie.
“Tu però sai ballare molto bene.” Aggiunse Haymitch confortato dal buon umore dell’altra.
“Mille grazie.” Effie roteò gli occhi. “Tutti sanno ballare a Capitol City.”
Quella sera, Effie e Haymitch divennero amici.
Nel limite di come un ubriacone e una ragazza di Capitol City potevano esserlo.
 
L’anno successivo, Haymitch fu sul punto di scoprire il colore dei veri capelli di Effie.
Era notte fonda e, con un bicchiere oramai pieno di ghiaccio, Haymitch si aggirava per l’alloggio e si fermò davanti alla porta socchiusa della camera di Effie.
Effie era seduta davanti ad una toletta, avvolta in un comodo accappatoio. I capelli erano avvolti in un asciugamano, ma una ciocca sfuggiva al tessuto. Era troppo buio perché Haymitch potesse capire di che colore fosse. Fu solo sicuro che erano chiari.
Rimase a guardare mentre Effie finì di struccarsi con gesti simili a quelli di un rituale, mettendo in luce la vera sé. Il trucco di Effie era come il bere di Haymitch: nascondevano la loro vera essenza.
Quando Effie lo notò corse a chiudergli la porta in faccia con un semplice. “Educazione, Haymitch!”
Haymitch se ne andò fischiettando, sapendo di aver visto qualcosa di Effie che non tutti potevano vedere.
 
Quell’accoppiata stranamente assortita iniziò a sopportarsi e a supportarsi.
Haymitch continuò a bere ed Effie continuò a tentare di farlo smettere di bere almeno per il tempo necessario per le relazioni diplomatiche.
Effie continuò a vestire con abiti impossibili e parrucche improponibili ed Haymitch continuò a chiamarla splendore ogni volta che poteva.

 
Poi arrivarono due ragazzi altrettanto stranamente assortiti.
Una ragazza in fiamme e un ragazzo con il pane.
Riuscirono a cambiare le carte in tavola nel rapporto tra Effie ed Haymitch perché riuscirono a cambiare Haymitch.
Ed Effie si accorse di come Katniss e Peeta erano riusciti a svegliare Haymitch dal suo perenne torpore alcolico, a farlo reagire come un tempo aveva reagito nell’arena.
Ed Haymitch si accorse di come Effie sorrideva nella sua direzione quando era lontana e lo vedeva occuparsi di quei due ragazzi quasi fossero i suoi figli.
Quei due ragazzi erano riusciti a far uscire di testa Effie e a far di Haymitch un vero mentore.
Katniss con la sua testardaggine e la sua incapacità di vedere oltre il momento, Peeta con il suo enorme buon cuore.
Per il primo anno Haymitch si diede realmente da fare. C’era stato un tempo, quando era diciassettenne e appena diventato mentore, che aveva creduto di poter aiutare i tributi, poi si era reso conto di non poterci riuscire.
Ma ora voleva salvare quei due ragazzi, salvarne almeno uno. E se significava essere sobrio e leccare qualche sedere, l’avrebbe fatto. Solo per dimostrare a Capitol City che la squadra più svantaggiata di tutte poteva farcela.
Salvare Katniss, così simile a lui da fargli venire i brividi. Salvare Peeta, così pieno di buoni sentimenti da farlo sentire in colpa.
E magari, salvare se stesso nel processo, perché no.
Gli innamorati sventurati del distretto 12.
Era il migliore prodotto possibile da vendere che gli fosse mai capitato.
“Quei ragazzi mi faranno invecchiare prima del tempo!” si lamentò Effie lasciandosi cadere sul divanetto con un movimento elegante.
“Concordo.” Haymitch osservò il bicchiere vuoto e resistette all’impulso di riempirselo di nuovo solo perché Effie si avvicinò a lui.
“Hai parlato con Seneca.” Disse Effie semplicemente. Non era una domanda, ma una affermazione. E sembrò contenta.
“L’ho fatto.” Ammise Haymitch non ancora sicuro di quello che era successo.
Effie si avvicinò ancora, il tessuto verde scuro del suo abito decorato con foglie ricamate in filo dorato sfiorò il tessuto blu sbiadito dei pantaloni del completo economico di Haymitch, e poggiò una mano sul ginocchio del mentore.
“E’ ammirevole quello che stai facendo per quei ragazzi.”
Haymitch sbuffò divertito. Ammirevole? Non era affatto ammirevole. Non lo stava facendo per loro, non completamente. Lo stava facendo per stare bene con se stesso. Se non avesse lottato per quei due non se lo sarebbe mai perdonato.
“Effie tu mi sopravvaluti, splendore.”
“No.” Effie scosse la testa, ma la parrucca rimase al suo posto. “So che uomo sei, Haymitch Abernathy. E lo saresti più spesso se smettessi di bere.”
“Cosa che non capiterà.” Puntualizzò Haymitch con sicurezza.
“Lo so.” Effie sospirò. “Ma ora so che potresti essere un grande uomo, se tu lo volessi.”
Haymitch non rispose, non disse ad Effie che sarebbe potuto essere un grande uomo se non fosse stato un tributo. Effie non avrebbe capito e avrebbero finito con il litigare.
“Non è detto che si salveranno.”
“No.” Concordò Effie. “Ma questa volta hanno avuto tutto l’aiuto possibile e io e te sappiamo che non l’hai fatto per nessun’altro.”
Fu a quel punto che Effie baciò Haymitch. Un unico bacio, leggero, a fior di labbra, ma pur sempre un bacio.
Nessuno dei due ne parlò più dopo quella giornata.
In qualche modo, l’ubriacone del distretto 12 e la ragazza di Capitol City che si erano odiati al primo sguardo, erano arrivati a capirsi, e ad un certo punto erano finiti in rotta di collisone.
 
La ragazza in fiamme e il ragazzo con il pane vinsero gli Hunger Games.
Insieme.

Quando si rividero di nuovo, c’erano segnali di rivolta ovunque, e Haymitch cercò di tenere Effie distante, per salvarla da ciò che stava per succedere.
Però una notte Haymitch, ubriaco come al solito, si lasciò cadere sul letto della stanza di Effie e quando lei tornò non riuscì a scacciarlo. Non servì a nulla nemmeno minacciarlo di chiamare Finnick Odair e fargli fare uno spogliarello lì, di fronte a lui.
“Effie Trinket.” Iniziò Haymitch tirando sul letto con sé l’altra. “Mio splendore.”
“Sei ubriaco da far ribrezzo.” Commentò Effie tentando di liberarsi, ma Haymitch la tenne ferma.
E così si ritrovarono sdraiati sul letto di Effie goffamente abbracciati, con Effie che scalciava per allontanarsi.
“Si, è vero.” Haymitch ridacchiò e le palpò il sedere attraverso la gonna viola. “Stammi a sentire, splendore, qualsiasi cosa succeda da domani io voglio che tu sappia una cosa.”
“Haymitch, davvero, non hai mai bevuto così tanto.” Si lamentò Effie.
“Effie Trinket, tu sei fantastica.” Continuò Haymitch imperterrito, ignorando l’altra. “E io ti devo dire grazie per non essere stata troppo noiosa. O per non aver tentato di cambiarmi. O uccidermi con quelle unghie lunghe che ti ritrovi. E qualsiasi cosa ti capiti sappi che ho tentato di evitarlo.” E si addormentò.
Effie roteò gli occhi, sbuffò, e tirò giù Haymitch dal letto e lo lasciò dormire sul pavimento.
 
Nessuno vinse l’edizione della memoria degli Hunger Games.
La ragazza in fiamme divenne la ghiandaia imitatrice e il ragazzo con il pane fu rapito.
Haymitch non riuscì a salvare Effie.
I distretti si ribellarono e rovesciarono Panem.
Due presidenti morirono in un giorno e ne fu eletto un altro.
La ghiandaia imitatrice trovò il suo dente di leone.

 
 
Furono mesi di pace ed alcool per Haymitch, finchè un bel giorno non fu abbastanza sobrio da prendere una decisione.
La prese annotando con Katniss e Peeta ventitre anni di tributi e arrivando agli ultimi, legati irrimediabilmente al ricordo di Effie. Haymitch non aveva incontrato Effie dopo il salvataggio, aveva fatto di tutto per ignorarla.
Non sapeva se sarebbe riuscito a sopportare la consapevolezza di aver perso anche Effie per colpa di Capitol City. Non voleva guardarla negli occhi e vedere un’altra esistenza distrutta.
La chiamò, però, perché doveva sapere che Effie era ancora lì.
“Pronto?” la voce di Effie tradì quanto la guerra l’avesse resa più stanca. Meno entusiasta della vita.
“Ehilà, splendore.”
“Haymitch.” Fu l’unica cosa che Effie riuscì a dire prima di scoppiare in un pianto liberatorio.
“Che ne dici di farci quella bevuta?”
  
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