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Autore: Backyard Bottomslash    24/05/2012    2 recensioni
Due bambine: la prima entusiasta della vita, felice della sua famiglia e fiera dei suoi sogni; la seconda rinchiusa in una realtà così distante da lei da spingerla a crearsene una nuova… Ma come ci riuscirà?
Sarà una festa in città a cambiare le loro vite.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti | Coppie: Quinn/Rachel
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Note: 
Sarò chiara: tutto quello che concerne questa storia è pura follia. L'ho pensata in un momento in cui probabilmente ero appena stata colpita da un fulmine e, dunque, eccomi qui a cimentarmi in un qualcosa che non so esattamente dove mi porterà… Bah, vedremo un po'!
Nel frattempo vi lascio con questo prologo, ma vi avviso che sarà solo dal primo capitolo ufficiale che capirete davvero l'impronta che voglio dare al tutto.
Detto questo non voglio annoiarvi oltre e farvi scappare via, dunque, se ne avete voglia, fatemi sapere cosa ne pensate.
A presto.

-BB




Prologo



“Tesoro! Ti manca molto? Hai bisogno di una mano con il fermaglio?”

La voce di Leroy corse veloce e limpida lungo le scale fino a giungere alla camera della figlia.

La piccola Rachel era ferma da almeno 5 minuti davanti allo specchio a contemplare la sua figura minuta. Pensò che, dopotutto, non era poi molto bassa per i suoi 6 anni. Avrebbe sicuramente avuto tutto il tempo per crescere. Senza contare che poi, forse, quel nuovo fermaglio rosso che le avevano comprato i suoi papà alla festa la rendeva un po' più alta.

Aveva quell'accessorio solo da pochi giorni e già era diventato il suo preferito, superando in classifica persino il braccialetto che sua zia Tracy le aveva portato direttamente da Broadway. Lo adorava o, più semplicemente, adorava tutto ciò che riguardava la festa che, ogni anno, durante i mesi estivi, si teneva nel centro di Lima.

Come probabilmente ogni bambino della città, viveva tutto l'anno nell'attesa di quell'odore di zucchero filato, del suono scoppiettante dei fuochi d'artificio e dei colori che, inevitabilmente, investivano la vita di tutti, rendendola almeno per quei giorni meno monotona del solito.

Il cambiamento era tangibile e la gioia di grandi e piccoli si respirava nell'aria.

“Principessa, sei pronta? E' ora di andare o ci perderemo le giostre”.

I pensieri della piccola ebrea vennero interrotti dal rumore della porta della sua stanza che si apriva, lasciando intravedere la figura del padre, Hiram, che con fare premuroso si accertava che la figlia fosse pronta ad uscire.

“Si, papà! Datemi solo un altro minuto per aggiustare meglio il fiocco e possiamo anche andare”.

Hiram acconsentì con un sorriso e senza aggiungere altro si richiuse la porta alle spalle. Amava la voce squillante e cristallina della sua principessina. Rachel avrebbe potuto chiedergli qualsiasi cosa con quella voce e lui avrebbe acconsentito senza il minimo problema.

“Allora? Qual è l'ultimatum?” chiese Leroy con evidente impazienza.

“Solo un altro minuto e possiamo andare” rispose il marito pur non essendo totalmente convinto che la bambina avrebbe rispettato quei tempi.

“Questa brutta abitudine l'ha ereditata da te. Saresti in grado di far aspettare anche Carlo d'Inghilterra per dare un ultimo ritocco al nodo della cravatta”.

“Non è affatto una brutta abitudine” si trovò a controbattere Hiram, difendendo automaticamente anche la figlia. “Ogni signora che si rispetti si fa attendere per un giusto lasso di tempo prima di degnare gli altri della sua presenza”.

“Ma non è una signora! Ha solo sei anni. Non voglio neanche immaginare cosa accadrà quando scoprirà dell'esistenza del trucco” realizzò il più basso dei due.

In camera sua, Rachel era ancora persa a guardare la sua immagine riflessa nello specchio. Le piaceva particolarmente prendersi qualche istante per sé, anche se, il più delle volte perdeva la cognizione del tempo. Si rese conto che era ora di andare, ma proprio non riusciva a staccare i suoi occhietti vispi dal rosso così acceso del suo fiocco.

Si, aveva deciso che il rosso sarebbe stato il suo nuovo colore preferito!

Mentre questi pensieri affollavano la mente della piccola diva, al piano inferiore la situazione non era cambiata neanche di una virgola.

“Non andrò di nuovo in camera sua. Non voglio che una volta cresciuta, mia figlia si renda conto di essere stata privata della sua privacy” Hiram era stato categorico pur mantenendo un tono basso, come sempre avveniva durante le loro piccole discussioni.

“Non ti sembra di esagerare? Rachel subirà traumi ben più grandi nella sua vita... Voglio dire: prima o poi Barba si ritirerà dalla scena...”

“Vedrai che Barba accetterà di buon grado i nostri solleciti a non abbandonare la carriera fino a quando la nostra piccola non sarà abbastanza grande da poterlo accettare”.

Lo sguardo di Leroy non lasciava spazio a possibili fraintendimenti: era fermo, ed invitava il marito a tornare con i piedi per terra. Tant'è che l'altro si spostò, sfidandolo a completare l'opera che aveva, ingiustamente, fatto iniziare a lui:

“Avanti! Voglio proprio vedere con quale coraggio riuscirai ad invadere il suo spazio personale ed a privarla per sempre della sua autostima”.

Hiram si fermò a guardare suo marito con lo stesso sguardo severo che non aveva abbandonato per l'intero battibecco. In un istante il suo aspetto cambiò completamente per lasciare spazio ad un'espressione sensibilmente più rilassata o semplicemente arrendevole.

“Cosa dovrei fare?”

“Ho un'idea!” sentenziò Hiram mentre recuperava parte del suo entusiasmo.

Si diressero verso il salone, illuminato esclusivamente dalla luce opaca di una piantana, situata al fianco del pianoforte in mogano scuro. Proprio lo strumento sarebbe stato l'arma segreta che avrebbero sfruttato a loro vantaggio.

“Seguimi!” ordinò Hiram con sguardo divertito ed allo stesso tempo fiero della propria idea, iniziando dunque a suonare:When the night has come, and the land is dark
... And the moon is the only light we will see... 
No, I won't be afraid, oh, I won't be afraid
.... Just as long as you stand, stand by me

Se almeno inizialmente era scettico, ora Leroy non solo era evidentemente più rilassato, ma addirittura divertito. Volse al marito uno sguardo colmo di ammirazione per l'originalità con la quale era solito pensare, per la sua adorabile tendenza ad esagerare nella sua lucida razionalità. E sperava con ogni singola particella del suo corpo che Rachel ereditasse quelle caratteristiche che, tempo addietro, lo avevano fatto innamorare di quell'uomo.

Senza il minimo cenno di titubanza prese anche lui a cantare, seguendo la voce di Hiram.

So darlin', darlin' stand by me... 
Oh stand by me
... Oh stand, stand by me, stand by me

Una melodia ben nota le giunse all'orecchio, distogliendola da ogni altro pensiero che una bambina di sei anni potesse avere e d'un tratto sembrò come riprendere improvvisamente vita: un gigantesco sorriso prese forma sul suo viso e con uno scatto, per il quale ringraziò i suoi già quattro anni di danza, si trovò in un attimo al piano inferiore.

Giusto il tempo di focalizzare l'immagine dei suoi genitori seduti al pianoforte e via... tra le braccia di Leroy. Vide le dita di Hiram muoversi con grazia e disinvoltura, quasi danzare sui tasti del pianoforte e si sentì come protetta da un impenetrabile scudo.

 

 

***

 

 

Ancora una volta!”

Era seduta su quello scomodo sgabello ormai da tre ore e quella cinica donna al suo fianco non sembrava volerle dare neanche un po' di sollievo.

I suoi grandi occhi verdi erano inattivi, spenti, troppo stanchi per continuare a subire quel calvario. Faticava addirittura a tenerli aperti.

E le dita. Le dita continuavano pesantemente a premere i tasti bianchi e neri in un movimento del tutto autonomo, non più dettato dal cervello.

Lo ripeterai fin quando non terrai quei polsi alti!” le intimò arcigna.

Quando la madre le aveva annunciato, un anno prima, che avrebbe iniziato a prendere lezioni private di pianoforte, Lucy era stata a dir poco entusiasta. Amava la musica ed il solo pensiero di dedicarsi finalmente a qualcosa che piaceva anche a lei, oltre che a Judy, le aveva riempito il cuore di gioia. Non avrebbe mai immaginato che anche quello si sarebbe trasformato in una costrizione.

Non le piaceva la sua insegnante. La trovava tanto spaventosa che talvolta era stata addirittura protagonista di alcuni suoi incubi. Ed in quei momenti avrebbe tanto voluto stringersi al petto del suo papà, ma Russell era stato categorico: lei era una Fabray ed i Fabray non si lasciavano spaventare da sciocchezze come quelle.

Ma Lucy era davvero terrorizzata da quella donna. L'aveva privata di una passione ed ormai subiva passivamente le parole, mai gentili, che quella perfida donna le riservava, nella speranza che la lezione terminasse in fretta.

Quella sera, però, la fine sembrava non voler arrivare in alcun modo: di tanto in tanto alzava lo sguardo verso l'orologio, attendendo con impazienza il ritorno del padre.

Le aveva fatto una promessa: quella sera l'avrebbe portata alla festa.

Non vedeva l'ora di poter vedere altre persone, di poter giocare con bambini come lei. Magari, con un po' di fortuna, Judy le avrebbe concesso anche di comprare quelle caramelle colorate che vendevano solo alle feste.

Come se stesse ascoltando i pensieri della piccola, Russell fece il suo ingresso in casa. Il volto di Lucy si illuminò improvvisamente e con un balzo si lasciò il pianoforte alle spalle. Non aveva fatto i conti, però, con la signorina Person, che non esitò ad afferrarla per un polso e strattonarla in malo modo.

Dove pensi di andare, signorina? Speravo che non fosse necessario, ma mi costringi ad usare le maniere forti!”

Senza lasciarla andare, la donna estrasse dalla sua borsa un lungo bastoncino con il quale iniziò a percuoterle le mani.

Lucy rivolse una muta richiesta d'aiuto al padre, ma quest'ultimo distolse in fretta lo sguardo, evidentemente poco interessato, e continuò per la sua strada, raggiungendo la moglie nell'altra stanza.

Non era la prima volta che accadeva una cosa del genere: aveva perso il conto delle volte in cui mentre suonava le aveva piazzato delle candele sotto i polsi. In tal modo, per non scottarsi, li avrebbe alzati a sufficienza.

La madre aveva chiuso gli occhi di fronte alle, sempre più frequenti, escoriazioni e da quel momento la piccola si era imposta di non piangere più se non nella sua solitudine.

Soffriva. Soffriva ogni volta quell'arpia la maltrattava. Soffriva ogni volta che i suoi genitori la ignoravano. Soffriva di un male sia fisico che mentale, ma preferiva soffrire nella sua stanzetta, piuttosto che davanti agli occhi di qualcun altro.

Quando finalmente la donna se ne fu andata, Lucy si sentì sollevata e felice davanti alla prospettiva di una serata di divertimento in città, ma nei suoi silenziosi pensieri si insinuò un rumore. Dalla sua camera poteva chiaramente sentire i suoi genitori discutere ed, incuriosita, li raggiunse. Come era ovvio che fosse, però, i suoi genitori non la degnarono neanche di uno sguardo, continuando a parlare tra loro:

Tutte le mie amiche mi hanno sconsigliato le scuole pubbliche in Europa” lo informò Judy, mentre passava al marito un bicchiere di Scotch.

Te l'ho già detto: chiederò alla mia nuova segretaria di informarsi su qualche collegio.”

Solo quando anche la donna di servizio entrò nella stanza, Judy e Russell si avvidero della presenza della piccola biondina. Judy le andò incontro con un evidente sorriso di circostanza in volto, ignorando completamente le domande dell'altra donna, mentre Russell si lasciava andare sulla poltrona, gustandosi ad occhi chiusi la bevanda.

Lucy, tesoro! Cosa ci fai qui? Dov'è la signorina Person?”

La bambina non si stupì del fatto che la madre non si fosse accorta che aveva smesso di suonare il piano da un po'... In realtà aveva smesso di ascoltarla già da tanto tempo. Prima che potesse darle una risposta però venne prontamente interrotta dalla domestica, che, nel frattempo, non aveva cessato neanche un istante di reclamare l'attenzione della signora Fabray.

Mi scusi ancora Mrs Fabray, ma le vorrei ricordare che la prossima settimana andrò a trovare mia sorella e di conseguenza sarò fuori città.”

Come sarebbe a dire che sarai fuori città?” chiese in un tono di stizza la donna.

Gliene avevo parlato lo scorso mese e mi confermò che non c'era alcun problema, ricorda?” la donna di servizio la guardò con uno sguardo ovviamente irritato anche se, allo stesso tempo, fortemente intimorito.

Susan... Susan... Ho così tanti di quei pensieri al momento che non riesco a ricordare neanche quando sia il mio compleanno e tu pretendi che io tenga a mente una cosa accaduta un mese fa? Mi spiace ma dovrai rimandare la tua visita. Da domani inizieremo a selezionare le cose che Lucy dovrà portare con sé” la bionda si voltò poi verso la figlia. “Ti piace la Francia, tesoro?”

E' lì che andremo in vacanza quest'anno?” la domanda nacque spontanea.

La piccola doveva ammettere che l'idea non le dispiaceva affatto. Aveva visto delle foto su quelle riviste che la madre comprava, ma non sfogliava mai e doveva ammettere che aveva sognato ad occhi aperti di poter correre tra i prati della campagna.

Non sarà una vacanza” la corresse il padre.

Lucy non era molto convinta da quelle parole, non capiva per quale motivo dovessero andare in Francia se non per una delle vacanze che la sua famiglia organizzava sempre. Lo sguardo della bambina vagò ancora una volta alla ricerca degli occhi della madre. Judy sembrava davvero molto entusiasta. Era evidente che lei sapesse e che morisse dalla voglia di comunicare il motivo alla figlia.

Ci trasferiremo in Provenza, amore!” le comunicò con gioia. “Andrai in una scuola dove ci saranno tante altre bambine con le quali potrai fare amicizia e giocare, potrai finalmente imparare a parlare francese come si deve e naturalmente continuerai lì le tue lezioni di piano. Così quando tutte le altre bambine ti ascolteranno suonare, penseranno che sei davvero bravissima e saranno tanto, tanto invidiose”.

La piccola Fabray odiava quel modo di parlare. La madre utilizzava quel tono infantile solo quando doveva farle mandare giù un boccone amaro. Ma questo era troppo! Come poteva pensare che sarebbe stato così semplice?

La guardò con uno sguardo spaurito. I suoi occhioni verdi erano pieni di paura ed allo stesso tempo di rabbia.

Non voglio!” disse sottovoce, come se non volesse realmente farsi sentire.

Come, prego?” si intromise ancora una volta Russell, questa volta alzandosi dalla poltrona ed avvicinandosi anche lui alla figlia.

Non voglio!” ripeté questa volta a voce alta.

Le piaceva viaggiare, scoprire nuovi posti, nuovi profumi, nuovi colori e non si poteva dire che avesse poi molto da lasciare a Lima. Aveva terminato il suo primo anno di scuola in un istituto privato, ma non aveva degli amici. I suoi genitori avevano delle grandi aspettative nei suoi confronti e dunque, pur essendo una minuta bambina di sei anni, Lucy era sottoposta a delle enormi pressioni. Gli studi, le lezioni di danza classica tre volte alla settimana e le estenuanti ore che, quotidianamente, passava seduta al piano non le permettevano di fare la vita di una qualunque bambina della sua città.

Era per questo che aspettava l'estate con tanta ansia: sentire, nel silenzio di casa sua, le grida di felicità che prendevano vita al di là di quella porta le faceva montare un'incredibile tristezza per la consapevolezza che non le sarebbe mai stato permesso di far parte di quei giochi, ma con la festa in città tutto poteva cambiare. Certo, non si sarebbe potuta scatenare su giostre o cose del genere, ma si sarebbe sentita meno sola.

Ascoltami bene, signorinella... Non voglio mai più sentire una cosa del genere uscire dalla tua bocca con quel tono. Ci trasferiremo in Provenza, imparerai il francese e frequenterai un collegio femminile esattamente come io e tua madre abbiamo deciso! Ho lavorato giorno e notte per avere quest'opportunità e l'ho fatto anche per te, per assicurarti un futuro e per questo tu mi darai il rispetto che merito!” terminò visibilmente nervoso.

Il suo sguardo lasciava trasparire tutta la rabbia accumulata e Lucy si teneva ben lontana dal guardarlo negli occhi: il padre l'avrebbe considerata una sfida e l'avrebbe punita. Si trovò, dunque, ad abbassare ulteriormente la testa ed a sussurrare un, a dir poco incerto, ringraziamento.

Ora, se volete scusarmi devo preparare le ultime cose per la riunione di domani” le congedò Russell, dopo essersi ricomposto.

Una stilettata trafisse il cuore della piccola, che rimase immobile sul posto, limitandosi a spalancare di colpo gli occhi.

Possibile che se ne fosse dimenticato?

Possibile che stesse preferendo dedicarsi al lavoro piuttosto che dar spazio a sua figlia?

Non che non ci fosse abituata, certo, ma la delusione si poteva leggere chiaramente negli occhi della bambina.

Ma... La festa? Hai dimenticato che me l'avevi promesso? Avevi detto che saremmo andati al circo tutti insieme...”

L'uomo non la degnò neanche di uno sguardo. A preoccuparsi di risponderle fu la madre:

Lucy, tesoro... Tuo padre ha cose più importanti a cui pensare...”

Perchè in fondo la verità era quella: Russell viveva solo ed esclusivamente per il suo lavoro. La famiglia era semplicemente una naturale conseguenza, ma questa non era una giustificazione.

Cosa voleva dire sua madre?

Stava davvero insinuando che non era abbastanza importante?

Ormai era stata messa da parte così tante volte che stava iniziando a pensare che fosse vero.

Alcune lacrime iniziarono a pungerle agli angoli degli occhi, ma rimase ferma, senza piangere.

Ti accompagnerà Susan!” concluse in fretta la madre. “Susan va' a cambiarti!”

La domestica annuì senza un minimo di convinzione, trascinando via anche la più piccola, che corse in camera sua con il pretesto di doversi preparare.

Solo allora, da sola, Lucy si arrese a quelle gocce salate.

 

 

***

 

 

E hai visto quando ho preso al volo la paperella? Stava cadendo, ma poi papà mi ha aiutata a tirarla su!”

Rachel era piena di gioia. Continuava a saltellare mentre camminava davanti ai suoi genitori, gli occhi le brillavano di una luce particolare e parlava ininterrottamente, vittima di un'euforia impellente.

Si, piccola! Ho visto e sei stata davvero bravissima! Magari avrai un futuro nella pesca... Magari diventerai una professionista!” la prese in giro Leroy, altrettanto felice.

La piccola fece una smorfia, seguita da un sorriso pieno... Consapevole.

Non credo proprio, papi... A Broadway non è molto praticata.”

Leroy non smetteva mai di stupirsi davanti a quell'atteggiamento della figlia. Quella creaturina era così piccola, così minuta eppure così grande e matura... A volte troppo.

Almeno ti è piaciuto il peluche che abbiamo vinto?” si intromise Hiram

Avrei preferito la maschera da gatto. Avrei potuto usarla per improvvisare qualcosa su 'Cats'...” rispose in tutta sincerità la piccola.

Mi spiace Peggy... Non sei molto gradita in famiglia...” disse di conseguenza l'uomo, rivolgendosi all'orsacchiotto rosa che portava in braccio come un vero e proprio bimbo.

Hai dato un nome al peluche?” chiese l'altro con stupore.

Non credi che sarebbe stato moralmente scorretto non darle un nome?” ribatté il più alto come se la cosa fosse del tutto normale.

Leroy scosse la testa divertito: quei due erano la sua fonte di felicità personale. Viveva per i sorrisi di Rachel, viveva per lo sguardo pieno di comprensione ed amore di Hiram, viveva per quelle esibizioni di famiglia improvvisate nel salotto di casa sua, viveva persino per quella “voglia di fare” della figlia che la portava ad essere forse un po' logorroica, ma ogni parola emessa da quella bocca era musica per le sue orecchie.

Continuava a sorridere al marito che perseverava nella sua discussione a senso unico con l'orsacchiotto e, lanciando un'occhiata verso la figlia, si rese conto che quest'ultima si era fermata di colpo, come ipnotizzata da qualcosa. Quando sia lui che Hiram alzarono lo sguardo non riuscirono ad evitare un piccolo sorriso.

Il circo.

Perchè, per quanto era evidente che non si trattava di una rappresentazione teatrale di Broadway o di un concerto di Celine Dion, era pur sempre uno spettacolo... E la piccola Rachel era attratta come una calamita da qualsiasi cosa riguardasse, anche solo lontanamente, un'esibizione artistica.

Probabilmente era per tutte quelle luci colorate, probabilmente per la maestosità del tendone che si ergeva dinanzi ai loro occhi, ma sarebbe stato impossibile anche solo tentare di dissuaderla dal mettersi in fila alla biglietteria.

 

 

***

 

 

Signorina Fabray, la prego non si allontani! Non riesco a stare al suo passo! Per favore mi aspetti!”

La povera Susan stava sbraitando da diverso tempo. La sua età non le permetteva di ricoprire i metri di vantaggio che Lucy aveva guadagnato.

Dal canto suo la biondina non faceva certo nulla per agevolarla in questa impresa, anzi, più la donna le esponeva a gran voce le sue richieste, più lei faceva finta di non ascoltarla.

La ignorava.

La ignorava come era stata ignorata lei.

Continuava a camminare per conto suo, senza una meta ben precisa. Cosa importava, ora, dove andare? Non aveva più motivo di essere in quel posto. Avrebbe dovuto ricordare quella serata come una delle più belle della sua infanzia.

Ci aveva sperato.

Ci aveva sperato così tanto che alla fine ci aveva creduto ed ora essere stata delusa faceva ancora più male.

Stavano calpestando i suoi sogni e non se ne accorgevano neanche. Nessuno si rendeva conto delle sue richieste di aiuto e di attenzione se non quella povera donna della sua badante, che, del resto, era pagata per farlo. Ma non era il suo interesse che voleva. Pretendeva quello dei suoi genitori. Voleva essere amata e coccolata come ogni bambino, ma sapeva bene che i suoi erano solo sogni.

Signorina Fabray, dove sta andando? Il circo è qui! La prego torni indietro!” continuava ad urlare la donna.

Persa nei suoi pensieri Lucy non si era neanche resa conto di aver ormai superato il tendone del circo e la voce di Susan le arrivò alle orecchie giusto in tempo per far sì che si fermasse. Così alla fine aveva ceduto ed era tornata indietro, posizionandosi in fondo alla fila della biglietteria.

Aveva perso tutto l'entusiasmo che era cresciuto in lei in quei giorni di attesa e nessuno sarebbe stato più in grado di restituirglielo... Neanche quel circo che aspettava di vedere da un intero anno.

Senza un reale interesse aspettava che giungesse finalmente il suo turno mentre la voce della domestica continuava a colpirle i timpani.

Allora signorina, sua madre mi ha specificato più volte che non posso in alcun caso comprarle né zucchero filato, né popcorn, ma in compenso mi ha dato un pacco di cracker che può mangiare durante lo spettacolo. Mi ha assolutamente vietato di farla entrare nella casa degli orrori o avrà gli incubi e non riuscirà a dormire...”

Era incredibile quanto parlasse quella donna. Le voleva urlare di smetterla, di fermarsi perchè sapeva già tutte quelle cose! Tutto quello che desiderava era essere trattata come una bambina normale, magari proprio come quella bambina che ora, davanti a lei, si stava sistemando un adorabile fermaglio con un fiocco rosso.

Mentre la donna continuava a straparlare e la piccola era ancora immersa nei suoi pensieri qualcuno le spinse bruscamente in avanti. Lucy si girò irritata, notando delle risate provenire da un gruppo di ragazzi. Tornò a voltarsi con l'intenzione di avanzare, un po' spaventata all'idea di essere nuovamente scaraventata via e, nel farlo, per poco non pestò qualcosa.

Prese il fermaglio e se lo rigirò tra le piccole manine. Solo dopo alcuni secondi si ricordò improvvisamente di doverlo restituire, ma la bambina davanti a lei si stava avviando verso l'entrata.

Il secondo dopo Lucy stava già correndo verso la bambina, suscitando ancora una volta le urla di una Susan iperprotettiva.

Corse il più che poteva e con un ultimo balzo finalmente la raggiunse, prendendole una mano.

Quando quest'ultima finalmente si girò, Lucy poté ammirare un'adorabile bambina, con degli occhi profondamente espressivi, quasi quanto il sorriso che dipingeva il suo viso, un naso forse un po' troppo grande eppure così perfetto nella sua imperfezione e non riuscì a trattenere un sorriso.

Questo dovrebbe essere tuo...”

   
 
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